12 settembre 2011

Il monsignore e la falsa democrazia



Di recente, a noi pochi che a Vicenza da un pezzo sosteniamo che la democrazia è un’oligarchia mascherata, si è aggiunto un illustre uomo chiesa e di cultura, don Giuseppe Dal Ferro. Oggi a Recoaro si apre una tre giorni di convegni, organizzata dal vicentino Istituto di Scienze Sociali “Rezzara” di cui il monsignore è direttore, dedicata alle “Democrazie a confronto”. In un’intervista rilasciata al Giornale di Vicenza domenica 28 agosto, Dal Ferro ha fatto alcune affermazioni che meritano di essere citate per intero: «La tradizione dei Paesi occidentali è quella della democrazia quantitativa, che però ha i suoi limiti. Ci sono altre forme: nel mondo islamico, ad esempio, ci sono alcuni principi non negoziabili, cioè che non possono essere decisi dal 50 percento più uno. Nasce quindi il problema di una revisione critica di cosa è democrazia. (…) la democrazia quantitativa è ormai anacronistica. Il singolo cittadino non conta più niente. Un tempo i partiti veicolavano le esigenze dei cittadini, ora non più. C'è un grande problema di partecipazione e rappresentanza. Chi esprime oggi le emergenze problematiche della rappresentanza? Anche i mass media sono soggetti alla manipolazione da parte dei poteri forti. Ci stiamo avviando verso una democrazia di stile americano. (…) Insisto sull'importanza della partecipazione, che fa emergere i problemi, mentre la rappresentanza li generalizza e tenta di risolverli. In pochi, pochissimi si sono accorti che nel 2001 la modifica all'articolo 118 della Costituzione ha introdotto il concetto di sussidiarietà orizzontale. (…) Gli enti pubblici, dallo Stato ai Comuni, devono favorire l'iniziativa dei cittadini, anche in forma associata, per svolgere attività di interesse generale. Questo ridefinisce in modo nuovo la partecipazione e la cittadinanza: gruppi e associazioni possono far emergere dal basso alcune istanze, questo è un nuovo tipo di democrazia. (…) La democrazia è già schiacciata dai poteri forti, dall'economia».
Esaminiamo quanto dice il prelato, partendo dal fondo. Sostiene che è il potere del denaro la causa dello svuotamento del sistema democratico, per così dire, dall’interno: ogni persona dotata di occhi orecchie e cervello non può che sottoscriverne la palese evidenza. Suggerisce, parafrasando Giorgio Gaber, che “democrazia è partecipazione”, e questo è indiscutibilmente vero se si pensa chi ne ha inventato il concetto e lo ha applicato, il Greco antico, la concepiva esclusivamente come esercizio diretto della sovranità da parte dei “molti” (il “popolo”), altrimenti il rischio è cadere nel suo contrario, che è appunto l’oligarchia (“governo dei pochi”, intesi come privilegiati per ricchezza e lignaggio). Dal Ferro ricorda che, inserita nella Costituzione vigente, è già a disposizione un’arma che è la sussidiarietà, principio che favorisce la partecipazione riavvicinando il cittadino al potere. Infine, boccia la democrazia rappresentativa, che lui chiama “quantitativa”, in quanto la delega è facilmente manipolabile dalle lobby politico-economiche, specialmente attraverso i media da loro controllati. Da cattolico auspica, poi, che la democrazia possa riformularsi secondo valori etici validi per tutti, come succede nell’Islam (fra parentesi: questo accade nel tanto vituperato Iran, dove ognuno può avere ed esprimere le opinioni che vuole a condizione di non mettere in discussione neanche per sbaglio il Corano e la sua interpretazione sciita).
Ora, a parte l’ultima nota che non condivido ma che, in bocca a un prete, posso capire, mi trovo d’accordo con quanto detto da monsignor Dal Ferro dalla prima all’ultima parola. Concordo sull’analisi del problema, e anche su quella che mi pare la direzione d’uscita: partecipazione dal basso, cioè democrazia diretta su base locale. Mi sento un po’ meno solo, oggi, in questa città.

di Alessio Mannino

11 settembre 2011

L'Italia è in default





Nel Paese con più ferrari al mondo, dove solo 34 mila contribuenti dichiarano oltre 300 mila euro annui, solo una patrimoniale poteva risollevare l'economia. Ma è stata scartata dagli interessi politici e sostituita da manovre che non servono a niente e tassano i più deboli

La domanda che tutti quanti si pongono in Italia è: stiamo andando in default? Purtroppo la risposta, almeno a giudicare da quello che il nostro Governo sta facendo, ma anche quello che stanno facendo i governi europei, è sì.



Analizziamo la situazione: prima di tutto questa manovra serve a ben poco e come al solito colpisce principalmente i piccoli risparmiatori, la gente comune, la classe media e la classe medio - bassa che già sono stati vessati negli ultimi anni da un'imposizione fiscale assolutamente inequa. 21% sull'Iva, chi pensate chi lo pagherà? Lo pagheremo noi, 3% di tassa aggiuntiva su chi guadagna più di 300 mila Euro, parliamo dello 0,5% della popolazione, quindi praticamente una percentuale piccolissima, eppure l'Italia è il paese dove si vendono più Ferrari che in tutto il mondo e guarda caso è il paese dove solamente 34mila contribuenti guadagnano più di 300 mila Euro (che discrepanza...).

La tassa patrimoniale avrebbe funzionato molto meglio, perché? Perché la maggior parte delle persone che guadagnano molto più di 300 mila Euro e che non lo dichiara, si proteggono dietro società di paravento e attraverso una serie di marchingegni contabili riescono a far risultare che guadagnano molto meno di quanto succede realmente, però hanno a disposizione una serie di beni, le Ferrari, gli yacht, le barche a vela che appaiono sulla carta non di loro proprietà. Quindi la tassa patrimoniale avrebbe sicuramente colpito questi individui, perché la tassa patrimoniale è sul patrimonio, quindi colpisce l'immobile, l'oggetto, il bene durevole, per esempio la Ferrari. Ma questa legge ovviamente non si fa. Perché? Perché chi ha questi redditi superiori a 300 mila Euro non dichiarati, è la classe dirigente, quindi è da una parte la classe politica e da una parte praticamente tutto quell'entourage di elite del denaro che gira intorno alla classe politica.

Questa è la situazione all'interno del paese. La situazione in Europa direi che è quasi peggiore, abbiamo assistito all'inizio delle guerre monetarie, abbiamo visto che la Svizzera due giorni fa ha di fatto svalutato la propria moneta garantendo un cambio che è un cambio fisso con l'Euro a 1,20.. Cosa significa questo? Significa che la Svizzera interverrà ogni qualvolta ci saranno delle pressioni da parte del mercato per una rivalutazione del tasso di cambio a favore del franco.

Questo chiaramente comporterà uno sbilanciamento per quanto riguarda il resto dell'Europa perché siamo in una crisi profonda e il franco svizzero viene percepito come un bene rifugio, infatti subito dopo questa decisione c'è stato un movimento di capitali verso altre monete all'interno dell'Europa che non sono parte dell'Euro, in particolare parliamo della corona norvegese e anche svedese.

Quindi siamo all'inizio di una guerra monetaria, che sicuramente comporterà una crisi ancora più profonda di quella attuale, perché al momento nell'area dell'Euro abbiamo bisogno di tranquillità e di chiarezza e tutto questo chiaramente non succederà perché si gestirà la moneta comune come le economie nazionali, semplicemente come protezione per proteggersi da un eventuale default. I mercati tutto questo lo sanno e sicuramente i mercati puniranno questi paesi che si comportano in questo modo. Dunque, rispetto alla situazione interna, in Italia, penso che queste misure, queste manovre non servono a nulla, anzi continuano a colpire quella classe media e medio - bassa. Non si è fatto nulla per poter aiutare la piccola e media impresa a riprendersi, quindi non ci sarà una ripresa della crescita attraverso questa manovra che è quello di cui abbiamo bisogno. Dall'altra parte in Europa guerre monetarie e quindi politiche di protezione, cioè una sorta di protezionismo quasi monetario, che porterà sicuramente a uno sfaldamento degli equilibri monetari in Europa.

La situazione è drammatica e l'autunno sarà un autunno molto caldo, fin tanto che continueremo a essere governati da questi politici sia in Italia che in Europa. Il default diventa sempre più vicino.
di Loretta Napoleoni

10 settembre 2011

Asserragliati nel fortino dei privilegi


http://www.ilmediano.it/wbresize/thumb.aspx?t=jpg&f=~/public/STORIAMAGRA/QUADROMAGRITTE_LAMEMORIA.gif&w=486&h=0

Quando Berlusconi annunciò l’imminente dimezzamento dei parlamentari, due cose furono subito chiare a tutti gli italiani. Che moriva dalla voglia di farlo, se non altro per dimezzare le spese, visto che li mantiene quasi tutti lui. E che non ci sarebbe riuscito, perché nessuno ha mai visto la forfora votare a favore dello shampoo.
Ricordate? Per addolcire il bicarbonato della Manovra, a fine agosto il governo pensò bene di regalarci una caramella al miele. La promessa di un disegno di legge costituzionale che avrebbe dimezzato i parlamentari e cancellato le province. La Casta più obesa del mondo si sarebbe messa in cura dimagrante. Un segnale per i contribuenti: mentre voi stringete la cinghia, noi ci rimettiamo almeno la camicia dentro i pantaloni.
Qualche giorno dopo il segretario del partito del premier scartò la caramella al miele e la distribuì sull’autorevole palco della Berghemfest (sembra uno stopper del Bayern, ma immagino voglia dire Festa di Bergamo): ai primi di settembre, garantì, presenteremo un disegno di legge costituzionale per dimezzare il numero dei parlamentari e abolire le province.
Il disegno di legge costituzionale è stato presentato ieri e prevede soltanto l’abolizione delle province. Il dimezzamento dei parlamentari è stato inghiottito da un buco nero. Chi lo avrebbe mai detto? Stupiti quanto voi, ci siamo messi sulle tracce dello scomparso, interpellandone il padre putativo: Calderoli. L’illustre giurista ci ha tranquillizzati: il dimezzamento non è nel disegno di legge perché era già stato varato dal consiglio dei ministri del 22 luglio scorso. E allora come mai Berlusconi e Alfano, oltre un mese dopo, lo promettevano ai cittadini? Uno promette quel che deve ancora fare, non quel che ha appena fatto. L’ipotesi che il consiglio del 22 luglio avesse approvato il dimezzamento dei parlamentari all’insaputa del premier è stata presa seriamente in considerazione, ma non ha retto alla prova dei fatti. Che sono questi. Il dimezzamento è stato votato dal governo «salvo intese», una formula furbetta che consente di spacciare la riforma come già avvenuta, mentre nella realtà deve ancora passare per le forche caudine di una trattativa con i singoli ministri.
Per farla breve: la proposta di dimezzare gli onorevoli e i senatori non è stata inserita nel disegno di legge di ieri perché si trova già altrove, ma quell’altrove è un provvedimento che giace sepolto in un cassetto di Palazzo Chigi e non è mai stato trasmesso ai due rami del Parlamento. Per farla brevissima: ci hanno preso in giro un’altra volta. La seconda in due giorni, dopo la farsa dello sconto sui tagli alle indennità degli onorevoli muniti di doppio lavoro (e doppia pensione) festosamente promessi dal governo non più tardi di due settimane fa.
Neanche a dire che non si rendano conto di essere detestati. Lo sanno benissimo, tanto che ormai si vergognano di dichiarare in pubblico il mestiere che fanno. Semplicemente se ne infischiano delle reazioni. Asserragliati nel fortino dei loro privilegi, mentre intorno tutto crolla. Senza nemmeno salvare le apparenze e prendere qualche precauzione, come quella di placare la furia dei cittadini compiendo un sacrificio personale. Adesso pensano di cavarsela con la sola abolizione delle province, facendo pagare a un grado più basso della Casta il prezzo della loro eterna intangibilità.
Una classe dirigente si può disfare in tanti modi. Persino con uno scatto finale di orgoglio. La nostra invece - fra ruberie sistematiche, intercettazioni grottesche, barzellette sulle suore stuprate e raccolte di firme bipartisan per la conservazione delle feste dei santi Ambrogio e Gennaro ha compiuto la scelta più consona alla propria mediocrità, decidendo di dissolversi in una bolla infinita di squallore.
di Massimo Gramellini

12 settembre 2011

Il monsignore e la falsa democrazia



Di recente, a noi pochi che a Vicenza da un pezzo sosteniamo che la democrazia è un’oligarchia mascherata, si è aggiunto un illustre uomo chiesa e di cultura, don Giuseppe Dal Ferro. Oggi a Recoaro si apre una tre giorni di convegni, organizzata dal vicentino Istituto di Scienze Sociali “Rezzara” di cui il monsignore è direttore, dedicata alle “Democrazie a confronto”. In un’intervista rilasciata al Giornale di Vicenza domenica 28 agosto, Dal Ferro ha fatto alcune affermazioni che meritano di essere citate per intero: «La tradizione dei Paesi occidentali è quella della democrazia quantitativa, che però ha i suoi limiti. Ci sono altre forme: nel mondo islamico, ad esempio, ci sono alcuni principi non negoziabili, cioè che non possono essere decisi dal 50 percento più uno. Nasce quindi il problema di una revisione critica di cosa è democrazia. (…) la democrazia quantitativa è ormai anacronistica. Il singolo cittadino non conta più niente. Un tempo i partiti veicolavano le esigenze dei cittadini, ora non più. C'è un grande problema di partecipazione e rappresentanza. Chi esprime oggi le emergenze problematiche della rappresentanza? Anche i mass media sono soggetti alla manipolazione da parte dei poteri forti. Ci stiamo avviando verso una democrazia di stile americano. (…) Insisto sull'importanza della partecipazione, che fa emergere i problemi, mentre la rappresentanza li generalizza e tenta di risolverli. In pochi, pochissimi si sono accorti che nel 2001 la modifica all'articolo 118 della Costituzione ha introdotto il concetto di sussidiarietà orizzontale. (…) Gli enti pubblici, dallo Stato ai Comuni, devono favorire l'iniziativa dei cittadini, anche in forma associata, per svolgere attività di interesse generale. Questo ridefinisce in modo nuovo la partecipazione e la cittadinanza: gruppi e associazioni possono far emergere dal basso alcune istanze, questo è un nuovo tipo di democrazia. (…) La democrazia è già schiacciata dai poteri forti, dall'economia».
Esaminiamo quanto dice il prelato, partendo dal fondo. Sostiene che è il potere del denaro la causa dello svuotamento del sistema democratico, per così dire, dall’interno: ogni persona dotata di occhi orecchie e cervello non può che sottoscriverne la palese evidenza. Suggerisce, parafrasando Giorgio Gaber, che “democrazia è partecipazione”, e questo è indiscutibilmente vero se si pensa chi ne ha inventato il concetto e lo ha applicato, il Greco antico, la concepiva esclusivamente come esercizio diretto della sovranità da parte dei “molti” (il “popolo”), altrimenti il rischio è cadere nel suo contrario, che è appunto l’oligarchia (“governo dei pochi”, intesi come privilegiati per ricchezza e lignaggio). Dal Ferro ricorda che, inserita nella Costituzione vigente, è già a disposizione un’arma che è la sussidiarietà, principio che favorisce la partecipazione riavvicinando il cittadino al potere. Infine, boccia la democrazia rappresentativa, che lui chiama “quantitativa”, in quanto la delega è facilmente manipolabile dalle lobby politico-economiche, specialmente attraverso i media da loro controllati. Da cattolico auspica, poi, che la democrazia possa riformularsi secondo valori etici validi per tutti, come succede nell’Islam (fra parentesi: questo accade nel tanto vituperato Iran, dove ognuno può avere ed esprimere le opinioni che vuole a condizione di non mettere in discussione neanche per sbaglio il Corano e la sua interpretazione sciita).
Ora, a parte l’ultima nota che non condivido ma che, in bocca a un prete, posso capire, mi trovo d’accordo con quanto detto da monsignor Dal Ferro dalla prima all’ultima parola. Concordo sull’analisi del problema, e anche su quella che mi pare la direzione d’uscita: partecipazione dal basso, cioè democrazia diretta su base locale. Mi sento un po’ meno solo, oggi, in questa città.

di Alessio Mannino

11 settembre 2011

L'Italia è in default





Nel Paese con più ferrari al mondo, dove solo 34 mila contribuenti dichiarano oltre 300 mila euro annui, solo una patrimoniale poteva risollevare l'economia. Ma è stata scartata dagli interessi politici e sostituita da manovre che non servono a niente e tassano i più deboli

La domanda che tutti quanti si pongono in Italia è: stiamo andando in default? Purtroppo la risposta, almeno a giudicare da quello che il nostro Governo sta facendo, ma anche quello che stanno facendo i governi europei, è sì.



Analizziamo la situazione: prima di tutto questa manovra serve a ben poco e come al solito colpisce principalmente i piccoli risparmiatori, la gente comune, la classe media e la classe medio - bassa che già sono stati vessati negli ultimi anni da un'imposizione fiscale assolutamente inequa. 21% sull'Iva, chi pensate chi lo pagherà? Lo pagheremo noi, 3% di tassa aggiuntiva su chi guadagna più di 300 mila Euro, parliamo dello 0,5% della popolazione, quindi praticamente una percentuale piccolissima, eppure l'Italia è il paese dove si vendono più Ferrari che in tutto il mondo e guarda caso è il paese dove solamente 34mila contribuenti guadagnano più di 300 mila Euro (che discrepanza...).

La tassa patrimoniale avrebbe funzionato molto meglio, perché? Perché la maggior parte delle persone che guadagnano molto più di 300 mila Euro e che non lo dichiara, si proteggono dietro società di paravento e attraverso una serie di marchingegni contabili riescono a far risultare che guadagnano molto meno di quanto succede realmente, però hanno a disposizione una serie di beni, le Ferrari, gli yacht, le barche a vela che appaiono sulla carta non di loro proprietà. Quindi la tassa patrimoniale avrebbe sicuramente colpito questi individui, perché la tassa patrimoniale è sul patrimonio, quindi colpisce l'immobile, l'oggetto, il bene durevole, per esempio la Ferrari. Ma questa legge ovviamente non si fa. Perché? Perché chi ha questi redditi superiori a 300 mila Euro non dichiarati, è la classe dirigente, quindi è da una parte la classe politica e da una parte praticamente tutto quell'entourage di elite del denaro che gira intorno alla classe politica.

Questa è la situazione all'interno del paese. La situazione in Europa direi che è quasi peggiore, abbiamo assistito all'inizio delle guerre monetarie, abbiamo visto che la Svizzera due giorni fa ha di fatto svalutato la propria moneta garantendo un cambio che è un cambio fisso con l'Euro a 1,20.. Cosa significa questo? Significa che la Svizzera interverrà ogni qualvolta ci saranno delle pressioni da parte del mercato per una rivalutazione del tasso di cambio a favore del franco.

Questo chiaramente comporterà uno sbilanciamento per quanto riguarda il resto dell'Europa perché siamo in una crisi profonda e il franco svizzero viene percepito come un bene rifugio, infatti subito dopo questa decisione c'è stato un movimento di capitali verso altre monete all'interno dell'Europa che non sono parte dell'Euro, in particolare parliamo della corona norvegese e anche svedese.

Quindi siamo all'inizio di una guerra monetaria, che sicuramente comporterà una crisi ancora più profonda di quella attuale, perché al momento nell'area dell'Euro abbiamo bisogno di tranquillità e di chiarezza e tutto questo chiaramente non succederà perché si gestirà la moneta comune come le economie nazionali, semplicemente come protezione per proteggersi da un eventuale default. I mercati tutto questo lo sanno e sicuramente i mercati puniranno questi paesi che si comportano in questo modo. Dunque, rispetto alla situazione interna, in Italia, penso che queste misure, queste manovre non servono a nulla, anzi continuano a colpire quella classe media e medio - bassa. Non si è fatto nulla per poter aiutare la piccola e media impresa a riprendersi, quindi non ci sarà una ripresa della crescita attraverso questa manovra che è quello di cui abbiamo bisogno. Dall'altra parte in Europa guerre monetarie e quindi politiche di protezione, cioè una sorta di protezionismo quasi monetario, che porterà sicuramente a uno sfaldamento degli equilibri monetari in Europa.

La situazione è drammatica e l'autunno sarà un autunno molto caldo, fin tanto che continueremo a essere governati da questi politici sia in Italia che in Europa. Il default diventa sempre più vicino.
di Loretta Napoleoni

10 settembre 2011

Asserragliati nel fortino dei privilegi


http://www.ilmediano.it/wbresize/thumb.aspx?t=jpg&f=~/public/STORIAMAGRA/QUADROMAGRITTE_LAMEMORIA.gif&w=486&h=0

Quando Berlusconi annunciò l’imminente dimezzamento dei parlamentari, due cose furono subito chiare a tutti gli italiani. Che moriva dalla voglia di farlo, se non altro per dimezzare le spese, visto che li mantiene quasi tutti lui. E che non ci sarebbe riuscito, perché nessuno ha mai visto la forfora votare a favore dello shampoo.
Ricordate? Per addolcire il bicarbonato della Manovra, a fine agosto il governo pensò bene di regalarci una caramella al miele. La promessa di un disegno di legge costituzionale che avrebbe dimezzato i parlamentari e cancellato le province. La Casta più obesa del mondo si sarebbe messa in cura dimagrante. Un segnale per i contribuenti: mentre voi stringete la cinghia, noi ci rimettiamo almeno la camicia dentro i pantaloni.
Qualche giorno dopo il segretario del partito del premier scartò la caramella al miele e la distribuì sull’autorevole palco della Berghemfest (sembra uno stopper del Bayern, ma immagino voglia dire Festa di Bergamo): ai primi di settembre, garantì, presenteremo un disegno di legge costituzionale per dimezzare il numero dei parlamentari e abolire le province.
Il disegno di legge costituzionale è stato presentato ieri e prevede soltanto l’abolizione delle province. Il dimezzamento dei parlamentari è stato inghiottito da un buco nero. Chi lo avrebbe mai detto? Stupiti quanto voi, ci siamo messi sulle tracce dello scomparso, interpellandone il padre putativo: Calderoli. L’illustre giurista ci ha tranquillizzati: il dimezzamento non è nel disegno di legge perché era già stato varato dal consiglio dei ministri del 22 luglio scorso. E allora come mai Berlusconi e Alfano, oltre un mese dopo, lo promettevano ai cittadini? Uno promette quel che deve ancora fare, non quel che ha appena fatto. L’ipotesi che il consiglio del 22 luglio avesse approvato il dimezzamento dei parlamentari all’insaputa del premier è stata presa seriamente in considerazione, ma non ha retto alla prova dei fatti. Che sono questi. Il dimezzamento è stato votato dal governo «salvo intese», una formula furbetta che consente di spacciare la riforma come già avvenuta, mentre nella realtà deve ancora passare per le forche caudine di una trattativa con i singoli ministri.
Per farla breve: la proposta di dimezzare gli onorevoli e i senatori non è stata inserita nel disegno di legge di ieri perché si trova già altrove, ma quell’altrove è un provvedimento che giace sepolto in un cassetto di Palazzo Chigi e non è mai stato trasmesso ai due rami del Parlamento. Per farla brevissima: ci hanno preso in giro un’altra volta. La seconda in due giorni, dopo la farsa dello sconto sui tagli alle indennità degli onorevoli muniti di doppio lavoro (e doppia pensione) festosamente promessi dal governo non più tardi di due settimane fa.
Neanche a dire che non si rendano conto di essere detestati. Lo sanno benissimo, tanto che ormai si vergognano di dichiarare in pubblico il mestiere che fanno. Semplicemente se ne infischiano delle reazioni. Asserragliati nel fortino dei loro privilegi, mentre intorno tutto crolla. Senza nemmeno salvare le apparenze e prendere qualche precauzione, come quella di placare la furia dei cittadini compiendo un sacrificio personale. Adesso pensano di cavarsela con la sola abolizione delle province, facendo pagare a un grado più basso della Casta il prezzo della loro eterna intangibilità.
Una classe dirigente si può disfare in tanti modi. Persino con uno scatto finale di orgoglio. La nostra invece - fra ruberie sistematiche, intercettazioni grottesche, barzellette sulle suore stuprate e raccolte di firme bipartisan per la conservazione delle feste dei santi Ambrogio e Gennaro ha compiuto la scelta più consona alla propria mediocrità, decidendo di dissolversi in una bolla infinita di squallore.
di Massimo Gramellini