12 dicembre 2011

Il regno dei raccomandati

http://www.parmaoggi.it/wp-content/uploads/test.jpg
L'Italia si fonda sulla demeritocrazia. Contano le amicizie, non i titoli


«Zefiro continuava ad esserci propizio con l'aiuto di un po' di Garbino, ma un altro giorno era passato senza scoprire terra. Il terzo giorno, all'alba delle mosche, cioè a dire sul mezzodì, apparve un'isola triangolare che somigliava moltissimo, per forma e posizione, alla Sicilia. Si chiamava Isola delle Parentele».
Così François Rabelais racconta, nel suo irresistibile Gargantua et Pantagruel, la scoperta di quell'isola in cui (...) tutti «erano parenti e insieme collegati, e se ne vantavano». Non è chiarissimo quanta malizia mise il grande scrittore francese nello scegliere come paragone la Sicilia. (...) Ridurre il fenomeno a una dimensione solo siciliana o meridionale (Clemente Mastella si spinse a teorizzare che «la raccomandazione è un peccato veniale che per molto tempo è servito a riequilibrare le ingiustizie Nord-Sud») sarebbe un errore.
Basti ricordare alcuni dei casi finiti sui giornali in questi anni. Come quello dell'avvocatessa padovana Elisabetta Casellati, berlusconiana della prima ora, che dopo essersi insediata come sottosegretario alla Sanità scelse quale capo della sua segreteria, con uno stipendio doppio rispetto a un funzionario del nono livello con quindici anni di anzianità, sua figlia Ludovica. Oppure quello, leggendario, di Claudio Regis, detto «Valvola» perché in gioventù era stato un provetto elettricista, piazzato dalla Lega Nord ai vertici dell'Enea, l'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente dove arrivò a dare del somaro al premio Nobel Carlo Rubbia: «Nessuno mette in discussione le sue competenze sulle particelle, ma quando parla di ingegneria è un sonoro incompetente». Giudizio avventato, se non altro per uno che, nonostante il decreto di nomina di Letizia Moratti lo definisse «Ing.» e nonostante scrivesse sulla rivista online «Kosmos» articoli firmati «Claudio Regis, ingegnere Enea», non era affatto laureato. (...)
Né si può dire che si tratti di un fenomeno recente. (...) Ce lo ricordano meravigliosi aneddoti come quello attribuito al senese Enea Silvio Piccolomini, diventato papa nel 1458 con il nome di Pio II e subito assediato da questuanti affamati di ruoli e prebende: «Quand'ero solo Enea / nessun mi conoscea / ora che sono Pio / tutti mi chiaman zio».
Proprio per questo, però, servirebbero regole rigide. (...) Da noi, come spiega Antonio Merlo, direttore del dipartimento del Penn Institute for Economic Research a Filadelfia, la selezione si è via via specializzata nello scegliere sulla base non della preparazione ma della fedeltà: «L'Italia è una Repubblica fondata sulla mediocrità, una "mediocracy". Cioè un sistema che seleziona e promuove scientificamente una classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese ma al partito. Al leader. Al segretario».
E a mano a mano che i costi della politica si gonfiavano e la politica tracimava uscendo dai suoi alvei tradizionali per occupare ogni spazio della società, ogni ruolo è diventato una poltrona con cui «fare politica». (...) A che serve, ormai, il curriculum? A niente, rispondono casi clamorosi come quello (...) di Clemente Marconi, archeologo, dottorato di ricerca alla Normale, tra i massimi esperti mondiali di Magna Grecia, che inutilmente cercò per anni, come ha raccontato al «Giornale di Sicilia», di restare in patria: «Arrivavo sempre secondo».
Il giorno in cui prese possesso della cattedra vinta alla Columbia University di New York, ricevette una lettera dalla Regione Sicilia: «Gentile collega, siamo giunti alla conclusione che Lei non possiede i requisiti accademici per entrare nel nostro staff. La sua domanda per un posto da archeologo ai Beni culturali siciliani viene pertanto respinta, cordiali saluti».
Va da sé che quando Paolo Casicci e Alberto Fiorillo hanno deciso di scrivere Scurriculum. Viaggio nell'Italia della demeritocrazia, hanno trovato un mucchio di storie esemplari. Storie che dimostrano in modo inequivocabile come l'attuale sistema, ignobile e suicida, mortifichi i più bravi costringendoli spesso a regalare la loro intelligenza, la loro preparazione alle università, alle aziende, ai Paesi stranieri. E premia al contrario quanti hanno in tasca la tessera «giusta» o nel cellulare il telefono del deputato «giusto». I quali utilizzano sistematicamente le aziende statali o comunali «come sfogatoio per i trombati o premio per i fedelissimi». O ancora per agganciare vistose signorine dai curriculum estrosi.
Quanto possa essere perdente la diffusione di questi meccanismi perversi ormai è sotto gli occhi di tutti. Peggio, ne abbiamo già fatto esperienza in passato. Lo ricorda, ad esempio, Ludovico Incisa di Camerana nel libro Il grande esodo sulla storia delle migrazioni italiane nel mondo. Dove si racconta che, grazie alle imprese pionieristiche del padovano Giovanni Battista Belzoni e all'amore per l'Italia di un viceré d'origine albanese, il chedivè Mohammed Ali, l'Egitto, in coincidenza con il Risorgimento, spalancò le porte agli italiani: «Durante il suo regno (1801-1849) e quello dei suoi successori, Abbas e Said (1849-1863), l'amministrazione interna è in gran parte affidata agli italiani; italiana è egualmente l'amministrazione delle poste, create su iniziativa italiana, dei servizi sanitari, della sicurezza pubblica...». (...) E insomma «la lingua italiana era così diffusa nel Paese che poteva considerarsi quale la sua seconda lingua tanto che, fino a tutto il regno di Mohammed Ali, la nostra era la lingua diplomatica dell'Egitto e la sola usata dal governo egiziano nei rapporti internazionali».
Un'occasione unica, straordinaria, irripetibile per il nostro ruolo nel Mediterraneo. Sapete come fu buttata via? Lo scrive nel 1905 Giuseppe Salvago Raggi, agente diplomatico presso il sultano e console generale al Cairo... (...) «L'Agenzia d'Italia oppressa dalle numerosissime raccomandazioni rinunciò in pratica a ottener buoni impieghi per gli italiani e si contentò di impiegarne molti. In tal modo si venne applicando la regola che le alte posizioni vennero occupate da francesi (...), da alcuni austriaci, da pochi inglesi e da pochissimi tedeschi, quelle più umili da italiani e le infime da greci». (...)
Quanto lo stesso errore possa infettare la società italiana, rendendola sempre più debole e incapace di stare al passo di un mondo che cambia a velocità immensamente superiore alla nostra, è dimostrato da questo libro passo dopo passo. A partire dalla contraddizione fra le parole, le promesse, i proclami, e la pratica quotidiana. Valga per tutti il caso di Massimo Zennaro, il portavoce del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini nominato direttore della Comunicazione a viale Trastevere e autore dello stupefacente comunicato che rivendicava al merito della sua datrice di lavoro, dopo la scoperta della velocità dei neutrini, la costruzione di un tunnel di settecento chilometri dal Gran Sasso a Ginevra. Sciocchezza planetaria liquidata da migliaia di internauti con una battuta: settecento chilometri e neanche un autogrill!
di Gian Antonio Stella

25 ottobre 2011

Parabola del banchiere con cuore a sinistra





http://liberamentenews.files.wordpress.com/2011/10/profumofrodefiscale.jpg?w=201&h=300


Un profilo dell' ex a.d. di Unicredit, indagato per frode fiscale. Amico di Prodi, siglò l'accordo con Geronzi per l'ingresso in Unicredit della romana Capitalia. Fu poi esautorato con l'intervento attivo di Bisignani: un addio addolcito da una buonuscita milionaria


E' l'ex banchiere che nel 2006 ha votato per Romano Prodi alle primarie dell'Ulivo, come il suo ex diretto concorrente, Corrado Passera di Banca Intesa, il quale però si è avvicinato al governo Berlusconi (e anche per questo, dicono in molti, è ancora al suo posto). Genovese, classe 1957, l'infanzia trascorsa a Palermo e poi, dall'età di 13 anni, a Milano, Alessandro Profumo è l'ex amministratore delegato di Unicredit coinvolto nell'indagine giudiziaria per frode fiscale, nella quale la Procura di Milano il 18 ottobre fa ha fatto sequestrare 245 milioni di euro alla banca.

Profumo sembra un predestinato alla carriera in banca. A vent'anni viene assunto al Banco Lariano e ci resta dieci anni, dopo un po' si iscrive all'università, fa la vita dello studente lavoratore, a 30 anni si laurea in economia alla Bocconi. Poi lavora alla McKinsey, la società di consulenza aziendale nella quale si formano molti manager di successo, li chiamano i Mc Kinsey-boy, una categoria (o una lobby) che non piace a tutti ma che nelle aziende riesce a fare molta strada. Profumo arriva al Credito Italiano nel 1994, un anno dopo la sua privatizzazione e quattro anni dopo, con la nascita del gruppo Unicredit, ne diventa amministratore delegato. Comincia una fase di acquisizioni di istituti minori e di espansione all'estero, culminata nell'acquisizione del gruppo tedesco Hvb nel 2005. L'operazione fa aumentare le dimensioni della banca ma non fa bene al conto economico, perché nelle filiali "austroungariche" si annidano dei problemi.

L'altra grande operazione è nel 2007, l'accordo con Cesare Geronzi per la fusione in Unicredit della romana Capitalia, una banca con molte sofferenze in bilancio ma con forti agganci nei palazzi della politica (da Berlusconi a D'Alema). Rientra nell'accordo con Profumo anche la nomina di Geronzi alla presidenza di Mediobanca, ma con la crisi finanziaria che esplode nel settembre 2008 i conti di Unicredit cominciano a soffrire pesantemente. Comincia la discesa che porterà all'esautoramento di Profumo dopo 13 anni, il 21 settembre 2010.
"Mi mandano via", dice lui stesso due giorni prima del consiglio di amministrazione che lo esautora. Il motivo non è mai stato spiegato, tuttavia negli ultimi anni i conti della banca non andavano più bene come prima e Profumo, avendo bisogno di fare due aumenti di capitale ravvicinati, aveva trovato l'aiuto della Libia ( http://www.ilpost.it/2010/09/20/unicredit-libia-profumo/ ) , entrata nel capitale con una quota complessiva del 7,5 per cento. Un'avanzata che ha irritato le fondazioni bancarie principali azioniste di Unicredit, soprattutto la Cariverona e la Crt di Torino, guidate dai potenti Paolo Biasi e Fabrizio Palenzona, decisivi per l'allontanamento di Profumo.

Chi si è dato molto da fare per disarcionare il banchiere vicino all'Ulivo è anche uno dei più potenti lobbisti italiani, Luigi Bisignani ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/30/p4-bisignani-brigava-per-cacciare-profumo-da-unicredit-lo-sbattiamo-fuori/132806/ ) , già iscritto alla loggia massonica segreta P2 e condannato per la tangente Enimont, dal 15 giugno scorso agli arresti domiciliari nell'indagine sulla P4, una rete di dossier, ricatti, potere. "Lo cacciamo!", confidava Bisignani al telefono a un dirigente dell'Unicredit, Luca De Dominicis, 11 giorni prima delle dimissioni ufficiali.

Profumo viene ricordato come un dirigente che ha tenuto la banca lontano da operazioni politiche, come l'ingresso nel capitale di Telecom Italia e il controverso progetto della nuova Alitalia, operazioni condotte invece dalla Banca Intesa di Passera. L'altra caratteristica del banchiere con il cuore a sinistra è quella di essere stato molto ben pagato, con lo stipendio più alto in Italia: poco più di nove milioni euro lordi nel 2007, l'anno record. Un primato che ha confermato al momento dell'addio, addolcito da una buonuscita di circa 40 milioni di euro al lordo delle tasse, più un'erogazione in beneficenza di due milioni fatta dalla banca, su sua indicazione, alla Casa della carità di don Colmegna. Attualmente l'ex banchiere è nel consiglio di sorveglianza di una banca russa, la Sberbank e in maggio è entrato nel consiglio di amministrazione dell'Eni. Nel gruppo pubblico del petrolio e del gas, guidato da un altro ex McKinsey, Paolo Scaroni, lavora come dirigente la moglie di Profumo, Sabina Ratti.
di Gianni Dragoni

24 ottobre 2011

Condividi: Panico Usa: è Wall Street a detenere il nostro debito

Gli Usa sono letteralmente terrorizzati: se crolla uno Stato europeo, uno qualsiasi, vanno in crisi le grandi banchefrancesi e tedesche sorrette da Wall Street. Ecco perché Washington è così attenta alla crisi europea e raccomanda a Bruxelles di scongiurare il rischio di default, a cominciare da quello della Grecia: il collasso a catena porterebbe alla bancarotta delle centrali finanziarie statunitensi. Lo afferma Robert Reich, docente di politiche pubbliche all’università californiana di Berkeley, già ministro del lavoro del presidente Clinton nonché autore di tredici libri. «Perché l’America dovrebbe essere così preoccupata? Se volete sapere la vera ragione, seguite i soldi. Un default greco (o irlandese, spagnolo, italiano o portoghese) avrebbe sul nostro sistema finanziario lo stesso effetto dell’implosione della Lehman Brothers nel 2008. Il caos finanziario».

E’ l’analista Debora Billi a sottolineare l’intervento di Reich affidato al web: «Sì, esportiamo in Europa – ammette il professore – ma le esportazioni non Timothy Geithnerfiniranno e, in ogni caso, sono una goccia nel mare dell’economia statunitense». Se il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha «unito la sua voce a quella di coloro che sono preoccupati per la crisi del debito europea», la vera ragione risiede nella drammatica fragilità del sistema finanziario creato da Wall Street ed esteso all’Europa: «Un default della Grecia o di qualsiasi altra nazione europea affogata nei debiti – scrive Reich – può facilmente colpire lebanche tedesche o francesi, che hanno prestato molto alla Grecia». E qui «entra in ballo Wall Street», che «ha prestato una montagna di soldi allebanche tedesche e francesi».

La totale esposizione all’eurozona, continua Reich, è pari a 2700 miliardi di dollari, e quella verso Francia e Germania rappresenta circa la metà del totale. E non sono solo i prestiti alle banche tedesche e francesi ad essere preoccupanti: «Wall Street è anche coinvolta in ogni sorta di derivati emessi dall’Europa – sull’energia, la moneta, i tassi di interesse e di cambio. Se una banca tedesca o francese fallisce, l’effetto domino è incalcolabile». Capito? Seguite i soldi, raccomanda Reich: «Se la Grecia crolla, gli investitori cominceranno a fuggire da Irlanda, Spagna, Italia e Portogallo. Tutto ciò farà annaspare le banchetedesche e francesi. Se una di queste banche collassa, o mostra gravi segni di stress, Wall Street è in guai seri. Persino in guai più seri che dopo la Lehman Brothers».

Ecco perché le azioni delle principali banche Usa sono scese così tanto nel mese scorso, osserva l’economista californiano, fiutando il peggio: Morgan Stanley ha chiuso al punto più basso dal dicembre 2008. La gigantesca banca d’affari mondiale è in pericolo, sottolinea Debora Billi nel suo blog “Crisis.blogosfere“: «Reich sostiene che, se le banche europee falliscono, la Morgan può perdere 30 miliardi di dollari», ovvero «2 miliardi in più del totale dei suoi assets», pur sostenendo di non avere alcuna esposizione Robert Reichverso lebanche francesi: «In realtà, l’esposizione deriva da assicurazioni, derivati e swaps. Ecco perché a Washington sono terrorizzati – e perché il segretario al Tesoro Tim Geithner continua a supplicare gli europei di salvare la Grecia e le altre nazioni indebitate».

«Non vi confondete», avverte la Billi: «Gli Usa vogliono che l’Europa salvi le nazioni indebitate così che esse possano ripagare le banche europee. Altrimenti, le banche potrebbero implodere – portando Wall Street con loro. E una delle tante ironie è che alcune delle nazioni indebitate (l’Irlanda è l’esempio migliore), si trovano in tale situazione proprio perché hanno fatto un bailout alle loro banche nella crisi che è cominciata a Wall Street. Chiuso il cerchio». In altre parole, conclude Debora Billi, non è la Grecia il problema. Né l’Italia, il Portogallo, o la Spagna. «Il vero problema è il sistema finanziario – centrato a Wall Street. E noi non l’abbiamo ancora risolto».

di Giorgio Cattaneo

12 dicembre 2011

Il regno dei raccomandati

http://www.parmaoggi.it/wp-content/uploads/test.jpg
L'Italia si fonda sulla demeritocrazia. Contano le amicizie, non i titoli


«Zefiro continuava ad esserci propizio con l'aiuto di un po' di Garbino, ma un altro giorno era passato senza scoprire terra. Il terzo giorno, all'alba delle mosche, cioè a dire sul mezzodì, apparve un'isola triangolare che somigliava moltissimo, per forma e posizione, alla Sicilia. Si chiamava Isola delle Parentele».
Così François Rabelais racconta, nel suo irresistibile Gargantua et Pantagruel, la scoperta di quell'isola in cui (...) tutti «erano parenti e insieme collegati, e se ne vantavano». Non è chiarissimo quanta malizia mise il grande scrittore francese nello scegliere come paragone la Sicilia. (...) Ridurre il fenomeno a una dimensione solo siciliana o meridionale (Clemente Mastella si spinse a teorizzare che «la raccomandazione è un peccato veniale che per molto tempo è servito a riequilibrare le ingiustizie Nord-Sud») sarebbe un errore.
Basti ricordare alcuni dei casi finiti sui giornali in questi anni. Come quello dell'avvocatessa padovana Elisabetta Casellati, berlusconiana della prima ora, che dopo essersi insediata come sottosegretario alla Sanità scelse quale capo della sua segreteria, con uno stipendio doppio rispetto a un funzionario del nono livello con quindici anni di anzianità, sua figlia Ludovica. Oppure quello, leggendario, di Claudio Regis, detto «Valvola» perché in gioventù era stato un provetto elettricista, piazzato dalla Lega Nord ai vertici dell'Enea, l'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente dove arrivò a dare del somaro al premio Nobel Carlo Rubbia: «Nessuno mette in discussione le sue competenze sulle particelle, ma quando parla di ingegneria è un sonoro incompetente». Giudizio avventato, se non altro per uno che, nonostante il decreto di nomina di Letizia Moratti lo definisse «Ing.» e nonostante scrivesse sulla rivista online «Kosmos» articoli firmati «Claudio Regis, ingegnere Enea», non era affatto laureato. (...)
Né si può dire che si tratti di un fenomeno recente. (...) Ce lo ricordano meravigliosi aneddoti come quello attribuito al senese Enea Silvio Piccolomini, diventato papa nel 1458 con il nome di Pio II e subito assediato da questuanti affamati di ruoli e prebende: «Quand'ero solo Enea / nessun mi conoscea / ora che sono Pio / tutti mi chiaman zio».
Proprio per questo, però, servirebbero regole rigide. (...) Da noi, come spiega Antonio Merlo, direttore del dipartimento del Penn Institute for Economic Research a Filadelfia, la selezione si è via via specializzata nello scegliere sulla base non della preparazione ma della fedeltà: «L'Italia è una Repubblica fondata sulla mediocrità, una "mediocracy". Cioè un sistema che seleziona e promuove scientificamente una classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese ma al partito. Al leader. Al segretario».
E a mano a mano che i costi della politica si gonfiavano e la politica tracimava uscendo dai suoi alvei tradizionali per occupare ogni spazio della società, ogni ruolo è diventato una poltrona con cui «fare politica». (...) A che serve, ormai, il curriculum? A niente, rispondono casi clamorosi come quello (...) di Clemente Marconi, archeologo, dottorato di ricerca alla Normale, tra i massimi esperti mondiali di Magna Grecia, che inutilmente cercò per anni, come ha raccontato al «Giornale di Sicilia», di restare in patria: «Arrivavo sempre secondo».
Il giorno in cui prese possesso della cattedra vinta alla Columbia University di New York, ricevette una lettera dalla Regione Sicilia: «Gentile collega, siamo giunti alla conclusione che Lei non possiede i requisiti accademici per entrare nel nostro staff. La sua domanda per un posto da archeologo ai Beni culturali siciliani viene pertanto respinta, cordiali saluti».
Va da sé che quando Paolo Casicci e Alberto Fiorillo hanno deciso di scrivere Scurriculum. Viaggio nell'Italia della demeritocrazia, hanno trovato un mucchio di storie esemplari. Storie che dimostrano in modo inequivocabile come l'attuale sistema, ignobile e suicida, mortifichi i più bravi costringendoli spesso a regalare la loro intelligenza, la loro preparazione alle università, alle aziende, ai Paesi stranieri. E premia al contrario quanti hanno in tasca la tessera «giusta» o nel cellulare il telefono del deputato «giusto». I quali utilizzano sistematicamente le aziende statali o comunali «come sfogatoio per i trombati o premio per i fedelissimi». O ancora per agganciare vistose signorine dai curriculum estrosi.
Quanto possa essere perdente la diffusione di questi meccanismi perversi ormai è sotto gli occhi di tutti. Peggio, ne abbiamo già fatto esperienza in passato. Lo ricorda, ad esempio, Ludovico Incisa di Camerana nel libro Il grande esodo sulla storia delle migrazioni italiane nel mondo. Dove si racconta che, grazie alle imprese pionieristiche del padovano Giovanni Battista Belzoni e all'amore per l'Italia di un viceré d'origine albanese, il chedivè Mohammed Ali, l'Egitto, in coincidenza con il Risorgimento, spalancò le porte agli italiani: «Durante il suo regno (1801-1849) e quello dei suoi successori, Abbas e Said (1849-1863), l'amministrazione interna è in gran parte affidata agli italiani; italiana è egualmente l'amministrazione delle poste, create su iniziativa italiana, dei servizi sanitari, della sicurezza pubblica...». (...) E insomma «la lingua italiana era così diffusa nel Paese che poteva considerarsi quale la sua seconda lingua tanto che, fino a tutto il regno di Mohammed Ali, la nostra era la lingua diplomatica dell'Egitto e la sola usata dal governo egiziano nei rapporti internazionali».
Un'occasione unica, straordinaria, irripetibile per il nostro ruolo nel Mediterraneo. Sapete come fu buttata via? Lo scrive nel 1905 Giuseppe Salvago Raggi, agente diplomatico presso il sultano e console generale al Cairo... (...) «L'Agenzia d'Italia oppressa dalle numerosissime raccomandazioni rinunciò in pratica a ottener buoni impieghi per gli italiani e si contentò di impiegarne molti. In tal modo si venne applicando la regola che le alte posizioni vennero occupate da francesi (...), da alcuni austriaci, da pochi inglesi e da pochissimi tedeschi, quelle più umili da italiani e le infime da greci». (...)
Quanto lo stesso errore possa infettare la società italiana, rendendola sempre più debole e incapace di stare al passo di un mondo che cambia a velocità immensamente superiore alla nostra, è dimostrato da questo libro passo dopo passo. A partire dalla contraddizione fra le parole, le promesse, i proclami, e la pratica quotidiana. Valga per tutti il caso di Massimo Zennaro, il portavoce del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini nominato direttore della Comunicazione a viale Trastevere e autore dello stupefacente comunicato che rivendicava al merito della sua datrice di lavoro, dopo la scoperta della velocità dei neutrini, la costruzione di un tunnel di settecento chilometri dal Gran Sasso a Ginevra. Sciocchezza planetaria liquidata da migliaia di internauti con una battuta: settecento chilometri e neanche un autogrill!
di Gian Antonio Stella

25 ottobre 2011

Parabola del banchiere con cuore a sinistra





http://liberamentenews.files.wordpress.com/2011/10/profumofrodefiscale.jpg?w=201&h=300


Un profilo dell' ex a.d. di Unicredit, indagato per frode fiscale. Amico di Prodi, siglò l'accordo con Geronzi per l'ingresso in Unicredit della romana Capitalia. Fu poi esautorato con l'intervento attivo di Bisignani: un addio addolcito da una buonuscita milionaria


E' l'ex banchiere che nel 2006 ha votato per Romano Prodi alle primarie dell'Ulivo, come il suo ex diretto concorrente, Corrado Passera di Banca Intesa, il quale però si è avvicinato al governo Berlusconi (e anche per questo, dicono in molti, è ancora al suo posto). Genovese, classe 1957, l'infanzia trascorsa a Palermo e poi, dall'età di 13 anni, a Milano, Alessandro Profumo è l'ex amministratore delegato di Unicredit coinvolto nell'indagine giudiziaria per frode fiscale, nella quale la Procura di Milano il 18 ottobre fa ha fatto sequestrare 245 milioni di euro alla banca.

Profumo sembra un predestinato alla carriera in banca. A vent'anni viene assunto al Banco Lariano e ci resta dieci anni, dopo un po' si iscrive all'università, fa la vita dello studente lavoratore, a 30 anni si laurea in economia alla Bocconi. Poi lavora alla McKinsey, la società di consulenza aziendale nella quale si formano molti manager di successo, li chiamano i Mc Kinsey-boy, una categoria (o una lobby) che non piace a tutti ma che nelle aziende riesce a fare molta strada. Profumo arriva al Credito Italiano nel 1994, un anno dopo la sua privatizzazione e quattro anni dopo, con la nascita del gruppo Unicredit, ne diventa amministratore delegato. Comincia una fase di acquisizioni di istituti minori e di espansione all'estero, culminata nell'acquisizione del gruppo tedesco Hvb nel 2005. L'operazione fa aumentare le dimensioni della banca ma non fa bene al conto economico, perché nelle filiali "austroungariche" si annidano dei problemi.

L'altra grande operazione è nel 2007, l'accordo con Cesare Geronzi per la fusione in Unicredit della romana Capitalia, una banca con molte sofferenze in bilancio ma con forti agganci nei palazzi della politica (da Berlusconi a D'Alema). Rientra nell'accordo con Profumo anche la nomina di Geronzi alla presidenza di Mediobanca, ma con la crisi finanziaria che esplode nel settembre 2008 i conti di Unicredit cominciano a soffrire pesantemente. Comincia la discesa che porterà all'esautoramento di Profumo dopo 13 anni, il 21 settembre 2010.
"Mi mandano via", dice lui stesso due giorni prima del consiglio di amministrazione che lo esautora. Il motivo non è mai stato spiegato, tuttavia negli ultimi anni i conti della banca non andavano più bene come prima e Profumo, avendo bisogno di fare due aumenti di capitale ravvicinati, aveva trovato l'aiuto della Libia ( http://www.ilpost.it/2010/09/20/unicredit-libia-profumo/ ) , entrata nel capitale con una quota complessiva del 7,5 per cento. Un'avanzata che ha irritato le fondazioni bancarie principali azioniste di Unicredit, soprattutto la Cariverona e la Crt di Torino, guidate dai potenti Paolo Biasi e Fabrizio Palenzona, decisivi per l'allontanamento di Profumo.

Chi si è dato molto da fare per disarcionare il banchiere vicino all'Ulivo è anche uno dei più potenti lobbisti italiani, Luigi Bisignani ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/30/p4-bisignani-brigava-per-cacciare-profumo-da-unicredit-lo-sbattiamo-fuori/132806/ ) , già iscritto alla loggia massonica segreta P2 e condannato per la tangente Enimont, dal 15 giugno scorso agli arresti domiciliari nell'indagine sulla P4, una rete di dossier, ricatti, potere. "Lo cacciamo!", confidava Bisignani al telefono a un dirigente dell'Unicredit, Luca De Dominicis, 11 giorni prima delle dimissioni ufficiali.

Profumo viene ricordato come un dirigente che ha tenuto la banca lontano da operazioni politiche, come l'ingresso nel capitale di Telecom Italia e il controverso progetto della nuova Alitalia, operazioni condotte invece dalla Banca Intesa di Passera. L'altra caratteristica del banchiere con il cuore a sinistra è quella di essere stato molto ben pagato, con lo stipendio più alto in Italia: poco più di nove milioni euro lordi nel 2007, l'anno record. Un primato che ha confermato al momento dell'addio, addolcito da una buonuscita di circa 40 milioni di euro al lordo delle tasse, più un'erogazione in beneficenza di due milioni fatta dalla banca, su sua indicazione, alla Casa della carità di don Colmegna. Attualmente l'ex banchiere è nel consiglio di sorveglianza di una banca russa, la Sberbank e in maggio è entrato nel consiglio di amministrazione dell'Eni. Nel gruppo pubblico del petrolio e del gas, guidato da un altro ex McKinsey, Paolo Scaroni, lavora come dirigente la moglie di Profumo, Sabina Ratti.
di Gianni Dragoni

24 ottobre 2011

Condividi: Panico Usa: è Wall Street a detenere il nostro debito

Gli Usa sono letteralmente terrorizzati: se crolla uno Stato europeo, uno qualsiasi, vanno in crisi le grandi banchefrancesi e tedesche sorrette da Wall Street. Ecco perché Washington è così attenta alla crisi europea e raccomanda a Bruxelles di scongiurare il rischio di default, a cominciare da quello della Grecia: il collasso a catena porterebbe alla bancarotta delle centrali finanziarie statunitensi. Lo afferma Robert Reich, docente di politiche pubbliche all’università californiana di Berkeley, già ministro del lavoro del presidente Clinton nonché autore di tredici libri. «Perché l’America dovrebbe essere così preoccupata? Se volete sapere la vera ragione, seguite i soldi. Un default greco (o irlandese, spagnolo, italiano o portoghese) avrebbe sul nostro sistema finanziario lo stesso effetto dell’implosione della Lehman Brothers nel 2008. Il caos finanziario».

E’ l’analista Debora Billi a sottolineare l’intervento di Reich affidato al web: «Sì, esportiamo in Europa – ammette il professore – ma le esportazioni non Timothy Geithnerfiniranno e, in ogni caso, sono una goccia nel mare dell’economia statunitense». Se il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha «unito la sua voce a quella di coloro che sono preoccupati per la crisi del debito europea», la vera ragione risiede nella drammatica fragilità del sistema finanziario creato da Wall Street ed esteso all’Europa: «Un default della Grecia o di qualsiasi altra nazione europea affogata nei debiti – scrive Reich – può facilmente colpire lebanche tedesche o francesi, che hanno prestato molto alla Grecia». E qui «entra in ballo Wall Street», che «ha prestato una montagna di soldi allebanche tedesche e francesi».

La totale esposizione all’eurozona, continua Reich, è pari a 2700 miliardi di dollari, e quella verso Francia e Germania rappresenta circa la metà del totale. E non sono solo i prestiti alle banche tedesche e francesi ad essere preoccupanti: «Wall Street è anche coinvolta in ogni sorta di derivati emessi dall’Europa – sull’energia, la moneta, i tassi di interesse e di cambio. Se una banca tedesca o francese fallisce, l’effetto domino è incalcolabile». Capito? Seguite i soldi, raccomanda Reich: «Se la Grecia crolla, gli investitori cominceranno a fuggire da Irlanda, Spagna, Italia e Portogallo. Tutto ciò farà annaspare le banchetedesche e francesi. Se una di queste banche collassa, o mostra gravi segni di stress, Wall Street è in guai seri. Persino in guai più seri che dopo la Lehman Brothers».

Ecco perché le azioni delle principali banche Usa sono scese così tanto nel mese scorso, osserva l’economista californiano, fiutando il peggio: Morgan Stanley ha chiuso al punto più basso dal dicembre 2008. La gigantesca banca d’affari mondiale è in pericolo, sottolinea Debora Billi nel suo blog “Crisis.blogosfere“: «Reich sostiene che, se le banche europee falliscono, la Morgan può perdere 30 miliardi di dollari», ovvero «2 miliardi in più del totale dei suoi assets», pur sostenendo di non avere alcuna esposizione Robert Reichverso lebanche francesi: «In realtà, l’esposizione deriva da assicurazioni, derivati e swaps. Ecco perché a Washington sono terrorizzati – e perché il segretario al Tesoro Tim Geithner continua a supplicare gli europei di salvare la Grecia e le altre nazioni indebitate».

«Non vi confondete», avverte la Billi: «Gli Usa vogliono che l’Europa salvi le nazioni indebitate così che esse possano ripagare le banche europee. Altrimenti, le banche potrebbero implodere – portando Wall Street con loro. E una delle tante ironie è che alcune delle nazioni indebitate (l’Irlanda è l’esempio migliore), si trovano in tale situazione proprio perché hanno fatto un bailout alle loro banche nella crisi che è cominciata a Wall Street. Chiuso il cerchio». In altre parole, conclude Debora Billi, non è la Grecia il problema. Né l’Italia, il Portogallo, o la Spagna. «Il vero problema è il sistema finanziario – centrato a Wall Street. E noi non l’abbiamo ancora risolto».

di Giorgio Cattaneo