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 Il  Libro V della Politica di Aristotele   descrive il ciclo eterno della  transizione che vede le oligarchie trasformarsi   in aristocrazie  ereditarie,  che finiscono per essere rovesciate   da tiranni o  sviluppare rivalità interne quando alcune famiglie   decidono di "far  entrare il popolo nell’arena politica"   per poter arrivare a una  democrazia, da cui riemerge una nuova oligarchia,   seguita da una  aristocrazia, e poi da una democrazia, e così via nel   corso della  storia. Il  debito è stato il principale   motore di questi cambiamenti, sempre con  nuovi colpi di scena e trasformazioni.   Si polarizza ricchezza per  creare una classe creditrice, la cui guida   oligarchica finisce quando  nuovi dirigenti (i "tiranni" di   Aristotele) ottengono l'appoggio  popolare, cancellando i debiti e ridistribuendo   la proprietà o  l’usufrutto dei terreni a favore dello Stato.
 Fin  dal Rinascimento, però, i banchieri   hanno spostato il loro sostegno  politico verso le democrazie. Tale azione   non trova il suo fondamento  nel sostegno a convinzioni politiche egualitarie   e liberali, quanto  nel desiderio di assicurare una maggiore sicurezza   ai loro prestiti.  Come James Steuart spiegò nel 1767, i prestiti alle   case regnanti  erano un affare privato, più che debiti davvero pubblici.   Perché i  debiti di un sovrano divenissero vincolanti per l'intera nazione,   i  rappresentanti eletti avrebbero dovuto applicare tasse per pagare   le  spese dovute agli interessi.
 Offrendo  ai contribuenti questo legame   col governo, le democrazie olandesi e  britanniche fornirono ai creditori   una modalità di pagamento molto più  sicura rispetto a quando i debiti   dei re e dei prìncipi si  estinguevano assieme a loro. Ma le recenti   proteste sul debito avutesi  in vari paesi - dall'Islanda alla Grecia   e alla Spagna -   suggeriscono che i creditori stanno avendo sempre   meno sicurezza dalle  democrazie. Chiedono austerità fiscale e anche   svendite finalizzate  alla privatizzazione. Questo  significa trasformare la finanza   internazionale in una nuova modalità  di attacco militare. Il suo   obiettivo è lo stesso perseguito dalle  campagne militari del passato:   l’appropriazione di terre e risorse  minerarie, infrastrutture comuni   e anche tributi supplementari. Nel  frattempo, le democrazie hanno chiesto   agli elettori di esprimersi  attraverso un referendum sulla possibilità   di pagare i  creditori con la vendita di beni pubblici e aumentare le   tasse per  imporre la disoccupazione, la diminuzione dei salari e la   depressione  economica. L'alternativa è quella di negoziare i debiti   o addirittura  annullarli, e di riaffermare il controllo regolamentare   sul settore  finanziario. Nel vicino Oriente i governanti   annullavano i debiti per preservare l’equilibrio economico Gli  interessi di mora sulle anticipazioni   di beni o di denaro non sono  stati creati per polarizzare le economie.   Vennero introdotti  all'inizio del terzo millennio a. C. nell’ambito   di un accordo  contrattuale tra sacerdoti e burocrati sumeri con i mercanti   e gli  imprenditori che lavoravano con l’amministrazione reale, e l'interesse    al 20 per cento (che raddoppia il capitale in cinque anni) sarebbe  dovuto   corrispondere in modo congruo ai rendimenti per i viaggi  commerciali   a lunga distanza o per gli affitti di terreni e altri beni  pubblici   quali laboratori, barche e fabbriche di birra. Quando questa pratica fu privatizzata   dai percettori di tariffe e affitti, la "divina regalità"    protesse i debitori agrari. Le leggi di Hammurabi (1750 a.C. circa)    cancellavano i debiti nei periodi di inondazione o siccità. Tutti i    governanti della dinastia babilonese festeggiavano il loro primo anno    al trono cancellando i debiti agrari e facendone tabula rasa.    La restituzione dei diritti sui terreni o sulle colture e  l’affrancamento   dalla schiavitù erano tesi a "ristabilire l'ordine" in  uno   stato ideale "originale" di equilibrio. Questa pratica  sopravviveva   nell'anno giubilare della legge mosaica descritta nel  Levitico 25.  La   logica era abbastanza chiara. Le società antiche avevano bisogno di   eserciti per difendere la propria terra e ciò richiedeva la liberazione   dei cittadini dalla schiavitù. Le leggi di Hammurabi protessero gli   aurighi e gli altri combattenti dall’essere ridotti in servitù per i   debiti e impedirono ai creditori di prendere i raccolti dei fittavoli   dei terreni reali, di altri terreni pubblici e delle terre comuni a    coloro che dovevano fornire forza lavoro o militare al palazzo.  In  Egitto il faraone Bakenranef (720-715 a.C. circa, "Bocchoris"   in  greco) proclamò un'amnistia del debito e abolì la schiavitù dai   debiti  di fronte a una minaccia militare proveniente dall'Etiopia. Secondo    Diodoro di Sicilia (I, 79, scritto tra il 40 e il 30 a. C.), egli  stabilì   che, se un debitore avesse contestato il credito, il debito si  sarebbe   annullato se il creditore non avesse potuto sostenere le  proprie affermazioni   mostrando un contratto scritto. (Sembra che i  creditori sono sempre   stati inclini a esagerare i saldi dovuti.) Il  faraone ritenne che "i   corpi dei cittadini dovrebbero appartenere  allo Stato, di modo che possa   avvalersi dei servizi che i cittadini  gli devono, sia in tempo di guerra   che di pace. Per questo motivo  sarebbe assurdo per un soldato […]   essere trascinato in prigione dal  suo creditore per un prestito non   pagato, e che l'avidità dei privati    cittadini possa in questo modo mettere a repentaglio la sicurezza    di tutti".  Il  fatto che i principali creditori del Vicino Oriente erano il palazzo   e  i templi rendeva politicamente semplice cancellare i debiti. È sempre    facile annullare i debiti nei confronti di sé stessi. Anche gli  imperatori   romani bruciavano i registri fiscali per evitare una crisi.  Ma era molto   più difficile cancellare i debiti dovuti a creditori  privati quando   la pratica degli interessi di mora si diffuse verso  ovest tra le comunità   del Mediterraneo intorno al 750 a. C. Invece  di consentire alle famiglie   di colmare il divario tra entrate ed  uscite, il debito diventava la   leva principale per espropriare la  terra, polarizzando le comunità   tra oligarchie creditrici e clienti  indebitati. In Giuda, il profeta   Isaia criticava i creditori che "aggiungono casa a casa e uniscono   un campo all'altro finché non resta più alcun spazio e si vive da   soli sulla terra". Il  potere dei creditori e una crescita   stabile raramente hanno proceduto  di pari passo. La maggior parte dei   debiti personali nel periodo  classico era formata da piccole somme di   denaro prestato a individui  che vivevano a un livello di sussistenza   e che non riuscivano a  sbarcare il lunario. La confisca dei terreni   e dei beni, nonché della  libertà personale dei debitori costretti   in schiavitù, erano divenute  un male irreversibile. Dal VII secolo   a. C. i "tiranni" emersero per  rovesciare le aristocrazie   di Corinto e delle altre ricche città  greche, ottenendo il consenso   popolare grazie alla cancellazione dei  debiti. In modo meno tirannico,   Solone fondò la democrazia ateniese  nel 594 a. C., abolendo la servitù   per debiti. Ma  le oligarchie riemersero e fecero   appello a Roma quando i re di  Sparta Agide, Cleomene e il loro successore   Nabis cercarono di  cancellare i debiti verso la fine del III secolo   a. C. Essi furono  uccisi e i loro sostenitori cacciati. È una   costante politica della  storia, fin dall'antichità, che gli interessi   dei creditori siano  contrapposti sia alla democrazia popolare, che al   potere reale  incaricato di limitare la conquista finanziaria della società,   una  conquista volta a sfruttare il pagamento dei crediti fruttiferi   sul  debito per assorbire la maggior parte possibile dei guadagni dei    cittadini. Quando i fratelli Gracchi e i loro seguaci tentarono di  riformare   le leggi sul credito nel 133 a. C., la classe dominante  senatoria reagì   con violenza, uccidendoli e inaugurando un secolo di  Guerra Sociale,   terminata con la nomina di Augusto come imperatore nel  29 a. C. L’oligarchia creditrice romana   vince la guerra sociale, schiavizza la popolazione e porta il Medioevo. Le  cose si fecero più sanguinose   all’estero. Aristotele non parlò della  formazione degli imperi nel   suo schema politico, ma la conquista  straniera ha da sempre costituito   un fattore importante  nell’imposizione di debiti e i debiti di guerra   sono sempre stati una  delle principali cause di debito nei tempi moderni.  Roma  fu una delle più feroci   impositrici di debito, i cui creditori si  espansero sino ad asfissiare   l’Asia Minore, la sua più prospera  provincia. Lo stato di diritto   scompariva all’arrivo dei "cavalieri"  pubblicani. Mitridate   del Ponto capeggiò tre rivolte popolari e le  popolazioni di Efeso e   di altre città si ribellarono e uccisero circa  80.000 romani nell’88   a. C. L'esercito romano reagì e Silla impose un  tributo di guerra di   20.000 talenti nell’84 a. C. Gli oneri connessi  agli interessi fecero   sì che questa somma risultasse moltiplicata di  sei volte nel 70 a.   C. I  maggiori storici latini, Livio, Plutarco   e Diodoro, attribuirono la  colpa della caduta della Repubblica all’intransigenza   dei creditori,  che poi portò a un secolo di guerra sociale segnata   da numerosi  omicidi politici nel periodo compreso tra il 133 ed il 29   a. C. I  dirigenti populisti che cercarono di ottenere un seguito sostenendo   le  cancellazioni del debito (ad esempio, la congiura di Catilina nel    63-62 a. C.) furono uccisi. Nel II secolo d. C. circa un quarto della    popolazione era ridotta in schiavitù. Nel V secolo l'economia di Roma    era crollata, spoglia di denaro. La necessità di vivere di sussistenza    riportò la popolazione in campagna. I creditori trovano una ragione   legalistica per sostenere la democrazia parlamentare Quando  i banchieri si risollevarono   dopo le Crociate e il saccheggio di  Bisanzio, e l'argento e l'oro fusi   riiniziarono a circolare nei  commerci dell’Europa occidentale, l'opposizione   cristiana alla pratica  bancaria degli interessi di mora fu sopraffatta   dall’alleanza tra i  prestigiosi istituti di credito (i Cavalieri Templari   e gli  Ospitalieri che avevano fornito credito durante le Crociate) e   i  clienti più importanti, i re: in primo luogo per pagare la Chiesa   e  sempre di più per finanziare le guerre. Ma i debiti reali rimanevano    non pagati, quando i re morivano. I Bardi e i Peruzzi andarono in  bancarotta   nel 1345 quando Edoardo III ripudiò i suoi debiti di  guerra. Le famiglie   dei banchieri persero molto del denaro dato in  prestito ai re Asburgo   e Borbone che sedevano sui troni di Spagna,  Austria e Francia.  Le   cose cambiarono con la democrazia olandese, quando cercò di  assicurarsi  la libertà dagli Asburgo di Spagna. Il fatto che il loro  parlamento  potesse contrarre debito pubblico a tempo indeterminato per  conto dello  Stato abilitò i Paesi Bassi ad accendere prestiti per  impiegare  mercenari in un'epoca in cui la moneta e il credito erano il  nerbo  della guerra. L'accesso al credito "è stato di conseguenza la loro arma più potente nella lotta per la libertà", ha scritto Richard Ehrenberg nel suo libro “Capitale e Finanza nell'età   del Rinascimento” (1928): "Chi  dava credito a un principe   sapeva che il rimborso del debito  dipendeva solo dalla capacità   del suo debitore e dalla sua volontà    di pagare. Ciò risultava molto diverso per le città, che avevano potere    quanto i nobili, ma anche per le aziende, per le associazioni di  individui   unite da interessi comuni. Secondo una legge generalmente  accettata,   ogni singolo cittadino era responsabile per i debiti della  città, sia   con la sua persona che con la sua proprietà." [2] L’obbiettivo  finanziario del governo   parlamentare era dunque quello di stabilire  debiti che non fossero soltanto   obblighi personali dei principi, ma  che fossero veramente pubblici e   vincolanti indipendentemente da chi  occupasse il trono. È per questo   che le prime due nazioni  democratiche, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna   dopo la sua rivoluzione  del 1688, svilupparono i più attivi mercati   di capitali e  cominciarono a diventare leader tra le potenze   militari. È  ironico che sia stata la necessità di finanziare la guerra   a  promuovere la democrazia, formando una trinità simbiotica tra fare    guerra, credito e democrazia parlamentare che è durata fino ad oggi. In questo momento "la  posizione   giuridica del Re in quanto debitore era oscura, ed era  incerto se i   creditori avessero qualche possibilità   per riottenere i  soldi in caso di default." [3]     Più la Spagna, l’Austria e la Francia divenivano dispotiche, maggiori    difficoltà trovavano nel finanziare le loro avventure militari. Entro    la fine del XVIII secolo l’Austria era stata lasciata "senza   credito, e quindi senza molto debito",  era il paese meno degno   di credito e perciò peggio armato d’Europa,  totalmente dipendente   dai sussidi inglesi e dalle garanzie di prestito  durante le guerre Napoleoniche.La finanza si adegua alla democrazia,   ma poi spinge per l’oligarchia Mentre  le riforme democratiche del   XIX secolo riducevano il potere delle  aristocrazie al controllo da parte   dei parlamenti, i banchieri si  muovevano flessibilmente per raggiungere   un rapporto simbiotico con  quasi ogni forma di governo. In Francia i   seguaci di Saint-Simon  promuovevano l'idea di banche che agissero come   fondi comuni di  investimento, concedendo credito in cambio di titoli   azionari. Lo  Stato tedesco fece un'alleanza con le grandi banche e l'industria    pesante. Marx descrisse ottimisticamente un socialismo che avrebbe  condotto   a una finanza produttiva piuttosto che parassitaria. Negli  Stati Uniti   la regolamentazione dei servizi pubblici è andata di pari  passo con   la garanzia di profitti. In Cina Sun-Yat-Sen ha scritto nel  1922: "Ho   intenzione di far confluire tutte le industrie nazionali  della Cina   in un grande fondo di proprietà del popolo cinese,  finanziato con capitali   internazionali per il reciproco vantaggio". [4] La  Prima Guerra mondiale vide gli Stati   Uniti sostituire la Gran  Bretagna tra i principali Paesi creditori ed   entro la fine della  Seconda Guerra mondiale avevano accantonato circa   l’80 per cento  dell’oro monetario del mondo. I suoi diplomatici   determinarono  l’agenda del Fondo Monetario Internazionale e della   Banca Mondiale,  concedendo crediti che portassero alla dipendenza commerciale,    principalmente nei confronti degli Stati Uniti. I prestiti per  finanziare   il commercio e il pagamento del deficit sono stati  oggetto di   "condizioni" che hanno spostato la pianificazione  economica   nelle mani di oligarchie clientelari e dittature militari.  La risposta   democratica ai piani di austerità per pagare gli interessi  sul debito   non è stata, però, in grado di andare al di là delle  proteste contro   il FMI, almeno fino a quando l’Argentina non ha  ripudiato il debito   straniero. Un  simile austerità voluta dai   creditori viene ora imposta in Europa  dalla Banca Centrale Europea (BCE)   e dall’apparato burocratico  dell'UE. I governi apparentemente socialdemocratici   hanno compiuto  azioni orientate al salvataggio delle banche piuttosto   che al rilancio  della crescita economica e dell'occupazione. Le perdite   dovute agli  errori nei prestiti e alle speculazioni delle banche sono   state  caricate sul bilancio statale, mentre nel contempo si ridimensionava    la spesa pubblica, giungendo persino a vendere le infrastrutture. La    risposta dei contribuenti bloccati dal debito è stata quella di montare    proteste popolari che hanno avuto inizio in Islanda e in Lettonia nel    gennaio 2009, e si sono diffuse quest’autunno in Grecia e in Spagna    per manifestare contro il rifiuto dei governi di tenere un referendum   su questi mortiferi salvataggi degli obbligazionisti stranieri.  Spostare la pianificazione dai rappresentanti eletti ai banchieri Tutte   le economie sono pianificate.  Tradizionalmente questa è sempre stata  una funzione del governo.  Tralasciare questo ruolo con gli slogan del  "libero mercato" significa  metterlo nelle mani delle banche. Ma il  privilegio della pianificazione  del credito e dell'assegnazione delle  risorse è ora ancora più  centralizzato  rispetto a quando questo  privilegio era di competenza dei rappresentanti   eletti. E a peggiorare  le cose c’è anche la modalità finanziaria “mordi e  fuggi”, che finisce  per praticare della spicciola chirurgia  finanziaria. Cercando il  proprio tornaconto, le banche tendono a  distruggere l'economia. Il surplus  finisce per essere divorato  dagli interessi e da altri oneri  finanziari, senza lasciare entrate per  nuovi investimenti di capitale o  per la spesa sociale di base. Questo è  il motivo per cui la rinuncia  ad attuare un controllo politico sulla  classe creditrice raramente ha  comportato una crescita economica e della  qualità della vita. La  tendenza per cui i debiti crescono più  rapidamente della capacità della  popolazione di  ripagarli è stata una  costante di tutta la storia  documentata. I debiti crescono  esponenzialmente, assorbendo tutti i  guadagni e riducendo la gran parte  della popolazione a una condizione   di schiavitù. Per ristabilire l'equilibrio economico, si chiede quello   che durante l'Età del Bronzo nel Medio Oriente si otteneva grazie al  fiat reale: l’annullamento della crescita eccessiva di debiti. Più   di recente, le democrazie hanno introdotto uno stato forte per poter   tassare redditi e capitali e, quando richiesto, per depennare i debiti.   Questo si può fare più facilmente quando è lo Stato stesso a creare   moneta e credito. Si può fare meno facilmente quando le banche   trasformano i loro profitti in potere politico. Quando le banche hanno   il diritto di auto-regolarsi, nonché di porre il diritto di veto   sull’azione del governo, l'economia viene distorta per consentire ai   creditori di indulgere nelle scommesse speculative e nelle vere e   proprie frodi che hanno segnato l'ultimo decennio. La caduta dell'impero   romano mostra ciò che accade quando le richieste del creditore non   ricevono risposta. In queste condizioni la rinuncia alla pianificazione e   alla regolamentazione da parte del governo in favore dei settori   finanziari spiana la strada alla schiavitù da debito.Finanza contro governo; oligarchia contro democrazia La   democrazia comporta che le dinamiche finanziarie siano subordinate al   perseguimento dell’equilibrio economico e della crescita, così come la   tassazione dei redditi da rendita o il mantenimento di monopoli di base   pubblici. Il non tassare o il privatizzare le rendite di proprietà le   rende “libere” di fluire nelle banche,  per concedere poi prestiti  ancora più consistenti. Finanziata dallo  sfruttamento del debito, la  chirurgia finanziaria aumenta la ricchezza  di coloro che godono di  posizioni di rendita mentre indebita l'economia  in generale. L'economia  si contrae, chiudendo in negativo il bilancio. Il   settore finanziario ha ormai un’influenza tale da poter utilizzare   queste circostanze per convincere i governi che l'economia crolla se non   “si salvano le banche". In pratica questo significa  consolidare  il controllo delle banche sulla politica, che usano questo  controllo in  modo da polarizzare ulteriormente le economie. Il modello  di riferimento  è quanto successe nell’antica Roma, nel passaggio dalla  democrazia  all’oligarchia. In realtà, dando priorità ai banchieri e  lasciando che  la pianificazione economica sia dettata dall’UE, dalla  BCE e dal FMI si  concreta la minaccia di privare lo stato-nazione del   potere di stampare moneta o denaro e di riscuotere le tasse.  Il   conflitto che ne risulta fa scontrare gli interessi finanziari contro   l’autodeterminazione nazionale. L'idea di una banca centrale   indipendente che sia "il segno distintivo della democrazia" è  un  eufemismo per destinare le decisioni politiche più importante - la   capacità di creare moneta e credito – al settore finanziario. Invece di   lasciar decidere politicamente a un referendum popolare, il salvataggio   delle banche organizzato dall'UE e dalla BCE rappresenta oggi la   principale causa dell’aumento del debito nazionale. I debiti bancari   privati caricati sul bilancio del governo in Irlanda e Grecia sono   stati trasformati in obblighi per il contribuente. Lo stesso vale per i   13 trilioni di dollari aggiunti nel settembre 2008 (compresi i 5,3   trilioni dei pessimi prestiti di Fannie Mae e Freddie Mac portati nel   bilancio del governo, e 2 trilioni di dollari di swap tossici della   Federal Reserve). Tutto   ciò è stato dettato dai delegati della finanza, definiti   eufemisticamente tecnocrati. Designati dai lobbisti creditori, il loro   ruolo è quello di calcolare quanta disoccupazione e depressione sia   necessaria per racimolare un attivo sufficiente per ripagare i debiti   che sono sui libri contabili. Ciò che rende questo calcolo   autolesionista è il fatto che la contrazione economica - deflazione -   rende il peso del debito ancora più insostenibile. Né   le banche né le autorità pubbliche (o i principali accademici, se è  per  questo) hanno preso in considerazione l’effettiva capacità   dell'economia di ripagare i debiti, ossia di pagare senza avere una   contrazione dell'economia. Attraverso i loro media e i think tank,   hanno convinto le popolazioni che il modo per arricchirsi più   rapidamente fosse quello di prendere in prestito denaro per acquistare   immobili, azioni e obbligazioni quando aumentano di prezzo – essendo   stati gonfiati dal credito bancario - e di porre fine alla tassazione   progressiva della ricchezza imposta nel secolo scorso. Per   dire le cose senza usare mezzi  termini, il risultato è stato la  creazione di una economia spazzatura.  Il suo scopo è quello di  disabilitare i pesi e i contrappesi pubblici,  postando il potere di  pianificazione nelle mani dell'alta finanza con la  convinzione che  questo sia il più efficiente metodo di regolamentazione  pubblica. Il  governo e la pianificazione fiscale vengono accusati di  tracciare "la strada per la servitù",  quando invece al "libero  mercato" controllato dai banchieri viene dato  modo di tutelare interessi  particolare in modo oligarchico e non  democratico. I governi devono  pagare debiti assunti non per difendere i  propri paesi in guerra come  nel passato, ma a beneficio degli strati  più ricchi della popolazione  che spostano così le proprie perdite sui  contribuenti. Il   non prendere in considerazione i voleri degli elettori pone i debiti   nazionali su un terreno instabile, politicamente e anche legalmente. I   debiti imposti da leggi, da governi stranieri o agenzie finanziarie a   fronte di una forte opposizione popolare possono essere non   riconosciuti, come fecero gli Asburgo e altri regnanti in epoche   passate. In mancanza di una convalida popolare, essi possono morire   insieme al regime che li ha contratti. Nuovi governi potrebbero agire   democraticamente per subordinare il settore bancario e finanziario a   servizio dell'economia, non il contrario. Intanto,   potrebbero chiedere la reintroduzione della tassazione progressiva dei   capitali e dei redditi, spostare il carico fiscale sui percettori di   rendite. La ri-regolamentazione del settore e una via pubblica per il   credito e i servizi bancari potrebbero  rinnovare il programma  socialdemocratico che sembrava ben avviato un  secolo fa. L’Islanda   e l’Argentina sono gli esempi più recenti, ma si può guardare indietro   alla moratoria sui debiti di guerra della Prima Guerra Mondiale degli   stati europei nei confronti degli Stati Uniti (tali debiti furono   rinegoziati) oppure alla moratoria sui debiti tedeschi di riparazione   per la Prima Guerra Mondiale nel 1931. Sussiste un principio tanto   matematico, quanto politico: i debiti che non possono essere ripagati,   non lo saranno.********************************************** Fonte: Democracy and Debt di Michael Hudson  Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSIA  |