
 Il  cosiddetto “Piano Solo” – che prevedeva il solo utilizzo dell’Arma  dei  Carabinieri per il tentativo di colpo di Stato preparato nei primi   anni Sessanta dal Gen. De Lorenzo per imporre una svolta autoritaria ed   una politica “di destra” maggiormente allineata con i desiderata   atlantici – rappresentò il primo vero tentativo golpista elaborato da   ambienti militari nell’Italia del secondo dopoguerra.
  
 La  situazione internazionale dell’epoca era dominata dal confronto  aperto  tra i due blocchi contrapposti che facevano riferimento a Stati  Uniti e  Unione Sovietica. L’Europa, a causa della sconfitta militare  subita  dall’Asse e dalla seguente divisione bipolare, diventò ben presto  uno  dei terreni di conflitto a bassa intensità che opponevano le due   superpotenze.
  
 La spartizione bipolare USA-URSS  determinata dagli accordi di Yalta  del 1945 avrebbe caratterizzato un  arco storico di circa mezzo secolo  noto come “guerra fredda”.
  
 Per  comprendere realmente ciò che questo periodo ha rappresentato per  il  Vecchio Continente, privato da allora di una politica autonoma,  della  propria sovranità e ridotto a mera appendice dell’impero  americano, la  situazione italiana appare esemplare.
  
 L’Italia era  uscita dissanguata dal lungo conflitto mondiale che  aveva portato ad  una guerra civile tra italiani dopo la costituzione di  due distinti  Stati (la Repubblica Sociale al nord e l’effimero Regno  proclamato  nelle regioni meridionali dal Re Vittorio Emanuele e dal  governo del  maresciallo Badoglio dopo il vergognoso voltafaccia dell’8  settembre  1943 data che segnò un vero e proprio trauma nella coscienza  civile di  un paese che da quel momento non avrebbe mai più avuto alcuna  sovranità  nazionale).
  
 La cosiddetta guerra di liberazione partigiana  combattuta da  un eterogeneo fronte di partiti politici italiani  sostenuti dalle forze  armate d’occupazione anglo-americane aveva messo  in luce soprattutto la  netta dicotomia esistente tra i movimenti  d’ispirazione cattolica e  liberale che proponevano un assetto  democratico filo-occidentale per il  dopoguerra e il Partito Comunista  il quale rispondeva alle direttive  provenienti da Mosca ed era  determinato ad approfittare del conflitto  per i propri interessi i  quali avrebbero portato all’instaurazione di un  regime sul modello  sovietico come avverrà in tutti i paesi appartenenti  al blocco  orientale influenzato e sottomesso militarmente dall’URSS.
  
 
 All’indomani  della guerra i comunisti ed i loro alleati socialisti  accettarono le  regole democratiche, parteciparono alla Costituente e  diventarono forza  di governo alleata ai democristiani nei primi  esecutivi post-bellici.
  
 La  situazione sarebbe presto andata modificandosi con l’avvicinarsi  delle  prime elezioni legislative fissate per l’aprile 1948  che vedranno  una  radicalizzazzazione del confronto tra la DC ed il cosiddetto  “Fronte  Popolare” delle sinistre. Una campagna elettorale che si palesò  come un  autentico conflitto ideologico tra gli alleati degli Stati Uniti  e le  formazioni socialcomuniste legate a Mosca.
  
 Washington  sosterrà finanziariamente e mobiliterà i suoi apparati per  consentire  la vittoria, risultata schiacciante, della Democrazia  Cristiana che –  peraltro – godette del sostegno incondizionato di un  inedito  schieramento di forze interessate a mantenere il paese  all’interno  della sfera d’influenza americana evitando pericolose derive  verso il  blocco orientale egemonizzato da Mosca.
  
 La Chiesa, gli  ambienti industriali, la Massoneria e la Mafia furono  in prima linea  durante quella campagna elettorale – e successivamente  per tutti i  successivi quarant’anni di monopolio politico democristiano –  che  sancirà la sconfitta delle forze d’ispirazione marxista.
  
 
 La  democrazia italiana da allora e fino agli anni Novanta apparirà un   sistema politico bloccato all’interno del quale il partito di   maggioranza relativa,la DC, – uno tra i più corrotti di tutta l’Europa   occidentale – manterrà la propria autorità attraverso le alleanze con i   partiti laici minori (PLI, PRI, PSDI) e, dai primi anni Sessanta in  poi,  grazie al sostegno del PSI che aderirà a quella formula di   centro-sinistra riformista e progressista che continuava ad escludere i   comunisti dall’area di governo.
  
 L’esclusione del PCI  dal potere centrale (ai comunisti venne concessa  l’amministrazione di  importanti regioni soprattutto nell’Italia  centrale dove più forte era  la loro base elettorale ma dove si sarebbero  concentrate anche  importanti unità militari nazionali e NATO)  rappresentò una costante  che caratterizzerà tutta la politica italiana  da allora sottomessa alle  volontà provenienti dagli Stati Uniti in una  posizione di  sottomissione propria di una sorta di protettorato  neo-coloniale con  una casta di politici servili alle direttive  provenienti dai centri  studi d’oltre Atlantico e dalle amministrazioni  al potere a Washington.
  
 “L’importanza di tener lontani i comunisti dal governo in Italia – scrive Philip Willan (1) – non   era solo determinata dalla presenza nel paese delle basi militari Nato  o  dalla sua posizione strategica. Il trattato di Yalta del 1945 aveva   sancito la divisione dell’Europa in due blocchi geopolitici. Molti   opinionisti in Italia attribuiscono il mantenimento di un tacito accordo   tra le superpotenze circa la libertà di controllo sulle aree di   reciproca influenza proprio a quella che chiamano “logica di Yalta”. Gli   americani, secondo questa interpretazione, non avrebbero interferito   nell’invasione sovietica della Cecoslovacchia e dell’Ungheria e,   conseguentemente, non avrebbero tollerato l’ingresso di un partito   comunista nel governo di un paese occidentale. (…) Quando alla fine   degli anni Settanta si avanzò l’ipotesi di una coalizione di governo tra   democristiani e comunisti, il governo sovietico e quello americano si   allertarono, anche se per motivi diversi: i sovietici infatti   preferivano che il Pci restasse all’opposizione, piuttosto che vederlo   allineato con l’ideologia occidentale in un governo di coalizione.”.
  
 Saranno  proprio la fobia statunitense nei confronti di un possibile  ingresso  comunista nelle stanze del potere che susciterà fin  dall’immediato  dopoguerra una serie di misure di stretto controllo sulla  vita politica  italiana e un’ingerenza da parte dei servizi di sicurezza  americani  che si farà, mano a mano che crescerà la tensione politica,  sempre più  evidente. Sarà la CIA, coadiuvata dai nostri servizi di  sicurezza  civili e militari, la principale responsabile di quella strategia della tensione che   interesserà un arco temporale che dalla fine degli anni Sessanta   traghetterà il paese fino alla metà degli anni Ottanta in un clima di   instabilità politico-economica, violenza politica, stragi e attentati   che – come scrive correttamente lo stesso storico britannico – hanno   rappresentato “l’attacco terroristico più violento e traumatico di   qualunque altro paese dell’Occidente europeo, ad eccezione della Spagna e   dell’Inghilterra. Fino al 1987 le stragi terroristiche hanno provocato   la morte di 356 persone e il ferimento di oltre 1000: questo in un  paese  confinante con uno stato comunista, la Iugoslavia, che occupa una   posizione strategica di dominio nel Mediterraneo e con il Partito   Comunista più forte dell’Europa occidentale.” (2)
  
 L’origine  di questa vera e propria fobia anticomunista, che avrebbe  provocato  nei decenni seguenti le strategie della tensione e alimentato  la  violenza politica nel paese, è da ricercarsi nelle ultime fasi del   conflitto mondiale quando Washington iniziò a reclutare – tramite i suoi   agenti dell’Ufficio per i servizi speciali (OSS), i precursori   dell’odierna CIA – per i propri interessi e la propria strategia   post-bellica ex esponenti della RSI.
  
 
 L’intera  struttura informativa della RSI passò quasi in massa al  fianco degli  anglo-americani fin dal marzo 1945. Altri esponenti di  primo piano del  regime fascista costituito da Mussolini nel nord del  paese sarebbero  stati reclutati e salvati da agenti di Washington.
  
 Gli  americani compresero perfettamente la necessità di usufruire di  quanti  più alleati possibili nell’immediato dopoguerra perciò dopo aver   reclutato i principali capi della mafia (fatti rientrare nel paese dopo   lo sbarco in Sicilia dell’estate 1943) vennero attivati i canali della   potente massoneria americana per riportare in vita le logge e ridare   lustro e nuova linfa vitale ai fratelli tre puntini in Italia.
  
 “Agli  inizi del 1947 – ha scritto Wolfgang Achtner sul “Sunday  Independent”  dell’11 novembre 1990 – gli Stati Uniti stavano formando  una rete  clandestina in Italia settentrionale”.
  
 Probabilmente non  si trattava ancora di quella organizzazione che  decenni dopo sarebbe  stata rivelata dal premier Giulio Andreotti essere  “Gladio” ma le  intenzioni degli uomini dei servizi di sicurezza  americani erano chiare  per tutti i paesi dell’Europa occidentale.
  
 Secondo  quanto riportarono numerosi documenti l’ex capo della CIA,  Allen  Dulles, aveva progettato la costituzione di reparti segreti  addestrati  alla guerriglia anti-comunista con l’appoggio di tutti i  governi  europei alleati. Ne furono pertanto informate le principali  autorità  politiche che dovevano garantire una sufficiente copertura ad   un’operazione under-cover gestita da personale NATO coadiuvato dai   reparti militari più fedeli e disciplinati presenti nei diversi paesi   europei.
  
 Il quotidiano tedesco “Die Welt” sostenne che i  servizi di sicurezza  occidentali crearono in proposito una speciale  commissione che aveva il  compito di soprintendere questo genere di  apparati.
  
 La rete segreta era costituita da personale civile di dichiarata fede anticomunista.
  
 Secondo  quanto dichiarato dall’ex ministro della Difesa italiano,  Paolo  Taviani, durante il periodo in cui rimase in carica (1955-1958) i   servizi segreti italiani era comandati e finanziati dai “ragazzi di Via   Veneto” – dagli agenti della CIA presso l’ambasciata USA nel cuore  della  capitale –  sottolineando l’assoluta sottomissione dei nostri  servizi  rispetto ai loro colleghi d’oltre Atlantico.
  
 
 Gli  americani in Italia reclutarono tutte le forze ostili al  comunismo per  inserirle all’interno di una loro strategia di  contenimento:  estremisti di destra, ex appartenenti alle formazioni  militari della  RSI così come molti partigiani ‘bianchi’ delle forze  della Resistenza  che rifiutavano l’ideologia totalitaria comunista,  esponenti  dell’industria e della finanza, massoni e appartenenti alla  mafia e ad  altre organizzazioni malavitose vennero cooptati dagli agenti  della CIA  e utilizzati per contenere l’avanzata delle sinistre.
 In  occasione della campagna elettorale italiana dell’aprile 1948 gli  USA  ebbero un validissimo aiuto anche dalla Chiesa cattolica che si  gettò  anima e corpo nella nuova “crociata” anti-comunista sostenendo ,   com’era logico d’altronde, senza riserve la Democrazia Cristiana da   allora e per quasi cinquant’anni partito di massa d’ispirazione   clericale e baluardo di un anti-comunismo allineato con le strategie   statunitensi.
  
 Il “Piano Solo” si inserisce in questo  clima di tensione crescente e  all’interno della formazione da parte  statunitense di organizzazioni  paramilitari parallele sotto l’egida  NATO alle quali, in Italia, venne  dato il nome di “operazione Gladio”  sezione italiana di una rete di  strutture anti-comuniste dislocate nei  principali paesi dell’Alleanza  Atlantica dell’Europa Occidentale e noti  come strutture dell’apparato  militare “Stay Behind”.
  
 Il  Generale britannico, Sir Anthony Farra-Hockley , ex comandante in  capo  delle forze NATO per il settore dell’Europa settentrionale, disse  che  era a conoscenza che in Italia era stato istituito una specie di   servizio segreto clandestino con l’aiuto di agenti britannici e della   CIA americana che lo finanziarono. La sezione italiana della rete era   nota come Operazione Gladio (3).
  
 
 La  stessa fonte rivela che “Gladio era il nome dato alla sezione  italiana  di una rete con l’innocuo nome ufficiale di Commissione di   coordinamento alleata, istituita con l’assistenza britannica dalla CIA   negli anni ’50”.
  
  
 L’affaire del golpe  militare progettato dall’Arma dei  Carabinieri venne alla luce nella  primavera del 1967 quando il  settimanale “L’Espresso” pubblicò una  serie di rivelazioni sui  preparativi di un colpo di Stato che sarebbe  dovuto avvenire nell’estate  del 1964 all’epoca in cui l’Italia stava  per decidere uno slittamento  verso sinistra con l’entrata dei  socialisti nel governo.
  
 La vicenda del Piano Solo è  indicativa e rappresenta un nodo  fondamentale per comprendere gli  esatti rapporti di sudditanza esistenti  tra le forze armate ed i  servizi segreti della Repubblica nata dalla  Resistenza ed i loro  padroni a stelle e strisce.
  
 Nel gennaio 1969 venne  istituita una commissione parlamentare  d’inchiesta per accertare,  secondo le indicazioni contenute nei passaggi  finali della Commissione  Lombardi, se le iniziative prese e le misure  adottate in relazione agli  eventi della primavera-estate del 1964  dall’Arma dei Carabinieri  dovessero essere ritenute in contrasto con le  disposizioni vigenti e  con gli ordinamenti della Costituzione.
  
 
 Il  principale riferimento per la Commissione parlamentare fu   rappresentato dalla relazione del Gen. Beolchini il quale rivelò come,   presso l’ufficio “D” del SIFAR fosse stata commissionata dall’allora   Gen. De Lorenzo l’apertura e la stesura una serie di fascicoli personali   che , a partire dal 1959, raggiunsero negli anni seguenti la   ragguardevole cifra di 157mila dei quali 34mila dedicati ad esponenti   del mondo economico, a politici e a quelle categorie ritenute di   interesse strategico per i nostri servizi segreti militari.
  
 Le  indagini della Commissione misero in luce che il Gen. Giovanni De   Lorenzo aveva esteso il suo programma di sorveglianza del mondo   politico, economico e finanziario italiano allo scopo di identificare i   sospetti simpatizzanti di sinistra che, secondo le direttive impartite   ai vertici dell’Arma in quella primavera-estate del ’64, avrebbero   dovuto essere arrestati e quindi trasportati e incarcerati in campi di   concentramento predisposti sull’isola della Sardegna.
  
 Stando  quanto dichiarò all’epoca il Gen. De Lorenzo, capo dei  carabinieri  all’epoca del tentato golpe, questa attività di spionaggio  era stata  richiesta e veniva passata per la supervisione all’Ufficio  Sicurezza  della NATO, ufficio preposto a decisioni fondamentali quali ,  per  esempio, il rilascio del NOS (Nulla Osta Sicurezza)  concesso o  meno ai responsabili di governo che si alternavano  frequentemente alla  guida di un paese instabile dove una corrente della  DC sembrava  propensa ad accordi con i comunisti.
  
 De Lorenzo  interrogato in merito al suo lavoro di schedatura  indiscriminata di  gran parte della classe politica e industriale del  paese risponderà che  “la questione dei fascicoli è una questione di sicurezza del Patto Atlantico” e come tale venne trattata ossia mediante l’estensione all’intera vicenda del Segreto di Stato.
  
 I nominativi dei futuri enucleandi in Sardegna tra gli esponenti ed i simpatizzanti della sinistra non vennero mai resi noti all’opinione pubblica.
  
 
 In  merito ai fascicoli del Sifar riferì ai magistrati il generale  Antonio  Viezzer che di tutte quelle informazioni vennero raccolte dai  servizi  nel periodo 62-63 furono fatte lunghe sintesi: “Dette sintesi – affermò Viezzer – furono inviate dal generale Giovanni Allavena (all’epoca capo dell’Ufficio “D” del Sifar ndr ) al generale De Lorenzo che all’epoca era comandante generale dell’Arma dei Carabinieri.”. Accadde però che “Tali sintesi in copia originale inviate a De Lorenzo non sono state più rintracciate.”. E,   fatto ancor più stupefacente, ricomparvero e fecero ancora parlare di   sé quando i magistrati decisero la perquisizione presso la Villa del   Gran Maestro Venerabile della Loggia Propaganda 2 (P2) Licio Gelli a   Castiglion Fibocchi che le utilizzerà per tutto il decennio dei Settanta   per ricattare l’intera classe politica italiana e aumentare   considerevolmente la sua influenza sulla scena politica e industriale   nazionale.
  
 “Se si pensa – scriverà Pietro Calderoni (4) –  che il gen. Allavena,  già capo dell’Ufficio ‘D’ del Sifar, vice di  Viggiani, come lui  “creatura” di De Lorenzo, e già capo dei centri “CS”  di Roma risulterà  iscritto alla P2, e che fu lui a formare le liste  degli “enucleandi” nel  “piano Solo” , l’intera vicenda risulterà  chiarita. Ne deriva che  l’illegittima continuità tra Sifar, comando  generale dell’Arma, P2, fu  solo alla base delle fughe di fascicoli e  dei conseguenti ricatti e  condizionamenti su ambienti politici e  militari che contrassegneranno  quella che la Commissioneparlamentare  d’inchiesta sulla Loggia P2  definirà la “resistibile ascesa” di Gelli a posizioni di potere di impressionante spessore e vastità.”.
  
 
 Inoltre  secondo quanto scrisse il giornalista Roberto Faenza in un  suo  resoconto dettagliato sull’influenza americana nel nostro paese (5)  una  copia dei dossier del Sifar venne depositata nel quartier generale   della CIA a Langley in Virginia. Faenza cita un cablogramma che attesta   il ricevimento “dal nostro corrispondente presso i servizi segreti italiani” dei rapporti sui leader politici “in osservazione”.
  
 L’operazione  di spionaggio elaborata dal gen. De Lorenzo coinvolse  anche numerosi  prelati, vescovi e preti delle diverse diocesi e perfino  il papa  Giovanni XXIII.mo il quale andò su tutte le furie quando venne a   conoscenza che il Sifar aveva piazzato dei microfoni negli appartamenti   vaticani.
  
 L’intera vicenda dei dossier Sifar andò  avanti per anni con il  beneplacito della presidenza della Repubblica e  venne commissionata a De  Lorenzo dall’allora capo della CIA William  Colby.
  
 A quanto risultò alla Commissione  parlamentare la ricerca delle  notizie per la compilazione dei fascicoli  era stata realizzata violando  sistematicamente il principio della  stessa libertà personale attraverso  pedinamenti, teleobiettivi,  controlli clandestini della corrispondenza  privata e delle  comunicazioni telefoniche.
  
 Quando oggi è cosa nota  l’esistenza di strutture spionistiche  satellitari su scala planetaria  quali il complesso programma ECHELON non  deve stupire che l’Italia  della fine anni Cinquanta fosse già un campo  di sperimentazione per  questo genere di attività alle quali diedero  alacremente il loro  contributo i servizi di sicurezza civili e militari  italiani.
  
  
 Che  la struttura segreta denominata Gladio non fosse un mistero per  gli  alti vertici militari italiani e  gli ambienti dei servizi di  sicurezza  – i quali erano tenuti a risponderne in ambito NATO – si  deduce anche  dalle dichiarazioni rilasciate da diversi ufficiali nel  corso di  inchieste della magistratura italiana o di indagini  parlamentari.
  
 Così si esprimerà in proposito lo stesso Gen. De Lorenzo: “Esiste,   presso lo Stato maggiore della Difesa , a latere del Sifar, l’Ufficio   sicurezza del Patto Atlantico che garantisce la sicurezza dei  funzionari  cioè di tutti coloro che vogliono svolgere un certo  lavoro…Questo  ufficio di sicurezza, che deve reperire queste notizie,  fa capo all’Arma  dei Carabinieri, che svolge le indagini. Queste  indagini vengono fatte  affluire o all’Ufficio centrale o agli uffici  ministeriali con le  considerazioni adeguate. Sulla base di queste  considerazioni , se sono  favorevoli, si dà il nulla osta di sicurezza.”
  
 Analogamente  si espresse il Gen. Vito Miceli, per anni capo del Sismi  – i servizi  militari – in occasione del processo nel 1977 per il  tentato golpe  Borghese del dicembre 1970: “C’è , ed è sempre esistita, una particolare organizzazione segretissima, che è a conoscenza anche delle massime autorità dello Stato. Vista   dall’esterno, da un profano, questa organizzazione può essere   interpretata in senso non corretto, potrebbe apparire come qualcosa di   estraneo alla linea ufficiale.”
  
 Miceli sostenne che le sue attività rientrassero nei compiti istituzionali.
  
 
 Un  altro esponente delle forze armate chiamato a rispondere davanti  alla  Magistratura di progetti eversivi, il Ten. Col. dei servizi segreti   militari Amos Spiazzi, dopo aver confessato di aver preso parte ad una   cospirazione di destra guidata da un’organizzazione denominata “Rosa dei   Venti” (simbolo ufficiale dell’Alleanza Atlantica) così rispose al   giudice che gli chiese se avesse o meno ricevuto l’ordine di allertare   gruppi irregolari di sostegno alle forze armate nel giugno 1973: “Ricevetti   un ordine da un mio superiore militare, appartenente  all’organizzazione  di sicurezza delle forze armate, che non ha finalità  eversive ma si  propone di proteggere le istituzioni contro il  marxismo. Questo  organismo non si identifica con il Sid, ma in gran  parte coincide con il  Sid.”.
  
 Dunque in  linea generale tutti i principali protagonisti , esponenti  di primo  piano delle FF.AA o dei servizi, chiamati a rispondere circa   l’esistenza di un organizzazione segreta militare confermarono che si   trattasse di qualcosa di pienamente istituzionale e direttamente   collegata ai vertici NATO ed a conoscenza delle massime autorità   politiche come , d’altronde, confermò pienamente il premier Andreotti   quando nell’autunno 1990 decise di rivelare all’opinione pubblica   italiana l’esistenza di Gladio.
  
 Le cosiddette “unità di  supporto” irregolari erano rappresentate dai  coloro che, molti anni più  tardi, la stampa italiana conobbe con il nome  di ‘gladiatori’.
  
 “Il  reclutamento di unità di supporto irregolari – scrive Philip  Willan  (6) – è un tema ricorrente negli scandali dei servizi segreti:   attraverso tali unità si arriva poi agli agenti infiltrati e alla   manipolazione del terrorismo. Una delle persone coinvolte nel   reclutamento era il colonnello Renzo Rocca, direttore dell’ufficio   controspionaggio industriale del Sifar, l’ufficio perla Ricercaeconomica   e industriale (Rei). La commissione parlamentare d’inchiesta per lo   scandalo Sifar appurò che Rocca usava i fondi dei servizi segreti e   altri contributi di industriali per reclutare persone per operazioni   paramilitari, che venivano stipendiate come “informatori” dei servizi   segreti. “Tale reclutamento si rivolgeva soprattutto ai carabinieri e   agli ex marinai in congedo, ma si estendeva anche ad altri gruppi di   “ragazzi di avventura”, che avrebbero dovuto fungere da provocatori”,   chiariva la relazione di minoranza. Le attività di Rocca erano seguite   attentamente dalla Cia. Secondo Faenza, il capo della sede romana   William Harley spinse il colonnello a destabilizzare i tentativi di Moro   di raggiungere un’intesa coi socialisti. Harvey suggerì a Rocca di   usare gli “squadroni d’azione” per “compiere attentati contro le sedi   della Democrazia Cristiana e di alcuni quotidiani del nord, da   attribuire alle sinistre.”. Faenza affermò inoltre che Harvey era in   possesso di liste contenenti più di 2000 nomi di esponenti di destra   appartenenti a gruppi paramilitari, che si erano disponibili per azioni   anticomuniste. Rocca si suicidò nel 1968, poco prima di essere   interrogato dalla commissione parlamentare. La sua morte fu uno dei   misteriosi suicidi e incidenti che ricaddero su coloro che erano a   conoscenza delle attività più delicate dei servizi segreti italiani. (…)   I legami di Rocca con i servizi segreti spinsero alcuni agenti a   introdursi nel suo ufficio (pressola FIATdov’era finito a lavorare un   anno prima ndr) per rimuovere certi fascicoli prima delle indagini della   magistratura. Secondo alcune voci sottrassero un dossier riguardante   l’attività di reclutamento esercitata da Rocca nel 1964. (…) Rocca non   fu l’unico in possesso di informazioni sullo scandalo Sifar a morire   prematuramente. Il 27 aprile 1969 l’ex capo dei carabinieri, generale   Carlo Ciglieri, che aveva commissionato un’indagine sugli eventi del   1964, morì in un incidente stradale. Ciglieri guidava lungo un   rettilineo poco fuori Padova quando la sua macchina inspiegabilmente   uscì di strada. Stranamente non venne ritrovato alcun documento utile   alla sua identificazione e le fotografie scattate sul luogo   dell’incidente mostrarono l’esistenza di una busta, in seguito   scomparsa. L’uomo cui Ciglieri aveva commissionato l’indagine era il   generale Giorgio Manes, morto in seguito a un infarto il 25 giugno 1969   poco prima di testimoniare davanti alla commissione parlamentare.”.
  
  
 Tra  i compiti che Rocca svolse per conto del Sifar vi fu anche il   finanziamento dell’Istituto Alberto Pollio che organizzò nelle giornate   dal 3 al 5 maggio 1965 la conferenza tenuta all’Hotel Parco dei  Principi  di Roma sulla “guerra rivoluzionaria” alla quale presero parte  numerosi  esponenti del neofascismo italiano in particolare si  ricordano i nomi  di:
 a)      Guido Giannettini, giornalista e  informatore dei servizi  segreti, in seguito accusato di aver preso  parte alla strage di Piazza  Fontana del dicembre 1969;
 b)      Stefano Delle Chiaie, fondatore dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale;
 c)      Mario Merlino,
 d)      Enrico De Boccard, fondatore dell’Istituto Pollio;
 e)      Pio Filippani Ronconi, docente universitario già appartenente alla divisione italiana Waffen S.S. ;
 f)        Pino Rauti, fondatore del centro studi “Ordine Nuovo”
 g)      Giorgio Pisanò, esponente del MSI milanese;
  
  
 Di  questi ultimi due , Rauti e Pisanò, sono interessanti le  ammissioni  che vennero pubblicate in un libro-intervista apparso a metà  anni  Novanta.
  
 
 Alla domanda “lei  crede che a un certo punto l’estrema destra,  pur di combattere contro  il comunismo, sia scesa a patti, abbia  collaborato con lo Stato  repubblicano e antifascista? Rauti risponderà: “Si.  Ha  collaborato, più o meno sottobanco, e in certi momenti soprattutto   sottobanco. (…) Io stesso sono stato coinvolto in rapporti coi militari.   Scrivendo, insieme a Edgardo Beltrametti, l’opuscolo “Le mani rosse sulle forze armate”, commissionato dal generale Giuseppe Aloia.” (7).
  
 Mentre Pisanò alla domanda su chi avrebbe messo le bombe a Piazza Fontana risponderà: “Il   ministero degli Interni. L’ufficio affari riservati del Ministero  degli  Interni. (…) …questa gente aveva studiato una strategia: noi   mobilitiamo qualche scriteriato a destra e qualche scriteriato a   sinistra, gli facciamo mettere qualche bombetta qua e là, un po’ di   colore rosso e un po’ di colore nero, montiamo la stampa e dimostriamo   che se non rafforziamo di nuovo il centro, gli opposti estremismi   prendono il sopravvento. E allora cominciarono le bombe sui treni e così   via , senza provocare morti.” E , all’intervistatore che gli faceva notare che i morti a Piazza Fontana ci furono replicherà: “Si   ma fu un errore. Quel giorno le bombe nelle banche furono tre, due a   Milano e una a Roma e altre bombe vennero messe all’Altare della Patria.   Scoppiarono tutte dopo le 16.30, orario di chiusura delle banche, e le   due all’Altare della Patria erano messe in un punto tale da non  nuocere a  nessuno. Insomma non si voleva uccidere. Ma chi mise quelle  bombe non  sapeva che quel giorno una banca, una sola banca in tutta  Italia,  sarebbe rimasta aperta oltre il normale orario di chiusura: la  Banca  Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano”. Andando poi oltre ed attaccando Franco Freda: “Freda…eh   io li ho difesi tutti a spada tratta ‘sti fessi, anche se non lo   meritavano. Freda è quel cretino che fornisce i timer. Ma attenzione:   Freda non sapeva che i timer sarebbero stati usati per fare una strage.   (…) Ho fatto carte false per dimostrare che Freda con i timer non   c’entrava niente, ma la verità è questa. Freda cascò in un trappolone.   Fornì i timer senza sapere a cosa servivano.” Sentenziando infine che “Nelle stragi ci sono solo imbecilli italiani”. (8).
  
 Imbecilli  più o meno consapevoli o criminali poco cambia. Soprattutto  perché  affatto imbecilli furono – e piuttosto consapevoli – coloro che  diedero  vita al piano Solo.
  
 Un piano di emergenza per l’ordine  pubblico di cui il Ministro della  Difesa , con una nota del 12 maggio  1969, informò le autorità della  magistratura.
  
 I  documenti relativi al piano per l’ordine pubblico e la sicurezza   nazionale che prevedevano l’impiego di reparti della sola arma dei   carabinieri erano contenuti in quattro minute. Più precisamente, come si   evidenziò, la prima era costituita da un quaderno manoscritto a penna   redatto dal Comando della Divisione Carabinieri “Pastrengo” di Milano ,   con giurisprudenza per l’Italia settentrionale. La minuta risulterà   manoscritta dall’allora Colonnello dell’Arma Mingarelli all’epoca   responsabile dell’Ufficio di capo di Stato maggiore della divisione. E’   firmata dal generale di divisione Markert e munita di timbro tondo ed   intestata come “Pianificazione riservatissima – Progetto Generale”.
  
 Il  Colonnello Mingarelli sarà pesantemente coinvolto dieci anni più  tardi  – nel 1972 – nella manipolazione delle indagini sulla strage di   Peteano.
  
 
 La  seconda minuta , costituita dalla fotocopia di 19 fogli  manoscritti,  risultò redatta dal comando divisione carabinieri “Podgora”  di Roma,  con giurisdizione sull’Italia centrale oltre che sull’Emilia  Romagna e  la Sardegna.Laminuta risultò manoscritta dall’allora ten. col.   dell’Arma Bittoni, all’epoca capo di Stato maggiore della divisione. E’   intestata “Piano Solo del comando II divisione Carabinieri Podgora”.
  
 La  terza , costituita da 28 fogli sciolti, risulta redatta dal  comando  della divisione carabinieri “Pastrengo” e contiene una bozza di   pianificazione per la sola città di Roma anch’essa redatta dal col.   Bittoni con allegate due mappe della capitale. E’ intestata “Traccia per   la compilazione del progetto Solo”.
  
 Infine la quarta  minuta, costituita da 32 fogli dattiloscritti,  risulta redatta dal  comando carabinieri divisione “Ogaden” di Napoli con  giurisdizione su  tutta l’Italia meridionale. E’ intitolata “Piano per  il mantenimento  dell’ordine costituito nel territorio dello Stato”. A  quanto risulta  dagli atti d’inchiesta parlamentare l’allora comandante  dell’Ogaden,  gen. Celi, incaricò il col. Romolo Dalla Chiesa di  predisporre “uno studio inteso a vedere come l’Arma, nella nostra giurisdizione, avrebbe potuto far fronte a sovvertimenti” (dalla deposizione resa dallo stesso Dalla Chiesa alla Commissione d’inchiesta).
  
 Secondo  quanto affermato dal ministro della Difesa non esistevano  altri  originali delle minute in questione mentre per quanto riguardava  lo  schieramento delle forze dell’Arma , la consistenza dei reparti, le   procedure esecutive del piano Solo rimaneva in vigore il segreto   militare.
  
 Venne ovviamente respinta anche la richiesta  di ottenere le liste  degli enucleandi appartenenti al PCI che furono  distribuite nella  primavera-estate 1964 ai comandi di divisione  dell’Arma.
  
 
 Il meccanismo di approntamento del piano si mise in movimento su impulso del generale De Lorenzo. “Il   gen. Picchiotti, capo di Stato maggiore del comando generale,  ricevette  in tal senso un ordine dal comandante generale (…) E’ lo  stesso  Picchiotti ad affermare che, successivamente alla riunione del  25 marzo  dei comandanti di divisione, a seguito della quale verranno  predisposti  gli appunti rinvenuti, egli ebbe a convocare i tre capi di  Stato  maggiore delle divisioni “presenti alcuni ufficiali del Sifar”  per  impartire, su ordine di De Lorenzo, disposizioni per  l’aggiornamento del  piano per la tutela dell’ordine pubblico. – scrive Calderoni (9) –  Per   le azioni di aggiornamento, fu incaricato il col. Tuccari…(…) Nel  corso  della riunione, venne accettata la proposta del ten. col.  Mingarelli di  riunire i piani di “emergenza speciale” preparati dai  prefetti con il  concorso dell’Esercito, dei Carabinieri e della  Pubblica Sicurezza del  15-11-1961 (circolare Vicari) , adattandole agli  scopi della  pianificazione da apportare ed in particolare alle  previsioni del “Solo”  impiego dell’Arma dei Carabinieri. Lo schema  predisposto dal Tuccari  costituisce l’ossatura del “piano Solo” che  prevedeva un insieme di  azioni difensive ed offensive , tra cui le  difese delle caserme,  l’occupazione della sede della RAI-TV, delle  centrali telefoniche e  telegrafiche, di sedi di partito e di giornali,  con il fermo degli  “esponenti più in vista” il conseguente loro  concentramento e trasporto.  Era anche prevista l’occupazione del  Quirinale e di Palazzo Chigi, allo  scopo di “impedire che cadano nelle  mani dei rivoltosi”. (…) E’ noto  come, nel momento più delicato di  tensione nel nostro Paese, venne  sottoscritto l’accordo di governo tra  democristiani e socialisti che  segnò la fine della crisi, con  l’accantonamento del “piano Solo” e la  distruzione delle liste.”
 L’allora  Presidente della Repubblica , Antonio Segni, era a  conoscenza del  piano che, peraltro, prevedeva l’eliminazione di alcuni  esponenti della  sinistra democristiana in particolare circolò con  insistenza il nome  di Aldo Moro (ci penseranno le sedicenti Brigate  Rosse quattordici anni  dopo a portare a termine l’incombenza stabilita  evidentemente oltre  Atlantico ai più alti livelli dell’establishment  statunitense).
  
 Il  piano golpista avrebbe dovuto trasferire il potere esecutivo nelle   mani di una coalizione di centro-destra di cui avrebbe potuto essere   nominato premier il democristiano Cesare Merzagora. Il golpe, cancellato   all’ultimo momento, rappresenterà da quel momento e per tutto il   decennio successivo un’opzione alla quale tenderanno interessati   ambienti politici, industriali e militari come si evidenzierà   nitidamente solo sei anni più tardi con il tentativo di colpo di Stato   patrocinato dal comandante Junio Valerio Borghese e successivamente con   altre iniziative analoghe che avrebbero aumentato la tensione politica e   l’instabilità della società italiana.
  
  
 Lasciamo la ‘chiosa’ finale alla firma di un blogger che , su un sito informatico della rete, ha lucidamente osservato: “Tali   complessi ma affascinanti argomenti, di cui mi sono limitato a fornire   una panoramica chiara e sintetica, ma non certo esaustiva, sono stati   trattati con estrema serietà dal dottor Daniele Ganser, storico  svizzero  e capo del gruppo di ricerca presso il Centro per gli Studi  sulla  Sicurezza dell’Istituto Federale di Tecnologia (ETH) a Zurigo,  autore  del libro “NATO’s Secret Armies – Operation Gladio and  Terrorism in  Western Europe”( Gli eserciti segreti della NATO –  Operazione Gladio e  terrorismo in Europa Occidentale). Ganser si  propone in particolare  con la sua opera di definire con precisione il  ruolo di “Stay Behind”  nel contesto storico europeo sottolineandone la  finalità politica di  opposizione al rafforzamento del comunismo interno  all’occidente, per  timore di un collasso del blocco americano stretto  da forze antagoniste  esterne ed interne. Ganser ipotizza  infine scenari  inquietanti costruendo un parallelo fra la realtà della  Guerra Fredda e  l’epoca a noi contemporanea, affermando: ”La  lezione che  possiamo trarre, se riportiamo la nostra esperienza dalla  Guerra Fredda  alla situazione attuale, è che una strategia della  tensione è tuttora  implementata, ma stavolta contro i Musulmani. Tutti  sappiamo che  l’occidente dipende in larga parte dal petrolio, e si ha  bisogno di un  pretesto per sviluppare operazioni in Iran, Irak ecc. Non  possiamo  semplicemente recarci lì, ed invadere i loro territori,  quindi abbiamo  bisogno di pensare che stanno cercando di ucciderci.  Quindi è possibile  che una strategia della tensione sia in atto, nella  quale i Musulmani  stanno svolgendo il ruolo che i comunisti avevano  nella Guerra Fredda.  Tuttavia è troppo difficile,tutto sta avvenendo in  modo velocissimo e ci  sono pochi dati disponibili.” (10)
  
 Come  non pensare alle attuali “primavere arabe” ed al ruolo di   agent-provocateur per tutto il mondo islamico dall’organizzazione Al   Qaeda?
  
 
 Au revoir…
  
DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI
  
 Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”