Perché l’Eurozona è in crisi? Come si può uscire da questa situazione? Ci sono alternative alle teorie dominanti che ci hanno trascinati in questa voragine? Sì, eccome. Lo hanno spiegato, al meeting di Rimini promosso da Paolo Barnard e totalmente auto-finanziato dai partecipanti, i super-economisti “eretici” che la soluzione giusta l’hanno già confezionata, con grande successo, per la spettacolare rinascita dell’Argentina. Una sola strada: archiviare l’euro e tornare a una moneta sovrana creata per i cittadini e non contro di loro. Piccolo problema: l’attuale classe dirigente, italiana ed europea. Da spazzare via al più presto, con nuove elezioni capaci di selezionare idee utili e democratiche, per un futuro di speranza. Passaggio intermedio: diventare «il peggior incubo dei banchieri», per dirla con il professor William Black, uno degli economisti neo-keynesiani che hanno accettato la scommessa di Barnard.
Gli  altri super-esperti intervenuti a Rimini tra il 24 e il 26  febbraio,  nel “105 Stadium” gremito da duemila attivisti capaci di  tributare  ovazioni da 
concerto   rock, sono gli statunitensi Michel Hudson, Stephanie Kelton e Marshall   Auerback, più il francese Alain Parguez. Evento epocale, nell’abisso   della crisi   italiana, eppure totalmente ignorato dai media – con la sola eccezione   del “Fatto Quotidiano”. Tra i report del summit riminese, spicca   l’ottima cronaca scritta per “Megachip”   da Pierangela Magioncalda, responsabile genovese di “Alternativa”,   laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa. Domande cruciali: è   possibile avere uno Stato e un’economia   che lavorino per i cittadini e non per le élites finanziarie? Come   arginare questa immensa emorragia di denaro che fuoriesce dall’economia reale e dalle tasche dei cittadini migrando verso l’economia   finanziaria e i suoi signori? E ancora: è possibile raggiungere una   piena occupazione con una contemporanea stabilità dei prezzi o non ci   resta che seguire i drammatici dettami di Draghi e dell’Fmi, subendo i   micidiali verdetti a orologeria delle agenzie di rating?
Come  diventare l’incubo dei banchieri? Semplice, basta dire la  verità:  quella che di cui il “mainstream” ha una fifa blu. Ecco spiegata  la  cortina di silenzio mediatico che ha avvolto il più importante  evento  politico-culturale di questo cruciale scorcio di vita italiana.  «Un  pensiero diverso fa paura – scrive “Megachip”   – e per questo è stato così strenuamente combattuto e bandito dalle   università, dai media e dalla politica negli ultimi decenni», non solo   in Italia ma «in tutto il mondo», convincendo tutti quanti che,   «finalmente, dopo la caduta del comunismo, non solo viviamo nel migliore   dei mondi possibili, ma anche nell’unico mondo possibile». Terra   bruciata, alla quale però non si rassegnano i seguaci di Barnard: una   platea assai eterogenea per età, provenienza geografica e background   culturale, con molti giovani e persino coppie di anziani, pronte ad   affrontare l’impegnativa 
maratona   accademica pur di capire perché mai si è finiti in questa situazione e   quali possano essere le possibili uscite di sicurezza.
Missione compiuta: la chiarezza delle “lezioni” ha fatto comprendere ai partecipanti come una differente visione del denaro e del deficit dello Stato possa letteralmente capovolgere la visione neoclassica liberista, «propinataci fino ad oggi come verità assoluta e indiscutibile». Un dogma, che vuole continuare a imporci politiche di austerità sempre più dure, con la spietata erosione dei diritti dei lavoratori e la pretesa di ridurre o addirittura eliminare il deficit di bilancio dello Stato, come impone il “Fiscal Compact” in base al quale dal 2013 gli Stati europei perderanno ogni residua sovranità finanziaria, dovendo sottoporre i loro bilanci alla validazione preventiva di Bruxelles. Obiettivo: impedire che gli Stati spendano denaro per i cittadini. Una autentica follia, che diventerà legge. E che gli economisti della “Modern Money Theory” smontano totalmente: perché il denaro dovrebbe essere dello Stato, cioè dei cittadini, e non di proprietà privata della grande finanza speculativa.
In uno Stato a moneta sovrana, come gli Usa   o il Giappone, la moneta è un “io ti devo” emesso dal governo, il  quale  potrà sempre ripagare il suo debito fino a quando lo vorrà, in  virtù  del fatto che potrà sempre emettere denaro nella valuta in cui il  suo  debito è stato contratto. Potrà inoltre comprare tutto ciò che è  in  vendita in quella valuta senza dover cercare i soldi sui mercati   finanziari, libero di fissare i tassi di interesse dei suoi titoli. Ma   non 
solo: lo Stato, spendendo a deficit, immette risorse finanziarie nella società per sostenere l’economia   reale e creare ricchezza netta per i cittadini, a seconda delle   politiche di spesa che adotta. In questo modo, a un deficit per lo   Stato, corrisponde un surplus per il settore privato, che permette di   realizzare investimenti e politiche sociali per i cittadini.
In sostanza, continua Pierangela Magioncalda su “Megachip”,   le risorse finanziare di uno Stato a moneta sovrana sono virtualmente   infinite. L’unica linea estrema della spesa è data dai limiti dello   sfruttamento delle risorse reali – quelle sì, finite per davvero.   Insomma, tutto il contrario del neoliberismo: ciò implica che una   politica di austerità, in uno Stato a moneta sovrana, non potrà mai   essere giustificata dalla frase: «Non ci sono soldi per…». Questo,   continua l’esponente di “Alternativa”, spiega perché economie come   quella degli Usa o quella giapponese, ma anche quella britannica, non stanno subendo una crisi   del debito sovrano nonostante il rapporto deficit-Pil sia ben  superiore  a quello dei paesi “Piigs” dell’eurozona. «Non dimentichiamo  che anche  l’Italia, in passato, ha avuto un rapporto deficit-Pil del  120%, a cui  però non è corrisposta una crisi del debito come 
quella attuale, in quanto all’epoca l’Italia aveva ancora la sua sovranità monetaria».
In questa visione, per gli economisti convocati da Barnard, anche il ruolo delle tasse è completamente stravolto rispetto alla teoria neoclassica: le imposte servono ad obbligare i cittadini ad usare la valuta del governo, assicurando pertanto un valore a quest’ultima, nonché a ritirare denaro in eccesso dal mercato, controllando così anche l’inflazione. Gli stessi titoli di Stato, in questo sistema, sono uno strumento di politica monetaria attraverso il quale si definisce la riserva monetaria disponibile insieme al tasso di interesse sul denaro. Non è dunque con le tasse che si deve finanziare la spesa pubblica, anche se oggi l’idea dominante suggerisce proprio questo. E i paesi dell’Eurozona, avendo perso la loro sovranità monetaria, devono chiedere i soldi sui mercati finanziari – esattamente come le imprese e le famiglie – e non possono pertanto garantire la loro solvibilità.
«Ovviamente,  date queste condizioni – aggiunge Pierangela Magioncalda  – gli Stati  sono poi ricattabili dai mercati finanziari, come abbiamo  tutti  imparato molto bene in questi ultimi anni». Proprio da qui nascono   infatti la crescita esplosiva dei tassi di interesse sul debito,   l’ossessione del deficit, il rigore e le politiche dei tagli allo stato   sociale: per lo Stato diventa praticamente impossibile qualunque   politica autonoma per sostenere l’economia reale e realizzare politiche per la piena occupazione, con conseguente recessione economica e avvitamento nel circolo vizioso, 
secondo la nota spirale che i paesi “Piigs” stanno già sperimentando sulla loro pelle.
Il colpevole? Uno su tutti: l’euro, moneta comune ma non pubblica. «I tecnocrati, in particolare tedeschi e francesi», hanno di fatto «costruito l’euro a beneficio delle élites finanziarie e delle economie dei loro paesi». Soprattutto la Germania, che ha migliorato la sua bilancia commerciale con l’estero a spese dei paesi mediterranei e di tutti i cittadini europei, compresi gli stessi tedeschi: che, in nome della competitività, hanno visto scendere i loro salari reali dal 2000 ad oggi. Possibili soluzioni? Auerback propone di riformare radicalmente la Bce, che anziché finanziare le banche (come sta facendo adesso) dovrebbe distribuire soldi direttamente agli Stati, in proporzione al numero degli abitanti. Ma soprattutto: occorre abbandonare l’euro e tornare a una moneta sovrana. Sganciata dal dollaro, l’Argentina è la prova vivente di come la sovranità monetaria possa far rinascere un paese, grazie alla teoria neo-keynesiana della “Mmt”.
Cosa ci accadrà domani? Dal summit di Rimini è emersa la possibilità di conflitti anche violenti tra i paesi europei a causa della crisi, «che l’attuale Unione non allontana, ma anzi fomenta», di fronte a un’opinione pubblica disorientata, allarmata dall’austerity ed esasperata anche dalle clamorose frodi finanziarie – Enron, Parmalat, mutui subprime – che per William Black sono la regola, «in un sistema totalmente deregolamentato che finge di avere una fiducia ceca nella capacità del mercato di autoregolamentarsi soltanto per continuare a perpetrare la rapina ai danni dei popoli, dentro e fuori gli Stati Uniti d’America». I problemi, conclude Pierangela Magioncalda, richiederanno «la rinascita di una politica non corrotta, di una vera democrazia» fatta dai cittadini e per i cittadini, ben consapevoli dei limiti fisiologici delle risorse: non è più tempo di “miracoli” e boom economici basati sul dogma della crescita infinita, ma è ora che i popoli rinnovino una classe dirigente legittima e degna, licenziando camerieri e maggiordomi dei grandi banchieri, i veri architetti del disastro.
di Giorgio Cattaneo
