08 marzo 2012

Clementina Forleo vittima di una congiura?





http://www.antoniodipietro.com/immagini2/clementina_forleo_milano.jpg

La complessa vicenda del giudice Clementina Forleo assume contorni oscuri e meritevoli di grande attenzione. Le ultime tappe della storia la vedono in veste di gip di Milano occuparsi dell'inchiesta “Antonveneta” e delle scalate bancarie dei "Furbetti del quartierino". Nel 2008 il CSM la trasferì a Cremona per incompatibilità “ambientale” in quanto ritenne le sue dichiarazioni, ad Annozero sui “poteri forti”, lesive del decoro dell'ordine giudiziario. Prima il TAR del Lazio e poi il Consiglio di Stato, però, annullarono quel provvedimento costringendo il CSM a reintegrarla a Milano.
Ma c'è un elemento molto inquietante ancora poco esplorato: il sospetto di un complotto.

L'accusa proviene dal giudice Guido Salvini, magistrato fortemente impegnato sui temi della giustizia, che, per ragioni di indipendenza personale, non aderisce al alcuna corrente organizzata della magistratura. Un professionista serio che si è occupato di vicende molto delicate: dalle inchieste sul terrorismo alla strage di piazza Fontana, da Gladio ai casi Parmalat e EniPower, dalle nuove Brigate Rosse allo scandalo Telecom-Sismi fino all'attuale inchiesta su Calciopoli. E' stato consulente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’occultamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste (il cosiddetto Armadio della Vergogna) e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia.

Il 19 giugno 2011, il dott Salvini inviò una email, sulla mailing list di Magistratura Indipendente, affermando di essere stato “testimone diretto dello sviluppo dell’azione ambientale contro la collega (Clementina Forleo)” dato che all’epoca era anche lui GIP presso il Tribunale di Milano e di “aver assistito a scene desolanti quali l’indizione con passa parola di riunioni pomeridiane in alcune stanze per discutere la strategia contro la collega, guidate dai maggiorenti dell’ufficio tra cui un paio di colleghi Verdi più rancorosi di tutti, come spesso accade, anche se del tutto estranei al caso”. Il dott. Salvini aggiunse di essersi dissociato da tali iniziative che gli ricordavano le “Giornate dell’odio” descritte da George Orwell nel romanzo “1984” e commentò la vicenda affermando che “non ci si comporta così tra magistrati ed è facile e privo di rischi accerchiare una persona in un ufficio e magari in questo modo anche portarla a sbagliare, visto anche il carattere poco diplomatico della vittima”.

Parole agghiaccianti che delineano scenari ai limiti dell'eversione. Se tali fatti fossero accertati, infatti, saremmo di fronte ad una congiura di magistrati che ordiscono trame tendenti a far mutare la composizione degli uffici giudiziari. Un duro attacco all'amministrazione della Giustizia repubblicana.

Il Comitato di Presidenza del CSM (di cui fa parte di diritto il Procuratore Generale della Cassazione) e l'attuale ministro della Giustizia sono stati messi al corrente della vicenda direttamente dalla Dott.ssa Forleo. La politica sulla vicenda tace. La stampa sonnecchia. Nessuno si strappa le vesti. Lancio un appello ai politici ed ai media: accendete i riflettori su questa vicenda. Mi rivolgo, in particolar modo, ai parlamentari "culturalmente" più sensibili al tema: i magistrati vanno difesi dagli attacchi della mafia, dalla delegittimazione dei politici ma anche dalle congiure di palazzo. Sempre. Tutelarli significa difendere la democrazia.

Sono trascorsi otto mesi.

Il CSM non ha ancora convocato il dott. Salvini. Cosa aspetta?

Gli italiani vogliono sapere.

Stay tuned!

di Gaetano Montalbano

07 marzo 2012

L'autunno freddo del capitalismo storico





http://3.bp.blogspot.com/_B5-Uu5SHVn4/SSf5oaDYlxI/AAAAAAAABMA/avQGx_0KyK0/s320/Albero+a+forma+di+Pianeta+Terra.jpg

Al progredire dell’ennesima crisi economica, si fa sempre più spazio l’idea che la società odierna, per come la conosciamo, abbia raggiunto l’autunno della sua esistenza. Quasi senza accorgercene siamo entrati in una fase storica di transizione dal capitalismo – l’attuale sistema storico che, come tutti i sistemi storici ha avuto un inizio e, di conseguenza, avrà anche una fine – ad un nuovo sistema delle società. Ma la questione, oggi, non è tanto sapere cosa avverrà dopo – prevedere il futuro, diceva Weber, è per demagoghi -, altresì interrogarsi su quanto è stato, e chiedersi com’è stato.
La nostra società, cui il sistema storico, come detto, è quello capitalista – l’accumulazione senza fine di capitale -, è stata definita la “società del progresso”, sottintendendo il fatto che nessun altro sistema storico precedente è stato migliore di questo. Infatti, a ben guardare, la teoria del processo evolutivo afferma una cosa ben chiara: il sistema che viene dopo è sempre migliore di quello precedente. Quindi oggi il capitalismo costituirebbe un progresso rispetto al feudalesimo, ed essendo l’ultimo sistema storico della serie, non potrebbe che essere il “migliore dei mondi possibili”. Ma è davvero così?

Non la possiamo fare soltanto una questione di crisi economica: pur non potendo parlare di “borse” e di “mercati”, di inflazione e di spread, infatti, anche 500 anni fa in Europa erano determinanti le crisi economiche. La differenza è che a causarle non era l’uomo, ma la natura: se per un anno andava male il raccolto perché faceva troppo freddo, o troppo caldo, la popolazione non mangiava, le riserve alimentari scarseggiavano, e di conseguenza si sviluppavano le crisi sociali. No, la nostra domanda non è rivolta a fattori esterni al nostro sistema storico, ma a quelli interni: come afferma Wallerstein – e come lui diversi altri grandi politologi e storici del nostro tempo – il capitalismo ha millantato, fin dalla sua nascita, migliori condizioni di vita per gli individui, maggior ricchezza collettiva, maggior attenzione per i diritti umani e maggior libertà rispetto ai sistemi storici precedenti – sotto al capitalismo, infatti, si è sviluppata la democrazia, che per dirla alla Wallerstein sarebbe la massimizzazione della partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli sulla base dell’eguaglianza -. Promesse che, tuttavia, non poteva promettere, o quantomeno non a tutti.
Prima dell’avvento del capitalismo il divario tra ricchi e poveri, almeno materialmente, era di gran lunga maggiore rispetto ad oggi, ed il povero – ad esempio il contadino dell’Ancien Regime – viveva in condizioni di vita miserrime, mentre il ricco godeva dello sfarzo della sua incommensurabile ricchezza. Oggi questo squarcio tra ricco e povero pensiamo di averlo appiattito, e di aver diminuito drasticamente la disuguaglianza esistente al tempo del feudalesimo. In parte è vero, ma fondamentalmente è falso. Tendiamo infatti a considerare il nostro stile di vita un modello universalmente unico, per cui crediamo che gli agi di cui godiamo siano disponibili e accessibili a tutti. In realtà nel periodo capitalista ciò che abbiamo appiattito, come afferma Wallerstein, è il divario tra l’1% dei ricchi mondiali con il 15% della cosiddetta popolazione del ceto medio. La restante popolazione, l’84%, è stata resa dal capitalismo miserrima, e forse ancor più miserrima di quanto lo fosse il povero dell’Ancien Regime. Il fatto è che, tirando le somme, non consideriamo mai il capitalismo in termini globali, cioè valido per tutto il mondo. In quanto occidentali, viviamo tra quel 15% della popolazione mondiale, e tendiamo a tener presente solamente la nostra condizione di vita. In più il ricco odierno è potenzialmente di gran lunga più ricco del nobile dell’Ancien Regime, per il fatto che la ricchezza, un tempo, si misurava in possedimenti terrieri, mentre oggi in quantità di denaro. E si sa: la terra ha dei limiti fisici, l’accumulazione di denaro no. Dunque è vero che il capitalismo ha offerto maggior ricchezza rispetto ai sistemi passati? In parte sì, ma per la gran parte della popolazione è vero il contrario.

E che dire sul miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo? Nell’era premoderna il problema principale dell’umanità era la carestia, dovuta ai cambiamenti climatici che, come detto, annualmente colpivano la produzione di alimenti. Oggi, senza dubbio, i perfezionamenti tecnologici hanno protetto le zone del mondo dai capricci climatici, mentre i collegamenti stradali, navali e aerei hanno permesso agli alimenti di viaggiare più velocemente, di conseguenza di arrivare all’uomo con maggiore quantità e in minor tempo. Ma tuttavia ancora oggi si muore di fame. È incredibile come la Coca cola, infatti, arrivi negli angoli più remoti del mondo, come nei villaggi del Congo, dove ancora la mortalità è alta per mancanza di cibo. Vien da pensare, quasi spontaneamente, che in Africa si muoia di fame da sempre come se il problema, anziché esterno, derivasse da una peculiarità del territorio. Bisognerebbe invece avere il coraggio di dire che il dramma della fame in Africa è reale da quando gli europei lo hanno considerato un territorio depredabile. Il capitalismo ha prima reso miserrimi gli africani per poi tender loro la mano.
Ma poi, anche se nel medio termine le condizioni di vita dell’uomo fossero anche migliorate – considerando solo alcune zone del mondo -, che dire del lungo termine? A quale prezzo? Ad oggi, a quanto so, non siamo del tutto in grado di valutare il danno causato dal disboscamento delle foreste, dalla desertificazione delle savane e dall’inquinamento chimico-biologico, ma è a tutti noto che questi processi saranno un grave problema per l’umanità e la natura nel lungo periodo. Dunque è vero che il capitalismo ha offerto migliori condizioni di vita, ma questo è stato per una residua parte della popolazione mondiale, e comunque nel breve termine.

E che dire dei diritti e delle libertà, da sempre cavalli di battaglia del capitalismo? Siamo nel periodo fiorente della universalizzazione delle libertà, iniziato con la Rivoluzione Francese, cui il capitalismo (mi rifaccio sempre alle parole del sociologo Wallerstein) ha avuto il “merito” di averne promosso l’espansione. A parte che esportare la democrazia con la forza non fa parte, per così dire, di un gran concetto democratico della questione, e dunque non credo per nulla nella religione dei diritti esportati – ogni Nazione ha il dovere di rifilarsi la storia da se’, senza bisogno dei monopolisti della morale -, ma che pensare, tuttavia, al fatto che i diritti umani siano dolorosamente assenti nelle prassi reali del mondo? Ancora oggi, e soprattutto oggi, si combatte in Occidente per i propri diritti, che tendono ad essere ancora idealizzati e non realizzati, e comunque sia l’impressione è che siano maggiormente riconosciuti in alcune zone del sistema-mondo piuttosto che in altre, quasi come se alcuni non possano beneficiarne (Amnesty International non incontra difficoltà nello stilare lunghi elenchi di violazione di diritti in ogni parte del mondo). L’ipotesi, quasi sotto gli occhi di tutti, è che i diritti sembrano essere sacrosanti soltanto quando a goderne sono le zone centrali del sistema-mondo – ovvero quelle zone in cui il capitalismo si è sviluppato, come l’Occidente -, mentre le zone periferiche – i territori che il capitalismo l’hanno subito -, proprio in quanto tali, non hanno gli stessi diritti. Con ciò, in conclusione, non si vuole far credere che il capitalismo sia il “peggiore dei mondi possibili”: questo sistema storico si è offerto, anche prepotentemente, non a una parte della popolazione-mondo, ma al suo intero sistema, lasciando però a goderne soltanto una residua parte dello stesso.

di Marcello Frigeri

06 marzo 2012

Me ne frego!







Il Presidente (di sempre meno italiani) Giorgio Napolitano, dopo essere stato l’uomo chiave nell’ambito del golpe bancario che ha portato Mario Monti sullo scranno della presidenza del Consiglio, continua a collezionare senza alcun pudore figuracce di ogni sorta, muovendosi in giro per l’Italia scortato da un’armata di poliziotti grande come usata da Obama durante una visita in Afghanistan. Con la differenza che il Giorgio nazionale non si trova all’estero in paese occupato, bensì in patria (occupata pure quella), dove non è mai accaduto che un Presidente della Repubblica dovesse muoversi con l’ausilio di un esercito che lo protegga.
Dopo le pesanti (ma sempre troppo civili) contestazioni subite in Sardegna, Napolitano ha ritenuto giusto dare sfoggio del suo “eccentrico” senso della democrazia anche in Piemonte, dove venendo in visita a Torino si è categoricamente rifiutato di ricevere in visita una delegazione dei sindaci contrari al TAV Torino – Lione……

che avevano domandato di poter conferire con lui, adducendo come scusa del suo gesto il fatto che le questioni tecniche (come il TAV) non sono affari di sua competenza.
Una scusa assolutamente priva di fondamento (oltre che di dignità), dal momento che la questione TAV che ha monopolizzato nelle ultime settimane le prime pagine dei giornali, travalica di gran lunga qualsivoglia dimensione tecnica, dopo avere assunto un carattere economi co e sociale di portata nazionale.

E’ singolare il fatto che un Presidente della Repubblica, garante della costituzione e deputato a rappresentare tutti gli italiani, pur non essendo stato eletto dai cittadini, rifiuti categoricamente il confronto con un gruppo di sindaci che intendono portare alla sua presenza le ragioni dei cittadini che li hanno eletti. E preferisca liquidare la questione pronunciando qualche slogan a pappagallo e trincerandosi dietro un “non mi compete”.

Se ascoltare l’opinione degli uomini dello stato, eletti per rappresentare i cittadini a livello locale (non di un manipolo di black blok) non sarebbe competenza del Presidente della Repubblica, è lecito domandarsi quali possano essere le reali competenze di Napolitano e se esse si limitino a nominare senatori a vita i banchieri di Goldman Sachs e presiedere ad inaugurazioni e festicciole assortite, dove pronunciare slogan buoni per la TV. Mobilitando nel corso dei propri spostamenti una “macchina da guerra” forte di migliaia di uomini, pagata dal popolo italiano al quale Napolitano e le banche continuano a domandare lacrime e sangue.

Per evitare di prendere sul capo qualche insulto e qualche pomodoro, non è necessario far pagare agli italiani il costo di un esercito, ogni volta che l’altissimo intende fare qualche spostamento.
Sarebbe sufficiente adempiere al proprio dovere, dimostrando di sapere perlomeno ascoltare quello che i cittadini hanno da dire. Parole pacate, per carità, magari portate dagli uomini politici che essi hanno votato per rappresentarli, magari nel momento che sua signoria trova più comodo, magari senza che la cosa gli porti via troppo del suo tempo prezioso.

Colui che rifiuta di ascoltare la voce del popolo e per tutta risposta mette fra sé ed i cittadini, blindati, scudi e manganelli, generalmente non viene definito presidente, ma in altra maniera. Una veste nella quale Napolitano in tutta evidenza dimostra di trovarsi completamente a proprio agio.
In Val di Susa nessun politico ha mai ritenuto doveroso dialogare con i cittadini, preferendo demandare il dialogo ai manganelli ed ai lacrimogeni. Salvo poi stigmatizzare con ipocrisia i cittadini stessi come violenti e facinorosi.
I lacrimogeni ed i manganelli sono interlocutori di poche parole, provate ad intavolare un discorso articolato e ve ne renderete conto ben presto, ragione per cui sarebbe gradito che Napolitano smettesse almeno di prodursi in filippiche aventi per oggetto lo stop alle violenze. Se la violenza lo disgusta davvero in profondità, provi a cambiare gli interlocutori, perché tutto quanto accade nel paese è di sua competenza e non dovrebbero esistere italiani figli di un dio minore ai quali sputare in faccia con
sufficienza.
di Marco Cedolin

08 marzo 2012

Clementina Forleo vittima di una congiura?





http://www.antoniodipietro.com/immagini2/clementina_forleo_milano.jpg

La complessa vicenda del giudice Clementina Forleo assume contorni oscuri e meritevoli di grande attenzione. Le ultime tappe della storia la vedono in veste di gip di Milano occuparsi dell'inchiesta “Antonveneta” e delle scalate bancarie dei "Furbetti del quartierino". Nel 2008 il CSM la trasferì a Cremona per incompatibilità “ambientale” in quanto ritenne le sue dichiarazioni, ad Annozero sui “poteri forti”, lesive del decoro dell'ordine giudiziario. Prima il TAR del Lazio e poi il Consiglio di Stato, però, annullarono quel provvedimento costringendo il CSM a reintegrarla a Milano.
Ma c'è un elemento molto inquietante ancora poco esplorato: il sospetto di un complotto.

L'accusa proviene dal giudice Guido Salvini, magistrato fortemente impegnato sui temi della giustizia, che, per ragioni di indipendenza personale, non aderisce al alcuna corrente organizzata della magistratura. Un professionista serio che si è occupato di vicende molto delicate: dalle inchieste sul terrorismo alla strage di piazza Fontana, da Gladio ai casi Parmalat e EniPower, dalle nuove Brigate Rosse allo scandalo Telecom-Sismi fino all'attuale inchiesta su Calciopoli. E' stato consulente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’occultamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste (il cosiddetto Armadio della Vergogna) e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia.

Il 19 giugno 2011, il dott Salvini inviò una email, sulla mailing list di Magistratura Indipendente, affermando di essere stato “testimone diretto dello sviluppo dell’azione ambientale contro la collega (Clementina Forleo)” dato che all’epoca era anche lui GIP presso il Tribunale di Milano e di “aver assistito a scene desolanti quali l’indizione con passa parola di riunioni pomeridiane in alcune stanze per discutere la strategia contro la collega, guidate dai maggiorenti dell’ufficio tra cui un paio di colleghi Verdi più rancorosi di tutti, come spesso accade, anche se del tutto estranei al caso”. Il dott. Salvini aggiunse di essersi dissociato da tali iniziative che gli ricordavano le “Giornate dell’odio” descritte da George Orwell nel romanzo “1984” e commentò la vicenda affermando che “non ci si comporta così tra magistrati ed è facile e privo di rischi accerchiare una persona in un ufficio e magari in questo modo anche portarla a sbagliare, visto anche il carattere poco diplomatico della vittima”.

Parole agghiaccianti che delineano scenari ai limiti dell'eversione. Se tali fatti fossero accertati, infatti, saremmo di fronte ad una congiura di magistrati che ordiscono trame tendenti a far mutare la composizione degli uffici giudiziari. Un duro attacco all'amministrazione della Giustizia repubblicana.

Il Comitato di Presidenza del CSM (di cui fa parte di diritto il Procuratore Generale della Cassazione) e l'attuale ministro della Giustizia sono stati messi al corrente della vicenda direttamente dalla Dott.ssa Forleo. La politica sulla vicenda tace. La stampa sonnecchia. Nessuno si strappa le vesti. Lancio un appello ai politici ed ai media: accendete i riflettori su questa vicenda. Mi rivolgo, in particolar modo, ai parlamentari "culturalmente" più sensibili al tema: i magistrati vanno difesi dagli attacchi della mafia, dalla delegittimazione dei politici ma anche dalle congiure di palazzo. Sempre. Tutelarli significa difendere la democrazia.

Sono trascorsi otto mesi.

Il CSM non ha ancora convocato il dott. Salvini. Cosa aspetta?

Gli italiani vogliono sapere.

Stay tuned!

di Gaetano Montalbano

07 marzo 2012

L'autunno freddo del capitalismo storico





http://3.bp.blogspot.com/_B5-Uu5SHVn4/SSf5oaDYlxI/AAAAAAAABMA/avQGx_0KyK0/s320/Albero+a+forma+di+Pianeta+Terra.jpg

Al progredire dell’ennesima crisi economica, si fa sempre più spazio l’idea che la società odierna, per come la conosciamo, abbia raggiunto l’autunno della sua esistenza. Quasi senza accorgercene siamo entrati in una fase storica di transizione dal capitalismo – l’attuale sistema storico che, come tutti i sistemi storici ha avuto un inizio e, di conseguenza, avrà anche una fine – ad un nuovo sistema delle società. Ma la questione, oggi, non è tanto sapere cosa avverrà dopo – prevedere il futuro, diceva Weber, è per demagoghi -, altresì interrogarsi su quanto è stato, e chiedersi com’è stato.
La nostra società, cui il sistema storico, come detto, è quello capitalista – l’accumulazione senza fine di capitale -, è stata definita la “società del progresso”, sottintendendo il fatto che nessun altro sistema storico precedente è stato migliore di questo. Infatti, a ben guardare, la teoria del processo evolutivo afferma una cosa ben chiara: il sistema che viene dopo è sempre migliore di quello precedente. Quindi oggi il capitalismo costituirebbe un progresso rispetto al feudalesimo, ed essendo l’ultimo sistema storico della serie, non potrebbe che essere il “migliore dei mondi possibili”. Ma è davvero così?

Non la possiamo fare soltanto una questione di crisi economica: pur non potendo parlare di “borse” e di “mercati”, di inflazione e di spread, infatti, anche 500 anni fa in Europa erano determinanti le crisi economiche. La differenza è che a causarle non era l’uomo, ma la natura: se per un anno andava male il raccolto perché faceva troppo freddo, o troppo caldo, la popolazione non mangiava, le riserve alimentari scarseggiavano, e di conseguenza si sviluppavano le crisi sociali. No, la nostra domanda non è rivolta a fattori esterni al nostro sistema storico, ma a quelli interni: come afferma Wallerstein – e come lui diversi altri grandi politologi e storici del nostro tempo – il capitalismo ha millantato, fin dalla sua nascita, migliori condizioni di vita per gli individui, maggior ricchezza collettiva, maggior attenzione per i diritti umani e maggior libertà rispetto ai sistemi storici precedenti – sotto al capitalismo, infatti, si è sviluppata la democrazia, che per dirla alla Wallerstein sarebbe la massimizzazione della partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli sulla base dell’eguaglianza -. Promesse che, tuttavia, non poteva promettere, o quantomeno non a tutti.
Prima dell’avvento del capitalismo il divario tra ricchi e poveri, almeno materialmente, era di gran lunga maggiore rispetto ad oggi, ed il povero – ad esempio il contadino dell’Ancien Regime – viveva in condizioni di vita miserrime, mentre il ricco godeva dello sfarzo della sua incommensurabile ricchezza. Oggi questo squarcio tra ricco e povero pensiamo di averlo appiattito, e di aver diminuito drasticamente la disuguaglianza esistente al tempo del feudalesimo. In parte è vero, ma fondamentalmente è falso. Tendiamo infatti a considerare il nostro stile di vita un modello universalmente unico, per cui crediamo che gli agi di cui godiamo siano disponibili e accessibili a tutti. In realtà nel periodo capitalista ciò che abbiamo appiattito, come afferma Wallerstein, è il divario tra l’1% dei ricchi mondiali con il 15% della cosiddetta popolazione del ceto medio. La restante popolazione, l’84%, è stata resa dal capitalismo miserrima, e forse ancor più miserrima di quanto lo fosse il povero dell’Ancien Regime. Il fatto è che, tirando le somme, non consideriamo mai il capitalismo in termini globali, cioè valido per tutto il mondo. In quanto occidentali, viviamo tra quel 15% della popolazione mondiale, e tendiamo a tener presente solamente la nostra condizione di vita. In più il ricco odierno è potenzialmente di gran lunga più ricco del nobile dell’Ancien Regime, per il fatto che la ricchezza, un tempo, si misurava in possedimenti terrieri, mentre oggi in quantità di denaro. E si sa: la terra ha dei limiti fisici, l’accumulazione di denaro no. Dunque è vero che il capitalismo ha offerto maggior ricchezza rispetto ai sistemi passati? In parte sì, ma per la gran parte della popolazione è vero il contrario.

E che dire sul miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo? Nell’era premoderna il problema principale dell’umanità era la carestia, dovuta ai cambiamenti climatici che, come detto, annualmente colpivano la produzione di alimenti. Oggi, senza dubbio, i perfezionamenti tecnologici hanno protetto le zone del mondo dai capricci climatici, mentre i collegamenti stradali, navali e aerei hanno permesso agli alimenti di viaggiare più velocemente, di conseguenza di arrivare all’uomo con maggiore quantità e in minor tempo. Ma tuttavia ancora oggi si muore di fame. È incredibile come la Coca cola, infatti, arrivi negli angoli più remoti del mondo, come nei villaggi del Congo, dove ancora la mortalità è alta per mancanza di cibo. Vien da pensare, quasi spontaneamente, che in Africa si muoia di fame da sempre come se il problema, anziché esterno, derivasse da una peculiarità del territorio. Bisognerebbe invece avere il coraggio di dire che il dramma della fame in Africa è reale da quando gli europei lo hanno considerato un territorio depredabile. Il capitalismo ha prima reso miserrimi gli africani per poi tender loro la mano.
Ma poi, anche se nel medio termine le condizioni di vita dell’uomo fossero anche migliorate – considerando solo alcune zone del mondo -, che dire del lungo termine? A quale prezzo? Ad oggi, a quanto so, non siamo del tutto in grado di valutare il danno causato dal disboscamento delle foreste, dalla desertificazione delle savane e dall’inquinamento chimico-biologico, ma è a tutti noto che questi processi saranno un grave problema per l’umanità e la natura nel lungo periodo. Dunque è vero che il capitalismo ha offerto migliori condizioni di vita, ma questo è stato per una residua parte della popolazione mondiale, e comunque nel breve termine.

E che dire dei diritti e delle libertà, da sempre cavalli di battaglia del capitalismo? Siamo nel periodo fiorente della universalizzazione delle libertà, iniziato con la Rivoluzione Francese, cui il capitalismo (mi rifaccio sempre alle parole del sociologo Wallerstein) ha avuto il “merito” di averne promosso l’espansione. A parte che esportare la democrazia con la forza non fa parte, per così dire, di un gran concetto democratico della questione, e dunque non credo per nulla nella religione dei diritti esportati – ogni Nazione ha il dovere di rifilarsi la storia da se’, senza bisogno dei monopolisti della morale -, ma che pensare, tuttavia, al fatto che i diritti umani siano dolorosamente assenti nelle prassi reali del mondo? Ancora oggi, e soprattutto oggi, si combatte in Occidente per i propri diritti, che tendono ad essere ancora idealizzati e non realizzati, e comunque sia l’impressione è che siano maggiormente riconosciuti in alcune zone del sistema-mondo piuttosto che in altre, quasi come se alcuni non possano beneficiarne (Amnesty International non incontra difficoltà nello stilare lunghi elenchi di violazione di diritti in ogni parte del mondo). L’ipotesi, quasi sotto gli occhi di tutti, è che i diritti sembrano essere sacrosanti soltanto quando a goderne sono le zone centrali del sistema-mondo – ovvero quelle zone in cui il capitalismo si è sviluppato, come l’Occidente -, mentre le zone periferiche – i territori che il capitalismo l’hanno subito -, proprio in quanto tali, non hanno gli stessi diritti. Con ciò, in conclusione, non si vuole far credere che il capitalismo sia il “peggiore dei mondi possibili”: questo sistema storico si è offerto, anche prepotentemente, non a una parte della popolazione-mondo, ma al suo intero sistema, lasciando però a goderne soltanto una residua parte dello stesso.

di Marcello Frigeri

06 marzo 2012

Me ne frego!







Il Presidente (di sempre meno italiani) Giorgio Napolitano, dopo essere stato l’uomo chiave nell’ambito del golpe bancario che ha portato Mario Monti sullo scranno della presidenza del Consiglio, continua a collezionare senza alcun pudore figuracce di ogni sorta, muovendosi in giro per l’Italia scortato da un’armata di poliziotti grande come usata da Obama durante una visita in Afghanistan. Con la differenza che il Giorgio nazionale non si trova all’estero in paese occupato, bensì in patria (occupata pure quella), dove non è mai accaduto che un Presidente della Repubblica dovesse muoversi con l’ausilio di un esercito che lo protegga.
Dopo le pesanti (ma sempre troppo civili) contestazioni subite in Sardegna, Napolitano ha ritenuto giusto dare sfoggio del suo “eccentrico” senso della democrazia anche in Piemonte, dove venendo in visita a Torino si è categoricamente rifiutato di ricevere in visita una delegazione dei sindaci contrari al TAV Torino – Lione……

che avevano domandato di poter conferire con lui, adducendo come scusa del suo gesto il fatto che le questioni tecniche (come il TAV) non sono affari di sua competenza.
Una scusa assolutamente priva di fondamento (oltre che di dignità), dal momento che la questione TAV che ha monopolizzato nelle ultime settimane le prime pagine dei giornali, travalica di gran lunga qualsivoglia dimensione tecnica, dopo avere assunto un carattere economi co e sociale di portata nazionale.

E’ singolare il fatto che un Presidente della Repubblica, garante della costituzione e deputato a rappresentare tutti gli italiani, pur non essendo stato eletto dai cittadini, rifiuti categoricamente il confronto con un gruppo di sindaci che intendono portare alla sua presenza le ragioni dei cittadini che li hanno eletti. E preferisca liquidare la questione pronunciando qualche slogan a pappagallo e trincerandosi dietro un “non mi compete”.

Se ascoltare l’opinione degli uomini dello stato, eletti per rappresentare i cittadini a livello locale (non di un manipolo di black blok) non sarebbe competenza del Presidente della Repubblica, è lecito domandarsi quali possano essere le reali competenze di Napolitano e se esse si limitino a nominare senatori a vita i banchieri di Goldman Sachs e presiedere ad inaugurazioni e festicciole assortite, dove pronunciare slogan buoni per la TV. Mobilitando nel corso dei propri spostamenti una “macchina da guerra” forte di migliaia di uomini, pagata dal popolo italiano al quale Napolitano e le banche continuano a domandare lacrime e sangue.

Per evitare di prendere sul capo qualche insulto e qualche pomodoro, non è necessario far pagare agli italiani il costo di un esercito, ogni volta che l’altissimo intende fare qualche spostamento.
Sarebbe sufficiente adempiere al proprio dovere, dimostrando di sapere perlomeno ascoltare quello che i cittadini hanno da dire. Parole pacate, per carità, magari portate dagli uomini politici che essi hanno votato per rappresentarli, magari nel momento che sua signoria trova più comodo, magari senza che la cosa gli porti via troppo del suo tempo prezioso.

Colui che rifiuta di ascoltare la voce del popolo e per tutta risposta mette fra sé ed i cittadini, blindati, scudi e manganelli, generalmente non viene definito presidente, ma in altra maniera. Una veste nella quale Napolitano in tutta evidenza dimostra di trovarsi completamente a proprio agio.
In Val di Susa nessun politico ha mai ritenuto doveroso dialogare con i cittadini, preferendo demandare il dialogo ai manganelli ed ai lacrimogeni. Salvo poi stigmatizzare con ipocrisia i cittadini stessi come violenti e facinorosi.
I lacrimogeni ed i manganelli sono interlocutori di poche parole, provate ad intavolare un discorso articolato e ve ne renderete conto ben presto, ragione per cui sarebbe gradito che Napolitano smettesse almeno di prodursi in filippiche aventi per oggetto lo stop alle violenze. Se la violenza lo disgusta davvero in profondità, provi a cambiare gli interlocutori, perché tutto quanto accade nel paese è di sua competenza e non dovrebbero esistere italiani figli di un dio minore ai quali sputare in faccia con
sufficienza.
di Marco Cedolin