Prendendo parte ai lavori del Forum Sociale Tematico di Porto Alegre, l’ex vice-cancelliere di Lula e Alto Rappresentante del Mercosur ha precisato le differenze fra il concetto di “commercio” e quello di “integrazione”, ha presentato una panoramica sul mondo e parlato delle contraddizioni in seno allo stesso.
Conclusa la carriera ad Itamaraty, il Dicastero degli Esteri, Samuel Pinheiro Guimaraes – considerato uno dei maggiori intellettuali brasiliani – riveste da un anno la carica di Alto Rappresentante del Mercosur, su proposta di Lula e accettazione unanime di Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay.
- Non riveste un ruolo semplice, in qualità di responsabile del Mercosur…
No, sebbene la situazione sia molto diversa in diversi paesi e continenti. In Europa predominano programmi di aggiustamento finanziario e pressione molto forte sull’intera popolazione. Tutte le misure previste vanno a danno dei più poveri e dei lavoratori. Contemporaneamente assistiamo allo sbocco finale di questa fase: le banche soffrono danni consistenti. Hanno ricevuto risorse dai governi per acquistare titoli e i governi adesso aumentano le tasse, riducono gli aiuti sociali e modificano la regolamentazione del lavoro per far fronte ai debiti: il popolo si ritrova a dover pagare il conto di tutto questo. Banche e società di revisione hanno causato la crisi, l’hanno gonfiata e alla fine questa è esplosa. I governi vengono in soccorso delle banche e queste sicuramente migliorano la propria situazione. Infine, le banche che erogarono credito agli Stati, sapevano che questi non avrebbero potuto pagare e così vanno contro il popolo.
- Negli Stati Uniti succede la stessa cosa?
Lì la situazione è un po’ diversa. C’è una certa enfasi sulla questione dell’aumento dell’occupazione, però vi è stata una forte virata a destra. Il governo vuole aumentare le imposte per i più ricchi e viene accusato di “comunismo”; le banche sono state salvate ma in ogni caso non si risparmiano attacchi ad Obama. Allo stesso modo, essendovi indubbie necessità di aggiustamento fiscale, il governo probabilmente finirà per aumentare le imposte. La domanda è in che modo ciò avverrà: toccando le fasce di popolazione più ricche o quelle più disagiate?
- E in Asia e Cina?
La situazione qui è molto diversa. C’è grande preoccupazione per il rischio di drastica riduzione della crescita a causa del calo delle attività economiche negli Stati Uniti e in Europa. Non sono molto sicuro di quel che succederà ma i tassi di crescita saranno in ogni caso elevati. Pensavano che nel 2010 il tasso sarebbe stato dell’8% ed invece è stato del 10%.
- Quale sbocco avrà la crisi?
Il problema è il controllo politico, la sovranità politica di lungo periodo.
- Controllo di cosa?
La crisi riguarda le piccole e medie imprese. Quelle grandi stanno bene, mentre i lavoratori stanno male: gli anziani, i giovani e le imprese medie sono in difficoltà. Questa crisi è diversa da quella del ’29, quando il capitalismo aveva un carattere molto più marcatamente nazionale e il livello di globalizzazione finanziaria e produttiva era minore. La pressione sui governi per risolvere la crisi era maggiore di oggi e con “Occupy Wall Street” non è aumentata; bisogna dunque prendere provvedimenti. Il candidato alle presidenziali Mitt Romney ha versato meno del 15% di imposte a fronte del 30% da parte della sua segretaria. Il ritardo nel risolvere la crisi è preoccupante e l’instabilità è dietro l’angolo. Per fortuna oggi non c’è modo per arrivare ad una guerra come la Seconda Guerra Mondiale, però bisogna stare in allerta a causa del rischio di nuove guerre locali.
- Il Sudamerica però non è in crisi.
No, il problema per il Sudamerica è un altro: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
- La situazione al riguardo non è migliorata?
Poniamo la questione in altri termini: io sono meno ricco di un altro se questi possiede più di quel che ho io. Posso aumentare le mie ricchezze, ma questi può distanziarsi da me a sua volta con sue nuove acquisizioni. E’ positivo che 30 milioni di poveri hanno migliorato le proprie difficili condizioni. Però i super-ricchi in Brasile hanno rendite incredibili. Sto parlando di persone fisiche: le banche non esistono, esistono gli azionisti delle banche e i meccanismi di concentrazione.
- E lo Stato cosa fa?
Il governo cerca di realizzare meccanismi di riallocazione, come sussidi alle famiglie, borse di studio agli studenti, l’Assegnazione Universale per Figli in Argentina. E tutto ciò è positivo. La fonte dei problemi è la distribuzione di ricchezza, non del reddito. Però bisogna ricordare che gli Stati son creati dalle classi egemoni; anche le modalità di nomina dei giudici, per fare un esempio specifico, lo sono. I governi in generale sono dunque strumenti della classe egemone. Il Partito dei Lavoratori infatti, anche nel Congresso, e non solo nell’Esecutivo, ha preso solo una porzione di potere. Le classi conservatrici con il proprio peso interferiscono sui tentativi di redistribuzione e ciò avviene in tutti i campi.
- Più precisamente quali?
Qual è la base fondamentale di tutto ciò? Quello che il governo riscuote con le imposte. E quindi si intraprende una campagna per il recupero delle imposte. I grandi prestiti delle banche statali hanno i tassi di interesse più bassi. I ricchi vanno contro le politiche sociali pubbliche e quando queste vengono applicate, essi spingono comunque per privatizzarle e terziarizzarle. Le parlo di questa problematica perché si è andati molto avanti al riguardo. Lo sforzo è stato grande, anche per una resistenza conservatrice onnipresente, che si trascina da secoli.
- Come la crisi coinvolge i paesi del Mercosur?
Oggi i paesi del Mercosur soffrono impatti di diversa matrice. Una è quella cinese, altra quella degli Stati Uniti e della crisi europea. La Cina ha è caratterizzata da enorme domanda di prodotti agricoli e minerari e ciò influenza i quattro paesi dell’Organizzazione. Ciò, da un lato, genera introiti molto interessanti; Dall’altro però la Cina è una fornitrice di prodotti manifatturieri a basso costo, la qual cosa tocca le strutture industriali ed il funzionamento del Mercosur in relazione al commercio interno. Diminuiscono gli incentivi agli investimenti industriali: se lei è un investitore, non investe il suo denaro mettendo su una fabbrica per venderne i prodotti in Cina; piuttosto investirà in terre o miniere per vendere ai cinesi materie prime.
Una relazione necessaria e a tratti contraddittoria…
Il punto è come trasformare le relazioni con la Cina di modo che i cinesi finiscano per contribuire al nostro sviluppo industriale. La popolazione è largamente urbanizzata e bisogna mantenere uno sviluppo urbano, l’agricoltura impiega sempre meno lavoratori perché è organizzata su larga scala. Stesso discorso per il settore minerario. Inoltre, i paesi soffrono le fluttuazioni di prezzo per le materie prime. Bisogna trarre vantaggio dall’esportazione di queste risorse, ma non possiamo pensare di vivere indefinitamente di queste soltanto.
Esiste da ormai un anno la valuta virtuale jefe del Mercosur. Il risultato la soddisfa?
Mi lasci ricordare alcuni punti. Il Mercosur è nato nel 1991 dall’impulso di governi neoliberali. I firmatari del Trattato di Asunción furono Carlos Menem, Fernando Collor, Andrés Rodríguez e Luis Lacalle, presidenti di governi tipicamente neoliberali, che concepivano l’integrazione regionale come strumentale ad una integrazione nell’intero globo. Ma questo non può essere: il regionalismo aperto è come un matrimonio aperto. E’ un controsenso, perché gli accordi di libero commercio con terzi distruggerebbe il Mercosur a causa dell’annullamento dei dazi. Perciò bisogna trasformare l’Organizzazione in uno strumento di sviluppo industriale dei quattro paesi. In qualsiasi sistema di integrazione i paesi maggiori traggono i maggiori benefici, però devono esserci meccanismi di compensazione in favore dei paesi minori, soprattutto mediante infrastrutture. L’attuale visione del Mercosur, tuttavia, si basa sul libero commercio e tale visione cozza con alcuni esempi in seno a questa stessa realtà. Il 40% del commercio fra Brasile ed Argentina riguarda veicoli motorizzati, ma non si tratta di un interscambio sorto dal libero commercio il quale avverrebbe per mezzo di multinazionali invece che di imprese nazionali. Con la libertà commerciale e senza accordi, chissà che la industria automobilistica non si sarebbe infine concentrata in un solo paese. Abbandonare questa visione, perciò, è urgente e ancor più in vista dell’aggressività commerciale cinese. Il libero commercio non porta allo sviluppo; porta alla disintegrazione.
Da dove si dovrebbe cominciare?
Convincendo i paesi maggiori. Il fondo di compensazione che esiste oggi è un passo ancora troppo breve. Il Mercosur è come un’automobile impantanatasi: Il guidatore accelera, il fango schizza in tutte le direzioni ma l’auto non si muove. Che fare? I passeggeri più forti dovrebbero scendere dall’auto e spingere. Ci troviamo in questa situazione. Se non agiamo così, potremo fare molte riunioni ma non risolveremo nulla. Allo stesso tempo, devo dire che il commercio si è espanso, vi sono molti investimenti, soprattutto dai paesi maggiori. Ma stiamo parlando di commercio, l’integrazione è ben altra cosa.
Lei è ambasciatore, è stato ministro di Lula e vicecancelliere. Come è giunto a simili ruoli?
(Ride) Una spiegazione che infastidirà i diplomatici: mio nonno ebbe lo stesso ruolo.
C’è un’altra spiegazione?
Bene, nella famiglia di mia madre c’erano diversi imprenditori. Dal lato paterno della famiglia, erano politici abolizionisti e repubblicani. Ma uno nella vita ha a che fare con ogni tipo di contraddizione: frequentai un collegio d’élite, il Collegio dei Gesuiti Sant’Ingnazio di Rio, e al tempo stesso giocavo a calcio con ragazzi delle favelas. Cominciai a guardare con attenzione a quel che avevo e a quel che ero; fu il mio contatto con la diversità. Mio padre simpatizzava per Gétulio Vargas e Juscelino Kubitschek. Era anticlericale ed ateo e mi fece andare in un collegio di gesuiti. Ero in mezzo alle contraddizioni; non è vero, d’aaltronde, che il mondo è molto complesso? Ero all’università a studiare diritto nel 1958, uno dei periodi più politicizzati nella vita del Brasile. Entrai nella politica studentesca all’epoca in cui il paese seguiva una politica estera indipendente. E nel 1961 sono entrato a Palazzo Itamaraty, al Ministero degli Esteri.
Qual è la sua maggiore fonte d’orgoglio come vicecancelliere di Lula?
Prima di Lula mi ero già dedicato alla lotta contro l’ALCA. Ottenemmo nel 2005 che i paesi più importanti del Sudamerica non formassero un’area di libero commercio di tutta l’America. Ricordo anche la battaglia, proprio in Brasile, contro gli accordi di protezione degli investimenti. Ancora oggi l’Argentina soffre parecchio questi accordi firmati da Menem. Il nostro Ministero delle Finanze, guidato dal signor Antonio Palocci, lo desiderava; io no. E La mia amicizia con Celso Amorim, allora Cancelliere, giocò un ruolo importante nel rifiuto di adesione. Demmo molta enfasi alla cosa in America del Sud. Vi fu una direttiva del presidente Lula, però priva d’esecuzione. Vi provvedemmo. Aumentiamo del 30% la dotazione delle nostre ambasciate, obblighiamo tutti i diplomatici ad avere come prima destinazione un’ambasciata in America del Sud. Non in America Latina, in America del Sud. E’ un modo pratico per comprendere le realtà e le asimmetrie. E, bene, qui trova spazio lo scambio di pensiero. Già nel ’75 scrissi dell’importanza di rompere con il colonialismo portoghese e con l’Africa del Sud. Quando uno studia le cose, comincia a comprenderle un po’ meglio, non è vero?
di Martin Granovsky
(Traduzione di Giacomo Guarini)
23 marzo 2012
22 marzo 2012
Intoccabili
Con estrema ingenuità eravamo convinti che l’acme del grottesco fosse stato raggiunto ieri sera. Quando l’usuraio Mario Monti e il suo delfino lacrima Fornero sono stati omaggiati dalla Torino “che conta”, costituita dal PD e dalla"famiglia Fiat", unitamente ai guitti da cortile modello Littizzetto e ad altro bestiario politico di minoranza. Mentre in un centro blindato stile G8, il resto dei torinesi che non contano nulla, venivano tenuti lontani tramite le transenne ed un nutrito manipolo di poliziotti in tenuta antisommossa. Lontani dall’egoarca e dal suo ministro, che dopo avere cenato al “Cambio” in salsa chic, sono stati ospitati al teatro Regio, dove (dicono i giornali) tutta la città dentro le transenne avrebbe tributato loro una lunga ovazione per il"lavoro" di demolizione svolto fino ad oggi nel paese.
L’elite tecno finanziaria, con il proprio codazzo di camerieri politici e consorteria assortita dentro, impegnati a celebrare sé stessi in una cerimonia autoreferenziale, e tutto il resto del mondo fuori, senza alcun diritto, ma con il dovere di mantenerne economicamente di tasca propria i fasti principeschi. Una commedia dell’assurdo che risale alla notte dei tempi ed è oggi più attuale che mai.
Ma in tutta evidenza il grottesco non conosce limite, dal momento che in un’Ansa di oggi si può apprendere come un ragazzo sia stato fermato dalla polizia e poi denunciato, per avere rivolto degli insulti a lacrima Fornero, durante la visita fatta dalla stessa alle OGR, dove ha presenziato all’inaugurazione della mostra dedicata ai 150 anni dell’unità d’Italia, prima di recarsi al Cambio per rifocillarsi dopo l’improba fatica…..
In un paese dove i ministri del governo precedente e di quelli precedenti ancora (compresi i presidenti del Consiglio) sono sempre stati sistematicamente insultati in TV e sui giornali, con una variegata quantità di epiteti che spaziava dal “mortadella” allo “psiconano”, passando attraverso dracula, gli scheletri e le gobbe, solamente i “tecnici” al servizio della BCE assurgono allo status di intoccabili, inavvicinabili, inguardabili e assolutamente da non criticare.
E’ un segno dello stato di polizia nel quale stiamo precipitando, il fatto che un giovane venga fermato, intimidito e denunciato, per avere osato esprimere tutto il proprio entusiasmo nei confronti di colei che gli ha negato il diritto ad andare un giorno in pensione e si sta prodigando per eliminare ogni prospettiva di trovare un posto di lavoro dignitoso.
Ma è un segno che in fondo non stupisce, proprio a Torino, dove magistrati compiacenti sono soliti incarcerare le donne incinta e le persone perbene, con la sola colpa di battersi contro la costruzione del TAV. E tenerceli dentro anche dei mesi, nonostante non esistano le motivazioni oggettive per farlo, salvo poi lagnarsi e piagnucolare per le (poche) contestazioni subite, al solo fine di pubblicizzare la vendita di libercoli che nessuno comprerebbe mai, se non per compiacenza e servilismo.
Non si possono guardare, non si possono toccare, non si può esternare loro il nostro pensiero. Sono i ministri del governo di occupazione, lavorano per le grandi banche, per la BCE e per la FED. Tutti dietro le transenne e in rigoroso silenzio, il primo che proferisce parola vola dritto in galera senza neanche passare dal via, siamo in democrazia, cosa vi credete?
di Marco Cedolin
L’elite tecno finanziaria, con il proprio codazzo di camerieri politici e consorteria assortita dentro, impegnati a celebrare sé stessi in una cerimonia autoreferenziale, e tutto il resto del mondo fuori, senza alcun diritto, ma con il dovere di mantenerne economicamente di tasca propria i fasti principeschi. Una commedia dell’assurdo che risale alla notte dei tempi ed è oggi più attuale che mai.
Ma in tutta evidenza il grottesco non conosce limite, dal momento che in un’Ansa di oggi si può apprendere come un ragazzo sia stato fermato dalla polizia e poi denunciato, per avere rivolto degli insulti a lacrima Fornero, durante la visita fatta dalla stessa alle OGR, dove ha presenziato all’inaugurazione della mostra dedicata ai 150 anni dell’unità d’Italia, prima di recarsi al Cambio per rifocillarsi dopo l’improba fatica…..
In un paese dove i ministri del governo precedente e di quelli precedenti ancora (compresi i presidenti del Consiglio) sono sempre stati sistematicamente insultati in TV e sui giornali, con una variegata quantità di epiteti che spaziava dal “mortadella” allo “psiconano”, passando attraverso dracula, gli scheletri e le gobbe, solamente i “tecnici” al servizio della BCE assurgono allo status di intoccabili, inavvicinabili, inguardabili e assolutamente da non criticare.
E’ un segno dello stato di polizia nel quale stiamo precipitando, il fatto che un giovane venga fermato, intimidito e denunciato, per avere osato esprimere tutto il proprio entusiasmo nei confronti di colei che gli ha negato il diritto ad andare un giorno in pensione e si sta prodigando per eliminare ogni prospettiva di trovare un posto di lavoro dignitoso.
Ma è un segno che in fondo non stupisce, proprio a Torino, dove magistrati compiacenti sono soliti incarcerare le donne incinta e le persone perbene, con la sola colpa di battersi contro la costruzione del TAV. E tenerceli dentro anche dei mesi, nonostante non esistano le motivazioni oggettive per farlo, salvo poi lagnarsi e piagnucolare per le (poche) contestazioni subite, al solo fine di pubblicizzare la vendita di libercoli che nessuno comprerebbe mai, se non per compiacenza e servilismo.
Non si possono guardare, non si possono toccare, non si può esternare loro il nostro pensiero. Sono i ministri del governo di occupazione, lavorano per le grandi banche, per la BCE e per la FED. Tutti dietro le transenne e in rigoroso silenzio, il primo che proferisce parola vola dritto in galera senza neanche passare dal via, siamo in democrazia, cosa vi credete?
di Marco Cedolin
21 marzo 2012
Monti, lo stalinista americano che devasterà gli italiani
I colpi di Stato? Oggi non si fanno più coi carri armati, ma con un’abile gestione extraparlamentare di magistrati, giornalisti ed economisti. «È il post-moderno, bellezza!», ironizza il filosofo Costanzo Preve, che denuncia due golpe: «Quello di Monti del 2011 non è il primo ma il secondo, dopo quello di Mani Pulite del 1992», un “colpo di stato giudiziario” per abbattere il sistema partitico della Prima Repubblica, «non certo più corrotto di quello venuto dopo, ma pur sempre garante di un certo assistenzialismo sociale e di una sovranità monetaria dello Stato nazionale, sia pure all’interno dello schieramento post-bellico americano». Stavolta non c’è stato neppure bisogno di manette: «Sono bastati i mercati internazionali e soprattutto la regia di Napolitano, il rinnegato ex-comunista passato al servizio degli americani».
Già nel ’92, aggiunge Preve nel suo dialogo con Luigi Tedeschi sulla “mutazione antropologica degli italiani” pubblicato da Arianna editrice e Stalinripreso da “Megachip”, era stato decisivo l’ex Pci nell’assestare il “colpo di Stato giudiziario extraparlamentare”, Stessi attori, sempre in prima linea: «Allora per odio verso Craxi, oggi per odio verso Berlusconi, entrambi già largamente indeboliti e delegittimati da asfissianti campagne di stampa». Orfani di Berlinguer, quelli che Preve chiama “rinnegati” si trovavano «improvvisamente privi di qualunque legittimazione storico-politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa politologica». I seguaci identitari «furono prima fanatizzati contro Craxi (il corrottone, il porcone, il maialone), e poi contro Berlusconi (il nano di Arcore, il puttaniere, il crapulone)». L’eterogenesi dei fini, segnalata da Vico, si è sposata con l’astuzia della ragione storica teorizzata da Hegel.
«La politica non è stata sconfitta solo nel 2011, perché era già stata sconfitta nel 1992», aggiunge Preve. Inoltre, l’Italia nel 2011 non è stata sconfitta solo una volta, ma due: la prima volta in Libia, dove «è stata costretta dalla Nato a fare una guerra contro i più elementari interessi nazionali ed economici, con barbarico linciaggio finale del nazionalista panarabo nasseriano Gheddafi, trasformato in feroce dittatore dai gestori simbolici monopolisti dei cosiddetti “diritti umani”». La seconda volta appunto a Roma, con il commissariamento diretto del suo governo. Destra e sinistra? Ormai sono solo «segnali stradali e simboli di costume extra-politico». Esempio: «La sinistra vota il transessuale Luxuria, mentre la destra non lo voterebbe Norberto Bobbiomai». Dicotomia ormai inesistente, eppure «continuamente reimposta, per motivi di tifo sportivo, dal ceto intellettuale».
Pura manipolazione simbolica, dice Preve, dotata di un potere inerziale ancora forte anche se non più fondato sulla realtà. «Quando Bobbio difese la dicotomia, sostenendo che la sinistra era egualitaria e la destra anti-egualitaria, descriveva uno scenario sorpassato, perché questo scenario presupponeva la sovranità monetaria dello Stato nazionale e delle scelte politiche alternative di redistribuzione dal reddito». Ora questo scenario non esiste più. Ad al suo posto, ci sono solo «questioni di gusto estetico e di snobismo culturale». La classe politica ? «Si è allineata a Monti non per responsabilità, ma proprio per il suo contrario, per deresponsabilizzazione». I politici, «ricattati dalle polemiche contro la “casta” e inseguiti dalle plebi furiose per i loro privilegi alla mensa semigratuita di Montecitorio», si sono «consegnati ad una “giunta di economisti” per cercare di zittire, almeno provvisoriamente, il linciaggio mediatico».
Quello di Monti? Un ben strano liberalismo, perché il fondamento del liberalismo nella sua moderna forma liberaldemocratica è la volontà popolare espressa da un corpo elettorale sovrano, laddove il caso della Grecia, ma anche quello della giunta Monti, ci mostra l’esatto contrario. «Nel Medioevo c’erano i Re Taumaturghi. Ma oggi il medioevo è finito, e ci sono gli Economisti Taumaturghi». Il modello capitalistico di Smith ed il modello comunista di Marx, ricorda Preve, avrebbero entrambi dovuto funzionare senza Stato, o con uno “Stato minimo” tendente verso lo zero. «Pura utopia modellistica astratta». In realtà, il comunismo di Marx nel ‘900 «funzionò unicamente con lo Stato, anzi con uno stato autoritario di partito monopolista del potere, dell’economia e della cultura». Idem il Adam Smithcapitalismo di Locke e di Smith: «Funzionò unicamente incrementando il dirigismo statale al servizio dell’accumulazione capitalistica».
Poteva andare diversamente? No, perché «un mercato puro, senza intervento riequilibratore di un potere statale, getterebbe nella miseria più nera la stragrande maggioranza della popolazione». Finché sono ancora in funzione le solidarietà comunitarie pre-capitalistiche (famiglia, tribù), c’è ancora riparo, ma con la generalizzazione dell’individualismo anomico ci sarebbe solo la guerra di tutti contro tutti, come mostra il tragico esempio della Grecia di oggi. «E’ dunque del tutto triste, ma anche fisiologico, che al bel comunismo utopico ma inapplicabile di Marx succeda il comunismo autoritario ma “realistico” di Lenin e di Stalin. Ed è pertanto fisiologico che al capitalismo utopico di Locke e di Smith succeda il capitalismo oligarchico ma “realistico”, di Draghi e di Monti».
La «dittatura oligarchica dei mercati di Draghi e di Monti» è fuori dal liberismo che si studia nelle università: «Si tratta di uno scenario completamente nuovo, di un capitalismo assoluto o “speculativo”». Potremo difenderci da questa sorta di “stalinismo occidentale”? Non nel breve periodo, dice Preve: «Non possiamo aspettarci a breve termine un risveglio di coscienza e di conoscenza: troppo forti sono le forze inerziali della simulazione destra-sinistra, dell’identitarismo di partito di origine Pci, dell’antifascismo in assenza di fascismo e dell’anticomunismo in assenza di comunismo, oltre alle cantilene del politicamente corretto». Per il filosofo, «questa dittatura dei mercati è ancora relativamente nuova ed inedita, ed é normale che in questo momento domini la paura ed il ricatto del mancato pagamento dei salari e delle pensioni». La realtà? «Siamo appena all’inizio Monti e Obamadel “tempo di cottura” che la storia ci prepara: la ricetta vuole il suo tempo».
Monti coltiva un disegno pericoloso: «Vuole attuare un progetto di ingegneria antropologica tipica del fanatico liberista che è». Mettendosi consapevolmente sulla scia di chi ha definito i giovani “bamboccioni” e “sfigati”, e non vittime di un ignobile sistema di lavoro flessibile e precario, Monti vorrebbe una sorta di artificiale anglosassonizzazione forzata della figura storica dell’italiano. «Come tutti gli economisti professionali, egli è probabilmente del tutto ignaro di storia e di filosofia, che ha certamente abbandonato con la fine degli studi liceali» e quindi sembra non sapere che l’utopia dell’uomo “nuovo”, dell’uomo rinato, «non nasce affatto con l’ingegneria economica oligarchica neo-liberale e le sue ignobili porcherie sul “lavoro fisso noioso”, la cui oscenità raggiunge quella di chi mette un affamato in guardia contro i pericoli dell’obesità e del colesterolo».
Stalin fu un grande sostenitore della “creazione sovietica dell’uomo nuovo”: «Ne abbiamo visto le conseguenze a medio termine, poco più di mezzo secolo». Il progetto di “americanizzazione antropologica forzata dagli italiani”, iniziata sul piano del costume con la sconfitta militare del 1945 «addossata al solo fascismo», secondo Preve «solo ora, nel 2012, può realmente dispiegarsi senza ostacoli, con l’integrazione completa in questo progetto del ceto politico e del clero intellettuale, giornalistico ed universitario». Monti sembra “l’uomo dei tedeschi”, perché da essi mutua la politica recessiva e l’ossessione anti-keynesiana del pareggio del bilancio, Costanzo Prevema in realtà è “l’uomo degli americani”: «Si è creduto a lungo che una Europa unificata dall’euro potesse in prospettiva fare da contraltare strategico all’arroganza unipolare degli Usa, e con questo argomento l’unità europea fu “venduta” alla sinistra ed al suo variopinto circo intellettuale».
La tradizionale disattenzione degli italiani per la politica estera, «tipica di un paese privo di sovranità politica e militare», ha fatto sì che passassero praticamente inosservate le nomine dei nuovi ministri degli esteri e della difesa, «un diplomatico di carriera amico della Clinton ed un ammiraglio bombardatore in Afghanistan per conto della Nato». I due personaggi che hanno sostituito «i precedenti pittoreschi berlusconiani Frattini e La Russa», in realtà sono «servi degli Usa al cento per cento». Berlusconi? Non poteva certo piacere a Washington: non solo per il suo «stile di vita immorale di puttaniere, improponibile all’ipocrita puritanesimo Usa», ma soprattutto per i suoi “giri di valzer” con Gheddafi e con Putin, «fatti non certo per ragioni politiche o geopolitiche, ma per il vecchio fiuto del faccendiere e del venditore “chiavi in mano”». E ora, eccoci serviti. «Sono ottimista sulla nascita di anticorpi di resistenza – conclude Preve – ma ci vorrà sicuramente del tempo: probabilmente, molto più tempo di quello che resta alla nostra generazione».
di Giorgio Cattaneo
Già nel ’92, aggiunge Preve nel suo dialogo con Luigi Tedeschi sulla “mutazione antropologica degli italiani” pubblicato da Arianna editrice e Stalinripreso da “Megachip”, era stato decisivo l’ex Pci nell’assestare il “colpo di Stato giudiziario extraparlamentare”, Stessi attori, sempre in prima linea: «Allora per odio verso Craxi, oggi per odio verso Berlusconi, entrambi già largamente indeboliti e delegittimati da asfissianti campagne di stampa». Orfani di Berlinguer, quelli che Preve chiama “rinnegati” si trovavano «improvvisamente privi di qualunque legittimazione storico-politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa politologica». I seguaci identitari «furono prima fanatizzati contro Craxi (il corrottone, il porcone, il maialone), e poi contro Berlusconi (il nano di Arcore, il puttaniere, il crapulone)». L’eterogenesi dei fini, segnalata da Vico, si è sposata con l’astuzia della ragione storica teorizzata da Hegel.
«La politica non è stata sconfitta solo nel 2011, perché era già stata sconfitta nel 1992», aggiunge Preve. Inoltre, l’Italia nel 2011 non è stata sconfitta solo una volta, ma due: la prima volta in Libia, dove «è stata costretta dalla Nato a fare una guerra contro i più elementari interessi nazionali ed economici, con barbarico linciaggio finale del nazionalista panarabo nasseriano Gheddafi, trasformato in feroce dittatore dai gestori simbolici monopolisti dei cosiddetti “diritti umani”». La seconda volta appunto a Roma, con il commissariamento diretto del suo governo. Destra e sinistra? Ormai sono solo «segnali stradali e simboli di costume extra-politico». Esempio: «La sinistra vota il transessuale Luxuria, mentre la destra non lo voterebbe Norberto Bobbiomai». Dicotomia ormai inesistente, eppure «continuamente reimposta, per motivi di tifo sportivo, dal ceto intellettuale».
Pura manipolazione simbolica, dice Preve, dotata di un potere inerziale ancora forte anche se non più fondato sulla realtà. «Quando Bobbio difese la dicotomia, sostenendo che la sinistra era egualitaria e la destra anti-egualitaria, descriveva uno scenario sorpassato, perché questo scenario presupponeva la sovranità monetaria dello Stato nazionale e delle scelte politiche alternative di redistribuzione dal reddito». Ora questo scenario non esiste più. Ad al suo posto, ci sono solo «questioni di gusto estetico e di snobismo culturale». La classe politica ? «Si è allineata a Monti non per responsabilità, ma proprio per il suo contrario, per deresponsabilizzazione». I politici, «ricattati dalle polemiche contro la “casta” e inseguiti dalle plebi furiose per i loro privilegi alla mensa semigratuita di Montecitorio», si sono «consegnati ad una “giunta di economisti” per cercare di zittire, almeno provvisoriamente, il linciaggio mediatico».
Quello di Monti? Un ben strano liberalismo, perché il fondamento del liberalismo nella sua moderna forma liberaldemocratica è la volontà popolare espressa da un corpo elettorale sovrano, laddove il caso della Grecia, ma anche quello della giunta Monti, ci mostra l’esatto contrario. «Nel Medioevo c’erano i Re Taumaturghi. Ma oggi il medioevo è finito, e ci sono gli Economisti Taumaturghi». Il modello capitalistico di Smith ed il modello comunista di Marx, ricorda Preve, avrebbero entrambi dovuto funzionare senza Stato, o con uno “Stato minimo” tendente verso lo zero. «Pura utopia modellistica astratta». In realtà, il comunismo di Marx nel ‘900 «funzionò unicamente con lo Stato, anzi con uno stato autoritario di partito monopolista del potere, dell’economia e della cultura». Idem il Adam Smithcapitalismo di Locke e di Smith: «Funzionò unicamente incrementando il dirigismo statale al servizio dell’accumulazione capitalistica».
Poteva andare diversamente? No, perché «un mercato puro, senza intervento riequilibratore di un potere statale, getterebbe nella miseria più nera la stragrande maggioranza della popolazione». Finché sono ancora in funzione le solidarietà comunitarie pre-capitalistiche (famiglia, tribù), c’è ancora riparo, ma con la generalizzazione dell’individualismo anomico ci sarebbe solo la guerra di tutti contro tutti, come mostra il tragico esempio della Grecia di oggi. «E’ dunque del tutto triste, ma anche fisiologico, che al bel comunismo utopico ma inapplicabile di Marx succeda il comunismo autoritario ma “realistico” di Lenin e di Stalin. Ed è pertanto fisiologico che al capitalismo utopico di Locke e di Smith succeda il capitalismo oligarchico ma “realistico”, di Draghi e di Monti».
La «dittatura oligarchica dei mercati di Draghi e di Monti» è fuori dal liberismo che si studia nelle università: «Si tratta di uno scenario completamente nuovo, di un capitalismo assoluto o “speculativo”». Potremo difenderci da questa sorta di “stalinismo occidentale”? Non nel breve periodo, dice Preve: «Non possiamo aspettarci a breve termine un risveglio di coscienza e di conoscenza: troppo forti sono le forze inerziali della simulazione destra-sinistra, dell’identitarismo di partito di origine Pci, dell’antifascismo in assenza di fascismo e dell’anticomunismo in assenza di comunismo, oltre alle cantilene del politicamente corretto». Per il filosofo, «questa dittatura dei mercati è ancora relativamente nuova ed inedita, ed é normale che in questo momento domini la paura ed il ricatto del mancato pagamento dei salari e delle pensioni». La realtà? «Siamo appena all’inizio Monti e Obamadel “tempo di cottura” che la storia ci prepara: la ricetta vuole il suo tempo».
Monti coltiva un disegno pericoloso: «Vuole attuare un progetto di ingegneria antropologica tipica del fanatico liberista che è». Mettendosi consapevolmente sulla scia di chi ha definito i giovani “bamboccioni” e “sfigati”, e non vittime di un ignobile sistema di lavoro flessibile e precario, Monti vorrebbe una sorta di artificiale anglosassonizzazione forzata della figura storica dell’italiano. «Come tutti gli economisti professionali, egli è probabilmente del tutto ignaro di storia e di filosofia, che ha certamente abbandonato con la fine degli studi liceali» e quindi sembra non sapere che l’utopia dell’uomo “nuovo”, dell’uomo rinato, «non nasce affatto con l’ingegneria economica oligarchica neo-liberale e le sue ignobili porcherie sul “lavoro fisso noioso”, la cui oscenità raggiunge quella di chi mette un affamato in guardia contro i pericoli dell’obesità e del colesterolo».
Stalin fu un grande sostenitore della “creazione sovietica dell’uomo nuovo”: «Ne abbiamo visto le conseguenze a medio termine, poco più di mezzo secolo». Il progetto di “americanizzazione antropologica forzata dagli italiani”, iniziata sul piano del costume con la sconfitta militare del 1945 «addossata al solo fascismo», secondo Preve «solo ora, nel 2012, può realmente dispiegarsi senza ostacoli, con l’integrazione completa in questo progetto del ceto politico e del clero intellettuale, giornalistico ed universitario». Monti sembra “l’uomo dei tedeschi”, perché da essi mutua la politica recessiva e l’ossessione anti-keynesiana del pareggio del bilancio, Costanzo Prevema in realtà è “l’uomo degli americani”: «Si è creduto a lungo che una Europa unificata dall’euro potesse in prospettiva fare da contraltare strategico all’arroganza unipolare degli Usa, e con questo argomento l’unità europea fu “venduta” alla sinistra ed al suo variopinto circo intellettuale».
La tradizionale disattenzione degli italiani per la politica estera, «tipica di un paese privo di sovranità politica e militare», ha fatto sì che passassero praticamente inosservate le nomine dei nuovi ministri degli esteri e della difesa, «un diplomatico di carriera amico della Clinton ed un ammiraglio bombardatore in Afghanistan per conto della Nato». I due personaggi che hanno sostituito «i precedenti pittoreschi berlusconiani Frattini e La Russa», in realtà sono «servi degli Usa al cento per cento». Berlusconi? Non poteva certo piacere a Washington: non solo per il suo «stile di vita immorale di puttaniere, improponibile all’ipocrita puritanesimo Usa», ma soprattutto per i suoi “giri di valzer” con Gheddafi e con Putin, «fatti non certo per ragioni politiche o geopolitiche, ma per il vecchio fiuto del faccendiere e del venditore “chiavi in mano”». E ora, eccoci serviti. «Sono ottimista sulla nascita di anticorpi di resistenza – conclude Preve – ma ci vorrà sicuramente del tempo: probabilmente, molto più tempo di quello che resta alla nostra generazione».
di Giorgio Cattaneo
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23 marzo 2012
I ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri
Prendendo parte ai lavori del Forum Sociale Tematico di Porto Alegre, l’ex vice-cancelliere di Lula e Alto Rappresentante del Mercosur ha precisato le differenze fra il concetto di “commercio” e quello di “integrazione”, ha presentato una panoramica sul mondo e parlato delle contraddizioni in seno allo stesso.
Conclusa la carriera ad Itamaraty, il Dicastero degli Esteri, Samuel Pinheiro Guimaraes – considerato uno dei maggiori intellettuali brasiliani – riveste da un anno la carica di Alto Rappresentante del Mercosur, su proposta di Lula e accettazione unanime di Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay.
- Non riveste un ruolo semplice, in qualità di responsabile del Mercosur…
No, sebbene la situazione sia molto diversa in diversi paesi e continenti. In Europa predominano programmi di aggiustamento finanziario e pressione molto forte sull’intera popolazione. Tutte le misure previste vanno a danno dei più poveri e dei lavoratori. Contemporaneamente assistiamo allo sbocco finale di questa fase: le banche soffrono danni consistenti. Hanno ricevuto risorse dai governi per acquistare titoli e i governi adesso aumentano le tasse, riducono gli aiuti sociali e modificano la regolamentazione del lavoro per far fronte ai debiti: il popolo si ritrova a dover pagare il conto di tutto questo. Banche e società di revisione hanno causato la crisi, l’hanno gonfiata e alla fine questa è esplosa. I governi vengono in soccorso delle banche e queste sicuramente migliorano la propria situazione. Infine, le banche che erogarono credito agli Stati, sapevano che questi non avrebbero potuto pagare e così vanno contro il popolo.
- Negli Stati Uniti succede la stessa cosa?
Lì la situazione è un po’ diversa. C’è una certa enfasi sulla questione dell’aumento dell’occupazione, però vi è stata una forte virata a destra. Il governo vuole aumentare le imposte per i più ricchi e viene accusato di “comunismo”; le banche sono state salvate ma in ogni caso non si risparmiano attacchi ad Obama. Allo stesso modo, essendovi indubbie necessità di aggiustamento fiscale, il governo probabilmente finirà per aumentare le imposte. La domanda è in che modo ciò avverrà: toccando le fasce di popolazione più ricche o quelle più disagiate?
- E in Asia e Cina?
La situazione qui è molto diversa. C’è grande preoccupazione per il rischio di drastica riduzione della crescita a causa del calo delle attività economiche negli Stati Uniti e in Europa. Non sono molto sicuro di quel che succederà ma i tassi di crescita saranno in ogni caso elevati. Pensavano che nel 2010 il tasso sarebbe stato dell’8% ed invece è stato del 10%.
- Quale sbocco avrà la crisi?
Il problema è il controllo politico, la sovranità politica di lungo periodo.
- Controllo di cosa?
La crisi riguarda le piccole e medie imprese. Quelle grandi stanno bene, mentre i lavoratori stanno male: gli anziani, i giovani e le imprese medie sono in difficoltà. Questa crisi è diversa da quella del ’29, quando il capitalismo aveva un carattere molto più marcatamente nazionale e il livello di globalizzazione finanziaria e produttiva era minore. La pressione sui governi per risolvere la crisi era maggiore di oggi e con “Occupy Wall Street” non è aumentata; bisogna dunque prendere provvedimenti. Il candidato alle presidenziali Mitt Romney ha versato meno del 15% di imposte a fronte del 30% da parte della sua segretaria. Il ritardo nel risolvere la crisi è preoccupante e l’instabilità è dietro l’angolo. Per fortuna oggi non c’è modo per arrivare ad una guerra come la Seconda Guerra Mondiale, però bisogna stare in allerta a causa del rischio di nuove guerre locali.
- Il Sudamerica però non è in crisi.
No, il problema per il Sudamerica è un altro: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
- La situazione al riguardo non è migliorata?
Poniamo la questione in altri termini: io sono meno ricco di un altro se questi possiede più di quel che ho io. Posso aumentare le mie ricchezze, ma questi può distanziarsi da me a sua volta con sue nuove acquisizioni. E’ positivo che 30 milioni di poveri hanno migliorato le proprie difficili condizioni. Però i super-ricchi in Brasile hanno rendite incredibili. Sto parlando di persone fisiche: le banche non esistono, esistono gli azionisti delle banche e i meccanismi di concentrazione.
- E lo Stato cosa fa?
Il governo cerca di realizzare meccanismi di riallocazione, come sussidi alle famiglie, borse di studio agli studenti, l’Assegnazione Universale per Figli in Argentina. E tutto ciò è positivo. La fonte dei problemi è la distribuzione di ricchezza, non del reddito. Però bisogna ricordare che gli Stati son creati dalle classi egemoni; anche le modalità di nomina dei giudici, per fare un esempio specifico, lo sono. I governi in generale sono dunque strumenti della classe egemone. Il Partito dei Lavoratori infatti, anche nel Congresso, e non solo nell’Esecutivo, ha preso solo una porzione di potere. Le classi conservatrici con il proprio peso interferiscono sui tentativi di redistribuzione e ciò avviene in tutti i campi.
- Più precisamente quali?
Qual è la base fondamentale di tutto ciò? Quello che il governo riscuote con le imposte. E quindi si intraprende una campagna per il recupero delle imposte. I grandi prestiti delle banche statali hanno i tassi di interesse più bassi. I ricchi vanno contro le politiche sociali pubbliche e quando queste vengono applicate, essi spingono comunque per privatizzarle e terziarizzarle. Le parlo di questa problematica perché si è andati molto avanti al riguardo. Lo sforzo è stato grande, anche per una resistenza conservatrice onnipresente, che si trascina da secoli.
- Come la crisi coinvolge i paesi del Mercosur?
Oggi i paesi del Mercosur soffrono impatti di diversa matrice. Una è quella cinese, altra quella degli Stati Uniti e della crisi europea. La Cina ha è caratterizzata da enorme domanda di prodotti agricoli e minerari e ciò influenza i quattro paesi dell’Organizzazione. Ciò, da un lato, genera introiti molto interessanti; Dall’altro però la Cina è una fornitrice di prodotti manifatturieri a basso costo, la qual cosa tocca le strutture industriali ed il funzionamento del Mercosur in relazione al commercio interno. Diminuiscono gli incentivi agli investimenti industriali: se lei è un investitore, non investe il suo denaro mettendo su una fabbrica per venderne i prodotti in Cina; piuttosto investirà in terre o miniere per vendere ai cinesi materie prime.
Una relazione necessaria e a tratti contraddittoria…
Il punto è come trasformare le relazioni con la Cina di modo che i cinesi finiscano per contribuire al nostro sviluppo industriale. La popolazione è largamente urbanizzata e bisogna mantenere uno sviluppo urbano, l’agricoltura impiega sempre meno lavoratori perché è organizzata su larga scala. Stesso discorso per il settore minerario. Inoltre, i paesi soffrono le fluttuazioni di prezzo per le materie prime. Bisogna trarre vantaggio dall’esportazione di queste risorse, ma non possiamo pensare di vivere indefinitamente di queste soltanto.
Esiste da ormai un anno la valuta virtuale jefe del Mercosur. Il risultato la soddisfa?
Mi lasci ricordare alcuni punti. Il Mercosur è nato nel 1991 dall’impulso di governi neoliberali. I firmatari del Trattato di Asunción furono Carlos Menem, Fernando Collor, Andrés Rodríguez e Luis Lacalle, presidenti di governi tipicamente neoliberali, che concepivano l’integrazione regionale come strumentale ad una integrazione nell’intero globo. Ma questo non può essere: il regionalismo aperto è come un matrimonio aperto. E’ un controsenso, perché gli accordi di libero commercio con terzi distruggerebbe il Mercosur a causa dell’annullamento dei dazi. Perciò bisogna trasformare l’Organizzazione in uno strumento di sviluppo industriale dei quattro paesi. In qualsiasi sistema di integrazione i paesi maggiori traggono i maggiori benefici, però devono esserci meccanismi di compensazione in favore dei paesi minori, soprattutto mediante infrastrutture. L’attuale visione del Mercosur, tuttavia, si basa sul libero commercio e tale visione cozza con alcuni esempi in seno a questa stessa realtà. Il 40% del commercio fra Brasile ed Argentina riguarda veicoli motorizzati, ma non si tratta di un interscambio sorto dal libero commercio il quale avverrebbe per mezzo di multinazionali invece che di imprese nazionali. Con la libertà commerciale e senza accordi, chissà che la industria automobilistica non si sarebbe infine concentrata in un solo paese. Abbandonare questa visione, perciò, è urgente e ancor più in vista dell’aggressività commerciale cinese. Il libero commercio non porta allo sviluppo; porta alla disintegrazione.
Da dove si dovrebbe cominciare?
Convincendo i paesi maggiori. Il fondo di compensazione che esiste oggi è un passo ancora troppo breve. Il Mercosur è come un’automobile impantanatasi: Il guidatore accelera, il fango schizza in tutte le direzioni ma l’auto non si muove. Che fare? I passeggeri più forti dovrebbero scendere dall’auto e spingere. Ci troviamo in questa situazione. Se non agiamo così, potremo fare molte riunioni ma non risolveremo nulla. Allo stesso tempo, devo dire che il commercio si è espanso, vi sono molti investimenti, soprattutto dai paesi maggiori. Ma stiamo parlando di commercio, l’integrazione è ben altra cosa.
Lei è ambasciatore, è stato ministro di Lula e vicecancelliere. Come è giunto a simili ruoli?
(Ride) Una spiegazione che infastidirà i diplomatici: mio nonno ebbe lo stesso ruolo.
C’è un’altra spiegazione?
Bene, nella famiglia di mia madre c’erano diversi imprenditori. Dal lato paterno della famiglia, erano politici abolizionisti e repubblicani. Ma uno nella vita ha a che fare con ogni tipo di contraddizione: frequentai un collegio d’élite, il Collegio dei Gesuiti Sant’Ingnazio di Rio, e al tempo stesso giocavo a calcio con ragazzi delle favelas. Cominciai a guardare con attenzione a quel che avevo e a quel che ero; fu il mio contatto con la diversità. Mio padre simpatizzava per Gétulio Vargas e Juscelino Kubitschek. Era anticlericale ed ateo e mi fece andare in un collegio di gesuiti. Ero in mezzo alle contraddizioni; non è vero, d’aaltronde, che il mondo è molto complesso? Ero all’università a studiare diritto nel 1958, uno dei periodi più politicizzati nella vita del Brasile. Entrai nella politica studentesca all’epoca in cui il paese seguiva una politica estera indipendente. E nel 1961 sono entrato a Palazzo Itamaraty, al Ministero degli Esteri.
Qual è la sua maggiore fonte d’orgoglio come vicecancelliere di Lula?
Prima di Lula mi ero già dedicato alla lotta contro l’ALCA. Ottenemmo nel 2005 che i paesi più importanti del Sudamerica non formassero un’area di libero commercio di tutta l’America. Ricordo anche la battaglia, proprio in Brasile, contro gli accordi di protezione degli investimenti. Ancora oggi l’Argentina soffre parecchio questi accordi firmati da Menem. Il nostro Ministero delle Finanze, guidato dal signor Antonio Palocci, lo desiderava; io no. E La mia amicizia con Celso Amorim, allora Cancelliere, giocò un ruolo importante nel rifiuto di adesione. Demmo molta enfasi alla cosa in America del Sud. Vi fu una direttiva del presidente Lula, però priva d’esecuzione. Vi provvedemmo. Aumentiamo del 30% la dotazione delle nostre ambasciate, obblighiamo tutti i diplomatici ad avere come prima destinazione un’ambasciata in America del Sud. Non in America Latina, in America del Sud. E’ un modo pratico per comprendere le realtà e le asimmetrie. E, bene, qui trova spazio lo scambio di pensiero. Già nel ’75 scrissi dell’importanza di rompere con il colonialismo portoghese e con l’Africa del Sud. Quando uno studia le cose, comincia a comprenderle un po’ meglio, non è vero?
di Martin Granovsky
(Traduzione di Giacomo Guarini)
Conclusa la carriera ad Itamaraty, il Dicastero degli Esteri, Samuel Pinheiro Guimaraes – considerato uno dei maggiori intellettuali brasiliani – riveste da un anno la carica di Alto Rappresentante del Mercosur, su proposta di Lula e accettazione unanime di Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay.
- Non riveste un ruolo semplice, in qualità di responsabile del Mercosur…
No, sebbene la situazione sia molto diversa in diversi paesi e continenti. In Europa predominano programmi di aggiustamento finanziario e pressione molto forte sull’intera popolazione. Tutte le misure previste vanno a danno dei più poveri e dei lavoratori. Contemporaneamente assistiamo allo sbocco finale di questa fase: le banche soffrono danni consistenti. Hanno ricevuto risorse dai governi per acquistare titoli e i governi adesso aumentano le tasse, riducono gli aiuti sociali e modificano la regolamentazione del lavoro per far fronte ai debiti: il popolo si ritrova a dover pagare il conto di tutto questo. Banche e società di revisione hanno causato la crisi, l’hanno gonfiata e alla fine questa è esplosa. I governi vengono in soccorso delle banche e queste sicuramente migliorano la propria situazione. Infine, le banche che erogarono credito agli Stati, sapevano che questi non avrebbero potuto pagare e così vanno contro il popolo.
- Negli Stati Uniti succede la stessa cosa?
Lì la situazione è un po’ diversa. C’è una certa enfasi sulla questione dell’aumento dell’occupazione, però vi è stata una forte virata a destra. Il governo vuole aumentare le imposte per i più ricchi e viene accusato di “comunismo”; le banche sono state salvate ma in ogni caso non si risparmiano attacchi ad Obama. Allo stesso modo, essendovi indubbie necessità di aggiustamento fiscale, il governo probabilmente finirà per aumentare le imposte. La domanda è in che modo ciò avverrà: toccando le fasce di popolazione più ricche o quelle più disagiate?
- E in Asia e Cina?
La situazione qui è molto diversa. C’è grande preoccupazione per il rischio di drastica riduzione della crescita a causa del calo delle attività economiche negli Stati Uniti e in Europa. Non sono molto sicuro di quel che succederà ma i tassi di crescita saranno in ogni caso elevati. Pensavano che nel 2010 il tasso sarebbe stato dell’8% ed invece è stato del 10%.
- Quale sbocco avrà la crisi?
Il problema è il controllo politico, la sovranità politica di lungo periodo.
- Controllo di cosa?
La crisi riguarda le piccole e medie imprese. Quelle grandi stanno bene, mentre i lavoratori stanno male: gli anziani, i giovani e le imprese medie sono in difficoltà. Questa crisi è diversa da quella del ’29, quando il capitalismo aveva un carattere molto più marcatamente nazionale e il livello di globalizzazione finanziaria e produttiva era minore. La pressione sui governi per risolvere la crisi era maggiore di oggi e con “Occupy Wall Street” non è aumentata; bisogna dunque prendere provvedimenti. Il candidato alle presidenziali Mitt Romney ha versato meno del 15% di imposte a fronte del 30% da parte della sua segretaria. Il ritardo nel risolvere la crisi è preoccupante e l’instabilità è dietro l’angolo. Per fortuna oggi non c’è modo per arrivare ad una guerra come la Seconda Guerra Mondiale, però bisogna stare in allerta a causa del rischio di nuove guerre locali.
- Il Sudamerica però non è in crisi.
No, il problema per il Sudamerica è un altro: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
- La situazione al riguardo non è migliorata?
Poniamo la questione in altri termini: io sono meno ricco di un altro se questi possiede più di quel che ho io. Posso aumentare le mie ricchezze, ma questi può distanziarsi da me a sua volta con sue nuove acquisizioni. E’ positivo che 30 milioni di poveri hanno migliorato le proprie difficili condizioni. Però i super-ricchi in Brasile hanno rendite incredibili. Sto parlando di persone fisiche: le banche non esistono, esistono gli azionisti delle banche e i meccanismi di concentrazione.
- E lo Stato cosa fa?
Il governo cerca di realizzare meccanismi di riallocazione, come sussidi alle famiglie, borse di studio agli studenti, l’Assegnazione Universale per Figli in Argentina. E tutto ciò è positivo. La fonte dei problemi è la distribuzione di ricchezza, non del reddito. Però bisogna ricordare che gli Stati son creati dalle classi egemoni; anche le modalità di nomina dei giudici, per fare un esempio specifico, lo sono. I governi in generale sono dunque strumenti della classe egemone. Il Partito dei Lavoratori infatti, anche nel Congresso, e non solo nell’Esecutivo, ha preso solo una porzione di potere. Le classi conservatrici con il proprio peso interferiscono sui tentativi di redistribuzione e ciò avviene in tutti i campi.
- Più precisamente quali?
Qual è la base fondamentale di tutto ciò? Quello che il governo riscuote con le imposte. E quindi si intraprende una campagna per il recupero delle imposte. I grandi prestiti delle banche statali hanno i tassi di interesse più bassi. I ricchi vanno contro le politiche sociali pubbliche e quando queste vengono applicate, essi spingono comunque per privatizzarle e terziarizzarle. Le parlo di questa problematica perché si è andati molto avanti al riguardo. Lo sforzo è stato grande, anche per una resistenza conservatrice onnipresente, che si trascina da secoli.
- Come la crisi coinvolge i paesi del Mercosur?
Oggi i paesi del Mercosur soffrono impatti di diversa matrice. Una è quella cinese, altra quella degli Stati Uniti e della crisi europea. La Cina ha è caratterizzata da enorme domanda di prodotti agricoli e minerari e ciò influenza i quattro paesi dell’Organizzazione. Ciò, da un lato, genera introiti molto interessanti; Dall’altro però la Cina è una fornitrice di prodotti manifatturieri a basso costo, la qual cosa tocca le strutture industriali ed il funzionamento del Mercosur in relazione al commercio interno. Diminuiscono gli incentivi agli investimenti industriali: se lei è un investitore, non investe il suo denaro mettendo su una fabbrica per venderne i prodotti in Cina; piuttosto investirà in terre o miniere per vendere ai cinesi materie prime.
Una relazione necessaria e a tratti contraddittoria…
Il punto è come trasformare le relazioni con la Cina di modo che i cinesi finiscano per contribuire al nostro sviluppo industriale. La popolazione è largamente urbanizzata e bisogna mantenere uno sviluppo urbano, l’agricoltura impiega sempre meno lavoratori perché è organizzata su larga scala. Stesso discorso per il settore minerario. Inoltre, i paesi soffrono le fluttuazioni di prezzo per le materie prime. Bisogna trarre vantaggio dall’esportazione di queste risorse, ma non possiamo pensare di vivere indefinitamente di queste soltanto.
Esiste da ormai un anno la valuta virtuale jefe del Mercosur. Il risultato la soddisfa?
Mi lasci ricordare alcuni punti. Il Mercosur è nato nel 1991 dall’impulso di governi neoliberali. I firmatari del Trattato di Asunción furono Carlos Menem, Fernando Collor, Andrés Rodríguez e Luis Lacalle, presidenti di governi tipicamente neoliberali, che concepivano l’integrazione regionale come strumentale ad una integrazione nell’intero globo. Ma questo non può essere: il regionalismo aperto è come un matrimonio aperto. E’ un controsenso, perché gli accordi di libero commercio con terzi distruggerebbe il Mercosur a causa dell’annullamento dei dazi. Perciò bisogna trasformare l’Organizzazione in uno strumento di sviluppo industriale dei quattro paesi. In qualsiasi sistema di integrazione i paesi maggiori traggono i maggiori benefici, però devono esserci meccanismi di compensazione in favore dei paesi minori, soprattutto mediante infrastrutture. L’attuale visione del Mercosur, tuttavia, si basa sul libero commercio e tale visione cozza con alcuni esempi in seno a questa stessa realtà. Il 40% del commercio fra Brasile ed Argentina riguarda veicoli motorizzati, ma non si tratta di un interscambio sorto dal libero commercio il quale avverrebbe per mezzo di multinazionali invece che di imprese nazionali. Con la libertà commerciale e senza accordi, chissà che la industria automobilistica non si sarebbe infine concentrata in un solo paese. Abbandonare questa visione, perciò, è urgente e ancor più in vista dell’aggressività commerciale cinese. Il libero commercio non porta allo sviluppo; porta alla disintegrazione.
Da dove si dovrebbe cominciare?
Convincendo i paesi maggiori. Il fondo di compensazione che esiste oggi è un passo ancora troppo breve. Il Mercosur è come un’automobile impantanatasi: Il guidatore accelera, il fango schizza in tutte le direzioni ma l’auto non si muove. Che fare? I passeggeri più forti dovrebbero scendere dall’auto e spingere. Ci troviamo in questa situazione. Se non agiamo così, potremo fare molte riunioni ma non risolveremo nulla. Allo stesso tempo, devo dire che il commercio si è espanso, vi sono molti investimenti, soprattutto dai paesi maggiori. Ma stiamo parlando di commercio, l’integrazione è ben altra cosa.
Lei è ambasciatore, è stato ministro di Lula e vicecancelliere. Come è giunto a simili ruoli?
(Ride) Una spiegazione che infastidirà i diplomatici: mio nonno ebbe lo stesso ruolo.
C’è un’altra spiegazione?
Bene, nella famiglia di mia madre c’erano diversi imprenditori. Dal lato paterno della famiglia, erano politici abolizionisti e repubblicani. Ma uno nella vita ha a che fare con ogni tipo di contraddizione: frequentai un collegio d’élite, il Collegio dei Gesuiti Sant’Ingnazio di Rio, e al tempo stesso giocavo a calcio con ragazzi delle favelas. Cominciai a guardare con attenzione a quel che avevo e a quel che ero; fu il mio contatto con la diversità. Mio padre simpatizzava per Gétulio Vargas e Juscelino Kubitschek. Era anticlericale ed ateo e mi fece andare in un collegio di gesuiti. Ero in mezzo alle contraddizioni; non è vero, d’aaltronde, che il mondo è molto complesso? Ero all’università a studiare diritto nel 1958, uno dei periodi più politicizzati nella vita del Brasile. Entrai nella politica studentesca all’epoca in cui il paese seguiva una politica estera indipendente. E nel 1961 sono entrato a Palazzo Itamaraty, al Ministero degli Esteri.
Qual è la sua maggiore fonte d’orgoglio come vicecancelliere di Lula?
Prima di Lula mi ero già dedicato alla lotta contro l’ALCA. Ottenemmo nel 2005 che i paesi più importanti del Sudamerica non formassero un’area di libero commercio di tutta l’America. Ricordo anche la battaglia, proprio in Brasile, contro gli accordi di protezione degli investimenti. Ancora oggi l’Argentina soffre parecchio questi accordi firmati da Menem. Il nostro Ministero delle Finanze, guidato dal signor Antonio Palocci, lo desiderava; io no. E La mia amicizia con Celso Amorim, allora Cancelliere, giocò un ruolo importante nel rifiuto di adesione. Demmo molta enfasi alla cosa in America del Sud. Vi fu una direttiva del presidente Lula, però priva d’esecuzione. Vi provvedemmo. Aumentiamo del 30% la dotazione delle nostre ambasciate, obblighiamo tutti i diplomatici ad avere come prima destinazione un’ambasciata in America del Sud. Non in America Latina, in America del Sud. E’ un modo pratico per comprendere le realtà e le asimmetrie. E, bene, qui trova spazio lo scambio di pensiero. Già nel ’75 scrissi dell’importanza di rompere con il colonialismo portoghese e con l’Africa del Sud. Quando uno studia le cose, comincia a comprenderle un po’ meglio, non è vero?
di Martin Granovsky
(Traduzione di Giacomo Guarini)
22 marzo 2012
Intoccabili
Con estrema ingenuità eravamo convinti che l’acme del grottesco fosse stato raggiunto ieri sera. Quando l’usuraio Mario Monti e il suo delfino lacrima Fornero sono stati omaggiati dalla Torino “che conta”, costituita dal PD e dalla"famiglia Fiat", unitamente ai guitti da cortile modello Littizzetto e ad altro bestiario politico di minoranza. Mentre in un centro blindato stile G8, il resto dei torinesi che non contano nulla, venivano tenuti lontani tramite le transenne ed un nutrito manipolo di poliziotti in tenuta antisommossa. Lontani dall’egoarca e dal suo ministro, che dopo avere cenato al “Cambio” in salsa chic, sono stati ospitati al teatro Regio, dove (dicono i giornali) tutta la città dentro le transenne avrebbe tributato loro una lunga ovazione per il"lavoro" di demolizione svolto fino ad oggi nel paese.
L’elite tecno finanziaria, con il proprio codazzo di camerieri politici e consorteria assortita dentro, impegnati a celebrare sé stessi in una cerimonia autoreferenziale, e tutto il resto del mondo fuori, senza alcun diritto, ma con il dovere di mantenerne economicamente di tasca propria i fasti principeschi. Una commedia dell’assurdo che risale alla notte dei tempi ed è oggi più attuale che mai.
Ma in tutta evidenza il grottesco non conosce limite, dal momento che in un’Ansa di oggi si può apprendere come un ragazzo sia stato fermato dalla polizia e poi denunciato, per avere rivolto degli insulti a lacrima Fornero, durante la visita fatta dalla stessa alle OGR, dove ha presenziato all’inaugurazione della mostra dedicata ai 150 anni dell’unità d’Italia, prima di recarsi al Cambio per rifocillarsi dopo l’improba fatica…..
In un paese dove i ministri del governo precedente e di quelli precedenti ancora (compresi i presidenti del Consiglio) sono sempre stati sistematicamente insultati in TV e sui giornali, con una variegata quantità di epiteti che spaziava dal “mortadella” allo “psiconano”, passando attraverso dracula, gli scheletri e le gobbe, solamente i “tecnici” al servizio della BCE assurgono allo status di intoccabili, inavvicinabili, inguardabili e assolutamente da non criticare.
E’ un segno dello stato di polizia nel quale stiamo precipitando, il fatto che un giovane venga fermato, intimidito e denunciato, per avere osato esprimere tutto il proprio entusiasmo nei confronti di colei che gli ha negato il diritto ad andare un giorno in pensione e si sta prodigando per eliminare ogni prospettiva di trovare un posto di lavoro dignitoso.
Ma è un segno che in fondo non stupisce, proprio a Torino, dove magistrati compiacenti sono soliti incarcerare le donne incinta e le persone perbene, con la sola colpa di battersi contro la costruzione del TAV. E tenerceli dentro anche dei mesi, nonostante non esistano le motivazioni oggettive per farlo, salvo poi lagnarsi e piagnucolare per le (poche) contestazioni subite, al solo fine di pubblicizzare la vendita di libercoli che nessuno comprerebbe mai, se non per compiacenza e servilismo.
Non si possono guardare, non si possono toccare, non si può esternare loro il nostro pensiero. Sono i ministri del governo di occupazione, lavorano per le grandi banche, per la BCE e per la FED. Tutti dietro le transenne e in rigoroso silenzio, il primo che proferisce parola vola dritto in galera senza neanche passare dal via, siamo in democrazia, cosa vi credete?
di Marco Cedolin
L’elite tecno finanziaria, con il proprio codazzo di camerieri politici e consorteria assortita dentro, impegnati a celebrare sé stessi in una cerimonia autoreferenziale, e tutto il resto del mondo fuori, senza alcun diritto, ma con il dovere di mantenerne economicamente di tasca propria i fasti principeschi. Una commedia dell’assurdo che risale alla notte dei tempi ed è oggi più attuale che mai.
Ma in tutta evidenza il grottesco non conosce limite, dal momento che in un’Ansa di oggi si può apprendere come un ragazzo sia stato fermato dalla polizia e poi denunciato, per avere rivolto degli insulti a lacrima Fornero, durante la visita fatta dalla stessa alle OGR, dove ha presenziato all’inaugurazione della mostra dedicata ai 150 anni dell’unità d’Italia, prima di recarsi al Cambio per rifocillarsi dopo l’improba fatica…..
In un paese dove i ministri del governo precedente e di quelli precedenti ancora (compresi i presidenti del Consiglio) sono sempre stati sistematicamente insultati in TV e sui giornali, con una variegata quantità di epiteti che spaziava dal “mortadella” allo “psiconano”, passando attraverso dracula, gli scheletri e le gobbe, solamente i “tecnici” al servizio della BCE assurgono allo status di intoccabili, inavvicinabili, inguardabili e assolutamente da non criticare.
E’ un segno dello stato di polizia nel quale stiamo precipitando, il fatto che un giovane venga fermato, intimidito e denunciato, per avere osato esprimere tutto il proprio entusiasmo nei confronti di colei che gli ha negato il diritto ad andare un giorno in pensione e si sta prodigando per eliminare ogni prospettiva di trovare un posto di lavoro dignitoso.
Ma è un segno che in fondo non stupisce, proprio a Torino, dove magistrati compiacenti sono soliti incarcerare le donne incinta e le persone perbene, con la sola colpa di battersi contro la costruzione del TAV. E tenerceli dentro anche dei mesi, nonostante non esistano le motivazioni oggettive per farlo, salvo poi lagnarsi e piagnucolare per le (poche) contestazioni subite, al solo fine di pubblicizzare la vendita di libercoli che nessuno comprerebbe mai, se non per compiacenza e servilismo.
Non si possono guardare, non si possono toccare, non si può esternare loro il nostro pensiero. Sono i ministri del governo di occupazione, lavorano per le grandi banche, per la BCE e per la FED. Tutti dietro le transenne e in rigoroso silenzio, il primo che proferisce parola vola dritto in galera senza neanche passare dal via, siamo in democrazia, cosa vi credete?
di Marco Cedolin
21 marzo 2012
Monti, lo stalinista americano che devasterà gli italiani
I colpi di Stato? Oggi non si fanno più coi carri armati, ma con un’abile gestione extraparlamentare di magistrati, giornalisti ed economisti. «È il post-moderno, bellezza!», ironizza il filosofo Costanzo Preve, che denuncia due golpe: «Quello di Monti del 2011 non è il primo ma il secondo, dopo quello di Mani Pulite del 1992», un “colpo di stato giudiziario” per abbattere il sistema partitico della Prima Repubblica, «non certo più corrotto di quello venuto dopo, ma pur sempre garante di un certo assistenzialismo sociale e di una sovranità monetaria dello Stato nazionale, sia pure all’interno dello schieramento post-bellico americano». Stavolta non c’è stato neppure bisogno di manette: «Sono bastati i mercati internazionali e soprattutto la regia di Napolitano, il rinnegato ex-comunista passato al servizio degli americani».
Già nel ’92, aggiunge Preve nel suo dialogo con Luigi Tedeschi sulla “mutazione antropologica degli italiani” pubblicato da Arianna editrice e Stalinripreso da “Megachip”, era stato decisivo l’ex Pci nell’assestare il “colpo di Stato giudiziario extraparlamentare”, Stessi attori, sempre in prima linea: «Allora per odio verso Craxi, oggi per odio verso Berlusconi, entrambi già largamente indeboliti e delegittimati da asfissianti campagne di stampa». Orfani di Berlinguer, quelli che Preve chiama “rinnegati” si trovavano «improvvisamente privi di qualunque legittimazione storico-politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa politologica». I seguaci identitari «furono prima fanatizzati contro Craxi (il corrottone, il porcone, il maialone), e poi contro Berlusconi (il nano di Arcore, il puttaniere, il crapulone)». L’eterogenesi dei fini, segnalata da Vico, si è sposata con l’astuzia della ragione storica teorizzata da Hegel.
«La politica non è stata sconfitta solo nel 2011, perché era già stata sconfitta nel 1992», aggiunge Preve. Inoltre, l’Italia nel 2011 non è stata sconfitta solo una volta, ma due: la prima volta in Libia, dove «è stata costretta dalla Nato a fare una guerra contro i più elementari interessi nazionali ed economici, con barbarico linciaggio finale del nazionalista panarabo nasseriano Gheddafi, trasformato in feroce dittatore dai gestori simbolici monopolisti dei cosiddetti “diritti umani”». La seconda volta appunto a Roma, con il commissariamento diretto del suo governo. Destra e sinistra? Ormai sono solo «segnali stradali e simboli di costume extra-politico». Esempio: «La sinistra vota il transessuale Luxuria, mentre la destra non lo voterebbe Norberto Bobbiomai». Dicotomia ormai inesistente, eppure «continuamente reimposta, per motivi di tifo sportivo, dal ceto intellettuale».
Pura manipolazione simbolica, dice Preve, dotata di un potere inerziale ancora forte anche se non più fondato sulla realtà. «Quando Bobbio difese la dicotomia, sostenendo che la sinistra era egualitaria e la destra anti-egualitaria, descriveva uno scenario sorpassato, perché questo scenario presupponeva la sovranità monetaria dello Stato nazionale e delle scelte politiche alternative di redistribuzione dal reddito». Ora questo scenario non esiste più. Ad al suo posto, ci sono solo «questioni di gusto estetico e di snobismo culturale». La classe politica ? «Si è allineata a Monti non per responsabilità, ma proprio per il suo contrario, per deresponsabilizzazione». I politici, «ricattati dalle polemiche contro la “casta” e inseguiti dalle plebi furiose per i loro privilegi alla mensa semigratuita di Montecitorio», si sono «consegnati ad una “giunta di economisti” per cercare di zittire, almeno provvisoriamente, il linciaggio mediatico».
Quello di Monti? Un ben strano liberalismo, perché il fondamento del liberalismo nella sua moderna forma liberaldemocratica è la volontà popolare espressa da un corpo elettorale sovrano, laddove il caso della Grecia, ma anche quello della giunta Monti, ci mostra l’esatto contrario. «Nel Medioevo c’erano i Re Taumaturghi. Ma oggi il medioevo è finito, e ci sono gli Economisti Taumaturghi». Il modello capitalistico di Smith ed il modello comunista di Marx, ricorda Preve, avrebbero entrambi dovuto funzionare senza Stato, o con uno “Stato minimo” tendente verso lo zero. «Pura utopia modellistica astratta». In realtà, il comunismo di Marx nel ‘900 «funzionò unicamente con lo Stato, anzi con uno stato autoritario di partito monopolista del potere, dell’economia e della cultura». Idem il Adam Smithcapitalismo di Locke e di Smith: «Funzionò unicamente incrementando il dirigismo statale al servizio dell’accumulazione capitalistica».
Poteva andare diversamente? No, perché «un mercato puro, senza intervento riequilibratore di un potere statale, getterebbe nella miseria più nera la stragrande maggioranza della popolazione». Finché sono ancora in funzione le solidarietà comunitarie pre-capitalistiche (famiglia, tribù), c’è ancora riparo, ma con la generalizzazione dell’individualismo anomico ci sarebbe solo la guerra di tutti contro tutti, come mostra il tragico esempio della Grecia di oggi. «E’ dunque del tutto triste, ma anche fisiologico, che al bel comunismo utopico ma inapplicabile di Marx succeda il comunismo autoritario ma “realistico” di Lenin e di Stalin. Ed è pertanto fisiologico che al capitalismo utopico di Locke e di Smith succeda il capitalismo oligarchico ma “realistico”, di Draghi e di Monti».
La «dittatura oligarchica dei mercati di Draghi e di Monti» è fuori dal liberismo che si studia nelle università: «Si tratta di uno scenario completamente nuovo, di un capitalismo assoluto o “speculativo”». Potremo difenderci da questa sorta di “stalinismo occidentale”? Non nel breve periodo, dice Preve: «Non possiamo aspettarci a breve termine un risveglio di coscienza e di conoscenza: troppo forti sono le forze inerziali della simulazione destra-sinistra, dell’identitarismo di partito di origine Pci, dell’antifascismo in assenza di fascismo e dell’anticomunismo in assenza di comunismo, oltre alle cantilene del politicamente corretto». Per il filosofo, «questa dittatura dei mercati è ancora relativamente nuova ed inedita, ed é normale che in questo momento domini la paura ed il ricatto del mancato pagamento dei salari e delle pensioni». La realtà? «Siamo appena all’inizio Monti e Obamadel “tempo di cottura” che la storia ci prepara: la ricetta vuole il suo tempo».
Monti coltiva un disegno pericoloso: «Vuole attuare un progetto di ingegneria antropologica tipica del fanatico liberista che è». Mettendosi consapevolmente sulla scia di chi ha definito i giovani “bamboccioni” e “sfigati”, e non vittime di un ignobile sistema di lavoro flessibile e precario, Monti vorrebbe una sorta di artificiale anglosassonizzazione forzata della figura storica dell’italiano. «Come tutti gli economisti professionali, egli è probabilmente del tutto ignaro di storia e di filosofia, che ha certamente abbandonato con la fine degli studi liceali» e quindi sembra non sapere che l’utopia dell’uomo “nuovo”, dell’uomo rinato, «non nasce affatto con l’ingegneria economica oligarchica neo-liberale e le sue ignobili porcherie sul “lavoro fisso noioso”, la cui oscenità raggiunge quella di chi mette un affamato in guardia contro i pericoli dell’obesità e del colesterolo».
Stalin fu un grande sostenitore della “creazione sovietica dell’uomo nuovo”: «Ne abbiamo visto le conseguenze a medio termine, poco più di mezzo secolo». Il progetto di “americanizzazione antropologica forzata dagli italiani”, iniziata sul piano del costume con la sconfitta militare del 1945 «addossata al solo fascismo», secondo Preve «solo ora, nel 2012, può realmente dispiegarsi senza ostacoli, con l’integrazione completa in questo progetto del ceto politico e del clero intellettuale, giornalistico ed universitario». Monti sembra “l’uomo dei tedeschi”, perché da essi mutua la politica recessiva e l’ossessione anti-keynesiana del pareggio del bilancio, Costanzo Prevema in realtà è “l’uomo degli americani”: «Si è creduto a lungo che una Europa unificata dall’euro potesse in prospettiva fare da contraltare strategico all’arroganza unipolare degli Usa, e con questo argomento l’unità europea fu “venduta” alla sinistra ed al suo variopinto circo intellettuale».
La tradizionale disattenzione degli italiani per la politica estera, «tipica di un paese privo di sovranità politica e militare», ha fatto sì che passassero praticamente inosservate le nomine dei nuovi ministri degli esteri e della difesa, «un diplomatico di carriera amico della Clinton ed un ammiraglio bombardatore in Afghanistan per conto della Nato». I due personaggi che hanno sostituito «i precedenti pittoreschi berlusconiani Frattini e La Russa», in realtà sono «servi degli Usa al cento per cento». Berlusconi? Non poteva certo piacere a Washington: non solo per il suo «stile di vita immorale di puttaniere, improponibile all’ipocrita puritanesimo Usa», ma soprattutto per i suoi “giri di valzer” con Gheddafi e con Putin, «fatti non certo per ragioni politiche o geopolitiche, ma per il vecchio fiuto del faccendiere e del venditore “chiavi in mano”». E ora, eccoci serviti. «Sono ottimista sulla nascita di anticorpi di resistenza – conclude Preve – ma ci vorrà sicuramente del tempo: probabilmente, molto più tempo di quello che resta alla nostra generazione».
di Giorgio Cattaneo
Già nel ’92, aggiunge Preve nel suo dialogo con Luigi Tedeschi sulla “mutazione antropologica degli italiani” pubblicato da Arianna editrice e Stalinripreso da “Megachip”, era stato decisivo l’ex Pci nell’assestare il “colpo di Stato giudiziario extraparlamentare”, Stessi attori, sempre in prima linea: «Allora per odio verso Craxi, oggi per odio verso Berlusconi, entrambi già largamente indeboliti e delegittimati da asfissianti campagne di stampa». Orfani di Berlinguer, quelli che Preve chiama “rinnegati” si trovavano «improvvisamente privi di qualunque legittimazione storico-politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa politologica». I seguaci identitari «furono prima fanatizzati contro Craxi (il corrottone, il porcone, il maialone), e poi contro Berlusconi (il nano di Arcore, il puttaniere, il crapulone)». L’eterogenesi dei fini, segnalata da Vico, si è sposata con l’astuzia della ragione storica teorizzata da Hegel.
«La politica non è stata sconfitta solo nel 2011, perché era già stata sconfitta nel 1992», aggiunge Preve. Inoltre, l’Italia nel 2011 non è stata sconfitta solo una volta, ma due: la prima volta in Libia, dove «è stata costretta dalla Nato a fare una guerra contro i più elementari interessi nazionali ed economici, con barbarico linciaggio finale del nazionalista panarabo nasseriano Gheddafi, trasformato in feroce dittatore dai gestori simbolici monopolisti dei cosiddetti “diritti umani”». La seconda volta appunto a Roma, con il commissariamento diretto del suo governo. Destra e sinistra? Ormai sono solo «segnali stradali e simboli di costume extra-politico». Esempio: «La sinistra vota il transessuale Luxuria, mentre la destra non lo voterebbe Norberto Bobbiomai». Dicotomia ormai inesistente, eppure «continuamente reimposta, per motivi di tifo sportivo, dal ceto intellettuale».
Pura manipolazione simbolica, dice Preve, dotata di un potere inerziale ancora forte anche se non più fondato sulla realtà. «Quando Bobbio difese la dicotomia, sostenendo che la sinistra era egualitaria e la destra anti-egualitaria, descriveva uno scenario sorpassato, perché questo scenario presupponeva la sovranità monetaria dello Stato nazionale e delle scelte politiche alternative di redistribuzione dal reddito». Ora questo scenario non esiste più. Ad al suo posto, ci sono solo «questioni di gusto estetico e di snobismo culturale». La classe politica ? «Si è allineata a Monti non per responsabilità, ma proprio per il suo contrario, per deresponsabilizzazione». I politici, «ricattati dalle polemiche contro la “casta” e inseguiti dalle plebi furiose per i loro privilegi alla mensa semigratuita di Montecitorio», si sono «consegnati ad una “giunta di economisti” per cercare di zittire, almeno provvisoriamente, il linciaggio mediatico».
Quello di Monti? Un ben strano liberalismo, perché il fondamento del liberalismo nella sua moderna forma liberaldemocratica è la volontà popolare espressa da un corpo elettorale sovrano, laddove il caso della Grecia, ma anche quello della giunta Monti, ci mostra l’esatto contrario. «Nel Medioevo c’erano i Re Taumaturghi. Ma oggi il medioevo è finito, e ci sono gli Economisti Taumaturghi». Il modello capitalistico di Smith ed il modello comunista di Marx, ricorda Preve, avrebbero entrambi dovuto funzionare senza Stato, o con uno “Stato minimo” tendente verso lo zero. «Pura utopia modellistica astratta». In realtà, il comunismo di Marx nel ‘900 «funzionò unicamente con lo Stato, anzi con uno stato autoritario di partito monopolista del potere, dell’economia e della cultura». Idem il Adam Smithcapitalismo di Locke e di Smith: «Funzionò unicamente incrementando il dirigismo statale al servizio dell’accumulazione capitalistica».
Poteva andare diversamente? No, perché «un mercato puro, senza intervento riequilibratore di un potere statale, getterebbe nella miseria più nera la stragrande maggioranza della popolazione». Finché sono ancora in funzione le solidarietà comunitarie pre-capitalistiche (famiglia, tribù), c’è ancora riparo, ma con la generalizzazione dell’individualismo anomico ci sarebbe solo la guerra di tutti contro tutti, come mostra il tragico esempio della Grecia di oggi. «E’ dunque del tutto triste, ma anche fisiologico, che al bel comunismo utopico ma inapplicabile di Marx succeda il comunismo autoritario ma “realistico” di Lenin e di Stalin. Ed è pertanto fisiologico che al capitalismo utopico di Locke e di Smith succeda il capitalismo oligarchico ma “realistico”, di Draghi e di Monti».
La «dittatura oligarchica dei mercati di Draghi e di Monti» è fuori dal liberismo che si studia nelle università: «Si tratta di uno scenario completamente nuovo, di un capitalismo assoluto o “speculativo”». Potremo difenderci da questa sorta di “stalinismo occidentale”? Non nel breve periodo, dice Preve: «Non possiamo aspettarci a breve termine un risveglio di coscienza e di conoscenza: troppo forti sono le forze inerziali della simulazione destra-sinistra, dell’identitarismo di partito di origine Pci, dell’antifascismo in assenza di fascismo e dell’anticomunismo in assenza di comunismo, oltre alle cantilene del politicamente corretto». Per il filosofo, «questa dittatura dei mercati è ancora relativamente nuova ed inedita, ed é normale che in questo momento domini la paura ed il ricatto del mancato pagamento dei salari e delle pensioni». La realtà? «Siamo appena all’inizio Monti e Obamadel “tempo di cottura” che la storia ci prepara: la ricetta vuole il suo tempo».
Monti coltiva un disegno pericoloso: «Vuole attuare un progetto di ingegneria antropologica tipica del fanatico liberista che è». Mettendosi consapevolmente sulla scia di chi ha definito i giovani “bamboccioni” e “sfigati”, e non vittime di un ignobile sistema di lavoro flessibile e precario, Monti vorrebbe una sorta di artificiale anglosassonizzazione forzata della figura storica dell’italiano. «Come tutti gli economisti professionali, egli è probabilmente del tutto ignaro di storia e di filosofia, che ha certamente abbandonato con la fine degli studi liceali» e quindi sembra non sapere che l’utopia dell’uomo “nuovo”, dell’uomo rinato, «non nasce affatto con l’ingegneria economica oligarchica neo-liberale e le sue ignobili porcherie sul “lavoro fisso noioso”, la cui oscenità raggiunge quella di chi mette un affamato in guardia contro i pericoli dell’obesità e del colesterolo».
Stalin fu un grande sostenitore della “creazione sovietica dell’uomo nuovo”: «Ne abbiamo visto le conseguenze a medio termine, poco più di mezzo secolo». Il progetto di “americanizzazione antropologica forzata dagli italiani”, iniziata sul piano del costume con la sconfitta militare del 1945 «addossata al solo fascismo», secondo Preve «solo ora, nel 2012, può realmente dispiegarsi senza ostacoli, con l’integrazione completa in questo progetto del ceto politico e del clero intellettuale, giornalistico ed universitario». Monti sembra “l’uomo dei tedeschi”, perché da essi mutua la politica recessiva e l’ossessione anti-keynesiana del pareggio del bilancio, Costanzo Prevema in realtà è “l’uomo degli americani”: «Si è creduto a lungo che una Europa unificata dall’euro potesse in prospettiva fare da contraltare strategico all’arroganza unipolare degli Usa, e con questo argomento l’unità europea fu “venduta” alla sinistra ed al suo variopinto circo intellettuale».
La tradizionale disattenzione degli italiani per la politica estera, «tipica di un paese privo di sovranità politica e militare», ha fatto sì che passassero praticamente inosservate le nomine dei nuovi ministri degli esteri e della difesa, «un diplomatico di carriera amico della Clinton ed un ammiraglio bombardatore in Afghanistan per conto della Nato». I due personaggi che hanno sostituito «i precedenti pittoreschi berlusconiani Frattini e La Russa», in realtà sono «servi degli Usa al cento per cento». Berlusconi? Non poteva certo piacere a Washington: non solo per il suo «stile di vita immorale di puttaniere, improponibile all’ipocrita puritanesimo Usa», ma soprattutto per i suoi “giri di valzer” con Gheddafi e con Putin, «fatti non certo per ragioni politiche o geopolitiche, ma per il vecchio fiuto del faccendiere e del venditore “chiavi in mano”». E ora, eccoci serviti. «Sono ottimista sulla nascita di anticorpi di resistenza – conclude Preve – ma ci vorrà sicuramente del tempo: probabilmente, molto più tempo di quello che resta alla nostra generazione».
di Giorgio Cattaneo
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