02 marzo 2013

La verità sul debito pubblico



Sul debito pubblico è ora che sia fatta chiarezza. È un fardello pesantissimo per le finanze pubbliche, e consuma ingenti risorse che, altrimenti, potrebbero essere utilizzate per i servizi utili al cittadino, ed è per questo motivo che dobbiamo pretendere di saperne di più.
Tanto per cominciare, ho provato a mettere a confronto i dati relativi al debito pubblico anno per anno (forniti da Banca d’Italia) con i vari governi che si sono succeduti dal 1970 ad oggi(disponibili su Wikipedia). Negli anni in cui si sono succeduti più Presidenti del Consiglio l’incremento annuale è stato diviso proporzionalmente su base mensile. Il grafico sottostante indica, in miliardi di euro, i risultati relativi ai primi 5 classificati sulla base del debito pubblico attribuibile al/ai governi da essi presieduti.
Debito pubblico per Presidente del Consiglio dal 1970 a oggi in miliardi di euro (primi 5 classificati)
Berlusconi572
Andreotti285
Craxi213
Prodi154
Amato125
I dati sopra illustrati rendono palese il fatto che il debito pubblico è imputabile sia ai governi della Prima che della Seconda repubblica, a quelli di destra e anche a quelli di sinistra. Persino ai governi tecnici come quelli del presidente Amato (Ciampi, Dini e Monti sono rispettivamente in 6, 7 e 8 posizione) sono attribuibili importanti quote del debito pubblico.
Tuttavia, gli esecutivi che si distinguono, e di gran lunga, per aver prodotto la maggiore porzione di debito sono quelli del Presidente Silvio Berlusconi. Questo primato non viene scalfito nemmeno se, ai dati a valori nominali, sostituiamo quelli a valori corretti con l’inflazione (dall’anno di formazione ad oggi).
Debito pubblico (a valori reali) per Presidente del Consiglio dal 1970 a oggi in miliardi di euro (primi 5 classificati)
Berlusconi675
Andreotti551
Craxi434
Prodi192
Amato184
A valori nominali, pertanto, ai governi del Presidente Berlusconi è attribuibile quasi il 30% del debito pubblico complessivo.
% di debito pubblico attribuibile a ogni Presidente
Berlusconi29%
Andreotti14%
Craxi11%
Prodi8%
Amato6%
tutti gli altri insieme32%
Negli anni duemila, l’Italia ha mantenuto il parametro del disavanzo primario entro limiti previsti dai trattati europei e questo ha permesso all’ex ministro dell’economia, Giulio Tremonti, di dire che i conti pubblici erano a posto. Purtroppo però, tale indicatore tiene conto della differenza fra entrate e uscite, senza però includere il costo degli interessi sul debito pubblico, che in Italia rappresentano circa il 20% di tutte le uscite (vedi bilancio pubblico 2011) e ammontano a più di 80 miliardi.
Se allo scadere di una quota di titoli del debito pubblico, il governo rifinanzia il tutto (compreso gli interessi) con l’emissione di nuovo debito pubblico, gli interessi producono a loro volta altro debito entrando così un circolo vizioso senza fine.
Durante tutti i governi Berlusconi, il primo comandamento è sempre stato quello di non aumentare le imposte, fa niente che così il debito pubblico cresceva, tanto il tasso d’interesse non era mai stato così basso dall’introduzione dell’euro, fino alla crisi dello spread che ha fatto cadere tutto il castello di ipotesi che stava probabilmente alla base di quella condotta.
Non mi dilungherei sui governi Andreotti e Craxi, anni nei quali a tutti è chiaro che si sia fatto un uso spropositato della spesa pubblica (assistenzialismo, baby pensioni, ecc).
che hanno prodotto molto debito pubblico. Tuttavia, egli ha avuto almeno l’accortezza di tenere sotto controllo il rapporto debito/PIL, portandolo dal 121% dell’ultimo governo Dini (1995), al 115% (1998), trend che poi è continuato fino ai primi anni dei governi Berlusconi (2004) arrivando fino a quota 104%. Anche il secondo governo Prodi è stato attento a questo parametro, riportandolo al 104% dopo un peggioramento avvenuto tra il 2005 e i 2006.
I governi Amato, soprattutto quello del '92-'93 hanno prodotto un significativo ammontare di debito pubblico, nonostante le privatizzazioni, avvenute in quegli anni, che portarono nelle casse dello Stato diversi miliardi di euro. Come sono stati spesi quei soldi, e perché non sono stati utilizzati per abbattere il debito?
Sempre a proposito di governi tecnici, non si può dire che abbiano fatto molta attenzione a non far crescere il debito pubblico. Il prossimo grafico mostra l’incremento del debito pubblico per mese di governo. Si osservi come nelle prime posizioni troviamo tutti i tecnici: Ciampi, Monti, Dini e Amato. L’unica eccezione è De Mita. Ad onor del vero, sul governo del Presidente Monti bisogna dire che hanno pesato le emissioni di debito pubblico per il trasferimento al fondo salva stati europeo che valgono una trentina di miliardi, ma anche tenendo conto di questo, rimarrebbe comunque nella top ten. L’illustrissimo Senatore Carlo Azeglio Ciampi (presidente prima dalla Banca d’Italia, poi del Consiglio dei Ministri e infine della Repubblica) in soli 12 mesi di governo, tra il 1993 e il 1994 è riuscito a mantenere una media d’incremento del debito pubblico superiore a tutti gli altri governi della storia.
Incremento teorico del debito pubblico, su base mensile, in miliardi di euro (primi 10 Presidenti)
Ciampi9,1
Monti6,7
Dini6,3
De Mita5,3
Amato5,2
Berlusconi5,2
Goria5,0
Craxi4,7
Fanfani4,3
Andreotti3,3
Concludendo, sarei favorevole ad una commissione che ricostruisca le cause e le responsabilità che hanno portato alla formazione di un debito pubblico così abnorme, in modo da consegnare questo documento, come monito, ai futuri governi che, si spera, adotteranno politiche più lungimiranti dei precedenti.

Nell’attesa che questo avvenga, sarei molto felice di vedere qualche giornalista italiano organizzare una trasmissione televisiva sull’argomento. Si potrebbero invitare come ospiti molti dei presidenti sopracitati che avranno sicuramente molte cose da raccontarci in merito.

01 marzo 2013

Nell'anno del giaguaro





 


Lo avevamo annunciato appena ieri quando abbiamo scritto: “Alla fine dovremo ringraziare il Movimento di Grillo per non averci fatto soffrire troppo ed averci dato il risolutivo colpo di grazia. Giacché, quando l’orda del comico entrerà alla Camera e al Senato, aule che saranno certamente afflitte da trasformismi e precarietà, sarà come un’onda anomala di dimensioni gigantesche che spazzerà via gli infingimenti e le sempiterne tresche altrui”.

Non è elegante autocitarsi ma in questo caso è doveroso perché il quadro degli sconvolgimenti parlamentari e delle sorprese elettorali era stato da noi tratteggiato alla perfezione.

Adesso cosa succederà? I partiti tradizionali non si arrenderanno, nonostante, come dice Grillo, siano circondati e non ci siano i numeri al Senato; si consulteranno e faranno i loro abboccamenti per formare un fantomatico governo di salvezza collettiva, per il bene del paese che però, “stranamente”, continua a coincidere col bene loro, con il ristretto interesse corporativo di cui sono depositari incrollabili. Temono di sparire e vogliono guadagnare ancora qualche mese che per loro, classe (non)dirigente al tramonto, può equivalere all’eternità. Sembra il Principe di Salina de Il Gattopardo invece è l’arco costituzionale al completo nell’anno del Giaguaro (smacchiato).

Il Pd si aprirà alle forze che immagina contigue senza capire che, in verità, proprio queste sono le più lontane dalle sue attuali posizioni mercatistiche, finanziaristiche, eurosuicide, supine alla Nato in politica estera e ripiegate sui soliti gruppi parassitari, industriali ed economici, all’interno del contesto nazionale. Non ci sono punti di contatto tra Bersani ed il comico genovese, nemmeno sulle battaglie ambientali, dopo che il Partito Democratico si è schierato a favore di alcune grandi opere.  Non basterà far leva sulla tradizione progressista del partito per accostarsi ai grillini perché quel patrimonio di antichi valori popolari (con i quali si può essere più o meno d’accordo) è stato liquidato per accreditarsi con i poteri forti atlantici e le cerchie della speculazione mondiale, tanto che sul sito del Pd si esultava per l’endorsement pre-voto di Goldman Sachs al centro-sinistra.

Poi, verificata l’impossibilità di qualsiasi intesa con il M5S, si cimenterà, tramite la lista cuscinetto di Mario Monti (la grande delusione con soddisfazione nostra ), anche col centro-destra, ponendo una pregiudiziale contro Berlusconi, al quale verrà chiesto di fare un passo indietro per permettere la formazione di un comitato di salute pubblica allargato alla “parte sana” del Pdl e degli altri muschietti sopravvissuti alla piaga dell’invasione degli ortotteri, adatto a fare almeno alcune riforme (comunque tutte inutili e senza respiro storico) per poi ritornare alle urne, dandosi il tempo necessario a neutralizzare i cinquestellati e la rabbia popolare che li ha puniti severamente. Ecco come non hanno imparato nulla dagli errori commessi e dalla lezione appena ricevuta.

Ma stanno facendo male i conti, perché la gente è stanca dei loro giochetti che hanno portato miseria e disperazione nelle case dei connazionali. Tutte le parole d’ordine che questi signori hanno impiegato in quattro lustri per incatenare lo Stato a logiche di soggezione internazionale, anche come conseguenza di una dipendenza culturale (sarebbe meglio dire sottoculturale), si sono sfatte come fichi al sole: dal bipolarismo, all’europeismo, all’irreversibilità dell’euro ecc. ecc. Sarebbe finalmente il caso, considerando la pesante affermazione di rappresentanze anti-Ue nel nuovo Parlamento, di preparare un bel referendum al fine lasciar decidere ai compatrioti se davvero vogliono restarci nella moneta unica e nella stessa architettura comunitaria. Finora, trattandoci come bambini, ci hanno imposto la loro visione che però, da quel che si può riscontrare, non ci ha evitato la devastante crisi; semmai quest’ultima si è pure aggravata per via delle ricette imposteci da Bruxelles e accettate pedissequamente dai nostri “quisling”.

Ça suffit! Nel nome del popolo italiano, della responsabilità pubblica, della stabilita economica, con le mani sempre tese ai mercati e ai mercanti del nostro futuro, avete fatto già troppo e sempre di peggio. E’ ora di cambiare registro o di sloggiare. Adesso al centro dell’agenda politica devono entrare altri temi e soluzioni per temperare i morsi della crisi sistemica globale e dare alla Repubblica una sua strada originale, nel multipolarismo geopolitico in dispiegamento. Difesa della sovranità nazionale, sostegno alle imprese di punta, una politica estera orientata ad accordi ed alleanze con gli Stati emergenti e riemergenti dello scacchiere planetario, un ventaglio di opzioni economiche non schiacciate sull’ideologia globalista e l’austerità finanziaria, la ricerca di una maggiore indipendenza energetica accompagnata da un uso razionale delle risorse, attivazione di un piano industriale basato sui settori all’avanguardia, imposizione della museruola alla speculazione creditizia e riconsiderazione del nostro ruolo nella Nato e nell’Ue. Questo è un piano diversificato e concreto per gettare il cuore oltre gli esiziali ostacoli della fase storica.  Tutto il resto, comprese le riforme costituzionali, sono chiacchiere senza nemmeno più il distintivo. Ieri, infatti, lo hanno perso tutti i vecchi leader di partito sotto i colpi dell’elettore italiano.

Qualcuno potrebbe farci notare che le nostre proposte non sono prese in considerazione da nessuno, nemmeno da Grillo. Infatti, quest’ultimo e i suoi ragazzi non sono il CLN. Costoro, con la loro sorprendente legittimazione nelle urne, hanno però segnalato la voglia dei cittadini di cambiare. Deve ancora giungere chi saprà raccogliere adeguatamente la portata delle sfide che ci stanno di fronte. Ma dopo il terremoto di ieri, senza montarci la testa, restiamo maggiormente fiduciosi.
di Gianni Petrosillo 

28 febbraio 2013

Il successo del Movimento 5 Stelle





Il SUCCESSO DEL M5S
Sul Movimento Cinque Stelle (M5S) nelle ultime settimane si è scritto di tutto, ma la grande stampa italiana ha espresso per lopiù giudizi fortemente negativi, al punto da considerare Grillo un pericolo per la democrazia, un fascista, uno stalinista, un antisemita e così via. Sciocchezze, ma che rivelano l’irrimediabile ottusità della classe dirigente italiana (giornalisti e intellettuali compresi) ormai incapace di comprendere la realtà del nostro Paese. Con questo non vogliamo affermare che il M5S non sia una incognita. Indubbiamente il movimento politico di Grillo manca di un collante ideologico e di una salda dottrina politica e strategica. Perciò, tradimenti e voltafaccia vari è molto probabile che ci saranno. Ma non è affatto scontato che sarà il “trasformismo” che caratterizzerà l’operato del M5S in Parlamento.
Intanto, si dovrebbe prendere atto che il M5S è riuscito nella non facile impresa di “uscire” da internet e di togliere la “piazza” alla sinistra interpretando il malcontento e la rabbia di milioni di italiani che stanno sperimentando sulla propria pelle il fallimento della “terapia” del commissario Monti. Una “terapia” – non lo si deve dimenticare – impostaci dalla BCE (che è la longa manus della finanza angloamericana in Europa) e condivisa sia dal PD che dal PDL. E che ha portato il nostro  Paese sull’orlo del baratro e ad avere una disoccupazione giovanile ben oltre il 30%, nonostante un avanzo primario del 5% (ovvero al netto degli interessi sul debito pubblico). Durante l’anno orribile del governo Monti, però la parola d’ordine del PD e dello stesso PDL è stata una sola: privatizzare. Privatizzare come negli ultimi decenni. Ovvero (s)vendere ai “mercati” l’Italia e gli italiani, perché “lo chiede l’Europa”. Adesso che il risultato di tale politica è sotto gli occhi di tutti si tratta quindi di capire se il M5S non rimarrà prigioniero dell’”antipolitica” (cioè di una generica, benché comprensibile e condivisibile, protesta contro il sistema politico) e saprà invece interpretare la rabbia degli italiani in una nuova chiave (geo)politica che possa bloccare, o perlomeno ostacolare, il”tritacarne” della finanza angloamericana.
Certo ci aspettano mesi duri. Anzi durissimi. Monti ha dichiarato che teme la reazione dei “mercati”. E questi già fanno sentire la loro voce. Ma tutti sappiamo “chi” sono i “mercati” e che cosa vogliono. Sarebbe necessario allora elaborare una linea di “azione strategica” che permetta di opporsi con successo ai “mercati”. Vero che non è facile e che la situazione è gravissima. Guai ad illudersi. Ma margini di manovra ci sono, se strangolare l’Italia significa sfasciare Eurolandia. E questa è una “carta” che il nostro Paese dovrebbe giocare bene. Fondamentale è saper far leva sull’economia reale (PMI, settori strategici, ricerca etc.). In primo luogo, si dovrebbe ridefinire la partecipazione dell’Italia ad Eurolandia e la stessa struttura politica dell’Unione Europea. Al riguardo, però è degno di nota che Mauro Gallegati, l’esperto economico del M5S, abbia precisato che il M5S non vuole «uscire dall’euro e abbandonare l’Europa, ma le strade sono due: una vera unione politico-monetaria o due zone Euro, una per la Germania e i paesi più forti, l’altra per i Paesi più deboli». (1)
D’altronde, vi è pure da prendere in considerazione la delicata questione della politica estera, che incide sempre di più sulla realtà economica e sociale dei singoli Paesi. Da dove “proviene” la crisi  è noto; e pure perché abbia avuto inizio proprio negli Stati Uniti. Né è un caso che le “mani” che controllano i “mercati” siano tutte a “stelle e strisce”. Sicché, certe affermazioni di Grillo sull’Iran e sulla Siria e soprattutto la sua condanna della politica di potenza d’Israele, nonché il fatto che il M5S sia nettamente contrario al MUOS, giustificherebbero un certo ottimismo. Il condizionale però è d’obbligo essendoci ancora, anche sotto questo profilo, non poche “zone d’ombra”, in particolare per quanto concerne i rapporti con i nuovi attori geopolitici sullo scacchiere mondiale (BRICS, SCO etc.), che sono destinati avere un ruolo sempre maggiore nel prossimo futuro ed avere di conseguenza sempre più importanza per lo sviluppo dell’economia e della società europea. Ma è improbabile (ma non “impossibile”) che il M5S non metta in discussione la politica filoatlantista del nostro Paese, dato che insiste sulla necessità di mettere fine alle nostre missioni militari all’estero, che sono solo in funzione dei progetti di egemonia globale degli Stati Uniti.
Insomma, il successo del M5S, al di là di facili ed “superficiali” entusiasmi, non solo non è irrilevante, ma potrebbe veramente cambiare, almeno in parte, il volto politico del nostro Paese.   Comunque sia, un po’ di sabbia nel “tritacarne” ora c’è. Ed è un fatto positivo, anche se non è ancora una autentica inversione di tendenza. Peraltro, tanto i partiti del centrodestra quanto quelli del centrosinistra non solo sono in buona misura responsabili della drammatica situazione in cui si trova l’Italia, ma, come dimostra la stessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena, sono tutti ricattabili. A tale proposito, si dovrebbe tener presente quanto scrivono Stefano Sylos Labini e Giorgio Ruffolo, ossia che «l’’attesa spasmodica del giudizio dei mercati assume i tratti di un imperscrutabile destino e rivela fino a che punto è stata compromessa la sovranità politica delle democrazie [...] Da un lato c’è un mercato finanziario dominato da grandi concentrazioni di potere e perfettamente integrato a livello mondiale, che può condizionare le politiche dei governi. Dall’altro ci sono i governi che ne subiscono il ricatto».(2) E’ allora contro questo ricatto che il M5S si deve battere, se ha a cuore non gli interessi di quel 10% della popolazione che detiene quasi il 50% della ricchezza nazionale, bensì le sorti del popolo italiano. Ed è questa la “conditio sine qua non” per eliminare corruzione, malcostume e inefficienza senza distruggere la base produttiva del nostro Paese.
Tuttavia, questo lo può fare solo la “politica”. Il M5S dovrebbe pertanto, a nostro giudizio, evitare di confondere la funzione politica, oggi più che mai necessaria e decisiva, con i politicanti inetti e corrotti o con le stesse istituzioni politiche, che naturalmente non sono state delegittimate da Grillo, ma, per così dire, si sono delegittimate da sole. In ogni caso, siamo sicuri che nei prossimi mesi, se non addirittura nelle prossime settimane, molti dubbi saranno chiariti. E dato che non ignoriamo quali sono i motivi che spingono gazzettieri e politicanti ad accusare il M5S di essere un movimento “populista”, non abbiamo nemmeno difficoltà ad ammettere che non ci dispiacerebbe che tale accusa si rivelasse non del tutto infondata, pur augurandoci, per il bene degli italiani, che il M5S “cresca” il più rapidamente possibile, sia dal punto di vista della cultura politica sia da quello politico-strategico. Se invece ci fossimo sbagliati e il M5S si dovesse rivelare un movimento politico funzionale al sistema di potere“euroamericano”, è ovvio che non si tratterebbe solo di una buona occasione persa. E le conseguenze per il nostro Paese sarebbero disastrose.
 di Fabio Falchi 

 
(1) http://www.ansa.it/web/notizie/elezioni2013/news/2013/02/26/INTERVISTA-M5S-aula-Stiglitz-ma-uscita-euro-_8315461.html.
(2) http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2013/01/risposta-giorgio.htm.

02 marzo 2013

La verità sul debito pubblico



Sul debito pubblico è ora che sia fatta chiarezza. È un fardello pesantissimo per le finanze pubbliche, e consuma ingenti risorse che, altrimenti, potrebbero essere utilizzate per i servizi utili al cittadino, ed è per questo motivo che dobbiamo pretendere di saperne di più.
Tanto per cominciare, ho provato a mettere a confronto i dati relativi al debito pubblico anno per anno (forniti da Banca d’Italia) con i vari governi che si sono succeduti dal 1970 ad oggi(disponibili su Wikipedia). Negli anni in cui si sono succeduti più Presidenti del Consiglio l’incremento annuale è stato diviso proporzionalmente su base mensile. Il grafico sottostante indica, in miliardi di euro, i risultati relativi ai primi 5 classificati sulla base del debito pubblico attribuibile al/ai governi da essi presieduti.
Debito pubblico per Presidente del Consiglio dal 1970 a oggi in miliardi di euro (primi 5 classificati)
Berlusconi572
Andreotti285
Craxi213
Prodi154
Amato125
I dati sopra illustrati rendono palese il fatto che il debito pubblico è imputabile sia ai governi della Prima che della Seconda repubblica, a quelli di destra e anche a quelli di sinistra. Persino ai governi tecnici come quelli del presidente Amato (Ciampi, Dini e Monti sono rispettivamente in 6, 7 e 8 posizione) sono attribuibili importanti quote del debito pubblico.
Tuttavia, gli esecutivi che si distinguono, e di gran lunga, per aver prodotto la maggiore porzione di debito sono quelli del Presidente Silvio Berlusconi. Questo primato non viene scalfito nemmeno se, ai dati a valori nominali, sostituiamo quelli a valori corretti con l’inflazione (dall’anno di formazione ad oggi).
Debito pubblico (a valori reali) per Presidente del Consiglio dal 1970 a oggi in miliardi di euro (primi 5 classificati)
Berlusconi675
Andreotti551
Craxi434
Prodi192
Amato184
A valori nominali, pertanto, ai governi del Presidente Berlusconi è attribuibile quasi il 30% del debito pubblico complessivo.
% di debito pubblico attribuibile a ogni Presidente
Berlusconi29%
Andreotti14%
Craxi11%
Prodi8%
Amato6%
tutti gli altri insieme32%
Negli anni duemila, l’Italia ha mantenuto il parametro del disavanzo primario entro limiti previsti dai trattati europei e questo ha permesso all’ex ministro dell’economia, Giulio Tremonti, di dire che i conti pubblici erano a posto. Purtroppo però, tale indicatore tiene conto della differenza fra entrate e uscite, senza però includere il costo degli interessi sul debito pubblico, che in Italia rappresentano circa il 20% di tutte le uscite (vedi bilancio pubblico 2011) e ammontano a più di 80 miliardi.
Se allo scadere di una quota di titoli del debito pubblico, il governo rifinanzia il tutto (compreso gli interessi) con l’emissione di nuovo debito pubblico, gli interessi producono a loro volta altro debito entrando così un circolo vizioso senza fine.
Durante tutti i governi Berlusconi, il primo comandamento è sempre stato quello di non aumentare le imposte, fa niente che così il debito pubblico cresceva, tanto il tasso d’interesse non era mai stato così basso dall’introduzione dell’euro, fino alla crisi dello spread che ha fatto cadere tutto il castello di ipotesi che stava probabilmente alla base di quella condotta.
Non mi dilungherei sui governi Andreotti e Craxi, anni nei quali a tutti è chiaro che si sia fatto un uso spropositato della spesa pubblica (assistenzialismo, baby pensioni, ecc).
che hanno prodotto molto debito pubblico. Tuttavia, egli ha avuto almeno l’accortezza di tenere sotto controllo il rapporto debito/PIL, portandolo dal 121% dell’ultimo governo Dini (1995), al 115% (1998), trend che poi è continuato fino ai primi anni dei governi Berlusconi (2004) arrivando fino a quota 104%. Anche il secondo governo Prodi è stato attento a questo parametro, riportandolo al 104% dopo un peggioramento avvenuto tra il 2005 e i 2006.
I governi Amato, soprattutto quello del '92-'93 hanno prodotto un significativo ammontare di debito pubblico, nonostante le privatizzazioni, avvenute in quegli anni, che portarono nelle casse dello Stato diversi miliardi di euro. Come sono stati spesi quei soldi, e perché non sono stati utilizzati per abbattere il debito?
Sempre a proposito di governi tecnici, non si può dire che abbiano fatto molta attenzione a non far crescere il debito pubblico. Il prossimo grafico mostra l’incremento del debito pubblico per mese di governo. Si osservi come nelle prime posizioni troviamo tutti i tecnici: Ciampi, Monti, Dini e Amato. L’unica eccezione è De Mita. Ad onor del vero, sul governo del Presidente Monti bisogna dire che hanno pesato le emissioni di debito pubblico per il trasferimento al fondo salva stati europeo che valgono una trentina di miliardi, ma anche tenendo conto di questo, rimarrebbe comunque nella top ten. L’illustrissimo Senatore Carlo Azeglio Ciampi (presidente prima dalla Banca d’Italia, poi del Consiglio dei Ministri e infine della Repubblica) in soli 12 mesi di governo, tra il 1993 e il 1994 è riuscito a mantenere una media d’incremento del debito pubblico superiore a tutti gli altri governi della storia.
Incremento teorico del debito pubblico, su base mensile, in miliardi di euro (primi 10 Presidenti)
Ciampi9,1
Monti6,7
Dini6,3
De Mita5,3
Amato5,2
Berlusconi5,2
Goria5,0
Craxi4,7
Fanfani4,3
Andreotti3,3
Concludendo, sarei favorevole ad una commissione che ricostruisca le cause e le responsabilità che hanno portato alla formazione di un debito pubblico così abnorme, in modo da consegnare questo documento, come monito, ai futuri governi che, si spera, adotteranno politiche più lungimiranti dei precedenti.

Nell’attesa che questo avvenga, sarei molto felice di vedere qualche giornalista italiano organizzare una trasmissione televisiva sull’argomento. Si potrebbero invitare come ospiti molti dei presidenti sopracitati che avranno sicuramente molte cose da raccontarci in merito.

01 marzo 2013

Nell'anno del giaguaro





 


Lo avevamo annunciato appena ieri quando abbiamo scritto: “Alla fine dovremo ringraziare il Movimento di Grillo per non averci fatto soffrire troppo ed averci dato il risolutivo colpo di grazia. Giacché, quando l’orda del comico entrerà alla Camera e al Senato, aule che saranno certamente afflitte da trasformismi e precarietà, sarà come un’onda anomala di dimensioni gigantesche che spazzerà via gli infingimenti e le sempiterne tresche altrui”.

Non è elegante autocitarsi ma in questo caso è doveroso perché il quadro degli sconvolgimenti parlamentari e delle sorprese elettorali era stato da noi tratteggiato alla perfezione.

Adesso cosa succederà? I partiti tradizionali non si arrenderanno, nonostante, come dice Grillo, siano circondati e non ci siano i numeri al Senato; si consulteranno e faranno i loro abboccamenti per formare un fantomatico governo di salvezza collettiva, per il bene del paese che però, “stranamente”, continua a coincidere col bene loro, con il ristretto interesse corporativo di cui sono depositari incrollabili. Temono di sparire e vogliono guadagnare ancora qualche mese che per loro, classe (non)dirigente al tramonto, può equivalere all’eternità. Sembra il Principe di Salina de Il Gattopardo invece è l’arco costituzionale al completo nell’anno del Giaguaro (smacchiato).

Il Pd si aprirà alle forze che immagina contigue senza capire che, in verità, proprio queste sono le più lontane dalle sue attuali posizioni mercatistiche, finanziaristiche, eurosuicide, supine alla Nato in politica estera e ripiegate sui soliti gruppi parassitari, industriali ed economici, all’interno del contesto nazionale. Non ci sono punti di contatto tra Bersani ed il comico genovese, nemmeno sulle battaglie ambientali, dopo che il Partito Democratico si è schierato a favore di alcune grandi opere.  Non basterà far leva sulla tradizione progressista del partito per accostarsi ai grillini perché quel patrimonio di antichi valori popolari (con i quali si può essere più o meno d’accordo) è stato liquidato per accreditarsi con i poteri forti atlantici e le cerchie della speculazione mondiale, tanto che sul sito del Pd si esultava per l’endorsement pre-voto di Goldman Sachs al centro-sinistra.

Poi, verificata l’impossibilità di qualsiasi intesa con il M5S, si cimenterà, tramite la lista cuscinetto di Mario Monti (la grande delusione con soddisfazione nostra ), anche col centro-destra, ponendo una pregiudiziale contro Berlusconi, al quale verrà chiesto di fare un passo indietro per permettere la formazione di un comitato di salute pubblica allargato alla “parte sana” del Pdl e degli altri muschietti sopravvissuti alla piaga dell’invasione degli ortotteri, adatto a fare almeno alcune riforme (comunque tutte inutili e senza respiro storico) per poi ritornare alle urne, dandosi il tempo necessario a neutralizzare i cinquestellati e la rabbia popolare che li ha puniti severamente. Ecco come non hanno imparato nulla dagli errori commessi e dalla lezione appena ricevuta.

Ma stanno facendo male i conti, perché la gente è stanca dei loro giochetti che hanno portato miseria e disperazione nelle case dei connazionali. Tutte le parole d’ordine che questi signori hanno impiegato in quattro lustri per incatenare lo Stato a logiche di soggezione internazionale, anche come conseguenza di una dipendenza culturale (sarebbe meglio dire sottoculturale), si sono sfatte come fichi al sole: dal bipolarismo, all’europeismo, all’irreversibilità dell’euro ecc. ecc. Sarebbe finalmente il caso, considerando la pesante affermazione di rappresentanze anti-Ue nel nuovo Parlamento, di preparare un bel referendum al fine lasciar decidere ai compatrioti se davvero vogliono restarci nella moneta unica e nella stessa architettura comunitaria. Finora, trattandoci come bambini, ci hanno imposto la loro visione che però, da quel che si può riscontrare, non ci ha evitato la devastante crisi; semmai quest’ultima si è pure aggravata per via delle ricette imposteci da Bruxelles e accettate pedissequamente dai nostri “quisling”.

Ça suffit! Nel nome del popolo italiano, della responsabilità pubblica, della stabilita economica, con le mani sempre tese ai mercati e ai mercanti del nostro futuro, avete fatto già troppo e sempre di peggio. E’ ora di cambiare registro o di sloggiare. Adesso al centro dell’agenda politica devono entrare altri temi e soluzioni per temperare i morsi della crisi sistemica globale e dare alla Repubblica una sua strada originale, nel multipolarismo geopolitico in dispiegamento. Difesa della sovranità nazionale, sostegno alle imprese di punta, una politica estera orientata ad accordi ed alleanze con gli Stati emergenti e riemergenti dello scacchiere planetario, un ventaglio di opzioni economiche non schiacciate sull’ideologia globalista e l’austerità finanziaria, la ricerca di una maggiore indipendenza energetica accompagnata da un uso razionale delle risorse, attivazione di un piano industriale basato sui settori all’avanguardia, imposizione della museruola alla speculazione creditizia e riconsiderazione del nostro ruolo nella Nato e nell’Ue. Questo è un piano diversificato e concreto per gettare il cuore oltre gli esiziali ostacoli della fase storica.  Tutto il resto, comprese le riforme costituzionali, sono chiacchiere senza nemmeno più il distintivo. Ieri, infatti, lo hanno perso tutti i vecchi leader di partito sotto i colpi dell’elettore italiano.

Qualcuno potrebbe farci notare che le nostre proposte non sono prese in considerazione da nessuno, nemmeno da Grillo. Infatti, quest’ultimo e i suoi ragazzi non sono il CLN. Costoro, con la loro sorprendente legittimazione nelle urne, hanno però segnalato la voglia dei cittadini di cambiare. Deve ancora giungere chi saprà raccogliere adeguatamente la portata delle sfide che ci stanno di fronte. Ma dopo il terremoto di ieri, senza montarci la testa, restiamo maggiormente fiduciosi.
di Gianni Petrosillo 

28 febbraio 2013

Il successo del Movimento 5 Stelle





Il SUCCESSO DEL M5S
Sul Movimento Cinque Stelle (M5S) nelle ultime settimane si è scritto di tutto, ma la grande stampa italiana ha espresso per lopiù giudizi fortemente negativi, al punto da considerare Grillo un pericolo per la democrazia, un fascista, uno stalinista, un antisemita e così via. Sciocchezze, ma che rivelano l’irrimediabile ottusità della classe dirigente italiana (giornalisti e intellettuali compresi) ormai incapace di comprendere la realtà del nostro Paese. Con questo non vogliamo affermare che il M5S non sia una incognita. Indubbiamente il movimento politico di Grillo manca di un collante ideologico e di una salda dottrina politica e strategica. Perciò, tradimenti e voltafaccia vari è molto probabile che ci saranno. Ma non è affatto scontato che sarà il “trasformismo” che caratterizzerà l’operato del M5S in Parlamento.
Intanto, si dovrebbe prendere atto che il M5S è riuscito nella non facile impresa di “uscire” da internet e di togliere la “piazza” alla sinistra interpretando il malcontento e la rabbia di milioni di italiani che stanno sperimentando sulla propria pelle il fallimento della “terapia” del commissario Monti. Una “terapia” – non lo si deve dimenticare – impostaci dalla BCE (che è la longa manus della finanza angloamericana in Europa) e condivisa sia dal PD che dal PDL. E che ha portato il nostro  Paese sull’orlo del baratro e ad avere una disoccupazione giovanile ben oltre il 30%, nonostante un avanzo primario del 5% (ovvero al netto degli interessi sul debito pubblico). Durante l’anno orribile del governo Monti, però la parola d’ordine del PD e dello stesso PDL è stata una sola: privatizzare. Privatizzare come negli ultimi decenni. Ovvero (s)vendere ai “mercati” l’Italia e gli italiani, perché “lo chiede l’Europa”. Adesso che il risultato di tale politica è sotto gli occhi di tutti si tratta quindi di capire se il M5S non rimarrà prigioniero dell’”antipolitica” (cioè di una generica, benché comprensibile e condivisibile, protesta contro il sistema politico) e saprà invece interpretare la rabbia degli italiani in una nuova chiave (geo)politica che possa bloccare, o perlomeno ostacolare, il”tritacarne” della finanza angloamericana.
Certo ci aspettano mesi duri. Anzi durissimi. Monti ha dichiarato che teme la reazione dei “mercati”. E questi già fanno sentire la loro voce. Ma tutti sappiamo “chi” sono i “mercati” e che cosa vogliono. Sarebbe necessario allora elaborare una linea di “azione strategica” che permetta di opporsi con successo ai “mercati”. Vero che non è facile e che la situazione è gravissima. Guai ad illudersi. Ma margini di manovra ci sono, se strangolare l’Italia significa sfasciare Eurolandia. E questa è una “carta” che il nostro Paese dovrebbe giocare bene. Fondamentale è saper far leva sull’economia reale (PMI, settori strategici, ricerca etc.). In primo luogo, si dovrebbe ridefinire la partecipazione dell’Italia ad Eurolandia e la stessa struttura politica dell’Unione Europea. Al riguardo, però è degno di nota che Mauro Gallegati, l’esperto economico del M5S, abbia precisato che il M5S non vuole «uscire dall’euro e abbandonare l’Europa, ma le strade sono due: una vera unione politico-monetaria o due zone Euro, una per la Germania e i paesi più forti, l’altra per i Paesi più deboli». (1)
D’altronde, vi è pure da prendere in considerazione la delicata questione della politica estera, che incide sempre di più sulla realtà economica e sociale dei singoli Paesi. Da dove “proviene” la crisi  è noto; e pure perché abbia avuto inizio proprio negli Stati Uniti. Né è un caso che le “mani” che controllano i “mercati” siano tutte a “stelle e strisce”. Sicché, certe affermazioni di Grillo sull’Iran e sulla Siria e soprattutto la sua condanna della politica di potenza d’Israele, nonché il fatto che il M5S sia nettamente contrario al MUOS, giustificherebbero un certo ottimismo. Il condizionale però è d’obbligo essendoci ancora, anche sotto questo profilo, non poche “zone d’ombra”, in particolare per quanto concerne i rapporti con i nuovi attori geopolitici sullo scacchiere mondiale (BRICS, SCO etc.), che sono destinati avere un ruolo sempre maggiore nel prossimo futuro ed avere di conseguenza sempre più importanza per lo sviluppo dell’economia e della società europea. Ma è improbabile (ma non “impossibile”) che il M5S non metta in discussione la politica filoatlantista del nostro Paese, dato che insiste sulla necessità di mettere fine alle nostre missioni militari all’estero, che sono solo in funzione dei progetti di egemonia globale degli Stati Uniti.
Insomma, il successo del M5S, al di là di facili ed “superficiali” entusiasmi, non solo non è irrilevante, ma potrebbe veramente cambiare, almeno in parte, il volto politico del nostro Paese.   Comunque sia, un po’ di sabbia nel “tritacarne” ora c’è. Ed è un fatto positivo, anche se non è ancora una autentica inversione di tendenza. Peraltro, tanto i partiti del centrodestra quanto quelli del centrosinistra non solo sono in buona misura responsabili della drammatica situazione in cui si trova l’Italia, ma, come dimostra la stessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena, sono tutti ricattabili. A tale proposito, si dovrebbe tener presente quanto scrivono Stefano Sylos Labini e Giorgio Ruffolo, ossia che «l’’attesa spasmodica del giudizio dei mercati assume i tratti di un imperscrutabile destino e rivela fino a che punto è stata compromessa la sovranità politica delle democrazie [...] Da un lato c’è un mercato finanziario dominato da grandi concentrazioni di potere e perfettamente integrato a livello mondiale, che può condizionare le politiche dei governi. Dall’altro ci sono i governi che ne subiscono il ricatto».(2) E’ allora contro questo ricatto che il M5S si deve battere, se ha a cuore non gli interessi di quel 10% della popolazione che detiene quasi il 50% della ricchezza nazionale, bensì le sorti del popolo italiano. Ed è questa la “conditio sine qua non” per eliminare corruzione, malcostume e inefficienza senza distruggere la base produttiva del nostro Paese.
Tuttavia, questo lo può fare solo la “politica”. Il M5S dovrebbe pertanto, a nostro giudizio, evitare di confondere la funzione politica, oggi più che mai necessaria e decisiva, con i politicanti inetti e corrotti o con le stesse istituzioni politiche, che naturalmente non sono state delegittimate da Grillo, ma, per così dire, si sono delegittimate da sole. In ogni caso, siamo sicuri che nei prossimi mesi, se non addirittura nelle prossime settimane, molti dubbi saranno chiariti. E dato che non ignoriamo quali sono i motivi che spingono gazzettieri e politicanti ad accusare il M5S di essere un movimento “populista”, non abbiamo nemmeno difficoltà ad ammettere che non ci dispiacerebbe che tale accusa si rivelasse non del tutto infondata, pur augurandoci, per il bene degli italiani, che il M5S “cresca” il più rapidamente possibile, sia dal punto di vista della cultura politica sia da quello politico-strategico. Se invece ci fossimo sbagliati e il M5S si dovesse rivelare un movimento politico funzionale al sistema di potere“euroamericano”, è ovvio che non si tratterebbe solo di una buona occasione persa. E le conseguenze per il nostro Paese sarebbero disastrose.
 di Fabio Falchi 

 
(1) http://www.ansa.it/web/notizie/elezioni2013/news/2013/02/26/INTERVISTA-M5S-aula-Stiglitz-ma-uscita-euro-_8315461.html.
(2) http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2013/01/risposta-giorgio.htm.