12 marzo 2013

A Mare la Zavorra dei Magnaccioni



Secondo il tesoriere del partito democratico, Antonio Misani, “Negli ultimi 4 anni per i rimborsi relativi alle varie elezioni [il PD ha] incassato 37, 4 milioni di euro nel 2008, 46, 3 nel 2009, 60, 1 nel 2011, 58 nel 2012.” Al momento, però, il Partito Democratico, il baluardo della sinistra italiana, l’organo politico che rappresenta gli interessi delle classi medio basse del paese ha “un disavanzo di 43 milioni di euro“. Quindi, facendo una botta di conti, dal 2008 al 20012 il partito ha incassato 200 milioni e ne ha cumulati 50 di disavanzo. Il Partito Democratico “brucia” 65,5 milioni all’anno, 171232 euro al giorno. Infatti, “Un partito vive sempre, mica solo in campagna elettorale. Quei soldi li usiamo per pagare l’attività politica, il personale.”. Però tranquilli, il Partito Democratico ha il “bilancio certificato”. Ah, beh, se il bilancio è certificato, dov’è il problema.
Il problema è chiedersi cosa produce un organismo che brucia oltre sessanta milioni di quattrini pubblici all’anno. Acciaio? Aeroplani? Piattaforme petrolifere? No, le otto proposte di Bersani. L’aria fritta a geometria variabile con la quale il partito che ha la maggioranza assoluta in parlamento intende controbattere crisi economica, politica ed istituzionale.
E ovviamente, questo non riguarda solo il Partito Democratico. Il saccheggio di risorse pubbliche senza nessuna finalità se non quella di mantenere un apparato di parassiti che non hanno nessuna voglia di lavorare per davvero riguarda decine e decine di partiti politici, proporzionalmente ai consensi elettorali ottenuti e anche se il partito, nel frattempo, si è sciolto.
Molti italiani continuano a non capire che è su questo piano che si sta combattendo la battaglia finale. Tra chi pretende di continuare ad essere mantenuto e chi è stanco di togliere il pane di bocca ai propri figli per pagare le cenette romane di funzionari di apparato. Miliardi di euro bruciati nella fornace e questo paese non vede una riforma seria da decenni. Vivere al di sopra dei propri mezzi non è comprarsi la terza macchina, ma permettersi il 6% di occupati con la funzione di magnaccioni che non hanno assolutamente nessuna utilità e che non solo pretendono di mangiare, ma vogliono pure mangiare bene. Senza contare che questi parassiti presidiano i gangli decisionali del paese e si assicurano i posti meglio retribuiti e le scuole migliori.
E’ tempo di tagliare i viveri a questa gente e cancellare per sempre dalla cultura del paese l’idea che si possa vivere alle spalle degli altri senza fare un cazzo. I prossimi anni saranno durissimi e non possiamo permetterci zavorre. Buttiamoli a mare, tanto, considerando la materia di cui sono fatti, galleggeranno.
 autore dellefragilicose

11 marzo 2013

l diritto di Grillo e i suoi a snobbare la tivù


L’ultimo episodio ha avuto per protagonista un giornalista diBallarò. Presentatosi a un’assemblea del Movimento 5 stelle a Napoli, non è stato fatto entrare nella sala perché l’intrusione delle telecamere non era gradita. Ma ci sono una serie di vicende analoghe che dimostrano l’idiosincrasia dei grillini verso i media, e al tempo stesso il senso di astio misto a sconcerto che questi provano verso chi inopinatamente li respinge.
Abituati ad avere campo libero, a essere addirittura blanditi perché considerati un indispensabile volano del consenso, tivù e giornali sono increduli di fronte a chi ostentatamente li rifugge. La novità ha del clamoroso, perché fino ad ora la sottomissione della vita pubblica ai palinsesti televisivi è stata totale. 

Il M5S spezza la logica tivù-centrica del berlusconismo

L’estromissione dei luoghi istituzionali della politica, il passaggio dalle Camere alle telecamere, è una metamorfosi che si è consumata all’interno della Seconda Repubblica. Non foss’altro che a dettarne tempi e modi è stato il suo interprete per antonomasia, Silvio Berlusconi, che dalla piccolo schermo proveniva e dunque meglio di tutti ne conosceva il richiamo seduttivo.
Agli albori della Terza, ci si trova fare i conti con un partito che non vuole più sottostare a questa logica. E rivendica un ritorno del fare politica non solo ai luoghi che le erano propri, in primis quella che era la sua sede naturale: il parlamento. Ma ambisce anche a separarla dalla sua rappresentazione mediatica accusata, secondo noi con ragione, di rimandarne un’immagine deformata, se non palesemente falsa.
MA LA FUGA DAGLI SCHERMI NON È UN VULNUS DEMOCRATICO. Ora, se questa è la motivazione che spinge il M5S a eludere la pretesa di chi vorrebbe strumentalizzarlo ai fini dell’audience, non si capisce perché ciò susciti tanta riprovazione verso il movimento, con accuse di opacità e scarsa attitudine democratica. Come se  bastasse un rifiuto a farsi intervistare (quello di Grillo a Sky  ha dato il via da parte dell’emittente a due giorni di reprimenda) o andare in tivù per arrecare alla democrazia un irreparabile vulnus.
UNA SCELTA COERENTE PER CHI PRIVILEGIA INTERNET. Per un movimento che ha fatto di Internet e della Rete il luogo privilegiato della comunicazione, e che proprio per questo teorizza un ritorno alla partecipazione diretta scevra il più possibile alle intermediazioni, rovesciare il rapporto di sudditanza ai media, la loro famelica smania di filtrare  la lettura e l’interpretazione del mondo, è un atteggiamento assolutamente condivisibile.
Così come la severità per chi trasgredisce quella che appare una regola fondante, paragonabile al rifiuto sin qui ostentato ad allearsi in qualsiasi forma con la vecchia partitocrazia.

Il dialogo coi media esteri estranei al consociativismo

Se, a giudizio dei grillini, i media sono stati sin qui uno strumento collusivo al vecchio modo di fare politica, se hanno contribuito a enfatizzare la degenerazione di un sistema, è obligatorio tenersene lontani. O essere sicuri, prima di aprire loro le porte, che il proprio messaggio non subisca stravolgimenti. Di qui la predilezione del leader per i media stranieri, considerati non parte del gioco consociativo, o l’uso diretto dei blog.
Che questo approccio susciti riprovazione a destra è comprensibile, in fondo è l’antitesi di ciò che è stato alla base della irresistibile ascesa di Berlusconi imperniata, sin dagli albori della sua discesa in campo, sul formidabile potere persuasivo della tivù. E riaffermato ancora una volta dalla strepitosa rimonta del Cav alle ultime elezioni. Ma che sia la sinistra a fare le pulci, a storcere il naso, questo stupisce non poco.
LA SINISTRA CHE STORCE IL NASO DIMENTICA LA SUA TRADIZIONE. Sembra abbia dimenticato che la sua tradizione culturale, specie negli anni Settanta, è stata attraversata da una robusta corrente di critica dell’informazione, nutrita da un impianto teorico-filosofico di tutto rispetto.
E dunque quello di Grillo dovrebbe suonarle come un invito a meditare su un tema cruciale per la democrazia, a riscoprire quello che fu un tratto distintivo della sua analisi, lo stesso che ora l’ex comico  incarna con la giusta ambizione di marcare una differenza. Ma in quest’ambito, con Bersani e i suoi, siamo purtroppo a una disarmante pochezza della riflessione.
QUEL CHE BERSANI E IL PD RIFIUTANO DI COMPRENDERE. Non hanno ancora capito che, eccezion fatta per Berlusconi che fa storia a sé, l’assenza è il miglior modo per evocare la presenza. E che i media comunque vanno usati con discernimento, capendone le regole ed evitando l’incondizionata adesione, ovvero sottomissione,  alle loro logiche. Senza scomodare  Casaleggio,  che oltretutto è un irriducibile avversario, basterebbe interpellassero Carlo Freccero per farsi spiegare l’arcano.
Domenica, 10 Marzo 2013


di Paolo Madron

10 marzo 2013

Il debito pubblico tocca il record del 127% sul Pil


Il debito pubblico italiano ha toccato a fine dicembre il record del 127% sul Prodotto Interno lordo. A metà  novembre del 2011 quando Berlusconi venne disarcionato dal governo a causa dello spread tra Btp e Bund tedeschi giunto a 570 punti, il debito era al 120,1%. Decisamente una gran bella gestione della situazione da parte del governo di Mario Monti che non può nascondersi dietro il fatto che questa deriva è colpa della recessione diffusa  a livello globale che ha rallentato o meglio fatto arrestare l’economia e di conseguenza ha tagliato tutte le entrate, da quelle fiscali a quelle contributive. Il governo ha infatti dato l’idea di essersi limitato a gestire l’esistente limitandosi, è una battuta, ad introdurre misure che nelle sue speranze, evidentemente campate in aria, avrebbero dovuto consentire di tagliare le spese e di aiutare le imprese a riacquisire competitività. A conti fatti non è stato così. Il primo provvedimento è stata una misura tampone come l’innalzamento dell’età pensionabile per rimandare di qualche anno l’aggravio di impegni finanziari da parte dell’Inps. Ma non  è stato così perché l’Inps, proprio alcuni giorni fa, ha denunciato per il 2012 un disavanzo di 10,7 miliardi, di 2,7 miliardi in più rispetto al preventivato a causa dell’incorporazione dell’ex Inpdap e dei molti lavoratori che, fiutando la tempesta in arrivo, sono riusciti a mettersi in quiescenza prima dell’approvazione della riforma. Né il governo dell’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s può rallegrarsi di essere riuscito a portare il disavanzo al 3% sul Pil. La prima tappa richiesta dalla Commissione europea per poi arrivare al pareggio di bilancio che, visto l’andazzo, è un traguardo tutt’altro che facile e vicino. Se infatti al momento della caduta di Berlusconi il disavanzo era al 4,2% il risultato raggiunta dall’attuale esecutivo è stato raggiunto esclusivamente grazie all’impennata delle entrate fiscali. Dall’aumento dell’Iva che ha pesato sulle imprese e sui consumatori fino all’introduzione dell’Imu sulla prima e sulle seconde case. Una tassa che ha permesso al Tesoro di ramazzare una barca di miliardi ma anche una misura che, per molte famiglie che possiedono la casa come unico bene, ha rappresentato una autentica mazzata. Un autentico scippo che drenando risorse finanziarie dalle tasche dei cittadini si è riflessa molto negativamente sui consumi e sulla domanda interna di beni e di servizi.
Da qui la caduta del Pil secondo il più classico schema del cane che si morde la coda. Il calo del Pil del 2,4% sul 2011 è dovuto soprattutto a queste misure che sono servite più che altro a finanziare alcune banche che dovevano essere ricapitalizzate e a versare la quota di spettanza dell’Italia ai fondi europei salva Stati. Insomma, è stato come se una parte consistenza della ricchezza privata nazionale fosse stata prelevata forzosamente, come in effetti è stato, e messa da parte. La pressione fiscale nel 2012 è salita al 44% rispetto al 42,6% registrato nel 2011. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo testimonia il calo della produzione dello 0,8% che sembra poco ma è tantissimo perché testimonia la continuazione di una tendenza in atto dal 2008, l’anno in cui iniziò la crisi finanziaria in Usa poi trasformatasi in crisi economica e poi in recessione e depressione. Lo testimonia pure la diminuzione della spesa per consumi delle famiglie con un meno 4,3% a fronte di un “accettabile” calo dello 0,1% nel 2011.  

di Filippo Ghira 

12 marzo 2013

A Mare la Zavorra dei Magnaccioni



Secondo il tesoriere del partito democratico, Antonio Misani, “Negli ultimi 4 anni per i rimborsi relativi alle varie elezioni [il PD ha] incassato 37, 4 milioni di euro nel 2008, 46, 3 nel 2009, 60, 1 nel 2011, 58 nel 2012.” Al momento, però, il Partito Democratico, il baluardo della sinistra italiana, l’organo politico che rappresenta gli interessi delle classi medio basse del paese ha “un disavanzo di 43 milioni di euro“. Quindi, facendo una botta di conti, dal 2008 al 20012 il partito ha incassato 200 milioni e ne ha cumulati 50 di disavanzo. Il Partito Democratico “brucia” 65,5 milioni all’anno, 171232 euro al giorno. Infatti, “Un partito vive sempre, mica solo in campagna elettorale. Quei soldi li usiamo per pagare l’attività politica, il personale.”. Però tranquilli, il Partito Democratico ha il “bilancio certificato”. Ah, beh, se il bilancio è certificato, dov’è il problema.
Il problema è chiedersi cosa produce un organismo che brucia oltre sessanta milioni di quattrini pubblici all’anno. Acciaio? Aeroplani? Piattaforme petrolifere? No, le otto proposte di Bersani. L’aria fritta a geometria variabile con la quale il partito che ha la maggioranza assoluta in parlamento intende controbattere crisi economica, politica ed istituzionale.
E ovviamente, questo non riguarda solo il Partito Democratico. Il saccheggio di risorse pubbliche senza nessuna finalità se non quella di mantenere un apparato di parassiti che non hanno nessuna voglia di lavorare per davvero riguarda decine e decine di partiti politici, proporzionalmente ai consensi elettorali ottenuti e anche se il partito, nel frattempo, si è sciolto.
Molti italiani continuano a non capire che è su questo piano che si sta combattendo la battaglia finale. Tra chi pretende di continuare ad essere mantenuto e chi è stanco di togliere il pane di bocca ai propri figli per pagare le cenette romane di funzionari di apparato. Miliardi di euro bruciati nella fornace e questo paese non vede una riforma seria da decenni. Vivere al di sopra dei propri mezzi non è comprarsi la terza macchina, ma permettersi il 6% di occupati con la funzione di magnaccioni che non hanno assolutamente nessuna utilità e che non solo pretendono di mangiare, ma vogliono pure mangiare bene. Senza contare che questi parassiti presidiano i gangli decisionali del paese e si assicurano i posti meglio retribuiti e le scuole migliori.
E’ tempo di tagliare i viveri a questa gente e cancellare per sempre dalla cultura del paese l’idea che si possa vivere alle spalle degli altri senza fare un cazzo. I prossimi anni saranno durissimi e non possiamo permetterci zavorre. Buttiamoli a mare, tanto, considerando la materia di cui sono fatti, galleggeranno.
 autore dellefragilicose

11 marzo 2013

l diritto di Grillo e i suoi a snobbare la tivù


L’ultimo episodio ha avuto per protagonista un giornalista diBallarò. Presentatosi a un’assemblea del Movimento 5 stelle a Napoli, non è stato fatto entrare nella sala perché l’intrusione delle telecamere non era gradita. Ma ci sono una serie di vicende analoghe che dimostrano l’idiosincrasia dei grillini verso i media, e al tempo stesso il senso di astio misto a sconcerto che questi provano verso chi inopinatamente li respinge.
Abituati ad avere campo libero, a essere addirittura blanditi perché considerati un indispensabile volano del consenso, tivù e giornali sono increduli di fronte a chi ostentatamente li rifugge. La novità ha del clamoroso, perché fino ad ora la sottomissione della vita pubblica ai palinsesti televisivi è stata totale. 

Il M5S spezza la logica tivù-centrica del berlusconismo

L’estromissione dei luoghi istituzionali della politica, il passaggio dalle Camere alle telecamere, è una metamorfosi che si è consumata all’interno della Seconda Repubblica. Non foss’altro che a dettarne tempi e modi è stato il suo interprete per antonomasia, Silvio Berlusconi, che dalla piccolo schermo proveniva e dunque meglio di tutti ne conosceva il richiamo seduttivo.
Agli albori della Terza, ci si trova fare i conti con un partito che non vuole più sottostare a questa logica. E rivendica un ritorno del fare politica non solo ai luoghi che le erano propri, in primis quella che era la sua sede naturale: il parlamento. Ma ambisce anche a separarla dalla sua rappresentazione mediatica accusata, secondo noi con ragione, di rimandarne un’immagine deformata, se non palesemente falsa.
MA LA FUGA DAGLI SCHERMI NON È UN VULNUS DEMOCRATICO. Ora, se questa è la motivazione che spinge il M5S a eludere la pretesa di chi vorrebbe strumentalizzarlo ai fini dell’audience, non si capisce perché ciò susciti tanta riprovazione verso il movimento, con accuse di opacità e scarsa attitudine democratica. Come se  bastasse un rifiuto a farsi intervistare (quello di Grillo a Sky  ha dato il via da parte dell’emittente a due giorni di reprimenda) o andare in tivù per arrecare alla democrazia un irreparabile vulnus.
UNA SCELTA COERENTE PER CHI PRIVILEGIA INTERNET. Per un movimento che ha fatto di Internet e della Rete il luogo privilegiato della comunicazione, e che proprio per questo teorizza un ritorno alla partecipazione diretta scevra il più possibile alle intermediazioni, rovesciare il rapporto di sudditanza ai media, la loro famelica smania di filtrare  la lettura e l’interpretazione del mondo, è un atteggiamento assolutamente condivisibile.
Così come la severità per chi trasgredisce quella che appare una regola fondante, paragonabile al rifiuto sin qui ostentato ad allearsi in qualsiasi forma con la vecchia partitocrazia.

Il dialogo coi media esteri estranei al consociativismo

Se, a giudizio dei grillini, i media sono stati sin qui uno strumento collusivo al vecchio modo di fare politica, se hanno contribuito a enfatizzare la degenerazione di un sistema, è obligatorio tenersene lontani. O essere sicuri, prima di aprire loro le porte, che il proprio messaggio non subisca stravolgimenti. Di qui la predilezione del leader per i media stranieri, considerati non parte del gioco consociativo, o l’uso diretto dei blog.
Che questo approccio susciti riprovazione a destra è comprensibile, in fondo è l’antitesi di ciò che è stato alla base della irresistibile ascesa di Berlusconi imperniata, sin dagli albori della sua discesa in campo, sul formidabile potere persuasivo della tivù. E riaffermato ancora una volta dalla strepitosa rimonta del Cav alle ultime elezioni. Ma che sia la sinistra a fare le pulci, a storcere il naso, questo stupisce non poco.
LA SINISTRA CHE STORCE IL NASO DIMENTICA LA SUA TRADIZIONE. Sembra abbia dimenticato che la sua tradizione culturale, specie negli anni Settanta, è stata attraversata da una robusta corrente di critica dell’informazione, nutrita da un impianto teorico-filosofico di tutto rispetto.
E dunque quello di Grillo dovrebbe suonarle come un invito a meditare su un tema cruciale per la democrazia, a riscoprire quello che fu un tratto distintivo della sua analisi, lo stesso che ora l’ex comico  incarna con la giusta ambizione di marcare una differenza. Ma in quest’ambito, con Bersani e i suoi, siamo purtroppo a una disarmante pochezza della riflessione.
QUEL CHE BERSANI E IL PD RIFIUTANO DI COMPRENDERE. Non hanno ancora capito che, eccezion fatta per Berlusconi che fa storia a sé, l’assenza è il miglior modo per evocare la presenza. E che i media comunque vanno usati con discernimento, capendone le regole ed evitando l’incondizionata adesione, ovvero sottomissione,  alle loro logiche. Senza scomodare  Casaleggio,  che oltretutto è un irriducibile avversario, basterebbe interpellassero Carlo Freccero per farsi spiegare l’arcano.
Domenica, 10 Marzo 2013


di Paolo Madron

10 marzo 2013

Il debito pubblico tocca il record del 127% sul Pil


Il debito pubblico italiano ha toccato a fine dicembre il record del 127% sul Prodotto Interno lordo. A metà  novembre del 2011 quando Berlusconi venne disarcionato dal governo a causa dello spread tra Btp e Bund tedeschi giunto a 570 punti, il debito era al 120,1%. Decisamente una gran bella gestione della situazione da parte del governo di Mario Monti che non può nascondersi dietro il fatto che questa deriva è colpa della recessione diffusa  a livello globale che ha rallentato o meglio fatto arrestare l’economia e di conseguenza ha tagliato tutte le entrate, da quelle fiscali a quelle contributive. Il governo ha infatti dato l’idea di essersi limitato a gestire l’esistente limitandosi, è una battuta, ad introdurre misure che nelle sue speranze, evidentemente campate in aria, avrebbero dovuto consentire di tagliare le spese e di aiutare le imprese a riacquisire competitività. A conti fatti non è stato così. Il primo provvedimento è stata una misura tampone come l’innalzamento dell’età pensionabile per rimandare di qualche anno l’aggravio di impegni finanziari da parte dell’Inps. Ma non  è stato così perché l’Inps, proprio alcuni giorni fa, ha denunciato per il 2012 un disavanzo di 10,7 miliardi, di 2,7 miliardi in più rispetto al preventivato a causa dell’incorporazione dell’ex Inpdap e dei molti lavoratori che, fiutando la tempesta in arrivo, sono riusciti a mettersi in quiescenza prima dell’approvazione della riforma. Né il governo dell’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s può rallegrarsi di essere riuscito a portare il disavanzo al 3% sul Pil. La prima tappa richiesta dalla Commissione europea per poi arrivare al pareggio di bilancio che, visto l’andazzo, è un traguardo tutt’altro che facile e vicino. Se infatti al momento della caduta di Berlusconi il disavanzo era al 4,2% il risultato raggiunta dall’attuale esecutivo è stato raggiunto esclusivamente grazie all’impennata delle entrate fiscali. Dall’aumento dell’Iva che ha pesato sulle imprese e sui consumatori fino all’introduzione dell’Imu sulla prima e sulle seconde case. Una tassa che ha permesso al Tesoro di ramazzare una barca di miliardi ma anche una misura che, per molte famiglie che possiedono la casa come unico bene, ha rappresentato una autentica mazzata. Un autentico scippo che drenando risorse finanziarie dalle tasche dei cittadini si è riflessa molto negativamente sui consumi e sulla domanda interna di beni e di servizi.
Da qui la caduta del Pil secondo il più classico schema del cane che si morde la coda. Il calo del Pil del 2,4% sul 2011 è dovuto soprattutto a queste misure che sono servite più che altro a finanziare alcune banche che dovevano essere ricapitalizzate e a versare la quota di spettanza dell’Italia ai fondi europei salva Stati. Insomma, è stato come se una parte consistenza della ricchezza privata nazionale fosse stata prelevata forzosamente, come in effetti è stato, e messa da parte. La pressione fiscale nel 2012 è salita al 44% rispetto al 42,6% registrato nel 2011. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo testimonia il calo della produzione dello 0,8% che sembra poco ma è tantissimo perché testimonia la continuazione di una tendenza in atto dal 2008, l’anno in cui iniziò la crisi finanziaria in Usa poi trasformatasi in crisi economica e poi in recessione e depressione. Lo testimonia pure la diminuzione della spesa per consumi delle famiglie con un meno 4,3% a fronte di un “accettabile” calo dello 0,1% nel 2011.  

di Filippo Ghira