13 marzo 2013

“Aiuto, arrivano i grillini”. Scene di panico a Montecitorio


"Pronto Palermo? Qui Roma". Come i 1500 dipendenti della Camera si preparano all'arrivo dei deputati Cinquestelle. Tra telefonate in Sicilia e riscoperta della sobrietà

"Aiuto, arrivano i grillini". Scene di panico a Montecitorio
«Pronto Palermo, palazzo dei Normanni? Qui Roma, Montecitorio…». Si dice che ci sia una linea rossa telefonica più rovente di quella tra Mosca e Washington negli anni di Kruscev e Kennedy: è la hot-line tra la segreteria generale di Montecitorio e la segreteria generale dell’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, il parlamento di palazzo dei Normanni. Il motivo è semplice. Mentre l’irriducibile popolino del «ci vorrebbe una bomba sotto Montecitorio» sghignazza e si frega le mani in attesa dello show della carica grillina al Palazzo, mentre inneggia alla berlina per gli onorevoli – la vituperata casta dei politici ormai rassegnata a tagli e automutilazioni indifferibili – c’è un’altra casta, silenziosa e felpata, rimasta all’ombra dei riflettori, che trema: è quella dei funzionari della camera, una delle più protette amministrazioni d’oro dello stato, organo costituzionale al pari di senato, corte costituzionale, governo e presidenza della repubblica. Una struttura operosa e silente che a Montecitorio conta mille e cinquecento dipendenti, articolata secondo la scala piramidale gerarchica che va dal grado più alto di consigliere di V livello – quello dei “funzionari”, in cima a tutti il segretario generale vertice supremo dell’amministrazione – al I livello, quello che include gli assistenti parlamentari, più conosciuti come “commessi”, abito nero, gradi dorati e coccarda tricolore.
L’ascensore d’élite diventa plebeo
Se molto ha fatto sorridere la coscienziosa rimozione delle targhette in ottone dall’ufficio postale di Montecitorio che recavano la dicitura “dare la precedenza agli onorevoli deputati” e di quelle che indicavano la sala di lettura prospiciente il Transatlantico come “riservata agli onorevoli deputati”, pochi hanno notato la parimenti tempestiva rimozione delle targhe di analogo tenore apposte in alcuni degli ascensori del palazzo che recavano l’oscura (per i nuovi arrivati grillini) dicitura: “Riservato ai consiglieri”. Che succede? Succede che la crema della casta dei funzionari si fa concava, abbassa il suo altero profilo. Così, onde evitare che gli scatenati ma naïf neodeputati del M5S iniziassero a interrogarsi sul chi fossero esattamente quei misteriosi “consiglieri” col privilegio di poter fare su e giù a bordo di eleganti ascensori in boisserie, le targhette discriminatorie sono scomparse: col sadico compiacimento dei “paria” – si fa per dire – del personale di IV, III, II e I livello che pure del divieto di usare gli ascensori d’élite – ora formalmente cancellato – se ne infischiavano già da tempo. Dettagli, che però la dicono lunga sulla paura che c’è nel Palazzo e che attanaglia assai più gli alti funzionari che non i bistrattati e sbertucciarti parlamentari, sulla graticola da anni.
La hot-line dei segretari generali
Così, sibilano i maligni nel palazzo, da settimane il segretario generale della camera Ugo Zampetti si tiene in contatto con il collega segretario generale del parlamento regionale siciliano Giovanni Tomasello (finito nel mirino del  governatore del Pd Crocetta perché guadagnava più del triplo del suo pari grado di Palazzo d’Orleans, Patrizia Monterosso: 13.145 euro netti al mese, ora sforbiciati, contro circa 4.300). Come avete fatto e come fate giù in Sicilia con i grillini? Le notizie che arrivano da Palermo non sono rassicuranti per i superburocrati di Roma. Nell’era Crocetta, segnata politicamente dell’ingresso all’Ars di un pattuglione del M5S, i primi tagli alla casta della burocrazia di palazzo dei Normanni si sono già fatti sentire. Al segretario generale sono stati per ora tagliati 30mila euro di stipendio all’anno, è stata cancellata la figura del segretario generale aggiunto, ridotti e accorpati gli uffici da 29 a 21, gli incarichi di vertice sono scesi da 13 a 11. Alla  soppressione dell’indennità di produttività per il segretario generale s’è aggiunta quella del 25 per cento dell’indennità di funzione di vicesegretari regionali, di direttori, capi uffici, responsabili delle unità operative e il taglio del 15 per cento delle altre indennità: notturno, festivi, missioni e la reperibilità. Giovanni Ardizzone, presidente dell’assemblea regionale siciliana, facendo di conto, calcola che «il bilancio è già di 10 milioni di euro inferiore al precedente, con un taglio di circa il 7 per cento. Abbiamo effettuato un milione di euro di tagli al personale in servizio, il personale assunto dal primo gennaio 2013 ha un livello di stipendio inferiore del 20 per cento rispetto ai loro pari grado più anziani, sono state ridotte le posizioni apicali e il numero degli uffici interni».
Crocetta e i biscotti
E’ questo il futuro che attende anche i grand commis di Montecitorio? La sforbiciata siciliana è tutta made in Rosario Crocetta, per dare a Cesare quel che è di Cesare, sia chiaro. Ma non c’è dubbio che una potente spinta propulsiva, la forza con cui l’audace governatore Crocetta ha afferrato il toro per le corna, gli sia arrivata anche dalla sponda dei grillini, le dimensioni della cui affermazione sono state la vera sorpresa delle regionali siciliane dell’ottobre scorso. Grillini che nel frattempo, come gli americani sbarcati in Sicilia nel ’43, sono arrivati a Roma. Dall’alto delle loro 15 mensilità di stipendio da dipendenti della camera (le mensilità dei dipendenti del senato sono 16) non stupisce che i funzionari romani di Montecitorio – per ora in assenza di una figura decisionista alla Crocetta ma già in presenza delle mine vaganti grilline – non sappiano che pesci pigliare. Il terrore è quello di un possibile presidente della camera grillino: una prospettiva che per i burocrati sarebbe po’ come andare a cena con un cannibale. Per ora gli espedienti tattici messi in atto sono grotteschi: la rimozione delle targhette, piuttosto che la trasformazione della scintillante buvette di Montecitorio piena di leccornie in una sorta di bar dell’Unione sovietica degli anni ’50. Dagli scaffali, desolantemente vuoti, sono stati rimossi persino i biscotti, le caramelle e i cioccolatini. Bisogna trasmettere una sensazione di grande austerità e severità di costumi. Basterà ad abbindolare gli ingenui grillini? I grand commis della camera, e giù giù tutta la struttura, sperano di sì: per anni hanno mantenuto i loro privilegi (maggiori o minori a seconda dei gradi) e oggi, parafrasando il monatto dei Promessi sposi che fa spallucce a Renzo Tramaglino, pensano in cuor loro che non saranno certo quei poveri untorelli grillini a spiantarli. Ne hanno viste passare tante, passerà anche questa. Cercheranno di ingraziarseli e di addomesticarli, confidando che i politici facciano loro come sempre da parafulmini, che l’ira popolare anti-casta di cui si alimentano i grillini resti ben concentrata sui parlamentari. Però la fifa di imprevisti fa novanta. E fa paura l’incognita del cortocircuito tra stampa e grillini.
Microchip e rivoltelle
Lunedì 11 marzo, per esempio, quando scatterà la macchina dell’accoglienza nel palazzo dei nuovi deputati per la loro identificazione e registrazione, per la prima volta da decenni sarà impedito ai giornalisti di assistere e riprendere le procedure di arrivo delle matricole parlamentari. Motivo? Come reagiranno i neoeletti grillini, per dirne una, quando i funzionari della camera e il personale della sicurezza chiederà loro di poter prendere le impronte digitali (non obbligatorie, a dire il vero) per il nuovo sistema di voto elettronico anti-pianisti in aula? Altro che microchip sottopelle. Perciò è meglio che la stampa non veda. Così si acchiappano due piccioni con una fava: per un verso si evita la pubblicità di possibili incidenti, dall’altro la materna istituzione si presenta ai nuovi arrivati col volto buono, amico, del funzionario che merita la fiducia del grillino e lo protegge dalle infide iene dei media. Poi, però, come si comporterà l’occhiuto personale addetto alla sicurezza interna quando quegli stessi grillini, armati di telecamerine, cominceranno a videoregistrare tutto ciò che accade nel palazzo, dall’aula alle commissioni, dai sottotetti ai sotterranei di Montecitorio? Videoregistrare e fotografare è forse l’attività più proibita all’interno del palazzo. Se ci prova un giornalista, la paga cara. Per il resto, finché a violare le regole è un deputato – magari una singola testa calda – è un conto: ma che succede se lo fanno in centocinquanta? E ancora, come reagiranno gli altri colleghi deputati, inseguiti e videoregistrati in ogni anfratto di camera dai cameramen-parlamentari a Cinque stelle? Il «rischio sganassoni», si dice tra i più anziani commessi, è forte. Ma quel palazzo e i suoi silenziosi inquilini-dipendenti che a differenza dei parlamentari – che sono soltanto di passaggio – non ne escono se non per andarsene in pensione, sono di una schiatta di mondo, hanno già visto di tutto: e tutto han sempre masticato, digerito, metabolizzato. La creatività protestataria degli irregolari e pirotecnici radicali nella Prima repubblica, i temutissimi Savonarola della Seconda repubblica, forcaioli leghisti prima e manettari dipietristi poi.
Se per questo, nel 1921 i loro austeri predecessori dovettero persino fare i conti con qualche deputato fascista che arrivò a varcare la soglia dell’aula armato di rivoltella. In fondo, mentre il cuore trema, la ragione suggerisce che si troverà il modo di sopravvivere anche alla minaccia del comico Beppe Grillo e della sua armata parlamentare. Parafrasando Ennio Flaiano di Un marziano a Roma, l’extraterrestre atterrato nel galoppatoio di villa Borghese che all’inizio scuote la sonnacchiosa Capitale ma che pian piano è ridotto a macchietta oggetto di derisione generale, nei corridoi del Palazzo già corre feroce il motto: «A grilli’… facce ride». Epperò, vacci a mettere la mano sul fuoco. Non si sa mai.
di  

12 marzo 2013

A Mare la Zavorra dei Magnaccioni



Secondo il tesoriere del partito democratico, Antonio Misani, “Negli ultimi 4 anni per i rimborsi relativi alle varie elezioni [il PD ha] incassato 37, 4 milioni di euro nel 2008, 46, 3 nel 2009, 60, 1 nel 2011, 58 nel 2012.” Al momento, però, il Partito Democratico, il baluardo della sinistra italiana, l’organo politico che rappresenta gli interessi delle classi medio basse del paese ha “un disavanzo di 43 milioni di euro“. Quindi, facendo una botta di conti, dal 2008 al 20012 il partito ha incassato 200 milioni e ne ha cumulati 50 di disavanzo. Il Partito Democratico “brucia” 65,5 milioni all’anno, 171232 euro al giorno. Infatti, “Un partito vive sempre, mica solo in campagna elettorale. Quei soldi li usiamo per pagare l’attività politica, il personale.”. Però tranquilli, il Partito Democratico ha il “bilancio certificato”. Ah, beh, se il bilancio è certificato, dov’è il problema.
Il problema è chiedersi cosa produce un organismo che brucia oltre sessanta milioni di quattrini pubblici all’anno. Acciaio? Aeroplani? Piattaforme petrolifere? No, le otto proposte di Bersani. L’aria fritta a geometria variabile con la quale il partito che ha la maggioranza assoluta in parlamento intende controbattere crisi economica, politica ed istituzionale.
E ovviamente, questo non riguarda solo il Partito Democratico. Il saccheggio di risorse pubbliche senza nessuna finalità se non quella di mantenere un apparato di parassiti che non hanno nessuna voglia di lavorare per davvero riguarda decine e decine di partiti politici, proporzionalmente ai consensi elettorali ottenuti e anche se il partito, nel frattempo, si è sciolto.
Molti italiani continuano a non capire che è su questo piano che si sta combattendo la battaglia finale. Tra chi pretende di continuare ad essere mantenuto e chi è stanco di togliere il pane di bocca ai propri figli per pagare le cenette romane di funzionari di apparato. Miliardi di euro bruciati nella fornace e questo paese non vede una riforma seria da decenni. Vivere al di sopra dei propri mezzi non è comprarsi la terza macchina, ma permettersi il 6% di occupati con la funzione di magnaccioni che non hanno assolutamente nessuna utilità e che non solo pretendono di mangiare, ma vogliono pure mangiare bene. Senza contare che questi parassiti presidiano i gangli decisionali del paese e si assicurano i posti meglio retribuiti e le scuole migliori.
E’ tempo di tagliare i viveri a questa gente e cancellare per sempre dalla cultura del paese l’idea che si possa vivere alle spalle degli altri senza fare un cazzo. I prossimi anni saranno durissimi e non possiamo permetterci zavorre. Buttiamoli a mare, tanto, considerando la materia di cui sono fatti, galleggeranno.
 autore dellefragilicose

11 marzo 2013

l diritto di Grillo e i suoi a snobbare la tivù


L’ultimo episodio ha avuto per protagonista un giornalista diBallarò. Presentatosi a un’assemblea del Movimento 5 stelle a Napoli, non è stato fatto entrare nella sala perché l’intrusione delle telecamere non era gradita. Ma ci sono una serie di vicende analoghe che dimostrano l’idiosincrasia dei grillini verso i media, e al tempo stesso il senso di astio misto a sconcerto che questi provano verso chi inopinatamente li respinge.
Abituati ad avere campo libero, a essere addirittura blanditi perché considerati un indispensabile volano del consenso, tivù e giornali sono increduli di fronte a chi ostentatamente li rifugge. La novità ha del clamoroso, perché fino ad ora la sottomissione della vita pubblica ai palinsesti televisivi è stata totale. 

Il M5S spezza la logica tivù-centrica del berlusconismo

L’estromissione dei luoghi istituzionali della politica, il passaggio dalle Camere alle telecamere, è una metamorfosi che si è consumata all’interno della Seconda Repubblica. Non foss’altro che a dettarne tempi e modi è stato il suo interprete per antonomasia, Silvio Berlusconi, che dalla piccolo schermo proveniva e dunque meglio di tutti ne conosceva il richiamo seduttivo.
Agli albori della Terza, ci si trova fare i conti con un partito che non vuole più sottostare a questa logica. E rivendica un ritorno del fare politica non solo ai luoghi che le erano propri, in primis quella che era la sua sede naturale: il parlamento. Ma ambisce anche a separarla dalla sua rappresentazione mediatica accusata, secondo noi con ragione, di rimandarne un’immagine deformata, se non palesemente falsa.
MA LA FUGA DAGLI SCHERMI NON È UN VULNUS DEMOCRATICO. Ora, se questa è la motivazione che spinge il M5S a eludere la pretesa di chi vorrebbe strumentalizzarlo ai fini dell’audience, non si capisce perché ciò susciti tanta riprovazione verso il movimento, con accuse di opacità e scarsa attitudine democratica. Come se  bastasse un rifiuto a farsi intervistare (quello di Grillo a Sky  ha dato il via da parte dell’emittente a due giorni di reprimenda) o andare in tivù per arrecare alla democrazia un irreparabile vulnus.
UNA SCELTA COERENTE PER CHI PRIVILEGIA INTERNET. Per un movimento che ha fatto di Internet e della Rete il luogo privilegiato della comunicazione, e che proprio per questo teorizza un ritorno alla partecipazione diretta scevra il più possibile alle intermediazioni, rovesciare il rapporto di sudditanza ai media, la loro famelica smania di filtrare  la lettura e l’interpretazione del mondo, è un atteggiamento assolutamente condivisibile.
Così come la severità per chi trasgredisce quella che appare una regola fondante, paragonabile al rifiuto sin qui ostentato ad allearsi in qualsiasi forma con la vecchia partitocrazia.

Il dialogo coi media esteri estranei al consociativismo

Se, a giudizio dei grillini, i media sono stati sin qui uno strumento collusivo al vecchio modo di fare politica, se hanno contribuito a enfatizzare la degenerazione di un sistema, è obligatorio tenersene lontani. O essere sicuri, prima di aprire loro le porte, che il proprio messaggio non subisca stravolgimenti. Di qui la predilezione del leader per i media stranieri, considerati non parte del gioco consociativo, o l’uso diretto dei blog.
Che questo approccio susciti riprovazione a destra è comprensibile, in fondo è l’antitesi di ciò che è stato alla base della irresistibile ascesa di Berlusconi imperniata, sin dagli albori della sua discesa in campo, sul formidabile potere persuasivo della tivù. E riaffermato ancora una volta dalla strepitosa rimonta del Cav alle ultime elezioni. Ma che sia la sinistra a fare le pulci, a storcere il naso, questo stupisce non poco.
LA SINISTRA CHE STORCE IL NASO DIMENTICA LA SUA TRADIZIONE. Sembra abbia dimenticato che la sua tradizione culturale, specie negli anni Settanta, è stata attraversata da una robusta corrente di critica dell’informazione, nutrita da un impianto teorico-filosofico di tutto rispetto.
E dunque quello di Grillo dovrebbe suonarle come un invito a meditare su un tema cruciale per la democrazia, a riscoprire quello che fu un tratto distintivo della sua analisi, lo stesso che ora l’ex comico  incarna con la giusta ambizione di marcare una differenza. Ma in quest’ambito, con Bersani e i suoi, siamo purtroppo a una disarmante pochezza della riflessione.
QUEL CHE BERSANI E IL PD RIFIUTANO DI COMPRENDERE. Non hanno ancora capito che, eccezion fatta per Berlusconi che fa storia a sé, l’assenza è il miglior modo per evocare la presenza. E che i media comunque vanno usati con discernimento, capendone le regole ed evitando l’incondizionata adesione, ovvero sottomissione,  alle loro logiche. Senza scomodare  Casaleggio,  che oltretutto è un irriducibile avversario, basterebbe interpellassero Carlo Freccero per farsi spiegare l’arcano.
Domenica, 10 Marzo 2013


di Paolo Madron

13 marzo 2013

“Aiuto, arrivano i grillini”. Scene di panico a Montecitorio


"Pronto Palermo? Qui Roma". Come i 1500 dipendenti della Camera si preparano all'arrivo dei deputati Cinquestelle. Tra telefonate in Sicilia e riscoperta della sobrietà

"Aiuto, arrivano i grillini". Scene di panico a Montecitorio
«Pronto Palermo, palazzo dei Normanni? Qui Roma, Montecitorio…». Si dice che ci sia una linea rossa telefonica più rovente di quella tra Mosca e Washington negli anni di Kruscev e Kennedy: è la hot-line tra la segreteria generale di Montecitorio e la segreteria generale dell’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, il parlamento di palazzo dei Normanni. Il motivo è semplice. Mentre l’irriducibile popolino del «ci vorrebbe una bomba sotto Montecitorio» sghignazza e si frega le mani in attesa dello show della carica grillina al Palazzo, mentre inneggia alla berlina per gli onorevoli – la vituperata casta dei politici ormai rassegnata a tagli e automutilazioni indifferibili – c’è un’altra casta, silenziosa e felpata, rimasta all’ombra dei riflettori, che trema: è quella dei funzionari della camera, una delle più protette amministrazioni d’oro dello stato, organo costituzionale al pari di senato, corte costituzionale, governo e presidenza della repubblica. Una struttura operosa e silente che a Montecitorio conta mille e cinquecento dipendenti, articolata secondo la scala piramidale gerarchica che va dal grado più alto di consigliere di V livello – quello dei “funzionari”, in cima a tutti il segretario generale vertice supremo dell’amministrazione – al I livello, quello che include gli assistenti parlamentari, più conosciuti come “commessi”, abito nero, gradi dorati e coccarda tricolore.
L’ascensore d’élite diventa plebeo
Se molto ha fatto sorridere la coscienziosa rimozione delle targhette in ottone dall’ufficio postale di Montecitorio che recavano la dicitura “dare la precedenza agli onorevoli deputati” e di quelle che indicavano la sala di lettura prospiciente il Transatlantico come “riservata agli onorevoli deputati”, pochi hanno notato la parimenti tempestiva rimozione delle targhe di analogo tenore apposte in alcuni degli ascensori del palazzo che recavano l’oscura (per i nuovi arrivati grillini) dicitura: “Riservato ai consiglieri”. Che succede? Succede che la crema della casta dei funzionari si fa concava, abbassa il suo altero profilo. Così, onde evitare che gli scatenati ma naïf neodeputati del M5S iniziassero a interrogarsi sul chi fossero esattamente quei misteriosi “consiglieri” col privilegio di poter fare su e giù a bordo di eleganti ascensori in boisserie, le targhette discriminatorie sono scomparse: col sadico compiacimento dei “paria” – si fa per dire – del personale di IV, III, II e I livello che pure del divieto di usare gli ascensori d’élite – ora formalmente cancellato – se ne infischiavano già da tempo. Dettagli, che però la dicono lunga sulla paura che c’è nel Palazzo e che attanaglia assai più gli alti funzionari che non i bistrattati e sbertucciarti parlamentari, sulla graticola da anni.
La hot-line dei segretari generali
Così, sibilano i maligni nel palazzo, da settimane il segretario generale della camera Ugo Zampetti si tiene in contatto con il collega segretario generale del parlamento regionale siciliano Giovanni Tomasello (finito nel mirino del  governatore del Pd Crocetta perché guadagnava più del triplo del suo pari grado di Palazzo d’Orleans, Patrizia Monterosso: 13.145 euro netti al mese, ora sforbiciati, contro circa 4.300). Come avete fatto e come fate giù in Sicilia con i grillini? Le notizie che arrivano da Palermo non sono rassicuranti per i superburocrati di Roma. Nell’era Crocetta, segnata politicamente dell’ingresso all’Ars di un pattuglione del M5S, i primi tagli alla casta della burocrazia di palazzo dei Normanni si sono già fatti sentire. Al segretario generale sono stati per ora tagliati 30mila euro di stipendio all’anno, è stata cancellata la figura del segretario generale aggiunto, ridotti e accorpati gli uffici da 29 a 21, gli incarichi di vertice sono scesi da 13 a 11. Alla  soppressione dell’indennità di produttività per il segretario generale s’è aggiunta quella del 25 per cento dell’indennità di funzione di vicesegretari regionali, di direttori, capi uffici, responsabili delle unità operative e il taglio del 15 per cento delle altre indennità: notturno, festivi, missioni e la reperibilità. Giovanni Ardizzone, presidente dell’assemblea regionale siciliana, facendo di conto, calcola che «il bilancio è già di 10 milioni di euro inferiore al precedente, con un taglio di circa il 7 per cento. Abbiamo effettuato un milione di euro di tagli al personale in servizio, il personale assunto dal primo gennaio 2013 ha un livello di stipendio inferiore del 20 per cento rispetto ai loro pari grado più anziani, sono state ridotte le posizioni apicali e il numero degli uffici interni».
Crocetta e i biscotti
E’ questo il futuro che attende anche i grand commis di Montecitorio? La sforbiciata siciliana è tutta made in Rosario Crocetta, per dare a Cesare quel che è di Cesare, sia chiaro. Ma non c’è dubbio che una potente spinta propulsiva, la forza con cui l’audace governatore Crocetta ha afferrato il toro per le corna, gli sia arrivata anche dalla sponda dei grillini, le dimensioni della cui affermazione sono state la vera sorpresa delle regionali siciliane dell’ottobre scorso. Grillini che nel frattempo, come gli americani sbarcati in Sicilia nel ’43, sono arrivati a Roma. Dall’alto delle loro 15 mensilità di stipendio da dipendenti della camera (le mensilità dei dipendenti del senato sono 16) non stupisce che i funzionari romani di Montecitorio – per ora in assenza di una figura decisionista alla Crocetta ma già in presenza delle mine vaganti grilline – non sappiano che pesci pigliare. Il terrore è quello di un possibile presidente della camera grillino: una prospettiva che per i burocrati sarebbe po’ come andare a cena con un cannibale. Per ora gli espedienti tattici messi in atto sono grotteschi: la rimozione delle targhette, piuttosto che la trasformazione della scintillante buvette di Montecitorio piena di leccornie in una sorta di bar dell’Unione sovietica degli anni ’50. Dagli scaffali, desolantemente vuoti, sono stati rimossi persino i biscotti, le caramelle e i cioccolatini. Bisogna trasmettere una sensazione di grande austerità e severità di costumi. Basterà ad abbindolare gli ingenui grillini? I grand commis della camera, e giù giù tutta la struttura, sperano di sì: per anni hanno mantenuto i loro privilegi (maggiori o minori a seconda dei gradi) e oggi, parafrasando il monatto dei Promessi sposi che fa spallucce a Renzo Tramaglino, pensano in cuor loro che non saranno certo quei poveri untorelli grillini a spiantarli. Ne hanno viste passare tante, passerà anche questa. Cercheranno di ingraziarseli e di addomesticarli, confidando che i politici facciano loro come sempre da parafulmini, che l’ira popolare anti-casta di cui si alimentano i grillini resti ben concentrata sui parlamentari. Però la fifa di imprevisti fa novanta. E fa paura l’incognita del cortocircuito tra stampa e grillini.
Microchip e rivoltelle
Lunedì 11 marzo, per esempio, quando scatterà la macchina dell’accoglienza nel palazzo dei nuovi deputati per la loro identificazione e registrazione, per la prima volta da decenni sarà impedito ai giornalisti di assistere e riprendere le procedure di arrivo delle matricole parlamentari. Motivo? Come reagiranno i neoeletti grillini, per dirne una, quando i funzionari della camera e il personale della sicurezza chiederà loro di poter prendere le impronte digitali (non obbligatorie, a dire il vero) per il nuovo sistema di voto elettronico anti-pianisti in aula? Altro che microchip sottopelle. Perciò è meglio che la stampa non veda. Così si acchiappano due piccioni con una fava: per un verso si evita la pubblicità di possibili incidenti, dall’altro la materna istituzione si presenta ai nuovi arrivati col volto buono, amico, del funzionario che merita la fiducia del grillino e lo protegge dalle infide iene dei media. Poi, però, come si comporterà l’occhiuto personale addetto alla sicurezza interna quando quegli stessi grillini, armati di telecamerine, cominceranno a videoregistrare tutto ciò che accade nel palazzo, dall’aula alle commissioni, dai sottotetti ai sotterranei di Montecitorio? Videoregistrare e fotografare è forse l’attività più proibita all’interno del palazzo. Se ci prova un giornalista, la paga cara. Per il resto, finché a violare le regole è un deputato – magari una singola testa calda – è un conto: ma che succede se lo fanno in centocinquanta? E ancora, come reagiranno gli altri colleghi deputati, inseguiti e videoregistrati in ogni anfratto di camera dai cameramen-parlamentari a Cinque stelle? Il «rischio sganassoni», si dice tra i più anziani commessi, è forte. Ma quel palazzo e i suoi silenziosi inquilini-dipendenti che a differenza dei parlamentari – che sono soltanto di passaggio – non ne escono se non per andarsene in pensione, sono di una schiatta di mondo, hanno già visto di tutto: e tutto han sempre masticato, digerito, metabolizzato. La creatività protestataria degli irregolari e pirotecnici radicali nella Prima repubblica, i temutissimi Savonarola della Seconda repubblica, forcaioli leghisti prima e manettari dipietristi poi.
Se per questo, nel 1921 i loro austeri predecessori dovettero persino fare i conti con qualche deputato fascista che arrivò a varcare la soglia dell’aula armato di rivoltella. In fondo, mentre il cuore trema, la ragione suggerisce che si troverà il modo di sopravvivere anche alla minaccia del comico Beppe Grillo e della sua armata parlamentare. Parafrasando Ennio Flaiano di Un marziano a Roma, l’extraterrestre atterrato nel galoppatoio di villa Borghese che all’inizio scuote la sonnacchiosa Capitale ma che pian piano è ridotto a macchietta oggetto di derisione generale, nei corridoi del Palazzo già corre feroce il motto: «A grilli’… facce ride». Epperò, vacci a mettere la mano sul fuoco. Non si sa mai.
di  

12 marzo 2013

A Mare la Zavorra dei Magnaccioni



Secondo il tesoriere del partito democratico, Antonio Misani, “Negli ultimi 4 anni per i rimborsi relativi alle varie elezioni [il PD ha] incassato 37, 4 milioni di euro nel 2008, 46, 3 nel 2009, 60, 1 nel 2011, 58 nel 2012.” Al momento, però, il Partito Democratico, il baluardo della sinistra italiana, l’organo politico che rappresenta gli interessi delle classi medio basse del paese ha “un disavanzo di 43 milioni di euro“. Quindi, facendo una botta di conti, dal 2008 al 20012 il partito ha incassato 200 milioni e ne ha cumulati 50 di disavanzo. Il Partito Democratico “brucia” 65,5 milioni all’anno, 171232 euro al giorno. Infatti, “Un partito vive sempre, mica solo in campagna elettorale. Quei soldi li usiamo per pagare l’attività politica, il personale.”. Però tranquilli, il Partito Democratico ha il “bilancio certificato”. Ah, beh, se il bilancio è certificato, dov’è il problema.
Il problema è chiedersi cosa produce un organismo che brucia oltre sessanta milioni di quattrini pubblici all’anno. Acciaio? Aeroplani? Piattaforme petrolifere? No, le otto proposte di Bersani. L’aria fritta a geometria variabile con la quale il partito che ha la maggioranza assoluta in parlamento intende controbattere crisi economica, politica ed istituzionale.
E ovviamente, questo non riguarda solo il Partito Democratico. Il saccheggio di risorse pubbliche senza nessuna finalità se non quella di mantenere un apparato di parassiti che non hanno nessuna voglia di lavorare per davvero riguarda decine e decine di partiti politici, proporzionalmente ai consensi elettorali ottenuti e anche se il partito, nel frattempo, si è sciolto.
Molti italiani continuano a non capire che è su questo piano che si sta combattendo la battaglia finale. Tra chi pretende di continuare ad essere mantenuto e chi è stanco di togliere il pane di bocca ai propri figli per pagare le cenette romane di funzionari di apparato. Miliardi di euro bruciati nella fornace e questo paese non vede una riforma seria da decenni. Vivere al di sopra dei propri mezzi non è comprarsi la terza macchina, ma permettersi il 6% di occupati con la funzione di magnaccioni che non hanno assolutamente nessuna utilità e che non solo pretendono di mangiare, ma vogliono pure mangiare bene. Senza contare che questi parassiti presidiano i gangli decisionali del paese e si assicurano i posti meglio retribuiti e le scuole migliori.
E’ tempo di tagliare i viveri a questa gente e cancellare per sempre dalla cultura del paese l’idea che si possa vivere alle spalle degli altri senza fare un cazzo. I prossimi anni saranno durissimi e non possiamo permetterci zavorre. Buttiamoli a mare, tanto, considerando la materia di cui sono fatti, galleggeranno.
 autore dellefragilicose

11 marzo 2013

l diritto di Grillo e i suoi a snobbare la tivù


L’ultimo episodio ha avuto per protagonista un giornalista diBallarò. Presentatosi a un’assemblea del Movimento 5 stelle a Napoli, non è stato fatto entrare nella sala perché l’intrusione delle telecamere non era gradita. Ma ci sono una serie di vicende analoghe che dimostrano l’idiosincrasia dei grillini verso i media, e al tempo stesso il senso di astio misto a sconcerto che questi provano verso chi inopinatamente li respinge.
Abituati ad avere campo libero, a essere addirittura blanditi perché considerati un indispensabile volano del consenso, tivù e giornali sono increduli di fronte a chi ostentatamente li rifugge. La novità ha del clamoroso, perché fino ad ora la sottomissione della vita pubblica ai palinsesti televisivi è stata totale. 

Il M5S spezza la logica tivù-centrica del berlusconismo

L’estromissione dei luoghi istituzionali della politica, il passaggio dalle Camere alle telecamere, è una metamorfosi che si è consumata all’interno della Seconda Repubblica. Non foss’altro che a dettarne tempi e modi è stato il suo interprete per antonomasia, Silvio Berlusconi, che dalla piccolo schermo proveniva e dunque meglio di tutti ne conosceva il richiamo seduttivo.
Agli albori della Terza, ci si trova fare i conti con un partito che non vuole più sottostare a questa logica. E rivendica un ritorno del fare politica non solo ai luoghi che le erano propri, in primis quella che era la sua sede naturale: il parlamento. Ma ambisce anche a separarla dalla sua rappresentazione mediatica accusata, secondo noi con ragione, di rimandarne un’immagine deformata, se non palesemente falsa.
MA LA FUGA DAGLI SCHERMI NON È UN VULNUS DEMOCRATICO. Ora, se questa è la motivazione che spinge il M5S a eludere la pretesa di chi vorrebbe strumentalizzarlo ai fini dell’audience, non si capisce perché ciò susciti tanta riprovazione verso il movimento, con accuse di opacità e scarsa attitudine democratica. Come se  bastasse un rifiuto a farsi intervistare (quello di Grillo a Sky  ha dato il via da parte dell’emittente a due giorni di reprimenda) o andare in tivù per arrecare alla democrazia un irreparabile vulnus.
UNA SCELTA COERENTE PER CHI PRIVILEGIA INTERNET. Per un movimento che ha fatto di Internet e della Rete il luogo privilegiato della comunicazione, e che proprio per questo teorizza un ritorno alla partecipazione diretta scevra il più possibile alle intermediazioni, rovesciare il rapporto di sudditanza ai media, la loro famelica smania di filtrare  la lettura e l’interpretazione del mondo, è un atteggiamento assolutamente condivisibile.
Così come la severità per chi trasgredisce quella che appare una regola fondante, paragonabile al rifiuto sin qui ostentato ad allearsi in qualsiasi forma con la vecchia partitocrazia.

Il dialogo coi media esteri estranei al consociativismo

Se, a giudizio dei grillini, i media sono stati sin qui uno strumento collusivo al vecchio modo di fare politica, se hanno contribuito a enfatizzare la degenerazione di un sistema, è obligatorio tenersene lontani. O essere sicuri, prima di aprire loro le porte, che il proprio messaggio non subisca stravolgimenti. Di qui la predilezione del leader per i media stranieri, considerati non parte del gioco consociativo, o l’uso diretto dei blog.
Che questo approccio susciti riprovazione a destra è comprensibile, in fondo è l’antitesi di ciò che è stato alla base della irresistibile ascesa di Berlusconi imperniata, sin dagli albori della sua discesa in campo, sul formidabile potere persuasivo della tivù. E riaffermato ancora una volta dalla strepitosa rimonta del Cav alle ultime elezioni. Ma che sia la sinistra a fare le pulci, a storcere il naso, questo stupisce non poco.
LA SINISTRA CHE STORCE IL NASO DIMENTICA LA SUA TRADIZIONE. Sembra abbia dimenticato che la sua tradizione culturale, specie negli anni Settanta, è stata attraversata da una robusta corrente di critica dell’informazione, nutrita da un impianto teorico-filosofico di tutto rispetto.
E dunque quello di Grillo dovrebbe suonarle come un invito a meditare su un tema cruciale per la democrazia, a riscoprire quello che fu un tratto distintivo della sua analisi, lo stesso che ora l’ex comico  incarna con la giusta ambizione di marcare una differenza. Ma in quest’ambito, con Bersani e i suoi, siamo purtroppo a una disarmante pochezza della riflessione.
QUEL CHE BERSANI E IL PD RIFIUTANO DI COMPRENDERE. Non hanno ancora capito che, eccezion fatta per Berlusconi che fa storia a sé, l’assenza è il miglior modo per evocare la presenza. E che i media comunque vanno usati con discernimento, capendone le regole ed evitando l’incondizionata adesione, ovvero sottomissione,  alle loro logiche. Senza scomodare  Casaleggio,  che oltretutto è un irriducibile avversario, basterebbe interpellassero Carlo Freccero per farsi spiegare l’arcano.
Domenica, 10 Marzo 2013


di Paolo Madron