01 maggio 2013

La fiducia arriva dagli Usa





Enrico Letta ha ricevuto la fiducia: quella del segretario di stato Usa John Kerry che, ancor prima che la votasse il parlamento italiano, si è congratulato per la nascita del nuovo governo. Fiducia ben meritata. Enrico Letta, garantisce John Kerry, è «un amico buono e fidato degli Stati uniti, che ha dimostrato in tutta la sua carriera un fermo impegno nella nostra partnership transatlantica». Il governo Letta, sottolinea Kerry, assicurerà il proseguimento della «nostra stretta cooperazione su molte pressanti questioni in tutto il mondo». È quindi il segretario di stato Usa a trattare un tema fondamentale che i partiti italiani hanno cancellato dal dibattito e dai programmi con cui si sono presentati agli elettori: la politica estera e militare dell'Italia. Il perché è chiaro: Pd, Pdl e Scelta Civica hanno su ciò la stessa posizione. Possiamo dunque essere sicuri che l'Italia continuerà ad essere base avanzata delle operazioni militari Usa/Nato in Medio Oriente e Africa: dopo la guerra alla Libia, si sta conducendo quella in Siria, mentre si prepara l'attacco all'Iran. E, in barba al Trattato di non-proliferazione, resteranno sul nostro territorio le bombe nucleari che gli Usa hanno deciso di potenziare. Allo stesso tempo l'Italia continuerà a inviare forze militari all'estero, anche in Afghanistan dove la Nato manterrà propri contingenti dopo il «ritiro» nel 2014. Aumenterà di conseguenza la spesa militare, in cui l'Italia si colloca al decimo posto mondiale con 70 milioni di euro al giorno spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all'estero. A rafforzare la fiducia di John Kerry che l'Italia resterà alleato fidato sotto comando Usa è la nomina di Emma Bonino a ministro degli esteri. La Bonino, sottolineano a Washington, è una ex allieva del Dipartimento di stato, presso cui ha frequentato un corso di formazione (International Visitor Leadership Program). Brillante allieva. Ha sostenuto i bombardamenti della Nato sull'ex Jugoslavia; ha sostenuto la guerra in Afghanistan, dichiarando che «non si può parlare di occupazione: qui c'è una forza multinazionale» e che «un'occasione militare può condurre alla democrazia»; ha accusato Gino Strada di «atteggiamento ambiguo, tra l'umanitario e il politico». Ha sostenuto la guerra in Iraq, affermando che «non c'era alternativa per sconvolgere la rete terroristica» dopo l'11 settembre e ha definito «irresponsabili» i manifestanti contro la guarra. E, in veste di vice-presidente del Senato, è stata tra i più accesi sostenitori della guerra alla Libia, chiedendo nel febbraio 2011 la sospensione del trattato bilaterale perché «lega le mani all'Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile», «soccorso» arrivato subito dopo con i cacciabombardieri. La Bonino potrà contare sui corsi di «peacekeeping» della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa (già diretta da Maria Chiara Carrozza ora ministro dell'istruzione), che vengono tenuti anche in Africa. A quando, dopo quella in Libia, la prossima operazione di «peacekeeping»? 


di Manlio Dinucci 

28 aprile 2013

Fino a quale abiezione umana può condurre la “politica”?







A volte basta un filmato di pochi minuti per prendere atto di qualcosa che si agita nella propria coscienza e che vuole uscire prepotentemente per gridare: “così non si può andare avanti”, “basta!”, “non se ne può più!”.
È quello che ho percepito nitidamente mentre osservavo le scene, dal Cairo, degli scontri di piazza tra opposte fazioni politiche e che invito a guardare per comprendere bene quello che vado a scrivere:http://english.ahram.org.eg/NewsContentMulti/69657/Multimedia.aspx
Partiamo dall’ambientazione: un posto orrendo, pieno di asfalto e cemento, di cavalcavia, di palazzoni, di lavori in corso e di polvere, di automobili strombazzanti che rendono l’aria irrespirabile.
In questa fantastica “location” ha luogo la battaglia di strada tra sostenitori di due diversi schieramenti politici egiziani.
Ma al di là delle fazioni sul campo, chi c’è, umanamente parlando, sopra e sotto la sopraelevata? Un’accozzaglia di facinorosi, molto probabilmente nullafacenti, oppure prezzolati (il che è lo stesso), fanatizzati dalla “politica” e dalle “passioni” che essa è in grado di smuovere ad un punto tale dal lanciarsi pietre in testa e, peggio ancora, spararsi alla rinfusa, nel mucchio, e se poi ci scappa il morto tanto meglio.
Queste scene le abbiamo già viste chissà quante volte, soprattutto da quando c’è internet, ma questa volta mi va di dire qualcosa al riguardo. Perché guai ad “abituarsi” a questa follia.
Cosa girerà nella testa di uno che, parandosi malamente con un sacchetto, spara all’indirizzo degli avversari politici della sua stessanazione? Per prima cosa che l’avversario è come un insetto nocivo, da eliminare senza pietà.
Questa è la “politica” intesa modernamente, che ci piaccia o no.
Quella che ci fa identificare completamente con le “proprie idee”, che ci fa ritenere – solo noi, ovviamente – dalla parte della Ragione, del Giusto, del Bene.
E se uno incarna tutte queste elevate e nobili qualità, l’altro non può che rappresentare il Torto, lo Sbagliato, il Male.
Da lì alla volontà di spaccare la testa al prossimo o sparargli direttamente un colpo, il passo è molto più breve di quanto si pensi. Non parliamo poi se “il nemico” mi finisce tra le mani…
Ora, quando uno che la vede in questo modo si associa ad altri suoi sodali, scontrandosi con una moltitudine eguale e contraria, la frittata è assicurata.
Entrambe le fazioni – su questo non c’è dubbio – ritengono di essere dalla parte delle suddette istanze positive, ed i loro componenti non sono rosi dal benché minimo turbamento al riguardo.
Altrimenti uno non può linciare un essere umano in quel modo. Non so voi, ma a me fa una particolare impressione vedere chi infierisce vigliaccamente, di straforo, su uno che ha già preso un sacco di botte ed è di fatto alla mercé di tutti. Ma come si fa a dare un calcio in testa ad un moribondo? A colpirlo con un bastone mentre si trova più di là che di qua?
Ma non gli fa un minimo di pietà un loro simile che praticamente sta chiedendo “smettete, per favore, non ce la faccio più”?
Il problema è che non lo considerano un loro “simile” ma come un appartenente ad un’altra specie.
Misteri della “politica” moderna, che da quando con la “democrazia” (declinata in vari modi in tutto il mondo) ha persuaso che “il popolo” abbia il diritto di decidere chi, come e quanto debba governare, in base ai suoi schiribizzi, non può che produrre fenomeni aberranti, “di massa”, che vanno dalle manifestazioni di piazza (comprese quelle “pacifiche”, che contengono in sé i germi della degenerazione) ai tafferugli senza esclusione di colpi.
E non si creda che il contesto non abbia a che vedere con tutto ciò. Troppa gente in poco spazio, un rumore di fondo che logorerebbe i nervi anche a un santo, brutture visive ad ogni angolo, senza possibilità di scampo. Nessuno spazio per la bellezza.
Lo credo bene che questa gente è nervosa e scarica tutta la sua esasperazione nella “politica”. Credono forse che se al potere andrà il loro preferito, la città diventerà finalmente “a misura d’uomo”? Che la loro vita migliorerà come per incanto?
No, sarà esattamente come “lo schifo” di prima.
O magari “bella” come prima, solo che essendosi fissati con la “politica” - talmente pervasiva dal generare persino “partiti islamici” quando l’Islam non è riducibile a quello - s’illudono sui “miracoli” che quella può offrire. E finiscono così per ritrovarsi a dire: “Si stava meglio quando si stava peggio”.
Con questo, beninteso, non intendo dire che ogni governante equivale all’altro. Esistono governanti più giusti o più iniqui di altri. Ma il metro con cui misurarli non possono essere le nostre rispettive, soggettive preferenze di fazione dettate da un egoismo di categoria, di appartenenza sociale eccetera.
Un governante retto e probo lo si misura solo in base a quanto si attiene al “timor di Dio”. Non c’è altro da aggiungere: a buon intenditor poche parole.
In questi paesi della “Primavera araba”, invece, turbe stravolte inseguono i loro particolarissimi sogni (o incubi) da quando sono cominciate. Se ne vedono di tutti i colori: da chi s’è fissato con lo “Stato islamico” senza esser guidato da un autentico “musulmano” (“sottomesso” al volere divino), quasi che si trattasse di una questione di “ingegneria istituzionale”, a chi è spuntato dalla ‘fogna’ in cui era provvidenzialmente tenuto per esigere ogni tipo di “libertà”, anche la più assurda e nociva.
Nessuno, dal Maghreb al Levante islamico, che prendesse il più “timorato di Dio” e lo mettesse alla guida della sua comunità. Peccato, specialmente per chi inalbera la bandiera dell’Islam, perché in questo caso ha una responsabilità maggiore rispetto ad altri.
Ma non si pensi che questo discorso valga solo per gli egiziani o “gli arabi” in genere. Vale anche per noi che ci consideriamo tanto più “civili”. Guai ad illudersi che se la situazione sociale ed economica dovesse ulteriormente degradarsi i “bravi italiani” mai e poi mai sarebbero capaci di giungere a tanto.
No, l’uomo è una belva feroce dappertutto, senza un briciolo di compassione verso qualsiasi altro essere che non sia il suo effimero e mendace “io”. Eppure una possibilità gli è stata data, e la contiene dentro di sé, come uno di quei tesori nascosti che nessuno, prima di scoprirlo, sapeva dove fosse.
Invero creammo l’uomo nella forma migliore. Quindi lo riducemmo all’infimo grado dell’abiezione” (Corano, sura 95: vv. 4-5).
Ecco, forse mai come oggi, per non finire così in basso, l’uomo deve stare lontano da una “politica” che sembra preparata apposta, fin nelle sue premesse “filosofiche”, per precipitarlo in quel baratro dal quale, solo ristabilendo la sua gerarchia interiore - di cui quella esteriore, “politica”, è immagine ed applicazione alle cose del “mondo” - può sperare di risalire, salvando se stesso e, di riflesso, l’intero genere umano.
C’è un passaggio coranico che si ricorda spesso, il quale recita che “chi uccide un uomo è come se uccidesse l’umanità intera”. Allo stesso modo, chi perviene alla stazione dell’Islam, della “sottomissione”, al grado in cui tra uomo e Dio vi è reciproco compiacimento, quello della Realtà Suprema, è come se “salvasse” tutti gli uomini.
I quali, nella loro cecità, insistono nel vedere problemi “politici” dappertutto, cercandone la soluzione nella “politica” stessa, cioè nelle loro fantasie, quando basterebbe solo mettersi al servizio e agli ordini di chi, solo, ha i titoli ed il carisma per guidare una comunità.
di Enrico Galoppini 

27 aprile 2013

Finanziare i sussidi mediante moneta complementare







Vorrei sottoporre all'attenzione di coloro che sono interessati la proposta che l'Italia provveda al soccorso dei cittadini più bisognosi mediante la stampa di moneta. Prego il lettore di prendere sul serio la frase "sottoporre all'attenzione": è possibile che la proposta sia assurda, o che non lo sia ma ci siano ostacoli molto seri, o che sia inopportuna, e in generale che abbia dei difetti che io non ho visto. Penso però che valga comunque la pena di discuterne, eventualmente per decidere che è impraticabile. Qui di seguito i dettagli.   L'Italia dovrebbe stampare una moneta parallela all'euro, chiamiamola lira, da usarsi per distribuire un sussidio di disoccupazione generalizzato. Vari interventi, su cui non mi dilungo,  suggeriscono che il valore complessivo dovrebbe essere dell'ordine di 10 miliardi di Euri all'anno. Il tasso nominale di cambio più comodo sarebbe ovviamente 1 lira = 1 Euro; la lira però non dovrebbe essere convertibile in euro né in altre valute, né dare origine a depositi fruttiferi. Inoltre non dovrebbe essere utilizzabile per pagare contributi fiscali o previdenziali (dato che altrimenti si tradurrebbe in un'altra manovra, e cioè l'emissione di euro).

E' appena il caso di ricordare che 10 miliardi costituiscono circa due terzi dell'1% del PIL. Il pericolo che la politica qui suggerita abbia seri effetti inflazionistici è quindi minuscolo, e certamente risibile di fronte al ben più grave pericolo di deflazione causata dalla costante diminuzione della domanda interna.
Che corso dovrebbe avere la nuova valuta? Ci sono tre possibilità.
La prima è che il corso sia puramente volontario. Le varie esperienze dimonete locali che si stanno sperimentando un po' dovunque sono incoraggianti, ma credo che l'accettazione volontaria non sia sufficiente per uno schema così ampio e non radicato in una specifica realtà locale.
La seconda è che il corso sia forzoso. Non vedo obiezioni a questa possibilità, se non il malcontento che potrebbe generare, anche se probabilmente solo inizialmente, e possibili ostacoli giuridici nazionali o più facilmente europei.
La terza possibilità, intermedia fra le due, mi pare quindi la migliore. La moneta dovrebbe  essere utilizzabile solo per due usi specifici, e cioè 1) l'acquisto di beni, sia di consumo corrente, che durevole, che di investimento presso venditori disponibili ad accettarla; e 2) il pagamento delle spese di personale da parte dei medesimi, limitatamente a una data quota; diciamo che ogni dipendente potrebbe essere pagato in lire solo per il 25% della sua retribuzione netta. Il corso della moneta sarebbe quindi garantito semplicemente dal fatto che non ci sarebbe motivo di non accettarla: i venditori sarebbero indotti ad accettarla dalla concorrenza fra di essi e dal fatto che possono utilizzarla per pagare il personale, e il personale dalla possibilità di utilizzarla per acquisti correnti.
Un'occhiata ai dati suggerisce che questa strada è praticabile: una stima molto conservatrice dei redditi netti dei soli addetti al commercio è di circa 45 miliardi, quindi dieci miliardi sarebbero meno di un quarto dei loro redditi, una cifra sicuramente inferiore a quanto speso in consumi correnti. Ove necessario, ma non dovrebbe esserlo, l'accettazione della Lira potrebbe eventualmente essere incentivata garantendo a chi  riceve parte del salario o dello stipendio in Lire un (piccolo) sconto fiscale determinato dal maggior gettito conseguente all'effetto espansivo della domanda aggiuntiva che si viene a creare.
Vorrei sottolineare che considero quanto qui suggerito un palliativo per la crisi sociale italiana assai più che una soluzione. Credo (e mi pare che ormai siamo in molti a crederlo) che l'Italia sarà presto costretta a lasciare l'euro e/o a denunciare il debito pubblico; il problema è se lo faremo prima o dopo avere subito una macelleria sociale di tipo greco. In entrambi i casi si renderanno necessarie (e possibili) politiche molto più impegnative.

di Guido Ortona

01 maggio 2013

La fiducia arriva dagli Usa





Enrico Letta ha ricevuto la fiducia: quella del segretario di stato Usa John Kerry che, ancor prima che la votasse il parlamento italiano, si è congratulato per la nascita del nuovo governo. Fiducia ben meritata. Enrico Letta, garantisce John Kerry, è «un amico buono e fidato degli Stati uniti, che ha dimostrato in tutta la sua carriera un fermo impegno nella nostra partnership transatlantica». Il governo Letta, sottolinea Kerry, assicurerà il proseguimento della «nostra stretta cooperazione su molte pressanti questioni in tutto il mondo». È quindi il segretario di stato Usa a trattare un tema fondamentale che i partiti italiani hanno cancellato dal dibattito e dai programmi con cui si sono presentati agli elettori: la politica estera e militare dell'Italia. Il perché è chiaro: Pd, Pdl e Scelta Civica hanno su ciò la stessa posizione. Possiamo dunque essere sicuri che l'Italia continuerà ad essere base avanzata delle operazioni militari Usa/Nato in Medio Oriente e Africa: dopo la guerra alla Libia, si sta conducendo quella in Siria, mentre si prepara l'attacco all'Iran. E, in barba al Trattato di non-proliferazione, resteranno sul nostro territorio le bombe nucleari che gli Usa hanno deciso di potenziare. Allo stesso tempo l'Italia continuerà a inviare forze militari all'estero, anche in Afghanistan dove la Nato manterrà propri contingenti dopo il «ritiro» nel 2014. Aumenterà di conseguenza la spesa militare, in cui l'Italia si colloca al decimo posto mondiale con 70 milioni di euro al giorno spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all'estero. A rafforzare la fiducia di John Kerry che l'Italia resterà alleato fidato sotto comando Usa è la nomina di Emma Bonino a ministro degli esteri. La Bonino, sottolineano a Washington, è una ex allieva del Dipartimento di stato, presso cui ha frequentato un corso di formazione (International Visitor Leadership Program). Brillante allieva. Ha sostenuto i bombardamenti della Nato sull'ex Jugoslavia; ha sostenuto la guerra in Afghanistan, dichiarando che «non si può parlare di occupazione: qui c'è una forza multinazionale» e che «un'occasione militare può condurre alla democrazia»; ha accusato Gino Strada di «atteggiamento ambiguo, tra l'umanitario e il politico». Ha sostenuto la guerra in Iraq, affermando che «non c'era alternativa per sconvolgere la rete terroristica» dopo l'11 settembre e ha definito «irresponsabili» i manifestanti contro la guarra. E, in veste di vice-presidente del Senato, è stata tra i più accesi sostenitori della guerra alla Libia, chiedendo nel febbraio 2011 la sospensione del trattato bilaterale perché «lega le mani all'Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile», «soccorso» arrivato subito dopo con i cacciabombardieri. La Bonino potrà contare sui corsi di «peacekeeping» della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa (già diretta da Maria Chiara Carrozza ora ministro dell'istruzione), che vengono tenuti anche in Africa. A quando, dopo quella in Libia, la prossima operazione di «peacekeeping»? 


di Manlio Dinucci 

28 aprile 2013

Fino a quale abiezione umana può condurre la “politica”?







A volte basta un filmato di pochi minuti per prendere atto di qualcosa che si agita nella propria coscienza e che vuole uscire prepotentemente per gridare: “così non si può andare avanti”, “basta!”, “non se ne può più!”.
È quello che ho percepito nitidamente mentre osservavo le scene, dal Cairo, degli scontri di piazza tra opposte fazioni politiche e che invito a guardare per comprendere bene quello che vado a scrivere:http://english.ahram.org.eg/NewsContentMulti/69657/Multimedia.aspx
Partiamo dall’ambientazione: un posto orrendo, pieno di asfalto e cemento, di cavalcavia, di palazzoni, di lavori in corso e di polvere, di automobili strombazzanti che rendono l’aria irrespirabile.
In questa fantastica “location” ha luogo la battaglia di strada tra sostenitori di due diversi schieramenti politici egiziani.
Ma al di là delle fazioni sul campo, chi c’è, umanamente parlando, sopra e sotto la sopraelevata? Un’accozzaglia di facinorosi, molto probabilmente nullafacenti, oppure prezzolati (il che è lo stesso), fanatizzati dalla “politica” e dalle “passioni” che essa è in grado di smuovere ad un punto tale dal lanciarsi pietre in testa e, peggio ancora, spararsi alla rinfusa, nel mucchio, e se poi ci scappa il morto tanto meglio.
Queste scene le abbiamo già viste chissà quante volte, soprattutto da quando c’è internet, ma questa volta mi va di dire qualcosa al riguardo. Perché guai ad “abituarsi” a questa follia.
Cosa girerà nella testa di uno che, parandosi malamente con un sacchetto, spara all’indirizzo degli avversari politici della sua stessanazione? Per prima cosa che l’avversario è come un insetto nocivo, da eliminare senza pietà.
Questa è la “politica” intesa modernamente, che ci piaccia o no.
Quella che ci fa identificare completamente con le “proprie idee”, che ci fa ritenere – solo noi, ovviamente – dalla parte della Ragione, del Giusto, del Bene.
E se uno incarna tutte queste elevate e nobili qualità, l’altro non può che rappresentare il Torto, lo Sbagliato, il Male.
Da lì alla volontà di spaccare la testa al prossimo o sparargli direttamente un colpo, il passo è molto più breve di quanto si pensi. Non parliamo poi se “il nemico” mi finisce tra le mani…
Ora, quando uno che la vede in questo modo si associa ad altri suoi sodali, scontrandosi con una moltitudine eguale e contraria, la frittata è assicurata.
Entrambe le fazioni – su questo non c’è dubbio – ritengono di essere dalla parte delle suddette istanze positive, ed i loro componenti non sono rosi dal benché minimo turbamento al riguardo.
Altrimenti uno non può linciare un essere umano in quel modo. Non so voi, ma a me fa una particolare impressione vedere chi infierisce vigliaccamente, di straforo, su uno che ha già preso un sacco di botte ed è di fatto alla mercé di tutti. Ma come si fa a dare un calcio in testa ad un moribondo? A colpirlo con un bastone mentre si trova più di là che di qua?
Ma non gli fa un minimo di pietà un loro simile che praticamente sta chiedendo “smettete, per favore, non ce la faccio più”?
Il problema è che non lo considerano un loro “simile” ma come un appartenente ad un’altra specie.
Misteri della “politica” moderna, che da quando con la “democrazia” (declinata in vari modi in tutto il mondo) ha persuaso che “il popolo” abbia il diritto di decidere chi, come e quanto debba governare, in base ai suoi schiribizzi, non può che produrre fenomeni aberranti, “di massa”, che vanno dalle manifestazioni di piazza (comprese quelle “pacifiche”, che contengono in sé i germi della degenerazione) ai tafferugli senza esclusione di colpi.
E non si creda che il contesto non abbia a che vedere con tutto ciò. Troppa gente in poco spazio, un rumore di fondo che logorerebbe i nervi anche a un santo, brutture visive ad ogni angolo, senza possibilità di scampo. Nessuno spazio per la bellezza.
Lo credo bene che questa gente è nervosa e scarica tutta la sua esasperazione nella “politica”. Credono forse che se al potere andrà il loro preferito, la città diventerà finalmente “a misura d’uomo”? Che la loro vita migliorerà come per incanto?
No, sarà esattamente come “lo schifo” di prima.
O magari “bella” come prima, solo che essendosi fissati con la “politica” - talmente pervasiva dal generare persino “partiti islamici” quando l’Islam non è riducibile a quello - s’illudono sui “miracoli” che quella può offrire. E finiscono così per ritrovarsi a dire: “Si stava meglio quando si stava peggio”.
Con questo, beninteso, non intendo dire che ogni governante equivale all’altro. Esistono governanti più giusti o più iniqui di altri. Ma il metro con cui misurarli non possono essere le nostre rispettive, soggettive preferenze di fazione dettate da un egoismo di categoria, di appartenenza sociale eccetera.
Un governante retto e probo lo si misura solo in base a quanto si attiene al “timor di Dio”. Non c’è altro da aggiungere: a buon intenditor poche parole.
In questi paesi della “Primavera araba”, invece, turbe stravolte inseguono i loro particolarissimi sogni (o incubi) da quando sono cominciate. Se ne vedono di tutti i colori: da chi s’è fissato con lo “Stato islamico” senza esser guidato da un autentico “musulmano” (“sottomesso” al volere divino), quasi che si trattasse di una questione di “ingegneria istituzionale”, a chi è spuntato dalla ‘fogna’ in cui era provvidenzialmente tenuto per esigere ogni tipo di “libertà”, anche la più assurda e nociva.
Nessuno, dal Maghreb al Levante islamico, che prendesse il più “timorato di Dio” e lo mettesse alla guida della sua comunità. Peccato, specialmente per chi inalbera la bandiera dell’Islam, perché in questo caso ha una responsabilità maggiore rispetto ad altri.
Ma non si pensi che questo discorso valga solo per gli egiziani o “gli arabi” in genere. Vale anche per noi che ci consideriamo tanto più “civili”. Guai ad illudersi che se la situazione sociale ed economica dovesse ulteriormente degradarsi i “bravi italiani” mai e poi mai sarebbero capaci di giungere a tanto.
No, l’uomo è una belva feroce dappertutto, senza un briciolo di compassione verso qualsiasi altro essere che non sia il suo effimero e mendace “io”. Eppure una possibilità gli è stata data, e la contiene dentro di sé, come uno di quei tesori nascosti che nessuno, prima di scoprirlo, sapeva dove fosse.
Invero creammo l’uomo nella forma migliore. Quindi lo riducemmo all’infimo grado dell’abiezione” (Corano, sura 95: vv. 4-5).
Ecco, forse mai come oggi, per non finire così in basso, l’uomo deve stare lontano da una “politica” che sembra preparata apposta, fin nelle sue premesse “filosofiche”, per precipitarlo in quel baratro dal quale, solo ristabilendo la sua gerarchia interiore - di cui quella esteriore, “politica”, è immagine ed applicazione alle cose del “mondo” - può sperare di risalire, salvando se stesso e, di riflesso, l’intero genere umano.
C’è un passaggio coranico che si ricorda spesso, il quale recita che “chi uccide un uomo è come se uccidesse l’umanità intera”. Allo stesso modo, chi perviene alla stazione dell’Islam, della “sottomissione”, al grado in cui tra uomo e Dio vi è reciproco compiacimento, quello della Realtà Suprema, è come se “salvasse” tutti gli uomini.
I quali, nella loro cecità, insistono nel vedere problemi “politici” dappertutto, cercandone la soluzione nella “politica” stessa, cioè nelle loro fantasie, quando basterebbe solo mettersi al servizio e agli ordini di chi, solo, ha i titoli ed il carisma per guidare una comunità.
di Enrico Galoppini 

27 aprile 2013

Finanziare i sussidi mediante moneta complementare







Vorrei sottoporre all'attenzione di coloro che sono interessati la proposta che l'Italia provveda al soccorso dei cittadini più bisognosi mediante la stampa di moneta. Prego il lettore di prendere sul serio la frase "sottoporre all'attenzione": è possibile che la proposta sia assurda, o che non lo sia ma ci siano ostacoli molto seri, o che sia inopportuna, e in generale che abbia dei difetti che io non ho visto. Penso però che valga comunque la pena di discuterne, eventualmente per decidere che è impraticabile. Qui di seguito i dettagli.   L'Italia dovrebbe stampare una moneta parallela all'euro, chiamiamola lira, da usarsi per distribuire un sussidio di disoccupazione generalizzato. Vari interventi, su cui non mi dilungo,  suggeriscono che il valore complessivo dovrebbe essere dell'ordine di 10 miliardi di Euri all'anno. Il tasso nominale di cambio più comodo sarebbe ovviamente 1 lira = 1 Euro; la lira però non dovrebbe essere convertibile in euro né in altre valute, né dare origine a depositi fruttiferi. Inoltre non dovrebbe essere utilizzabile per pagare contributi fiscali o previdenziali (dato che altrimenti si tradurrebbe in un'altra manovra, e cioè l'emissione di euro).

E' appena il caso di ricordare che 10 miliardi costituiscono circa due terzi dell'1% del PIL. Il pericolo che la politica qui suggerita abbia seri effetti inflazionistici è quindi minuscolo, e certamente risibile di fronte al ben più grave pericolo di deflazione causata dalla costante diminuzione della domanda interna.
Che corso dovrebbe avere la nuova valuta? Ci sono tre possibilità.
La prima è che il corso sia puramente volontario. Le varie esperienze dimonete locali che si stanno sperimentando un po' dovunque sono incoraggianti, ma credo che l'accettazione volontaria non sia sufficiente per uno schema così ampio e non radicato in una specifica realtà locale.
La seconda è che il corso sia forzoso. Non vedo obiezioni a questa possibilità, se non il malcontento che potrebbe generare, anche se probabilmente solo inizialmente, e possibili ostacoli giuridici nazionali o più facilmente europei.
La terza possibilità, intermedia fra le due, mi pare quindi la migliore. La moneta dovrebbe  essere utilizzabile solo per due usi specifici, e cioè 1) l'acquisto di beni, sia di consumo corrente, che durevole, che di investimento presso venditori disponibili ad accettarla; e 2) il pagamento delle spese di personale da parte dei medesimi, limitatamente a una data quota; diciamo che ogni dipendente potrebbe essere pagato in lire solo per il 25% della sua retribuzione netta. Il corso della moneta sarebbe quindi garantito semplicemente dal fatto che non ci sarebbe motivo di non accettarla: i venditori sarebbero indotti ad accettarla dalla concorrenza fra di essi e dal fatto che possono utilizzarla per pagare il personale, e il personale dalla possibilità di utilizzarla per acquisti correnti.
Un'occhiata ai dati suggerisce che questa strada è praticabile: una stima molto conservatrice dei redditi netti dei soli addetti al commercio è di circa 45 miliardi, quindi dieci miliardi sarebbero meno di un quarto dei loro redditi, una cifra sicuramente inferiore a quanto speso in consumi correnti. Ove necessario, ma non dovrebbe esserlo, l'accettazione della Lira potrebbe eventualmente essere incentivata garantendo a chi  riceve parte del salario o dello stipendio in Lire un (piccolo) sconto fiscale determinato dal maggior gettito conseguente all'effetto espansivo della domanda aggiuntiva che si viene a creare.
Vorrei sottolineare che considero quanto qui suggerito un palliativo per la crisi sociale italiana assai più che una soluzione. Credo (e mi pare che ormai siamo in molti a crederlo) che l'Italia sarà presto costretta a lasciare l'euro e/o a denunciare il debito pubblico; il problema è se lo faremo prima o dopo avere subito una macelleria sociale di tipo greco. In entrambi i casi si renderanno necessarie (e possibili) politiche molto più impegnative.

di Guido Ortona