02 maggio 2013

Un Paese a sovranità limitata




La maggioranza del Parlamento e dei media esulta per la rielezione di Napolitano e del nuovo governo. Al contrario, è la conclusione finale in sconcertante continuità con il passato, incluso quello recente del governo Monti, che ha messo il Paese in ginocchio?
 Pare di si, tanto più in presenza del mandato esplorativo per la formazione di un governo di coalizione affidato a Enrico Letta, già membro del comitato europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo di interesse di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller. Nel 2012 ha partecipato alla riunione del Gruppo Bilderberg presso Chantilly, negli Stati Uniti. È anche membro del comitato esecutivo dell'Aspen Institute Italia, un'organizzazione americana finanziata anche dalla Rockefeller Brothers Fund, che si pone come obiettivo quello di incoraggiare le leadership “illuminate” per l’integrazione internazionale occidentale. Il nostro Paese vive una crisi sistemica, politica, economica, sociale e culturale che è frutto della deriva oligarchica e corruttiva delle classi dirigenti, direttamente proporzionale a quella oclocratica della società reale. La democrazia procedurale è uno strumento funzionale agli interessi mondiali che, negli ultimi decenni, hanno trasformato in società di mercato l’economia di mercato. La crisi strutturale della globalizzazione e del modello di sviluppo occidentale hanno portato alle estreme conseguenze le contraddizioni specifiche di una nazione subalterna come la nostra.
 Obama, oltre a manifestare la propria ammirazione per Napolitano, ha dichiarato che egli è una garanzia per l’America. La sudditanza italiana ha vinto…
 L’Italia ha un retaggio storico di sovranità limitata dal dopoguerra, che è sfociato in vero e proprio servilismo. E’ una questione centrale, volutamente sottovalutata. Non sarà mai possibile ricostruire un tessuto comunitario e una identità politica socialmente condivisibile priva di autorevolezza internazionale, cioè di una visione multilaterale e continentale, di contro all’unilateralismo occidentale.
 E ha vinto l’autoreferenzialità partitocratica così “autistica” rispetto alla drammatica realtà…
 La crisi sistemica a cui alludevo manifesta una distanza incolmabile tra le istanze popolari, il bene comune, e la delega rappresentativa dei partiti politici. Orfani delle ideologie, privi di qualsiasi tensione ideale, si sono trasformati in strutture autoreferenziali. Nicchie di privilegio, corruzione e collocamento professionale nell’illusione del potere che, nel frattempo, ha traslocato definitivamente nelle compatibilità tecnocratico-finanziarie.
 Quali possibilità avrà il M5S di rappresentare la protesta verso il “disordine costituito” e quali le enormi lacune da colmare?
 Il fenomeno politico del momento è la conseguenza e non la causa di quello che sta accadendo. In tal senso manifesta contraddizioni per cui c’è da augurarsi che si manifestino nel medio periodo gli aspetti positivi, piuttosto che quelli negativi. L’aggregazione partecipativa e movimentista, l’oltrepassamento delle categorie di destra e sinistra, l’accenno a un paradigma della post-crescita, la spregiudicatezza della critica sistemica e del collocamento internazionale del nostro Paese sono aspetti eminentemente politici che si spera abbiano la meglio sulla magmatica demagogia cosmopolita, il velleitarismo, il giustizialismo e in generale tutte le tendenze associabili al piagnisteo moralista che depotenzia le rivendicazioni di sostanza in dinamiche funzionali all’esistente. L’amico Massimo Fini, nel commentare alcune posizioni assunte dal M5S ha parlato di “rivoluzione conservatrice”, magari avesse ragione.
 Come recuperare concretamente la sovranità popolare? In chiave comunitaria?
 Si, è fondante. Il mutamento di paradigma culturale ed ecologico, nel recupero necessario del senso del limite, della misura, della civiltà di contro alla “civilizzazione” materialista passa per la partecipazione comunitaria. La società contrattuale, liberale, ha corroso nell’egoismo individuale ogni orizzonte di “bene comune”. La reciprocità, il dono, la libertà vanno declinate nell’appartenenza comunitaria e nella sostenibilità e consapevolezza di essere abitanti di un territorio. La globalizzazione è un problema antropologico, se l’uomo non ritrova l’appropriatezza del luogo di vita, scomparirà nell’implosione nichilistica del riduzionismo distopico tecno-scientifico.  
 “L’orlo del baratro” è sempre più vicino. Paradossalmente, solo una catastrofe compiuta può salvarci?
 In ogni fine c’è un inizio. Di fronte al vuoto che si spalanca sotto i piedi delle nuove generazioni, la vertigine di cadere senza dignità, oppure di stagliarsi dal grigiore delle presunte sicurezze materiali e del conformismo sociale per reincantare l’esistente. La storia non è mai chiusa alla forza dell’immaginazione, il mito è eterno, sempre ritorna.
di Eduardo Zarelli - Fiorenza Licitra

01 maggio 2013

La fiducia arriva dagli Usa





Enrico Letta ha ricevuto la fiducia: quella del segretario di stato Usa John Kerry che, ancor prima che la votasse il parlamento italiano, si è congratulato per la nascita del nuovo governo. Fiducia ben meritata. Enrico Letta, garantisce John Kerry, è «un amico buono e fidato degli Stati uniti, che ha dimostrato in tutta la sua carriera un fermo impegno nella nostra partnership transatlantica». Il governo Letta, sottolinea Kerry, assicurerà il proseguimento della «nostra stretta cooperazione su molte pressanti questioni in tutto il mondo». È quindi il segretario di stato Usa a trattare un tema fondamentale che i partiti italiani hanno cancellato dal dibattito e dai programmi con cui si sono presentati agli elettori: la politica estera e militare dell'Italia. Il perché è chiaro: Pd, Pdl e Scelta Civica hanno su ciò la stessa posizione. Possiamo dunque essere sicuri che l'Italia continuerà ad essere base avanzata delle operazioni militari Usa/Nato in Medio Oriente e Africa: dopo la guerra alla Libia, si sta conducendo quella in Siria, mentre si prepara l'attacco all'Iran. E, in barba al Trattato di non-proliferazione, resteranno sul nostro territorio le bombe nucleari che gli Usa hanno deciso di potenziare. Allo stesso tempo l'Italia continuerà a inviare forze militari all'estero, anche in Afghanistan dove la Nato manterrà propri contingenti dopo il «ritiro» nel 2014. Aumenterà di conseguenza la spesa militare, in cui l'Italia si colloca al decimo posto mondiale con 70 milioni di euro al giorno spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all'estero. A rafforzare la fiducia di John Kerry che l'Italia resterà alleato fidato sotto comando Usa è la nomina di Emma Bonino a ministro degli esteri. La Bonino, sottolineano a Washington, è una ex allieva del Dipartimento di stato, presso cui ha frequentato un corso di formazione (International Visitor Leadership Program). Brillante allieva. Ha sostenuto i bombardamenti della Nato sull'ex Jugoslavia; ha sostenuto la guerra in Afghanistan, dichiarando che «non si può parlare di occupazione: qui c'è una forza multinazionale» e che «un'occasione militare può condurre alla democrazia»; ha accusato Gino Strada di «atteggiamento ambiguo, tra l'umanitario e il politico». Ha sostenuto la guerra in Iraq, affermando che «non c'era alternativa per sconvolgere la rete terroristica» dopo l'11 settembre e ha definito «irresponsabili» i manifestanti contro la guarra. E, in veste di vice-presidente del Senato, è stata tra i più accesi sostenitori della guerra alla Libia, chiedendo nel febbraio 2011 la sospensione del trattato bilaterale perché «lega le mani all'Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile», «soccorso» arrivato subito dopo con i cacciabombardieri. La Bonino potrà contare sui corsi di «peacekeeping» della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa (già diretta da Maria Chiara Carrozza ora ministro dell'istruzione), che vengono tenuti anche in Africa. A quando, dopo quella in Libia, la prossima operazione di «peacekeeping»? 


di Manlio Dinucci 

28 aprile 2013

Fino a quale abiezione umana può condurre la “politica”?







A volte basta un filmato di pochi minuti per prendere atto di qualcosa che si agita nella propria coscienza e che vuole uscire prepotentemente per gridare: “così non si può andare avanti”, “basta!”, “non se ne può più!”.
È quello che ho percepito nitidamente mentre osservavo le scene, dal Cairo, degli scontri di piazza tra opposte fazioni politiche e che invito a guardare per comprendere bene quello che vado a scrivere:http://english.ahram.org.eg/NewsContentMulti/69657/Multimedia.aspx
Partiamo dall’ambientazione: un posto orrendo, pieno di asfalto e cemento, di cavalcavia, di palazzoni, di lavori in corso e di polvere, di automobili strombazzanti che rendono l’aria irrespirabile.
In questa fantastica “location” ha luogo la battaglia di strada tra sostenitori di due diversi schieramenti politici egiziani.
Ma al di là delle fazioni sul campo, chi c’è, umanamente parlando, sopra e sotto la sopraelevata? Un’accozzaglia di facinorosi, molto probabilmente nullafacenti, oppure prezzolati (il che è lo stesso), fanatizzati dalla “politica” e dalle “passioni” che essa è in grado di smuovere ad un punto tale dal lanciarsi pietre in testa e, peggio ancora, spararsi alla rinfusa, nel mucchio, e se poi ci scappa il morto tanto meglio.
Queste scene le abbiamo già viste chissà quante volte, soprattutto da quando c’è internet, ma questa volta mi va di dire qualcosa al riguardo. Perché guai ad “abituarsi” a questa follia.
Cosa girerà nella testa di uno che, parandosi malamente con un sacchetto, spara all’indirizzo degli avversari politici della sua stessanazione? Per prima cosa che l’avversario è come un insetto nocivo, da eliminare senza pietà.
Questa è la “politica” intesa modernamente, che ci piaccia o no.
Quella che ci fa identificare completamente con le “proprie idee”, che ci fa ritenere – solo noi, ovviamente – dalla parte della Ragione, del Giusto, del Bene.
E se uno incarna tutte queste elevate e nobili qualità, l’altro non può che rappresentare il Torto, lo Sbagliato, il Male.
Da lì alla volontà di spaccare la testa al prossimo o sparargli direttamente un colpo, il passo è molto più breve di quanto si pensi. Non parliamo poi se “il nemico” mi finisce tra le mani…
Ora, quando uno che la vede in questo modo si associa ad altri suoi sodali, scontrandosi con una moltitudine eguale e contraria, la frittata è assicurata.
Entrambe le fazioni – su questo non c’è dubbio – ritengono di essere dalla parte delle suddette istanze positive, ed i loro componenti non sono rosi dal benché minimo turbamento al riguardo.
Altrimenti uno non può linciare un essere umano in quel modo. Non so voi, ma a me fa una particolare impressione vedere chi infierisce vigliaccamente, di straforo, su uno che ha già preso un sacco di botte ed è di fatto alla mercé di tutti. Ma come si fa a dare un calcio in testa ad un moribondo? A colpirlo con un bastone mentre si trova più di là che di qua?
Ma non gli fa un minimo di pietà un loro simile che praticamente sta chiedendo “smettete, per favore, non ce la faccio più”?
Il problema è che non lo considerano un loro “simile” ma come un appartenente ad un’altra specie.
Misteri della “politica” moderna, che da quando con la “democrazia” (declinata in vari modi in tutto il mondo) ha persuaso che “il popolo” abbia il diritto di decidere chi, come e quanto debba governare, in base ai suoi schiribizzi, non può che produrre fenomeni aberranti, “di massa”, che vanno dalle manifestazioni di piazza (comprese quelle “pacifiche”, che contengono in sé i germi della degenerazione) ai tafferugli senza esclusione di colpi.
E non si creda che il contesto non abbia a che vedere con tutto ciò. Troppa gente in poco spazio, un rumore di fondo che logorerebbe i nervi anche a un santo, brutture visive ad ogni angolo, senza possibilità di scampo. Nessuno spazio per la bellezza.
Lo credo bene che questa gente è nervosa e scarica tutta la sua esasperazione nella “politica”. Credono forse che se al potere andrà il loro preferito, la città diventerà finalmente “a misura d’uomo”? Che la loro vita migliorerà come per incanto?
No, sarà esattamente come “lo schifo” di prima.
O magari “bella” come prima, solo che essendosi fissati con la “politica” - talmente pervasiva dal generare persino “partiti islamici” quando l’Islam non è riducibile a quello - s’illudono sui “miracoli” che quella può offrire. E finiscono così per ritrovarsi a dire: “Si stava meglio quando si stava peggio”.
Con questo, beninteso, non intendo dire che ogni governante equivale all’altro. Esistono governanti più giusti o più iniqui di altri. Ma il metro con cui misurarli non possono essere le nostre rispettive, soggettive preferenze di fazione dettate da un egoismo di categoria, di appartenenza sociale eccetera.
Un governante retto e probo lo si misura solo in base a quanto si attiene al “timor di Dio”. Non c’è altro da aggiungere: a buon intenditor poche parole.
In questi paesi della “Primavera araba”, invece, turbe stravolte inseguono i loro particolarissimi sogni (o incubi) da quando sono cominciate. Se ne vedono di tutti i colori: da chi s’è fissato con lo “Stato islamico” senza esser guidato da un autentico “musulmano” (“sottomesso” al volere divino), quasi che si trattasse di una questione di “ingegneria istituzionale”, a chi è spuntato dalla ‘fogna’ in cui era provvidenzialmente tenuto per esigere ogni tipo di “libertà”, anche la più assurda e nociva.
Nessuno, dal Maghreb al Levante islamico, che prendesse il più “timorato di Dio” e lo mettesse alla guida della sua comunità. Peccato, specialmente per chi inalbera la bandiera dell’Islam, perché in questo caso ha una responsabilità maggiore rispetto ad altri.
Ma non si pensi che questo discorso valga solo per gli egiziani o “gli arabi” in genere. Vale anche per noi che ci consideriamo tanto più “civili”. Guai ad illudersi che se la situazione sociale ed economica dovesse ulteriormente degradarsi i “bravi italiani” mai e poi mai sarebbero capaci di giungere a tanto.
No, l’uomo è una belva feroce dappertutto, senza un briciolo di compassione verso qualsiasi altro essere che non sia il suo effimero e mendace “io”. Eppure una possibilità gli è stata data, e la contiene dentro di sé, come uno di quei tesori nascosti che nessuno, prima di scoprirlo, sapeva dove fosse.
Invero creammo l’uomo nella forma migliore. Quindi lo riducemmo all’infimo grado dell’abiezione” (Corano, sura 95: vv. 4-5).
Ecco, forse mai come oggi, per non finire così in basso, l’uomo deve stare lontano da una “politica” che sembra preparata apposta, fin nelle sue premesse “filosofiche”, per precipitarlo in quel baratro dal quale, solo ristabilendo la sua gerarchia interiore - di cui quella esteriore, “politica”, è immagine ed applicazione alle cose del “mondo” - può sperare di risalire, salvando se stesso e, di riflesso, l’intero genere umano.
C’è un passaggio coranico che si ricorda spesso, il quale recita che “chi uccide un uomo è come se uccidesse l’umanità intera”. Allo stesso modo, chi perviene alla stazione dell’Islam, della “sottomissione”, al grado in cui tra uomo e Dio vi è reciproco compiacimento, quello della Realtà Suprema, è come se “salvasse” tutti gli uomini.
I quali, nella loro cecità, insistono nel vedere problemi “politici” dappertutto, cercandone la soluzione nella “politica” stessa, cioè nelle loro fantasie, quando basterebbe solo mettersi al servizio e agli ordini di chi, solo, ha i titoli ed il carisma per guidare una comunità.
di Enrico Galoppini 

02 maggio 2013

Un Paese a sovranità limitata




La maggioranza del Parlamento e dei media esulta per la rielezione di Napolitano e del nuovo governo. Al contrario, è la conclusione finale in sconcertante continuità con il passato, incluso quello recente del governo Monti, che ha messo il Paese in ginocchio?
 Pare di si, tanto più in presenza del mandato esplorativo per la formazione di un governo di coalizione affidato a Enrico Letta, già membro del comitato europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo di interesse di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller. Nel 2012 ha partecipato alla riunione del Gruppo Bilderberg presso Chantilly, negli Stati Uniti. È anche membro del comitato esecutivo dell'Aspen Institute Italia, un'organizzazione americana finanziata anche dalla Rockefeller Brothers Fund, che si pone come obiettivo quello di incoraggiare le leadership “illuminate” per l’integrazione internazionale occidentale. Il nostro Paese vive una crisi sistemica, politica, economica, sociale e culturale che è frutto della deriva oligarchica e corruttiva delle classi dirigenti, direttamente proporzionale a quella oclocratica della società reale. La democrazia procedurale è uno strumento funzionale agli interessi mondiali che, negli ultimi decenni, hanno trasformato in società di mercato l’economia di mercato. La crisi strutturale della globalizzazione e del modello di sviluppo occidentale hanno portato alle estreme conseguenze le contraddizioni specifiche di una nazione subalterna come la nostra.
 Obama, oltre a manifestare la propria ammirazione per Napolitano, ha dichiarato che egli è una garanzia per l’America. La sudditanza italiana ha vinto…
 L’Italia ha un retaggio storico di sovranità limitata dal dopoguerra, che è sfociato in vero e proprio servilismo. E’ una questione centrale, volutamente sottovalutata. Non sarà mai possibile ricostruire un tessuto comunitario e una identità politica socialmente condivisibile priva di autorevolezza internazionale, cioè di una visione multilaterale e continentale, di contro all’unilateralismo occidentale.
 E ha vinto l’autoreferenzialità partitocratica così “autistica” rispetto alla drammatica realtà…
 La crisi sistemica a cui alludevo manifesta una distanza incolmabile tra le istanze popolari, il bene comune, e la delega rappresentativa dei partiti politici. Orfani delle ideologie, privi di qualsiasi tensione ideale, si sono trasformati in strutture autoreferenziali. Nicchie di privilegio, corruzione e collocamento professionale nell’illusione del potere che, nel frattempo, ha traslocato definitivamente nelle compatibilità tecnocratico-finanziarie.
 Quali possibilità avrà il M5S di rappresentare la protesta verso il “disordine costituito” e quali le enormi lacune da colmare?
 Il fenomeno politico del momento è la conseguenza e non la causa di quello che sta accadendo. In tal senso manifesta contraddizioni per cui c’è da augurarsi che si manifestino nel medio periodo gli aspetti positivi, piuttosto che quelli negativi. L’aggregazione partecipativa e movimentista, l’oltrepassamento delle categorie di destra e sinistra, l’accenno a un paradigma della post-crescita, la spregiudicatezza della critica sistemica e del collocamento internazionale del nostro Paese sono aspetti eminentemente politici che si spera abbiano la meglio sulla magmatica demagogia cosmopolita, il velleitarismo, il giustizialismo e in generale tutte le tendenze associabili al piagnisteo moralista che depotenzia le rivendicazioni di sostanza in dinamiche funzionali all’esistente. L’amico Massimo Fini, nel commentare alcune posizioni assunte dal M5S ha parlato di “rivoluzione conservatrice”, magari avesse ragione.
 Come recuperare concretamente la sovranità popolare? In chiave comunitaria?
 Si, è fondante. Il mutamento di paradigma culturale ed ecologico, nel recupero necessario del senso del limite, della misura, della civiltà di contro alla “civilizzazione” materialista passa per la partecipazione comunitaria. La società contrattuale, liberale, ha corroso nell’egoismo individuale ogni orizzonte di “bene comune”. La reciprocità, il dono, la libertà vanno declinate nell’appartenenza comunitaria e nella sostenibilità e consapevolezza di essere abitanti di un territorio. La globalizzazione è un problema antropologico, se l’uomo non ritrova l’appropriatezza del luogo di vita, scomparirà nell’implosione nichilistica del riduzionismo distopico tecno-scientifico.  
 “L’orlo del baratro” è sempre più vicino. Paradossalmente, solo una catastrofe compiuta può salvarci?
 In ogni fine c’è un inizio. Di fronte al vuoto che si spalanca sotto i piedi delle nuove generazioni, la vertigine di cadere senza dignità, oppure di stagliarsi dal grigiore delle presunte sicurezze materiali e del conformismo sociale per reincantare l’esistente. La storia non è mai chiusa alla forza dell’immaginazione, il mito è eterno, sempre ritorna.
di Eduardo Zarelli - Fiorenza Licitra

01 maggio 2013

La fiducia arriva dagli Usa





Enrico Letta ha ricevuto la fiducia: quella del segretario di stato Usa John Kerry che, ancor prima che la votasse il parlamento italiano, si è congratulato per la nascita del nuovo governo. Fiducia ben meritata. Enrico Letta, garantisce John Kerry, è «un amico buono e fidato degli Stati uniti, che ha dimostrato in tutta la sua carriera un fermo impegno nella nostra partnership transatlantica». Il governo Letta, sottolinea Kerry, assicurerà il proseguimento della «nostra stretta cooperazione su molte pressanti questioni in tutto il mondo». È quindi il segretario di stato Usa a trattare un tema fondamentale che i partiti italiani hanno cancellato dal dibattito e dai programmi con cui si sono presentati agli elettori: la politica estera e militare dell'Italia. Il perché è chiaro: Pd, Pdl e Scelta Civica hanno su ciò la stessa posizione. Possiamo dunque essere sicuri che l'Italia continuerà ad essere base avanzata delle operazioni militari Usa/Nato in Medio Oriente e Africa: dopo la guerra alla Libia, si sta conducendo quella in Siria, mentre si prepara l'attacco all'Iran. E, in barba al Trattato di non-proliferazione, resteranno sul nostro territorio le bombe nucleari che gli Usa hanno deciso di potenziare. Allo stesso tempo l'Italia continuerà a inviare forze militari all'estero, anche in Afghanistan dove la Nato manterrà propri contingenti dopo il «ritiro» nel 2014. Aumenterà di conseguenza la spesa militare, in cui l'Italia si colloca al decimo posto mondiale con 70 milioni di euro al giorno spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all'estero. A rafforzare la fiducia di John Kerry che l'Italia resterà alleato fidato sotto comando Usa è la nomina di Emma Bonino a ministro degli esteri. La Bonino, sottolineano a Washington, è una ex allieva del Dipartimento di stato, presso cui ha frequentato un corso di formazione (International Visitor Leadership Program). Brillante allieva. Ha sostenuto i bombardamenti della Nato sull'ex Jugoslavia; ha sostenuto la guerra in Afghanistan, dichiarando che «non si può parlare di occupazione: qui c'è una forza multinazionale» e che «un'occasione militare può condurre alla democrazia»; ha accusato Gino Strada di «atteggiamento ambiguo, tra l'umanitario e il politico». Ha sostenuto la guerra in Iraq, affermando che «non c'era alternativa per sconvolgere la rete terroristica» dopo l'11 settembre e ha definito «irresponsabili» i manifestanti contro la guarra. E, in veste di vice-presidente del Senato, è stata tra i più accesi sostenitori della guerra alla Libia, chiedendo nel febbraio 2011 la sospensione del trattato bilaterale perché «lega le mani all'Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile», «soccorso» arrivato subito dopo con i cacciabombardieri. La Bonino potrà contare sui corsi di «peacekeeping» della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa (già diretta da Maria Chiara Carrozza ora ministro dell'istruzione), che vengono tenuti anche in Africa. A quando, dopo quella in Libia, la prossima operazione di «peacekeeping»? 


di Manlio Dinucci 

28 aprile 2013

Fino a quale abiezione umana può condurre la “politica”?







A volte basta un filmato di pochi minuti per prendere atto di qualcosa che si agita nella propria coscienza e che vuole uscire prepotentemente per gridare: “così non si può andare avanti”, “basta!”, “non se ne può più!”.
È quello che ho percepito nitidamente mentre osservavo le scene, dal Cairo, degli scontri di piazza tra opposte fazioni politiche e che invito a guardare per comprendere bene quello che vado a scrivere:http://english.ahram.org.eg/NewsContentMulti/69657/Multimedia.aspx
Partiamo dall’ambientazione: un posto orrendo, pieno di asfalto e cemento, di cavalcavia, di palazzoni, di lavori in corso e di polvere, di automobili strombazzanti che rendono l’aria irrespirabile.
In questa fantastica “location” ha luogo la battaglia di strada tra sostenitori di due diversi schieramenti politici egiziani.
Ma al di là delle fazioni sul campo, chi c’è, umanamente parlando, sopra e sotto la sopraelevata? Un’accozzaglia di facinorosi, molto probabilmente nullafacenti, oppure prezzolati (il che è lo stesso), fanatizzati dalla “politica” e dalle “passioni” che essa è in grado di smuovere ad un punto tale dal lanciarsi pietre in testa e, peggio ancora, spararsi alla rinfusa, nel mucchio, e se poi ci scappa il morto tanto meglio.
Queste scene le abbiamo già viste chissà quante volte, soprattutto da quando c’è internet, ma questa volta mi va di dire qualcosa al riguardo. Perché guai ad “abituarsi” a questa follia.
Cosa girerà nella testa di uno che, parandosi malamente con un sacchetto, spara all’indirizzo degli avversari politici della sua stessanazione? Per prima cosa che l’avversario è come un insetto nocivo, da eliminare senza pietà.
Questa è la “politica” intesa modernamente, che ci piaccia o no.
Quella che ci fa identificare completamente con le “proprie idee”, che ci fa ritenere – solo noi, ovviamente – dalla parte della Ragione, del Giusto, del Bene.
E se uno incarna tutte queste elevate e nobili qualità, l’altro non può che rappresentare il Torto, lo Sbagliato, il Male.
Da lì alla volontà di spaccare la testa al prossimo o sparargli direttamente un colpo, il passo è molto più breve di quanto si pensi. Non parliamo poi se “il nemico” mi finisce tra le mani…
Ora, quando uno che la vede in questo modo si associa ad altri suoi sodali, scontrandosi con una moltitudine eguale e contraria, la frittata è assicurata.
Entrambe le fazioni – su questo non c’è dubbio – ritengono di essere dalla parte delle suddette istanze positive, ed i loro componenti non sono rosi dal benché minimo turbamento al riguardo.
Altrimenti uno non può linciare un essere umano in quel modo. Non so voi, ma a me fa una particolare impressione vedere chi infierisce vigliaccamente, di straforo, su uno che ha già preso un sacco di botte ed è di fatto alla mercé di tutti. Ma come si fa a dare un calcio in testa ad un moribondo? A colpirlo con un bastone mentre si trova più di là che di qua?
Ma non gli fa un minimo di pietà un loro simile che praticamente sta chiedendo “smettete, per favore, non ce la faccio più”?
Il problema è che non lo considerano un loro “simile” ma come un appartenente ad un’altra specie.
Misteri della “politica” moderna, che da quando con la “democrazia” (declinata in vari modi in tutto il mondo) ha persuaso che “il popolo” abbia il diritto di decidere chi, come e quanto debba governare, in base ai suoi schiribizzi, non può che produrre fenomeni aberranti, “di massa”, che vanno dalle manifestazioni di piazza (comprese quelle “pacifiche”, che contengono in sé i germi della degenerazione) ai tafferugli senza esclusione di colpi.
E non si creda che il contesto non abbia a che vedere con tutto ciò. Troppa gente in poco spazio, un rumore di fondo che logorerebbe i nervi anche a un santo, brutture visive ad ogni angolo, senza possibilità di scampo. Nessuno spazio per la bellezza.
Lo credo bene che questa gente è nervosa e scarica tutta la sua esasperazione nella “politica”. Credono forse che se al potere andrà il loro preferito, la città diventerà finalmente “a misura d’uomo”? Che la loro vita migliorerà come per incanto?
No, sarà esattamente come “lo schifo” di prima.
O magari “bella” come prima, solo che essendosi fissati con la “politica” - talmente pervasiva dal generare persino “partiti islamici” quando l’Islam non è riducibile a quello - s’illudono sui “miracoli” che quella può offrire. E finiscono così per ritrovarsi a dire: “Si stava meglio quando si stava peggio”.
Con questo, beninteso, non intendo dire che ogni governante equivale all’altro. Esistono governanti più giusti o più iniqui di altri. Ma il metro con cui misurarli non possono essere le nostre rispettive, soggettive preferenze di fazione dettate da un egoismo di categoria, di appartenenza sociale eccetera.
Un governante retto e probo lo si misura solo in base a quanto si attiene al “timor di Dio”. Non c’è altro da aggiungere: a buon intenditor poche parole.
In questi paesi della “Primavera araba”, invece, turbe stravolte inseguono i loro particolarissimi sogni (o incubi) da quando sono cominciate. Se ne vedono di tutti i colori: da chi s’è fissato con lo “Stato islamico” senza esser guidato da un autentico “musulmano” (“sottomesso” al volere divino), quasi che si trattasse di una questione di “ingegneria istituzionale”, a chi è spuntato dalla ‘fogna’ in cui era provvidenzialmente tenuto per esigere ogni tipo di “libertà”, anche la più assurda e nociva.
Nessuno, dal Maghreb al Levante islamico, che prendesse il più “timorato di Dio” e lo mettesse alla guida della sua comunità. Peccato, specialmente per chi inalbera la bandiera dell’Islam, perché in questo caso ha una responsabilità maggiore rispetto ad altri.
Ma non si pensi che questo discorso valga solo per gli egiziani o “gli arabi” in genere. Vale anche per noi che ci consideriamo tanto più “civili”. Guai ad illudersi che se la situazione sociale ed economica dovesse ulteriormente degradarsi i “bravi italiani” mai e poi mai sarebbero capaci di giungere a tanto.
No, l’uomo è una belva feroce dappertutto, senza un briciolo di compassione verso qualsiasi altro essere che non sia il suo effimero e mendace “io”. Eppure una possibilità gli è stata data, e la contiene dentro di sé, come uno di quei tesori nascosti che nessuno, prima di scoprirlo, sapeva dove fosse.
Invero creammo l’uomo nella forma migliore. Quindi lo riducemmo all’infimo grado dell’abiezione” (Corano, sura 95: vv. 4-5).
Ecco, forse mai come oggi, per non finire così in basso, l’uomo deve stare lontano da una “politica” che sembra preparata apposta, fin nelle sue premesse “filosofiche”, per precipitarlo in quel baratro dal quale, solo ristabilendo la sua gerarchia interiore - di cui quella esteriore, “politica”, è immagine ed applicazione alle cose del “mondo” - può sperare di risalire, salvando se stesso e, di riflesso, l’intero genere umano.
C’è un passaggio coranico che si ricorda spesso, il quale recita che “chi uccide un uomo è come se uccidesse l’umanità intera”. Allo stesso modo, chi perviene alla stazione dell’Islam, della “sottomissione”, al grado in cui tra uomo e Dio vi è reciproco compiacimento, quello della Realtà Suprema, è come se “salvasse” tutti gli uomini.
I quali, nella loro cecità, insistono nel vedere problemi “politici” dappertutto, cercandone la soluzione nella “politica” stessa, cioè nelle loro fantasie, quando basterebbe solo mettersi al servizio e agli ordini di chi, solo, ha i titoli ed il carisma per guidare una comunità.
di Enrico Galoppini