23 maggio 2013

Il Partito Democratico non ha ragione di esistere




   
   
Io, cittadino stufo della farsa partitocratica, non ce l’ho col Pd. È il Pd a avercela con me e con l’Italia. E con sé stesso. È nato nel 2008, questo bambino deforme, dall’unione contro natura e mal riuscita fra ex democristiani di sinistra ed ex comunisti di destra. I militanti pecoroni - verso i quali, spiace, ma non può esserci più comprensione - si sono bevuti la sola del Partito Democratico sul modello americano: una fregnaccia di Prodi e Veltroni che pretendeva di cancellare la storia centenaria di due tradizioni politiche e culturali con le loro peculiarità, idiosincrasie, incompatibilità, identità.

La solita cialtroneria italiana, al servizio di un disegno ben preciso e serissimo nella sua pericolosità: omologare i paesi occidentali al sistema partitico anglosassone, ideale per imporre una dialettica semplificata e distorcente non sul cosa, ma sul come gestire l’ordinaria amministrazione, coi veri piloti in cabina – gli interessi finanziari sovranazionali - a decidere la rotta unica e obbligata.

L’arrivo in scena del berluschino – o veltronino - Renzi è la ciliegina sulla torta: lui non finge neanche più di essere di sinistra nell’accezione comunemente accettata della parola, rappresenta l’indistinto luogo comune trasversale (il merito, più mercato, più efficienza, più modernità, più leggerezza, e già che ci siamo più figa per tutti).

Dopo cinque anni, l’aborto è palese. Lo snobismo, la sicumera, la scissione d’origine mai composta e rimescolata nel duello generazionale più che sostanziale Bersani-Renzi, l’annacquamento di ogni istanza nel “ma anche”, lo spadroneggiare di potentati a volte criminali hanno portato alla sconfitta netta delle elezioni politiche e alla caporetto del Quirinale, con 101 parlamentari ancora in incognito che hanno abbattuto a colpi di voto segreto il padre fondatore Prodi, dando la plastica dimostrazione che il Pd è davvero Pdmenoelle: meglio riconfermare Napolitano, sommo sacerdote dell’inciucio, andando così al governo assieme al finto nemico Berlusconi, che optare per la traversata nel deserto (i grillini non avrebbero comunque sostenuto un loro governo di minoranza, o almeno si spera) ma a testa alta.

Ora, se fossi un iscritto al Pd, nel guardarmi allo specchio mi sputerei in faccia. Che ci starei a fare in un nido di serpi, ciechi, illusi e complici in malafede che ha suggellato vent’anni di collusione con Silvio, odiato a parole e servito e riverito nei fatti? Se fossi onesto con me stesso, straccerei la tessera. L’opa ostile di Grillo ai giovani che occupano le sedi è nella logica delle cose, sempre che le cose debbano ancora avere una logica, in questa Italietta di eunuchi e saltimbanchi. Occupy Pd? Refuse Pd! Non c’è più alcuna ragione sensata per cui una persona dotata di cervello e in buona fede resti ancora là dentro. In nome della sinistra? Ma la sinistra resiste soltanto come mito reazionario, per far sopravvivere un immaginario superato e arcisuperato mentre in tutte le scelte fondamentali la sedicente sinistra col marchio Pd ha sposato l’ideologia dominante liberal-liberista, giusto un pelo temperata e camuffata con la retorica delle liberalizzazioni pro-consumatori (quando in realtà sono pro-grandi catene, come guarda caso le coop). In nome dell’antiberlusconismo? Oggi risulta arduo perfino pensarlo, visto che sono tutti seduti amorevolmente insieme a Palazzo Chigi a brigare per tornare agli antichi fasti (magari con norme ad hoc per far fuori il Movimento 5 Stelle, su cui il pacato commento non può che essere uno: farabutti!). 

In nome dell’Europa? Ma ormai lo capisce anche un decerebrato che l’Unione Europea è stata una solenne fregatura, tanto è vero che adesso non si trova un difensore delle regole di Maastricht (3% di deficit consentito, la legge ferrea dell’oppressione) neanche col lanternino.

In nome di che, di grazia, il Pd ha ancora un motivo valido di esistere? Con tutta la buona volontà, non riesco a trovarlo. Ah certo, uno c’è: fare i guardiani della controrivoluzione, reggendo pure il moccolo al beneamato Silvietto. Ci risparmino la sceneggiata, i presunti giovani del Pd. Se vogliono cambiare l’Italia, si suppone in meglio, non c’è unica via che lasciarlo. Ha fatto troppi danni e continua a farli.

Alessio Mannino   

22 maggio 2013

A CAPACI NON C'ERANO SOLO GLI UOMINI DI TOTO' RIINA


A CAPACI NON C'ERANO SOLO GLI UOMINI DI TOTO' RIINA


"La strage di Capaci è al 90% di mafia, il resto lo hanno messo altri, per quella di via D'Amelio siamo 50 e 50 e per le stragi sul continente la percentuale mafiosa scende vertiginosamente".
Luca Cianferoni, avvocato di Toto' Riina, 2010.


La strage di Capaci non fu opera solo degli uomini di Toto Riina: ormai si può affermare questa verità oltre ogni ragionevole dubbio.

La strage di Capaci non fu opera solo degli uomini di Toto Riina: ormai si può affermare questa verità oltre ogni ragionevole dubbio.

Un uomo della Gladio siciliana mi ha parlato concretamente di un "doppio livello" nella strage di Capaci. Lo incontrai nel maggio del 2010 e durante una lunga conversazione mi disse: "non penserà mica che fu opera soltanto di quattro mafiosi?". Qualche anno prima il boss Giovanni Brusca, l'uomo che schiacciò il telecomando appostato sulla collinetta a ridosso della strada, aveva ribadito, tanto tempo dopo, la sua incredulità per il "successo" dell'assalto. Disse così al magistrato Luca Tescaroli: "Quattro stupidi...quattro stupidi, perché poi alla fine eravamo...un po' di persone, in maniera molto rozza...in maniera artigianale, siamo riusciti a portare a termine un attentato così importante". Non poteva ancora crederci che avevano fatto tutto da soli.

L'agguato teso all'auto di Giovanni Falcone, tecnicamente un'imboscata, fu realizzato in un teatro di guerra allestito dai migliori artificieri. Fu una operazione militare, un atto di strategia della tensione: una mano fu mafiosa, l'altra no. Qualcuno trasformò un'azione di vendetta mafiosa in un atto di brutale manifestazione politica, cioè in una strage. Partecipò a tutte le fasi organizzative dell'azione anche Pietro Rampulla, il mafioso addestrato da Ordine nuovo, il servizio segreto clandestino di stampo neofascista: ma il 23 maggio non poté stare al fianco dei suoi complici perché "aveva impegni familiari", sfilandosi così dalla scena e mandandoBrusca a schiacciare il telecomando.

Dobbiamo ricordare che dalle numerose e diverse dichiarazioni dei pentiti non è possibile stabilire il momento dell'ideazione di quel tipo di strage. Come si arrivò alla decisione di fare una strage per ammazzare Falcone? La trappola mortale contro il nemico storico di Cosa nostra era già pronta prima del 23 maggio 1992. Un gruppo di fuoco composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani nel febbraio del 1992 era stato inviato a Roma per fare fuoco su Giovanni Falcone con le armi tradizionali: niente esplosivo, niente botti, solo i proiettili mafiosi avrebbero dovuto abbattere l'uomo che più di tutti aveva penetrato i segreti dei boss e scardinato il loro tradizionale assetto di potere. Ma un giorno Salvatore Biondino, il luogotenente di Toto Riina, va ad incontrareFrancesco Cancemi e Raffaele Ganci al cantiere di Piazza Principe di Camporeale e gli comunica che il padrino aveva intenzione di passare all'esecuzione del progetto di uccidere il magistrato con un ordigno esplosivo lungo l'autostrada da Punta Raisi per Palermo. Dunque, tutto era stato attentamente preordinato. Il momento dell'ideazione del progetto criminale di Capaci viene solo comunicato alle famiglie che poi avrebbero cooperato per realizzarlo; ma nessuno tra tutti coloro che lo attuano può raccontare il momento in cui viene elaborata quell'idea così originale e senza precedenti del delitto, e questo semplicemente perché l'idea gli vienesuggerita dall'estero. Dice sempre Giovanni Brusca, l'uomo del telecomando, che il posto dove fare l'attentato "non l'ha scelto lui". Sostiene che in una riunione a casa di Girolamo Guddo, il 20 febbraio prima della strage, scopre che "Cancemi, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci avevano parlato della possibilità dell'autostrada". Non sa che Cancemi e Ganci, come tutti gli altri, avevano solo ricevuto le istruzioni per realizzare l'attentato in quel modo. Ma il "suggeritore" non si sa chi sia e che gente frequenti.

Ci sono poi strani oggetti sulla scena del crimine: un sacchetto di carta di colore bianco che conteneva una torcia a pile, un tubetto di alluminio con del mastice di marca Arexons e due guanti in lattice, evidentemente usati. Chi li aveva usati? E per fare cosa? I giudici scrivono considerazioni molto interessanti: innanzitutto, notano che quelle cose non possono essere state lasciate lì dal giorno in cui sicuramente tutto fu predisposto e ultimato (e dopo il quale i mafiosi non tornarono , l'8 di maggio, perché "sicuramente le intemperie, frequenti in quel periodo sulla zona, avrebbero determinato la lacerazione del contenitore, che lo si deve ricordare, era di carta". Dunque, non potevano essere strumenti impiegati dai killer della mafia. Secondo loro è proprio "da escludere che gli imputati (...) avessero lasciato quegli oggetti proprio in prossimità del cunicolo, perché si sarebbe trattato di una macroscopica distrazione, inconcepibile a fronte dell'emergere dalla descrizione di tutte le operazioni che si sono via via susseguite nel corso dei preparativi, di una meticolosa e puntuale curanell'evitare che potessero restare tracce delle azioni compiute".

Il ritrovamento di questi oggetti particolari, lasciati lì sicuramente nelle ore di poco precedenti l'esplosione, è molto importante se si considera un'altra strana circostanza: alcuni testimoni hanno denunciato che il giorno precedente proprio nell'area della strage, ma a livello della strada, non in quello sottostante dove erano state condotte le operazioni di caricamento del cunicolo, era stato notato un furgone Ducato di colore bianco e alcune persone che apparentemente erano concentrate ad eseguire dei lavori. Fu anche deviato il corso delle automobili di passaggio, furono usati birilli per spartire il traffico. Lo hanno spiegato i testimoni indicati con i numeri d'ordine 26 e 27 e il loro racconto si riferisce a ciò che vedono il 22 maggio 1992, intorno alle ore 12: ma per Brusca e compagnia non c'è alcuna necessità di lavorare lungo la corsia, il loro lavoro si era concentrato a livello dell'imbocco del cunicolo, al di sotto nel livello stradale. E poi loro erano pronti già da tempo. Per di più, fu subito accertato che in quei giorni non erano in corso lavori di nessun genere e perciò si deve sicuramente escludere qualsiasi attività di manutenzione stradale, ordinaria o straordinaria: in pratica ci fu "un secondo cantiere, senza volto né nomi" e tuttavia anch'esso attivato con ogni probabilità per provocare la strage.

E ancora, l'esplosivo. Anche qui i conti non tornano. Sono state ritrovate tracce di nitroglicerina, un componente che non fa parte di nessuna delle due componenti che costituiscono la carica: ma la nitroglicerina rafforza la detonabilità della carica. L'esplosivo con cui è stato riempito il cunicolo che passava sotto l'autostrada in prossimità di Capaci era di due tipi: c'era l'ANFO, vale a dire il Nitrato di Ammonio addizionato a cherosene - in alcuni bidoncini fu messo allo stato puro - e c'era poi il tritolo, procurato da Biondino e recuperato dalle mine giacenti sotto il mare che venivamo trovate in grandi quantità dai pescatori, secondo una modalità raccontata minuziosamente da Gaspare Spatuzza (un racconto proprio identifico a quello del pentito di Piazza Fontana, Carlo Digilio, sull'esplosivo usato per la strage del '69!). Le indagini non si sono mai concluse: nel novembre del 2012 è stato arrestato Cosimo D'Amato, il pescatore di Santa Flavia che oltre al pesce tirava su anche le vecchie bombe. D'Amato è stato accusato dalla procura di Firenze di aver fornito in modo continuativo l'esplosivo usato per le stragi del '93, almeno quella parte proveniente dai recuperi in mare. Perché le vie degli esplosivi erano diverse: c'era quello da cava e poi quello più sofisticato, come il Semtex, proveniente dai traffici internazionali. Oltra alle tracce di nitroglicerina, ci sono poi quelle di T4, un esplosivo noto anche con RDX utilizzato soprattutto per scopi militari, che nel cratere di Capaci non viene unito ad altre sostanze e che potrebbe essere stato usato per aumentare la detonabilità della carica o come legante esplosivo fra le frazioni di carica. Inizialmente si era pensato che il T4 fosse presente unito al tritolo con cui può formare un composto chiamato Compound B ma poi l'ipotesi è stata scartata perché il tritolo, come abbiamo detto, era stato sicuramente messo da solo nei bidoncini: in pratica, l'uso del T4 sembrerebbe essere stato aggiunto all'esplosivo trovato dai due gruppi di mafiosi per rendere più micidiale la carica. Sia la pentrite che il T4 sono, infatti, sostanze non compatibili con quelle descritte dai pentiti con le quali è stato riempito il cunicolo.

Con quel materiale in più, la strage era assicurata. Falcone sarebbe morto sicuramente.
Ci spingemmo su "un terreno che non era il nostro", raccontò poi a proposito delle stragi di mafia il pentito Gaspare Spatuzza. Era il terreno del doppio livello quello che si realizza quando siedono ad uno stesso tavolo entità diverse, interessate a cooperare ad uno stesso identico progetto criminale con scopi spesso diversi.

Nel "doppio livello" c'è la regia degli eventi politici, quella che non siamo mai riusciti ad afferrare. Il "doppio livello" dello stragismo e dell'omicidio politico ha garantito l'impunità ai mandanti, lasciando sempre l'opinione pubblica smarrita e confusa, irrisolti i processi giudiziari e un Paese da sempre in cerca delle sue verità. Nelle cospirazioni nate in quel modo, per essere cioè realizzate con l'apporto di mani diverse, la trama diventa impossibile da sbrogliare, la complicità finale di tutti permette di lasciare il delitto senza una apparente firma e l'esecutore, che sia il neofascista degli anni 70 o il boss mafioso della fine dello scorso secolo, si trova coinvolto in un'azione attentamente progettata sulla base di tante informazioni, come sanno fare i servizi segreti o tutte quelle agenzie affini, tanto che non potrà mai provare la sua estraneità. Se non vuole ammettere di essere stato manipolato, deve solo tacere e pagare
di Stefania Limiti

19 maggio 2013

Il mostro e i suoi creatori






IL BERLUSCONISMO E’ FINITO PERCHE’ SONO FINITI I SUOI EVOCATORI


Le uniche cose che possono competere in numerosità coi processi in cui è stato coinvolto Berlusconi sono i suoi trattamenti di chirurgia estetica. Più egli veniva martirizzato e più si marmorizzava nell’aspetto e nel petto divenendo un busto vivente che attirava, come ogni monumento, orde di adoratori e frotte di vandali devastatori. Tali facce di bronzo, proseguenti a lamentarsene dopo averlo scolpito nella piccola storia che ci compete, ne hanno fatto una statua di stato, anzi uno “stat(u)ista”.
Costui è stato accusato di tutto nel corso degli anni, dal traffico di sostanze stupefacenti, alle stragi, fino alla prostituzione. Assoluzioni, prescrizioni, amnistie ecc. ecc. e, almeno finora, nessun verdetto di condanna definitiva. Oltre vent’anni di demonizzazioni e d’accanimenti che potrebbero presto approdare ad una sentenza inappellabile con la quale sarà chiuso il suo ciclo pubblico.
Peccato però che questo ciclo si sia esaurito da un pezzo, politicamente parlando, ma i suoi detrattori, presi come sono a combattere contro la loro fervida immaginazione, non se ne sono nemmeno accorti. Ben altre e ferali battaglie si stanno giocando alle spalle dei processi di B. coi quali si continua a depistare la pubblica opinione mentre sciacalli internazionali e iene nazionali stanno spolpando quel che resta della carogna peninsulare.
Il mostro B. è nato dall’odio dei suoi creatori-calunniatori ed è cresciuto sino all’inverosimile nutrendosi del loro disprezzo sociale e culturale.
Più lo perseguitavano, attribuendogli la somma dei dolori e delle perversioni del Paese, e più egli si ingigantiva e li sovrastava con la sua bassa statura che era pur sempre uno slancio verso il cielo rispetto alla fossa dove giacevano i suoi denigratori. Ma ora che i cacciatori di ombre sono diventati tutt’uno col mito in putrefazione, adesso che la mitopoiesi si è sciolta, come il cerone col quale lo avevano truccato da vampiro assetato di scandali, seguiranno il suo infausto destino giù nella tomba. Il loro funerale sarà una festa popolare.
L’Essere immondo scomparirà soltanto quando anche l’ultimo dei rovistatori nella melma della Repubblica, impastati della stessa materia ideologica degli incubi e delle angosce sociali, sarà perito. Siamo realmente al termine un’epoca che ci ha devastati nel cervello e nel tessuto sociale.
Ancora ieri, durante la trasmissione di “Sant’oro”, un altro cattivo prodotto dell’era degli intubati del tubo catodico,  guardavo in televisione lo spettacolo miserevole e reiterato di questi zombies che si mordono i polpacci a vicenda. Da un lato i militanti di sinistra che giustificavano le larghe intese per non far tornare Berlusconi e dall’altro i simpatizzanti delusi che li accusavano di aver fatto tornare Berlusconi. Il circolo vezzoso, almeno per chi assiste e non resiste alle risa, dei matti irrecuperabili.
Entrambe le schiere sclerotizzate non hanno inteso che quello che va e viene non è Berlusconi ma l’allucinazione identitaria della loro mente malata che proietta sul palcoscenico nazionale ogni tipo di tormento politico mascherato da cavaliere “ingrifato”.
Ricordate quante campagne di sensibilizzazione contro la cattiva maestra televisione? Fascismo mediatico e feticismo immodico di mediocri soggetti con gli occhi fasciati che vedevano manipolatori dappertutto. Venne iscritto d’ufficio al club dei cialtroni persino il povero Popper, improvvisamente ed improvvidamente intruppato nelle file dei catastrofisti dell’etere, per un libretto di scarso valore intellettuale divenuto una bibbia nell’ambiente del ceto medio semicolto, il quale alla sera leggeva Baricco in salotto e alla mattina in piazza sapeva tutto di olgettine e orgettine. Addirittura, l’era del porcone di Arcore era stata accostata al completamento di una mutazione antropologica che dalla specie sapiens ci trasfigurava in quella videns dei suggestionati dallo schermo privi di coscienza civile. Dicevano di se stessi riferendosi agli altri.
Sventolando le bandiere della purezza e dell’interezza si alzava però la puzza sotto il naso ed il tanfo dell’imbroglio di partito che nessuna morigeratezza verbale o individuale poteva occultare. Le persone sane di testa non si sono mai interessate dei baccanali presidenziali a porte chiuse e cosce aperte. E’ lo stupro delle proprietà pubbliche, l’abuso sul corpo nazionale , il bordello istituzionale dove viene denudata la sovranità centrale, lo spogliarello dei tesori pubblici per soddisfare i lenoni mondiali, la promiscuità corporativa, l’autoreferenzialità onanistica degli occupatori di poltrone per il tradimento collettivo, questo è quello che dovrebbe preoccupare ed indignare. Ma su ciò si tace o si taccia di chiusura provinciale chiunque osi opporsi al puttaneggiamento generale.
Fortunatamente siamo vicino all’epilogo della pantomima ma non alla conclusione delle tribolazioni perché non c’è trapasso che si compia senza una esplosione di brutalità liberatoria. Non si tratta di eversione ma di leggi della Storia. Prepariamoci al meglio del peggio.

di Gianni Petrosillo 

23 maggio 2013

Il Partito Democratico non ha ragione di esistere




   
   
Io, cittadino stufo della farsa partitocratica, non ce l’ho col Pd. È il Pd a avercela con me e con l’Italia. E con sé stesso. È nato nel 2008, questo bambino deforme, dall’unione contro natura e mal riuscita fra ex democristiani di sinistra ed ex comunisti di destra. I militanti pecoroni - verso i quali, spiace, ma non può esserci più comprensione - si sono bevuti la sola del Partito Democratico sul modello americano: una fregnaccia di Prodi e Veltroni che pretendeva di cancellare la storia centenaria di due tradizioni politiche e culturali con le loro peculiarità, idiosincrasie, incompatibilità, identità.

La solita cialtroneria italiana, al servizio di un disegno ben preciso e serissimo nella sua pericolosità: omologare i paesi occidentali al sistema partitico anglosassone, ideale per imporre una dialettica semplificata e distorcente non sul cosa, ma sul come gestire l’ordinaria amministrazione, coi veri piloti in cabina – gli interessi finanziari sovranazionali - a decidere la rotta unica e obbligata.

L’arrivo in scena del berluschino – o veltronino - Renzi è la ciliegina sulla torta: lui non finge neanche più di essere di sinistra nell’accezione comunemente accettata della parola, rappresenta l’indistinto luogo comune trasversale (il merito, più mercato, più efficienza, più modernità, più leggerezza, e già che ci siamo più figa per tutti).

Dopo cinque anni, l’aborto è palese. Lo snobismo, la sicumera, la scissione d’origine mai composta e rimescolata nel duello generazionale più che sostanziale Bersani-Renzi, l’annacquamento di ogni istanza nel “ma anche”, lo spadroneggiare di potentati a volte criminali hanno portato alla sconfitta netta delle elezioni politiche e alla caporetto del Quirinale, con 101 parlamentari ancora in incognito che hanno abbattuto a colpi di voto segreto il padre fondatore Prodi, dando la plastica dimostrazione che il Pd è davvero Pdmenoelle: meglio riconfermare Napolitano, sommo sacerdote dell’inciucio, andando così al governo assieme al finto nemico Berlusconi, che optare per la traversata nel deserto (i grillini non avrebbero comunque sostenuto un loro governo di minoranza, o almeno si spera) ma a testa alta.

Ora, se fossi un iscritto al Pd, nel guardarmi allo specchio mi sputerei in faccia. Che ci starei a fare in un nido di serpi, ciechi, illusi e complici in malafede che ha suggellato vent’anni di collusione con Silvio, odiato a parole e servito e riverito nei fatti? Se fossi onesto con me stesso, straccerei la tessera. L’opa ostile di Grillo ai giovani che occupano le sedi è nella logica delle cose, sempre che le cose debbano ancora avere una logica, in questa Italietta di eunuchi e saltimbanchi. Occupy Pd? Refuse Pd! Non c’è più alcuna ragione sensata per cui una persona dotata di cervello e in buona fede resti ancora là dentro. In nome della sinistra? Ma la sinistra resiste soltanto come mito reazionario, per far sopravvivere un immaginario superato e arcisuperato mentre in tutte le scelte fondamentali la sedicente sinistra col marchio Pd ha sposato l’ideologia dominante liberal-liberista, giusto un pelo temperata e camuffata con la retorica delle liberalizzazioni pro-consumatori (quando in realtà sono pro-grandi catene, come guarda caso le coop). In nome dell’antiberlusconismo? Oggi risulta arduo perfino pensarlo, visto che sono tutti seduti amorevolmente insieme a Palazzo Chigi a brigare per tornare agli antichi fasti (magari con norme ad hoc per far fuori il Movimento 5 Stelle, su cui il pacato commento non può che essere uno: farabutti!). 

In nome dell’Europa? Ma ormai lo capisce anche un decerebrato che l’Unione Europea è stata una solenne fregatura, tanto è vero che adesso non si trova un difensore delle regole di Maastricht (3% di deficit consentito, la legge ferrea dell’oppressione) neanche col lanternino.

In nome di che, di grazia, il Pd ha ancora un motivo valido di esistere? Con tutta la buona volontà, non riesco a trovarlo. Ah certo, uno c’è: fare i guardiani della controrivoluzione, reggendo pure il moccolo al beneamato Silvietto. Ci risparmino la sceneggiata, i presunti giovani del Pd. Se vogliono cambiare l’Italia, si suppone in meglio, non c’è unica via che lasciarlo. Ha fatto troppi danni e continua a farli.

Alessio Mannino   

22 maggio 2013

A CAPACI NON C'ERANO SOLO GLI UOMINI DI TOTO' RIINA


A CAPACI NON C'ERANO SOLO GLI UOMINI DI TOTO' RIINA


"La strage di Capaci è al 90% di mafia, il resto lo hanno messo altri, per quella di via D'Amelio siamo 50 e 50 e per le stragi sul continente la percentuale mafiosa scende vertiginosamente".
Luca Cianferoni, avvocato di Toto' Riina, 2010.


La strage di Capaci non fu opera solo degli uomini di Toto Riina: ormai si può affermare questa verità oltre ogni ragionevole dubbio.

La strage di Capaci non fu opera solo degli uomini di Toto Riina: ormai si può affermare questa verità oltre ogni ragionevole dubbio.

Un uomo della Gladio siciliana mi ha parlato concretamente di un "doppio livello" nella strage di Capaci. Lo incontrai nel maggio del 2010 e durante una lunga conversazione mi disse: "non penserà mica che fu opera soltanto di quattro mafiosi?". Qualche anno prima il boss Giovanni Brusca, l'uomo che schiacciò il telecomando appostato sulla collinetta a ridosso della strada, aveva ribadito, tanto tempo dopo, la sua incredulità per il "successo" dell'assalto. Disse così al magistrato Luca Tescaroli: "Quattro stupidi...quattro stupidi, perché poi alla fine eravamo...un po' di persone, in maniera molto rozza...in maniera artigianale, siamo riusciti a portare a termine un attentato così importante". Non poteva ancora crederci che avevano fatto tutto da soli.

L'agguato teso all'auto di Giovanni Falcone, tecnicamente un'imboscata, fu realizzato in un teatro di guerra allestito dai migliori artificieri. Fu una operazione militare, un atto di strategia della tensione: una mano fu mafiosa, l'altra no. Qualcuno trasformò un'azione di vendetta mafiosa in un atto di brutale manifestazione politica, cioè in una strage. Partecipò a tutte le fasi organizzative dell'azione anche Pietro Rampulla, il mafioso addestrato da Ordine nuovo, il servizio segreto clandestino di stampo neofascista: ma il 23 maggio non poté stare al fianco dei suoi complici perché "aveva impegni familiari", sfilandosi così dalla scena e mandandoBrusca a schiacciare il telecomando.

Dobbiamo ricordare che dalle numerose e diverse dichiarazioni dei pentiti non è possibile stabilire il momento dell'ideazione di quel tipo di strage. Come si arrivò alla decisione di fare una strage per ammazzare Falcone? La trappola mortale contro il nemico storico di Cosa nostra era già pronta prima del 23 maggio 1992. Un gruppo di fuoco composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani nel febbraio del 1992 era stato inviato a Roma per fare fuoco su Giovanni Falcone con le armi tradizionali: niente esplosivo, niente botti, solo i proiettili mafiosi avrebbero dovuto abbattere l'uomo che più di tutti aveva penetrato i segreti dei boss e scardinato il loro tradizionale assetto di potere. Ma un giorno Salvatore Biondino, il luogotenente di Toto Riina, va ad incontrareFrancesco Cancemi e Raffaele Ganci al cantiere di Piazza Principe di Camporeale e gli comunica che il padrino aveva intenzione di passare all'esecuzione del progetto di uccidere il magistrato con un ordigno esplosivo lungo l'autostrada da Punta Raisi per Palermo. Dunque, tutto era stato attentamente preordinato. Il momento dell'ideazione del progetto criminale di Capaci viene solo comunicato alle famiglie che poi avrebbero cooperato per realizzarlo; ma nessuno tra tutti coloro che lo attuano può raccontare il momento in cui viene elaborata quell'idea così originale e senza precedenti del delitto, e questo semplicemente perché l'idea gli vienesuggerita dall'estero. Dice sempre Giovanni Brusca, l'uomo del telecomando, che il posto dove fare l'attentato "non l'ha scelto lui". Sostiene che in una riunione a casa di Girolamo Guddo, il 20 febbraio prima della strage, scopre che "Cancemi, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci avevano parlato della possibilità dell'autostrada". Non sa che Cancemi e Ganci, come tutti gli altri, avevano solo ricevuto le istruzioni per realizzare l'attentato in quel modo. Ma il "suggeritore" non si sa chi sia e che gente frequenti.

Ci sono poi strani oggetti sulla scena del crimine: un sacchetto di carta di colore bianco che conteneva una torcia a pile, un tubetto di alluminio con del mastice di marca Arexons e due guanti in lattice, evidentemente usati. Chi li aveva usati? E per fare cosa? I giudici scrivono considerazioni molto interessanti: innanzitutto, notano che quelle cose non possono essere state lasciate lì dal giorno in cui sicuramente tutto fu predisposto e ultimato (e dopo il quale i mafiosi non tornarono , l'8 di maggio, perché "sicuramente le intemperie, frequenti in quel periodo sulla zona, avrebbero determinato la lacerazione del contenitore, che lo si deve ricordare, era di carta". Dunque, non potevano essere strumenti impiegati dai killer della mafia. Secondo loro è proprio "da escludere che gli imputati (...) avessero lasciato quegli oggetti proprio in prossimità del cunicolo, perché si sarebbe trattato di una macroscopica distrazione, inconcepibile a fronte dell'emergere dalla descrizione di tutte le operazioni che si sono via via susseguite nel corso dei preparativi, di una meticolosa e puntuale curanell'evitare che potessero restare tracce delle azioni compiute".

Il ritrovamento di questi oggetti particolari, lasciati lì sicuramente nelle ore di poco precedenti l'esplosione, è molto importante se si considera un'altra strana circostanza: alcuni testimoni hanno denunciato che il giorno precedente proprio nell'area della strage, ma a livello della strada, non in quello sottostante dove erano state condotte le operazioni di caricamento del cunicolo, era stato notato un furgone Ducato di colore bianco e alcune persone che apparentemente erano concentrate ad eseguire dei lavori. Fu anche deviato il corso delle automobili di passaggio, furono usati birilli per spartire il traffico. Lo hanno spiegato i testimoni indicati con i numeri d'ordine 26 e 27 e il loro racconto si riferisce a ciò che vedono il 22 maggio 1992, intorno alle ore 12: ma per Brusca e compagnia non c'è alcuna necessità di lavorare lungo la corsia, il loro lavoro si era concentrato a livello dell'imbocco del cunicolo, al di sotto nel livello stradale. E poi loro erano pronti già da tempo. Per di più, fu subito accertato che in quei giorni non erano in corso lavori di nessun genere e perciò si deve sicuramente escludere qualsiasi attività di manutenzione stradale, ordinaria o straordinaria: in pratica ci fu "un secondo cantiere, senza volto né nomi" e tuttavia anch'esso attivato con ogni probabilità per provocare la strage.

E ancora, l'esplosivo. Anche qui i conti non tornano. Sono state ritrovate tracce di nitroglicerina, un componente che non fa parte di nessuna delle due componenti che costituiscono la carica: ma la nitroglicerina rafforza la detonabilità della carica. L'esplosivo con cui è stato riempito il cunicolo che passava sotto l'autostrada in prossimità di Capaci era di due tipi: c'era l'ANFO, vale a dire il Nitrato di Ammonio addizionato a cherosene - in alcuni bidoncini fu messo allo stato puro - e c'era poi il tritolo, procurato da Biondino e recuperato dalle mine giacenti sotto il mare che venivamo trovate in grandi quantità dai pescatori, secondo una modalità raccontata minuziosamente da Gaspare Spatuzza (un racconto proprio identifico a quello del pentito di Piazza Fontana, Carlo Digilio, sull'esplosivo usato per la strage del '69!). Le indagini non si sono mai concluse: nel novembre del 2012 è stato arrestato Cosimo D'Amato, il pescatore di Santa Flavia che oltre al pesce tirava su anche le vecchie bombe. D'Amato è stato accusato dalla procura di Firenze di aver fornito in modo continuativo l'esplosivo usato per le stragi del '93, almeno quella parte proveniente dai recuperi in mare. Perché le vie degli esplosivi erano diverse: c'era quello da cava e poi quello più sofisticato, come il Semtex, proveniente dai traffici internazionali. Oltra alle tracce di nitroglicerina, ci sono poi quelle di T4, un esplosivo noto anche con RDX utilizzato soprattutto per scopi militari, che nel cratere di Capaci non viene unito ad altre sostanze e che potrebbe essere stato usato per aumentare la detonabilità della carica o come legante esplosivo fra le frazioni di carica. Inizialmente si era pensato che il T4 fosse presente unito al tritolo con cui può formare un composto chiamato Compound B ma poi l'ipotesi è stata scartata perché il tritolo, come abbiamo detto, era stato sicuramente messo da solo nei bidoncini: in pratica, l'uso del T4 sembrerebbe essere stato aggiunto all'esplosivo trovato dai due gruppi di mafiosi per rendere più micidiale la carica. Sia la pentrite che il T4 sono, infatti, sostanze non compatibili con quelle descritte dai pentiti con le quali è stato riempito il cunicolo.

Con quel materiale in più, la strage era assicurata. Falcone sarebbe morto sicuramente.
Ci spingemmo su "un terreno che non era il nostro", raccontò poi a proposito delle stragi di mafia il pentito Gaspare Spatuzza. Era il terreno del doppio livello quello che si realizza quando siedono ad uno stesso tavolo entità diverse, interessate a cooperare ad uno stesso identico progetto criminale con scopi spesso diversi.

Nel "doppio livello" c'è la regia degli eventi politici, quella che non siamo mai riusciti ad afferrare. Il "doppio livello" dello stragismo e dell'omicidio politico ha garantito l'impunità ai mandanti, lasciando sempre l'opinione pubblica smarrita e confusa, irrisolti i processi giudiziari e un Paese da sempre in cerca delle sue verità. Nelle cospirazioni nate in quel modo, per essere cioè realizzate con l'apporto di mani diverse, la trama diventa impossibile da sbrogliare, la complicità finale di tutti permette di lasciare il delitto senza una apparente firma e l'esecutore, che sia il neofascista degli anni 70 o il boss mafioso della fine dello scorso secolo, si trova coinvolto in un'azione attentamente progettata sulla base di tante informazioni, come sanno fare i servizi segreti o tutte quelle agenzie affini, tanto che non potrà mai provare la sua estraneità. Se non vuole ammettere di essere stato manipolato, deve solo tacere e pagare
di Stefania Limiti

19 maggio 2013

Il mostro e i suoi creatori






IL BERLUSCONISMO E’ FINITO PERCHE’ SONO FINITI I SUOI EVOCATORI


Le uniche cose che possono competere in numerosità coi processi in cui è stato coinvolto Berlusconi sono i suoi trattamenti di chirurgia estetica. Più egli veniva martirizzato e più si marmorizzava nell’aspetto e nel petto divenendo un busto vivente che attirava, come ogni monumento, orde di adoratori e frotte di vandali devastatori. Tali facce di bronzo, proseguenti a lamentarsene dopo averlo scolpito nella piccola storia che ci compete, ne hanno fatto una statua di stato, anzi uno “stat(u)ista”.
Costui è stato accusato di tutto nel corso degli anni, dal traffico di sostanze stupefacenti, alle stragi, fino alla prostituzione. Assoluzioni, prescrizioni, amnistie ecc. ecc. e, almeno finora, nessun verdetto di condanna definitiva. Oltre vent’anni di demonizzazioni e d’accanimenti che potrebbero presto approdare ad una sentenza inappellabile con la quale sarà chiuso il suo ciclo pubblico.
Peccato però che questo ciclo si sia esaurito da un pezzo, politicamente parlando, ma i suoi detrattori, presi come sono a combattere contro la loro fervida immaginazione, non se ne sono nemmeno accorti. Ben altre e ferali battaglie si stanno giocando alle spalle dei processi di B. coi quali si continua a depistare la pubblica opinione mentre sciacalli internazionali e iene nazionali stanno spolpando quel che resta della carogna peninsulare.
Il mostro B. è nato dall’odio dei suoi creatori-calunniatori ed è cresciuto sino all’inverosimile nutrendosi del loro disprezzo sociale e culturale.
Più lo perseguitavano, attribuendogli la somma dei dolori e delle perversioni del Paese, e più egli si ingigantiva e li sovrastava con la sua bassa statura che era pur sempre uno slancio verso il cielo rispetto alla fossa dove giacevano i suoi denigratori. Ma ora che i cacciatori di ombre sono diventati tutt’uno col mito in putrefazione, adesso che la mitopoiesi si è sciolta, come il cerone col quale lo avevano truccato da vampiro assetato di scandali, seguiranno il suo infausto destino giù nella tomba. Il loro funerale sarà una festa popolare.
L’Essere immondo scomparirà soltanto quando anche l’ultimo dei rovistatori nella melma della Repubblica, impastati della stessa materia ideologica degli incubi e delle angosce sociali, sarà perito. Siamo realmente al termine un’epoca che ci ha devastati nel cervello e nel tessuto sociale.
Ancora ieri, durante la trasmissione di “Sant’oro”, un altro cattivo prodotto dell’era degli intubati del tubo catodico,  guardavo in televisione lo spettacolo miserevole e reiterato di questi zombies che si mordono i polpacci a vicenda. Da un lato i militanti di sinistra che giustificavano le larghe intese per non far tornare Berlusconi e dall’altro i simpatizzanti delusi che li accusavano di aver fatto tornare Berlusconi. Il circolo vezzoso, almeno per chi assiste e non resiste alle risa, dei matti irrecuperabili.
Entrambe le schiere sclerotizzate non hanno inteso che quello che va e viene non è Berlusconi ma l’allucinazione identitaria della loro mente malata che proietta sul palcoscenico nazionale ogni tipo di tormento politico mascherato da cavaliere “ingrifato”.
Ricordate quante campagne di sensibilizzazione contro la cattiva maestra televisione? Fascismo mediatico e feticismo immodico di mediocri soggetti con gli occhi fasciati che vedevano manipolatori dappertutto. Venne iscritto d’ufficio al club dei cialtroni persino il povero Popper, improvvisamente ed improvvidamente intruppato nelle file dei catastrofisti dell’etere, per un libretto di scarso valore intellettuale divenuto una bibbia nell’ambiente del ceto medio semicolto, il quale alla sera leggeva Baricco in salotto e alla mattina in piazza sapeva tutto di olgettine e orgettine. Addirittura, l’era del porcone di Arcore era stata accostata al completamento di una mutazione antropologica che dalla specie sapiens ci trasfigurava in quella videns dei suggestionati dallo schermo privi di coscienza civile. Dicevano di se stessi riferendosi agli altri.
Sventolando le bandiere della purezza e dell’interezza si alzava però la puzza sotto il naso ed il tanfo dell’imbroglio di partito che nessuna morigeratezza verbale o individuale poteva occultare. Le persone sane di testa non si sono mai interessate dei baccanali presidenziali a porte chiuse e cosce aperte. E’ lo stupro delle proprietà pubbliche, l’abuso sul corpo nazionale , il bordello istituzionale dove viene denudata la sovranità centrale, lo spogliarello dei tesori pubblici per soddisfare i lenoni mondiali, la promiscuità corporativa, l’autoreferenzialità onanistica degli occupatori di poltrone per il tradimento collettivo, questo è quello che dovrebbe preoccupare ed indignare. Ma su ciò si tace o si taccia di chiusura provinciale chiunque osi opporsi al puttaneggiamento generale.
Fortunatamente siamo vicino all’epilogo della pantomima ma non alla conclusione delle tribolazioni perché non c’è trapasso che si compia senza una esplosione di brutalità liberatoria. Non si tratta di eversione ma di leggi della Storia. Prepariamoci al meglio del peggio.

di Gianni Petrosillo