16 luglio 2013

Sprint dell'Eurozona verso il fascismo finanziario

 

 Vi avevamo avvertiti, e il 26 giugno i ministri finanziari dell'Eurozona vi hanno trasformato da risparmiatore in finanziere d'assalto. Il nuovo meccanismo di "risoluzione bancaria" approvato dall'Ecofin introduce una svolta epocale, permettendo che i soldi dei risparmiatori siano usati per finanziare istituti in bancarotta. Il rapporto fiduciario banca-cliente non esiste più. Se finora i vostri soldi tenuti in un conto di risparmio o in un conto corrente erano sempre vostri, d'ora in poi non sarà più così. Li avete affidati a un investitore e la responsabilità sarà vostra se saranno persi in speculazione ad alto rischio.
Il principio della protezione del cittadino-risparmiatore è stato sostituito con quello della "protezione del sistema" come base fondamentale della politica. In alcuni casi, come in quello italiano, è stato espressamente violato un principio costituzionale.
Concretamente, se la nuova legge per la Risoluzione Bancaria entrerà in vigore (teoricamente sia il Parlamento Europeo che quelli nazionali possono opporsi), una banca insolvente sarà salvata dall'interno e dall'esterno (bail-in e bail-out). In un primo momento, i debiti saranno saldati dagli azionisti, quindi dai possessori di obbligazioni, e infine dai risparmiatori "non protetti". La dichiarazione finale dell'Ecofin spiega che i conti di sotto ai centomila euro e i depositi di "piccole e medie imprese (…) saranno privilegiati rispetto alle richieste di creditori ordinari non protetti, non privilegiati, e dei depositi delle grandi imprese".
Che significa "piccole e medie imprese"? Si salveranno quelle con cinque addetti e quelle con cinquecento subiranno la confisca? Inoltre, la parola "privilegiato" non significa escluso. Infatti, come l'oligarchia ha segnalato, il buco da coprire supera i 2,5 trilioni di euro, calcolato al valore di mercato attuale degli attivi. Ciò significa che le "circostanze straordinarie" in cui "tutti i debiti non protetti e non privilegiati esclusi i depositi qualificati sono stati impiegati" nel salvataggio vengono a verificarsi facilmente in una liquidazione bancaria, dopodiché "il liquidatore può cercare fondi da fonti finanziarie alternative". Questo è un capolavoro d'indefinitezza e lascia un varco a qualsiasi cosa, compreso il contribuente o i risparmiatori assicurati.
Il presidente della BCE Mario Draghi ha chiesto e ottenuto un impegno ex-ante dai paesi membri dell'UE ad un salvataggio pubblico se il resto fallisce, come elemento costitutivo dell'Unione Bancaria e dello schema di liquidazione bancaria. Ciò tuttavia non significa che tutte le banche saranno salvate. Il recente rapporto della BRI indica chiaramente che si applicherà un salvataggio selettivo, per espropriare il massimo dai poveri e salvare i ricchi.
I super-ricchi, le cui fortune dipendono dalla continuità dell'economia della bisca, saranno risparmiati. Il comunicato dell'Ecofin afferma che "il liquidatore nazionale avrà anche il potere di escludere, completamente o parzialmente, debiti su base discrezionale", tra gli altri motivi "per evitare il contagio". In altre parole, ogni debito "sistemicamente rilevante" deve essere pagato. Le scommesse con i derivati sono i debiti sistematicamente più rilevanti, come dimostrò il caso Lehman Brothers. Una volta chiuso il derivato si apre una voragine. Lo schema dell'Ecofin spalanca un altro portone per salvare ogni tipo di speculazione in derivati, escludendo dal bail-in "i debiti interbancari con scadenza inferiore ai sette giorni". Poiché la maggior parte dei debiti in derivati è tra le banche, e ogni contratto derivato può essere trasformato in qualcosa con scadenza inferiore ai sette giorni, attraverso questo varco può passare l'intero debito speculativo, e il risparmiatore deve pagarlo per "evitare il contagio".

Codificando in legge il principio che il denaro degli speculatori è al sicuro ma quello dei risparmiatori no, l'UE ha messo a repentaglio quella stessa "stabilità del sistema" che voleva preservare. Se si diffonde la percezione che i risparmi non sono più sicuri, ci sarà una fuga dai depositi. 
by  (MoviSol) -

15 luglio 2013

Egitto: l'adesione di Morsi all'assalto contro la Siria è stato il punto di svolta


 Il rovesciamento del governo di Mohamed Morsi in Egitto è una drammatica reazione all'imposizione della nuova politica alla Sykes-Picot da parte delle potenze occidentali. Le forze armate egiziane si sono mosse contro il Presidente dopo che tutti e cinque i ministri non Fratelli Musulmani e due portavoce presidenziali si erano dimessi in solidarietà con i milioni di manifestanti in tutto il paese.
Morsi si era insediato un anno fa dopo che l'alleanza anglo-saudita di gruppi radicali islamici collegata ad Al Qaeda, cui la Fratellanza Musulmana (FM) è associata, aveva dirottato la cosiddetta Primavera Araba. Questa stessa alleanza aveva trasformato le proteste in Libia in una sanguinosa guerra civile sostenuta dall'intervento militare di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, che ha gettato il paese nel caos e lasciato la popolazione alla mercé delle bande armate. La trasformazione della Primavera Araba in Siria si è spinta ancor più in là, minacciando di creare un conflitto tra sunniti e sciiti in tutta la regione, come preludio ad un attacco all'Iran e alla fine uno scontro nucleare tra gli Stati Uniti e la Russia.
Le proteste in Egitto contro la Fratellanza Musulmana hanno fatto seguito alle dimostrazioni di massa in Turchia, che erano dirette non solo contro la politica sempre più autoritaria del partito Islamico della Giustizia e dello Sviluppo, ma anche contro il sostegno alla politica di aggressione alla Siria.
In Egitto, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata raggiunta il mese scorso, quando il Presidente Obama e il suo security team alla Casa Bianca hanno chiesto al Pentagono di bombardare le basi militari siriane, richiesta alla quale si è opposto con forza il capo degli Stati Maggiori Riuniti, il gen. Martin Dempsey. Nonostante questa opposizione, Obama ha annunciato che gli USA avrebbero ufficialmente cominciato ad armare i ribelli.
Entro pochi giorni dall'annuncio, il Presidente Morsi ha ordinato il taglio delle relazioni diplomatiche con la Siria, mentre la FM indiva una manifestazione a cui parlava Morsi incitando alla Jihad e all'intervento militare straniero in Siria, chiamando "infedeli" Hezbollah e gli sciiti iraniani che appoggiano Assad.
Un dispaccio della Reuters che cita fonti militari egiziane anonime ha osservato che quella manifestazione di islamisti radicali è stata la molla che ha scatenato "le preoccupazioni delle forze armate per il modo in cui il Presidente Morsi stava governando il paese".
Non appena Morsi è stato deposto, il capo delle Forze Armate Abdul-Fattah El-Sisi ha nominato Adly Mahmoud Mansour, capo della Corte Costituzionale, capo del governo di transizione col mandato di presiedere alla stesura di una nuova costituzione e a nuove elezioni. La situazione rimane però pericolosa, perché la Fratellanza Musulmana spinge all'insurrezione ed è noto che dispone di armi arrivate dalla Libia.

Inoltre, la deposizione di Morsi è "bad news" per la Turchia, dove il partito al governo non solo aveva allacciato forti legami con Morsi, ma ne condivideva la politica anti-Siria. Mentre il governo turco denunciava le FFAA egiziane per aver eseguito uno "sporco colpo di stato", un commentatore turco scriveva sull'Hurriyet Daily News: "Se si riesce a riconquistare la 'primavera' che era stata scippata in Egitto… dobbiamo prepararci a vederne le ricadute nel resto della regione".
by (MoviSol) 

13 luglio 2013

La Germania al bivio





LA GERMANIA AL BIVIO
Da uno studio condotto dal prestigioso istituto francese di analisi Xerfi emerge un dirompente rovesciamento delle condizioni economiche interne all’Eurozona, del tutto sufficiente ad imprimere una brusca accelerata al processo di disintegrazione dell’euro. Il dato cruciale messo in risalto all’interno del documento è infatti rappresentato dall’impressionante cambio di paradigma varato dalla Germania, che nell’arco di appena 12 mesi è riuscita a rivoltare in maniera radicale il proprio export. Nel primo semestre del 2013, il 65% circa delle esportazioni tedesche veniva assorbito dai Paesi membri dell’Unione Europea, di cui il 36% dalle nazioni che aderiscono all’Eurozona, mentre ad appena un anno di distanza il 74% circa dell’export tedesco veniva realizzato al di fuori dei confini europei. L’incremento delle esportazioni tedesche all’esterno del “vecchio continente” è stato pari a 70 miliardi di euro (su 131 miliardi dal 2007), a fronte di una contrazione di 77 miliardi all’interno dell’Unione Europea. Il che è naturalmente dovuto alla caduta della domanda interna in tutti i Paesi dell’Eurozona, imputabile alle sostanziali terapie d’urto imposte dalla cosiddetta “troijka” dietro il pungolo di Berlino.

Saldo commerciale tedesco

Va tuttavia sottolineato il fatto che la “fetta” di esportazioni tedesche all’interno dell’Unione Europea sia rimasta inalterata al 22% per oltre dieci anni, mentre le quote francese, britannica e italiana sono costantemente diminuite a fronte dell’avanzata dei Paesi dell’Europa orientale e delle nazioni gravitanti attorno all’orbita tedesca (come l’Olanda).

Ripartizione delle esportazioni

In compenso, la Germania ha aumentato il volume delle importazioni dai Paesi membri dell’Unione Europea (79 miliardi di euro), per effetto della netta divaricazione tra la sua crescita e la recessione che attanaglia tutti gli altri Stati concorrenti.

Import-export tedesco

Il che significa che la Germania ha orientato l’intera costruzione politico-economica europea al completo servizio delle proprie necessità, mentre gli altri Paesi hanno subito una progressiva marginalizzazione che li ha di fatto trasformati in fornitori a basso prezzo (per via della compressione salariale legata alle misure d’austerità) della componentistica e di merci dallo scarso o nullo valore aggiunto per conto della potenza industriale dominante. L’arretramento costante di Francia, Gran Bretagna e Italia – chiaramente testimoniato dal crollo del mercato intra-UE (rispettivamente dal 13 al 9%, dal 10 al 6% e dal 9 al 7%) –, strettamente connesso alle rigidità e alla “forza” della moneta unica, ha generato un forte malcontento in seno alle popolazioni, favorendo l’avanzamento di movimenti euro-scettici e dichiaratamente ostili al consolidamento della costruzione (come il “Movimento 5 Stelle” o l’“United Kingdom Indipendence Party”).
Ma anche all’interno della stessa Germania sono sorti malumori – dimostrati, tra le altre cose, dal discreto successo ottenuto dai “Piraten” –, causati dal massiccio trasferimento di ricchezza nazionale verso i Paesi europei più in difficoltà, che in caso di consolidamento dell’Unione Europea (incomprensibilmente – o forse no – ambito da quasi tutti i governi europei) vincolerebbe Berlino a versare annualmente una cifra quantificabile in circa 80 miliardi di euro (pari al 3% circa del Prodotto Interno Lordo tedesco). La stessa Cancelliera Merkel, che sarà imminentemente chiamata ad affrontare le elezioni politiche, deve aver seriamente valutato – a differenza dei “politicanti” francesi, britannici, italiani e spagnoli – i pro e i contro che comporterebbe la concretizzazione di questa prospettiva. Non a caso, ha lanciato segnali piuttosto ambigui in proposito, ostentando una certa freddezza (assolutamente senza precedenti per un per tale personaggio) per quanto concerne la tenuta dell’Eurozona. Con l’uscita dall’euro, si sbloccherebbero immediatamente i meccanismi di rivalutazione che conferirebbero al marco un valore assai notevole, che penalizzerebbe pesantemente l’export tedesco. Lo stesso Ministero delle Finanze tedesco ha condotto uno studio, prontamente pubblicato dal noto settimanale “Der Spiegel”, all’interno del quale si sostiene che l’implosione della moneta unica europea comporterebbe una caduta del Prodotto Interno Lordo tedesco pari al 9,2% e un aumento della disoccupazione prossimo al 10%, portando la massa dei senza lavoro oltre la soglia dei 5 milioni di persone.
D’altro canto, va tuttavia evidenziato il fatto che Berlino non sarebbe più costretta ad attingere ai propri surplus commerciali per coprire i deficit degli altri Stati (come ha regolarmente fatto finora) e che, collocandosi in questa posizione, la Germania risparmierebbe quegli 80 miliardi di euro annuali di versamenti in favore dei Paesi deboli previsti dal sistema di “solidarietà europea” (!). È per questo che la politica deflazionistica (tutta incentrata sulla compressione salariale) imposta ai Paesi meno solidi (di cui la Germania si è servita per rifornirsi) è stata sinora il compromesso che comportava meno svantaggi per Berlino, e che ha contribuito in maniera cruciale ad aggravare la recessione in tutta l’Europa mediterranea, distruggendo imprese ed eliminando migliaia di posti di lavoro.

La Germania sarà dunque chiamata a decidere se mantenere lo stutus quo aderendo al progetto di consolidamento della struttura poltico-economica vigente o abbandonare l’Eurozona, dedicandosi all’intensificazione dei propri rapporti (già solidissimi) con i Paesi dell’Est, come Russia e Cina. Il futuro del “vecchio continente” dipende in gran parte da questa scelta.
di Giacomo Gabellini 

16 luglio 2013

Sprint dell'Eurozona verso il fascismo finanziario

 

 Vi avevamo avvertiti, e il 26 giugno i ministri finanziari dell'Eurozona vi hanno trasformato da risparmiatore in finanziere d'assalto. Il nuovo meccanismo di "risoluzione bancaria" approvato dall'Ecofin introduce una svolta epocale, permettendo che i soldi dei risparmiatori siano usati per finanziare istituti in bancarotta. Il rapporto fiduciario banca-cliente non esiste più. Se finora i vostri soldi tenuti in un conto di risparmio o in un conto corrente erano sempre vostri, d'ora in poi non sarà più così. Li avete affidati a un investitore e la responsabilità sarà vostra se saranno persi in speculazione ad alto rischio.
Il principio della protezione del cittadino-risparmiatore è stato sostituito con quello della "protezione del sistema" come base fondamentale della politica. In alcuni casi, come in quello italiano, è stato espressamente violato un principio costituzionale.
Concretamente, se la nuova legge per la Risoluzione Bancaria entrerà in vigore (teoricamente sia il Parlamento Europeo che quelli nazionali possono opporsi), una banca insolvente sarà salvata dall'interno e dall'esterno (bail-in e bail-out). In un primo momento, i debiti saranno saldati dagli azionisti, quindi dai possessori di obbligazioni, e infine dai risparmiatori "non protetti". La dichiarazione finale dell'Ecofin spiega che i conti di sotto ai centomila euro e i depositi di "piccole e medie imprese (…) saranno privilegiati rispetto alle richieste di creditori ordinari non protetti, non privilegiati, e dei depositi delle grandi imprese".
Che significa "piccole e medie imprese"? Si salveranno quelle con cinque addetti e quelle con cinquecento subiranno la confisca? Inoltre, la parola "privilegiato" non significa escluso. Infatti, come l'oligarchia ha segnalato, il buco da coprire supera i 2,5 trilioni di euro, calcolato al valore di mercato attuale degli attivi. Ciò significa che le "circostanze straordinarie" in cui "tutti i debiti non protetti e non privilegiati esclusi i depositi qualificati sono stati impiegati" nel salvataggio vengono a verificarsi facilmente in una liquidazione bancaria, dopodiché "il liquidatore può cercare fondi da fonti finanziarie alternative". Questo è un capolavoro d'indefinitezza e lascia un varco a qualsiasi cosa, compreso il contribuente o i risparmiatori assicurati.
Il presidente della BCE Mario Draghi ha chiesto e ottenuto un impegno ex-ante dai paesi membri dell'UE ad un salvataggio pubblico se il resto fallisce, come elemento costitutivo dell'Unione Bancaria e dello schema di liquidazione bancaria. Ciò tuttavia non significa che tutte le banche saranno salvate. Il recente rapporto della BRI indica chiaramente che si applicherà un salvataggio selettivo, per espropriare il massimo dai poveri e salvare i ricchi.
I super-ricchi, le cui fortune dipendono dalla continuità dell'economia della bisca, saranno risparmiati. Il comunicato dell'Ecofin afferma che "il liquidatore nazionale avrà anche il potere di escludere, completamente o parzialmente, debiti su base discrezionale", tra gli altri motivi "per evitare il contagio". In altre parole, ogni debito "sistemicamente rilevante" deve essere pagato. Le scommesse con i derivati sono i debiti sistematicamente più rilevanti, come dimostrò il caso Lehman Brothers. Una volta chiuso il derivato si apre una voragine. Lo schema dell'Ecofin spalanca un altro portone per salvare ogni tipo di speculazione in derivati, escludendo dal bail-in "i debiti interbancari con scadenza inferiore ai sette giorni". Poiché la maggior parte dei debiti in derivati è tra le banche, e ogni contratto derivato può essere trasformato in qualcosa con scadenza inferiore ai sette giorni, attraverso questo varco può passare l'intero debito speculativo, e il risparmiatore deve pagarlo per "evitare il contagio".

Codificando in legge il principio che il denaro degli speculatori è al sicuro ma quello dei risparmiatori no, l'UE ha messo a repentaglio quella stessa "stabilità del sistema" che voleva preservare. Se si diffonde la percezione che i risparmi non sono più sicuri, ci sarà una fuga dai depositi. 
by  (MoviSol) -

15 luglio 2013

Egitto: l'adesione di Morsi all'assalto contro la Siria è stato il punto di svolta


 Il rovesciamento del governo di Mohamed Morsi in Egitto è una drammatica reazione all'imposizione della nuova politica alla Sykes-Picot da parte delle potenze occidentali. Le forze armate egiziane si sono mosse contro il Presidente dopo che tutti e cinque i ministri non Fratelli Musulmani e due portavoce presidenziali si erano dimessi in solidarietà con i milioni di manifestanti in tutto il paese.
Morsi si era insediato un anno fa dopo che l'alleanza anglo-saudita di gruppi radicali islamici collegata ad Al Qaeda, cui la Fratellanza Musulmana (FM) è associata, aveva dirottato la cosiddetta Primavera Araba. Questa stessa alleanza aveva trasformato le proteste in Libia in una sanguinosa guerra civile sostenuta dall'intervento militare di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, che ha gettato il paese nel caos e lasciato la popolazione alla mercé delle bande armate. La trasformazione della Primavera Araba in Siria si è spinta ancor più in là, minacciando di creare un conflitto tra sunniti e sciiti in tutta la regione, come preludio ad un attacco all'Iran e alla fine uno scontro nucleare tra gli Stati Uniti e la Russia.
Le proteste in Egitto contro la Fratellanza Musulmana hanno fatto seguito alle dimostrazioni di massa in Turchia, che erano dirette non solo contro la politica sempre più autoritaria del partito Islamico della Giustizia e dello Sviluppo, ma anche contro il sostegno alla politica di aggressione alla Siria.
In Egitto, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata raggiunta il mese scorso, quando il Presidente Obama e il suo security team alla Casa Bianca hanno chiesto al Pentagono di bombardare le basi militari siriane, richiesta alla quale si è opposto con forza il capo degli Stati Maggiori Riuniti, il gen. Martin Dempsey. Nonostante questa opposizione, Obama ha annunciato che gli USA avrebbero ufficialmente cominciato ad armare i ribelli.
Entro pochi giorni dall'annuncio, il Presidente Morsi ha ordinato il taglio delle relazioni diplomatiche con la Siria, mentre la FM indiva una manifestazione a cui parlava Morsi incitando alla Jihad e all'intervento militare straniero in Siria, chiamando "infedeli" Hezbollah e gli sciiti iraniani che appoggiano Assad.
Un dispaccio della Reuters che cita fonti militari egiziane anonime ha osservato che quella manifestazione di islamisti radicali è stata la molla che ha scatenato "le preoccupazioni delle forze armate per il modo in cui il Presidente Morsi stava governando il paese".
Non appena Morsi è stato deposto, il capo delle Forze Armate Abdul-Fattah El-Sisi ha nominato Adly Mahmoud Mansour, capo della Corte Costituzionale, capo del governo di transizione col mandato di presiedere alla stesura di una nuova costituzione e a nuove elezioni. La situazione rimane però pericolosa, perché la Fratellanza Musulmana spinge all'insurrezione ed è noto che dispone di armi arrivate dalla Libia.

Inoltre, la deposizione di Morsi è "bad news" per la Turchia, dove il partito al governo non solo aveva allacciato forti legami con Morsi, ma ne condivideva la politica anti-Siria. Mentre il governo turco denunciava le FFAA egiziane per aver eseguito uno "sporco colpo di stato", un commentatore turco scriveva sull'Hurriyet Daily News: "Se si riesce a riconquistare la 'primavera' che era stata scippata in Egitto… dobbiamo prepararci a vederne le ricadute nel resto della regione".
by (MoviSol) 

13 luglio 2013

La Germania al bivio





LA GERMANIA AL BIVIO
Da uno studio condotto dal prestigioso istituto francese di analisi Xerfi emerge un dirompente rovesciamento delle condizioni economiche interne all’Eurozona, del tutto sufficiente ad imprimere una brusca accelerata al processo di disintegrazione dell’euro. Il dato cruciale messo in risalto all’interno del documento è infatti rappresentato dall’impressionante cambio di paradigma varato dalla Germania, che nell’arco di appena 12 mesi è riuscita a rivoltare in maniera radicale il proprio export. Nel primo semestre del 2013, il 65% circa delle esportazioni tedesche veniva assorbito dai Paesi membri dell’Unione Europea, di cui il 36% dalle nazioni che aderiscono all’Eurozona, mentre ad appena un anno di distanza il 74% circa dell’export tedesco veniva realizzato al di fuori dei confini europei. L’incremento delle esportazioni tedesche all’esterno del “vecchio continente” è stato pari a 70 miliardi di euro (su 131 miliardi dal 2007), a fronte di una contrazione di 77 miliardi all’interno dell’Unione Europea. Il che è naturalmente dovuto alla caduta della domanda interna in tutti i Paesi dell’Eurozona, imputabile alle sostanziali terapie d’urto imposte dalla cosiddetta “troijka” dietro il pungolo di Berlino.

Saldo commerciale tedesco

Va tuttavia sottolineato il fatto che la “fetta” di esportazioni tedesche all’interno dell’Unione Europea sia rimasta inalterata al 22% per oltre dieci anni, mentre le quote francese, britannica e italiana sono costantemente diminuite a fronte dell’avanzata dei Paesi dell’Europa orientale e delle nazioni gravitanti attorno all’orbita tedesca (come l’Olanda).

Ripartizione delle esportazioni

In compenso, la Germania ha aumentato il volume delle importazioni dai Paesi membri dell’Unione Europea (79 miliardi di euro), per effetto della netta divaricazione tra la sua crescita e la recessione che attanaglia tutti gli altri Stati concorrenti.

Import-export tedesco

Il che significa che la Germania ha orientato l’intera costruzione politico-economica europea al completo servizio delle proprie necessità, mentre gli altri Paesi hanno subito una progressiva marginalizzazione che li ha di fatto trasformati in fornitori a basso prezzo (per via della compressione salariale legata alle misure d’austerità) della componentistica e di merci dallo scarso o nullo valore aggiunto per conto della potenza industriale dominante. L’arretramento costante di Francia, Gran Bretagna e Italia – chiaramente testimoniato dal crollo del mercato intra-UE (rispettivamente dal 13 al 9%, dal 10 al 6% e dal 9 al 7%) –, strettamente connesso alle rigidità e alla “forza” della moneta unica, ha generato un forte malcontento in seno alle popolazioni, favorendo l’avanzamento di movimenti euro-scettici e dichiaratamente ostili al consolidamento della costruzione (come il “Movimento 5 Stelle” o l’“United Kingdom Indipendence Party”).
Ma anche all’interno della stessa Germania sono sorti malumori – dimostrati, tra le altre cose, dal discreto successo ottenuto dai “Piraten” –, causati dal massiccio trasferimento di ricchezza nazionale verso i Paesi europei più in difficoltà, che in caso di consolidamento dell’Unione Europea (incomprensibilmente – o forse no – ambito da quasi tutti i governi europei) vincolerebbe Berlino a versare annualmente una cifra quantificabile in circa 80 miliardi di euro (pari al 3% circa del Prodotto Interno Lordo tedesco). La stessa Cancelliera Merkel, che sarà imminentemente chiamata ad affrontare le elezioni politiche, deve aver seriamente valutato – a differenza dei “politicanti” francesi, britannici, italiani e spagnoli – i pro e i contro che comporterebbe la concretizzazione di questa prospettiva. Non a caso, ha lanciato segnali piuttosto ambigui in proposito, ostentando una certa freddezza (assolutamente senza precedenti per un per tale personaggio) per quanto concerne la tenuta dell’Eurozona. Con l’uscita dall’euro, si sbloccherebbero immediatamente i meccanismi di rivalutazione che conferirebbero al marco un valore assai notevole, che penalizzerebbe pesantemente l’export tedesco. Lo stesso Ministero delle Finanze tedesco ha condotto uno studio, prontamente pubblicato dal noto settimanale “Der Spiegel”, all’interno del quale si sostiene che l’implosione della moneta unica europea comporterebbe una caduta del Prodotto Interno Lordo tedesco pari al 9,2% e un aumento della disoccupazione prossimo al 10%, portando la massa dei senza lavoro oltre la soglia dei 5 milioni di persone.
D’altro canto, va tuttavia evidenziato il fatto che Berlino non sarebbe più costretta ad attingere ai propri surplus commerciali per coprire i deficit degli altri Stati (come ha regolarmente fatto finora) e che, collocandosi in questa posizione, la Germania risparmierebbe quegli 80 miliardi di euro annuali di versamenti in favore dei Paesi deboli previsti dal sistema di “solidarietà europea” (!). È per questo che la politica deflazionistica (tutta incentrata sulla compressione salariale) imposta ai Paesi meno solidi (di cui la Germania si è servita per rifornirsi) è stata sinora il compromesso che comportava meno svantaggi per Berlino, e che ha contribuito in maniera cruciale ad aggravare la recessione in tutta l’Europa mediterranea, distruggendo imprese ed eliminando migliaia di posti di lavoro.

La Germania sarà dunque chiamata a decidere se mantenere lo stutus quo aderendo al progetto di consolidamento della struttura poltico-economica vigente o abbandonare l’Eurozona, dedicandosi all’intensificazione dei propri rapporti (già solidissimi) con i Paesi dell’Est, come Russia e Cina. Il futuro del “vecchio continente” dipende in gran parte da questa scelta.
di Giacomo Gabellini