24 febbraio 2008

Gli EURO-LADRI, qualcuno li protegge


BRUXELLES: Chris Davies è un euro-deputato britannico.
Per giunta, è membro della Commissione Controlllo Bilancio dell’Euro-parlamento.
Eppure, per vedere il documento, ha dovuto firmare un impegno alla segretezza, ha potuto leggerlo solo in una stanza chiusa da congegni di riconoscimento biometrico, sotto lo sguardo di guardie della sicurezza; ovviamente non ha avuto il permesso di fotocopiarlo, e neppure di prendere appunti.

Che cosa c’è di tanto delicato in quel rapporto, da imporre tali misure di segretezza?
Forse i piani di un super-missile comunitario, di un brevetto strategico, il piano per la fusione fredda?
Niente di tutto questo.

Il rapporto, stilato dagli uffici contabili di Bruxelles, documenta in dettaglio le ruberie, malversazioni, peculati e appropriazioni indebite compiute dai membri del Parlamento Europeo. Reati e delitti su «una scala così vasta», ha spiegato Davies alla BBC, «da impressionare. Coloro che hanno compiuto tali atti non meritano che anni di galera» (1).

Non ci sono i nomi dei malfattori da noi votati, ma solo le nazionalità.
Secondo Davies, «non» ci sono inglesi, né olandesi, né scandinavi (provate a immaginare quale Paese è invece ben rappresentato).
Davies, ha detto che la media delle appropriazioni indebite per ciascuno dei 785 euro-deputati ammonta a 166 mila euro.
Senza contare l’emolumento legale e i numerosi «benefit».

Hans Gert Poettering, il presidente dell’europarlamento, ha spiegato penosamente il fatto di aver sottratto il rapporto all’opinione pubblica con queste parole: «Vogliamo riformare il sistema, ma non possiamo mostrare questo rapporto al pubblico, se vogliamo che la gente voti alle elezioni europee l’anno prossimo».

Ha aggiunto, anche più penosamente: «Il documento non è segreto. E’ solo confidenziale. I deputati della Commissione Controllo Budget lo possono leggere nella stanza chiusa, solo non è aperto a tutti. Non è la stessa cosa che un documento segreto, il quale non può essere letto da nessuno».

Scusa ridicola, e smentita da due fatti: anzitutto, lo stesso Poettering ha chiesto ad Harald Roemer, segretario generale dell’assemblea europea, di prendere misure perché da questo rapporto non nascessero «danni collaterali» - fra cui evidentemente c’è anche il rischio che Poettering sia costretto a dimettersi a furor di popolo per il mancato controllo, o per complicità nelle malversazioni.

Il secondo fatto: OLAF, l’ufficio anti-frode della Unione Europea (un po’ polizia interna e un po’ euro-KGB) non era a conoscenza del rapporto, o almeno così dice (2).
Ne ha avuto nozione solo quando il britannico Chris Davies ha scritto allo stesso OLAF, e per copia a Roemer, in questi termini: «Le risultanze dell’inchiesta cadono sotto la giurisdizione dell’OLAF, e sono così gravi che si deve ritenere ne debbano conseguire procedure penali».
Allora OLAF ha chiesto una copia del documento, ed ha diramato agli euro-deputati una circolare in cui «si attende piena collaborazione da lorsignori e dalle autorità parlamentari».
Vedremo se seguiranno le necessarie inchieste penali.

Intanto, il Telegraph ha condotto una sua inchiesta giornalistica, fra i pochissimi funzionari che hanno potuto leggere il rapporto, ed ha appreso qualcosa sul genere di frodi usate.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di diversione dei fondi assegnati ad ogni parlamentare per il funzionamento del proprio ufficio - 166 mila euro annui appunto - e che dovrebbero pagare contabili, traduttori professionisti, aziende che forniscono servizi amministrativi.
Ma i ragionieri autori dell’indagine hanno appurato che per lo più l’intero fondo annuale viene devoluto dall’eurodeputato «ad una sola persona del suo staf» qualche volta un parente stretto.
Anzi, molti europarlamentari che consumano l’intero fondo non hanno alcun impiegato al loro servizio, o uno solo come portaborse tuttofare, per giunta un parente che non parla se non una sola lingua.

«In altri casi», ha detto una fonte al Telegraph, «risultano pagamenti ad aziende di servizi che, semplicemente, non esistono; in altri sono individui che lavorano per il singolo euro-deputato e ne sono i dipendenti».
In altri casi sono «creste» sui biglietti aerei e le spese d’ufficio, in modo da assorbire l’intero fondo.

Vogliamo provare a indovinare di quale o quali Paesi sono gli euro-deputati più attivi in questa ruberia?
Forse riusciremo a capire perché i nostro politici sono così entusiasticamente europeisti, e tanti desiderino diventare euro-parlamentari, benchè conoscano solo qualche dialetto irpino o romanesco o lumbard.
E come mai i giornali italioti non abbiano riportato una riga di questa informazione.
Per rispetto al loro amato presidente della repubblica, suppongo.

Non c’è che da notare che ad ogni strato di «politica» corrisponde una Casta, con relativo furto di denaro pubblico.
E gli strati che gravano sopra noi contribuenti sono tanti, si moltiplicano e sono molto «spessi», cioè affollati di percettori.
In Italia, si comincia dai consigli di zona delle grandi città (a Milano un presidente di consiglio di zona, di solito un partitante di mezza tacca, già riceve 2 mila euro mensili, più di un giovane ingegnere con responsabilità dirigenziali nell’industria privata), e poi via sovrapponendo: Comune, Provincia, Regione, Stato nazionale, aziende «partecipate», burocrazia europea…
E poi ancora gli organi globali, ONU, WTO, Fondo Monetario, Banca Mondiale.
Tutti con stipendi miliardari.
E noi paghiamo per tutti.

Si deve infine notare che le Caste hanno dato ai loro furti abitudinari uno status giuridico.
L’ultimo esempio ci riguarda: Padoa Schioppa, tra le mille cose di cui ha imbottito la Finanziaria, aveva decretato un «tetto» agli stipendi del personale di Bankitalia, che sono i più alti e costosi del pianeta.
Una cosina giusta, finalmente.
Ma la Banca Eentrale Europea ha bocciato il provvedimento, con la motivazione che il tetto di Stato ai compensi «mina l’indipendenza della Banca Centrale italiana».
Ragionamento di cui non si vede la logica - dopotutto, la magistratura non si assegna da sé i suoi emolumenti, e ciò non mina la sua autonomia - ma che si spiega nello spirito di Casta.

I privilegi indebiti sono «diritti acquisiti», i miliardi di stipendio «garanzia di indipendenza».
Non ci sarà mai modo di tagliarli, se non tagliando le teste, accorciando gli strati di «politica» che ci depredano.
L’appendimento dei responsabili a piedi in su a piazzale Loreto compirebbe la riforma.
Ma non osiamo sperare tanto.
M.Blondet

23 febbraio 2008

La nazionalizzazione della Northern Rock


Il governo britannico ha annunciato la nazionalizzazione della banca Northern Rock il 18 febbraio, aumentando in un solo colpo il debito pubblico di 90 miliardi di sterline (circa 120 miliardi di euro). La decisione dovrebbe dare la sveglia a coloro che si oppongono alla proposta HBPA di riorganizzazione bancaria di Lyndon LaRouche, che prevede una “muraglia” tra le banche e i fondi speculativi. Gli avversari di questa proposta l'hanno recentemente attaccata in pubblico con l'argomento che essa consiste nella “nazionalizzazione” delle banche. La decisione britannica mostra che la verità è esattamente il contrario: è la politica delle banche centrali a condurre alle nazionalizzazioni e all'iperinflazione, mentre la proposta di LaRouche è l'unica via per salvare le banche, ricapitalizzarle e lanciare una ripresa economica. Una “muraglia” generale nel sistema bancario può oggi impedire una statalizzazione mussoliniana dell'economia.

Verso un altro tsunami finanziario
Un secondo choc sistemico, quello che il capo di Deutsche Bank Josef Ackermann ha definito uno tsunami finanziario peggiore della crisi dei subprime, è dietro l'angolo. L'insolvenza dei cosiddetti “monoline”, gli istituti che hanno assicurato titoli emessi sui mutui e su altri assets, è ormai questione di giorni, tanto che il governatore di New York Elliot Spitzer ha lanciato un ultimatum il 14 febbraio: o i monoline trovano il denaro fresco entro cinque giorni, riuscendo ad evitare la retrocessione del rating, oppure saranno smembrati. La precedente offerta di Warren Buffet di acquistare dai monoline la copertura assicurativa di bond municipali per un valore di 800 miliardi, con una spesa di 5 miliardi di dollari, ha portato i monoline ad un passo più vicino all'insolvenza.
La conseguenza di un'insolvenza, o di un ribasso del rating, saranno un ribasso del valore degli assets assicurati dai monoline. Le autorità di New York cercano di salvare i bond municipali trasferendoli dai monoline ad altre assicurazioni. Nel contenitore resteranno centinaia di miliardi di obbligazioni garantite da collaterale (CDO), il cui valore piomberà verso lo zero.
La banca svizzera UBS ha pubblicato una previsione secondo cui la prossima ondata di perdite sarà di almeno 203 miliardi di dollari. Questa cifra è composta da 120 miliardi di perdite per i CDO, 50 per i SIV, 18 per titoli emessi sui mutui e 15 per bonds LBO (emessi per finanziare le acquisizioni). Anche se le cifre della UBS sono ispirate alla cautela, esse comunque superano le perdite ufficiali delle banche dall'agosto 2007, che ammontano a 150 miliardi di dollari.
Un'altra conseguenza del crac in arrivo riguarda la “discarica napoletana” chiamata BCE, che comincia ad olezzare. La BCE ha accettato titoli tossici dalle banche come collaterale per crediti a breve. Le quantità attuali in deposito non sono note. A febbraio la BCE ha pubblicato i dati dello scorso settembre, da cui risulta che già in quel mese il volume degli strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione di crediti aveva raggiunto i 215 miliardi di euro. Si tratta di un incremento al 17% rispetto al 12% del 2006 (si presume che il resto siano titoli del tesoro). Il ricorso ai titoli emessi sui mutui per ottenere denaro dalla BCE è diventato sempre più frequente dopo settembre, ed è probabile che nel frattempo sia raddoppiato. Stando al suo stesso statuto, la BCE non dovrebbe accettare obbligazioni spazzatura come collaterale, ma il governatore Trichet sostiene che la BCE non ha cambiato le sue regole. Ha dovuto esibire la stessa foglia di fico in risposta a tre domande rivoltegli su questo tema da tre giornalisti diversi alla scorsa conferenza stampa a Francoforte. Tuttavia la BCE ammette che, diversamente da altre banche centrali, ha accettato un notevole volume di strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione di crediti che chiama “private label”, termine che designa titoli che non hanno garanzie da parte di enti di governo. La Federal Reserve USA non accetta strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione che non sono garantiti da enti di governo.
fonte: movisol

21 febbraio 2008

ONU: Cavi troncati internet forse è sabotaggio!



I cavi sottomarini troncati (cinque, pare confermato) nel Golfo Persico, che per giorni hanno impedito a milioni di «navigatori» in Medio Oriente di collegarsi a Internet, e ad altri milioni di telefonare, possono aver subito «un sabotaggio»: lo ha ammesso, bontà sua, la International Telecommunication Union, l’agenzia dell’ONU con sede a Ginevra che coordina le telecom mondiali, associando 191 nazioni ed oltre 700 imprese di telecomunicazione.

«Non vogliamo anticipare i risultati delle indagini in corso, ma non escludiamo che un atto di sabotaggio deliberato sia la causa dei danni ai cavi sottomarini di due settimane fa», ha detto il capo del settore sviluppo dell’agenzia ONU, Sami al-Murshed.
Lo ha detto a margine di una conferenza sui delitti elettronici in corso nel Katar.

«Alcuni esperti dubitano della opinione prevalente, ossia che i cavi siano stati troncati da ancore di navi per incidente, dato che tali cavi giacciono a notevole profondità e la navigazione sopra di essi è vietata», ha fraseggiato prudentemente il dottor Murshed.

In realtà, la filiale indiana della FLAG (Fiber-optic link around the Globe), il consorzio che gestisce i cavi danneggiati, continua a insistere che il cavo «Falcon» è stato danneggiato da un’ancora.
Ma si tace sui motivi degli altri quattro danneggiamenti.
In generale, su tutta la misteriosa faccenda i responsabili, e anche l’ONU, dicono pochissimo.
Forse è prudenza, forse al limite della reticenza.

Per esempio, gli scarni comunicati FLAG dicono che il cavo Falcon è stato riparato, così come il FEA (Flag Europe-Asia), che era stato interrotto nel Mediterraneo, tra l’Egitto e Palermo.
Sullo stato degli altri tre cavi a fibra ottica sabotati, silenzio.
Come sull’identità dei «sabotatori».

Si può forse dire che non può trattarsi di ragazzini in vena di scherzi, o di hacker improvvisati con pinne e maschera; sicuramente i sabotatori devono essere forniti di mezzi tecnici notevoli, per operare nelle profondità marine.

Nell’ambiente, gli «incidenti» stanno facendo discutere sulla necessità di tendere nuovi cavi per aumentare la ridondanza del sistema di telecomunicazioni.
Forse, qualche grossa impresa sta per guadagnare grasse commesse dagli incidenti.
Avrà motivo di ringraziare i sabotatori.
Maurizio Blondet

24 febbraio 2008

Gli EURO-LADRI, qualcuno li protegge


BRUXELLES: Chris Davies è un euro-deputato britannico.
Per giunta, è membro della Commissione Controlllo Bilancio dell’Euro-parlamento.
Eppure, per vedere il documento, ha dovuto firmare un impegno alla segretezza, ha potuto leggerlo solo in una stanza chiusa da congegni di riconoscimento biometrico, sotto lo sguardo di guardie della sicurezza; ovviamente non ha avuto il permesso di fotocopiarlo, e neppure di prendere appunti.

Che cosa c’è di tanto delicato in quel rapporto, da imporre tali misure di segretezza?
Forse i piani di un super-missile comunitario, di un brevetto strategico, il piano per la fusione fredda?
Niente di tutto questo.

Il rapporto, stilato dagli uffici contabili di Bruxelles, documenta in dettaglio le ruberie, malversazioni, peculati e appropriazioni indebite compiute dai membri del Parlamento Europeo. Reati e delitti su «una scala così vasta», ha spiegato Davies alla BBC, «da impressionare. Coloro che hanno compiuto tali atti non meritano che anni di galera» (1).

Non ci sono i nomi dei malfattori da noi votati, ma solo le nazionalità.
Secondo Davies, «non» ci sono inglesi, né olandesi, né scandinavi (provate a immaginare quale Paese è invece ben rappresentato).
Davies, ha detto che la media delle appropriazioni indebite per ciascuno dei 785 euro-deputati ammonta a 166 mila euro.
Senza contare l’emolumento legale e i numerosi «benefit».

Hans Gert Poettering, il presidente dell’europarlamento, ha spiegato penosamente il fatto di aver sottratto il rapporto all’opinione pubblica con queste parole: «Vogliamo riformare il sistema, ma non possiamo mostrare questo rapporto al pubblico, se vogliamo che la gente voti alle elezioni europee l’anno prossimo».

Ha aggiunto, anche più penosamente: «Il documento non è segreto. E’ solo confidenziale. I deputati della Commissione Controllo Budget lo possono leggere nella stanza chiusa, solo non è aperto a tutti. Non è la stessa cosa che un documento segreto, il quale non può essere letto da nessuno».

Scusa ridicola, e smentita da due fatti: anzitutto, lo stesso Poettering ha chiesto ad Harald Roemer, segretario generale dell’assemblea europea, di prendere misure perché da questo rapporto non nascessero «danni collaterali» - fra cui evidentemente c’è anche il rischio che Poettering sia costretto a dimettersi a furor di popolo per il mancato controllo, o per complicità nelle malversazioni.

Il secondo fatto: OLAF, l’ufficio anti-frode della Unione Europea (un po’ polizia interna e un po’ euro-KGB) non era a conoscenza del rapporto, o almeno così dice (2).
Ne ha avuto nozione solo quando il britannico Chris Davies ha scritto allo stesso OLAF, e per copia a Roemer, in questi termini: «Le risultanze dell’inchiesta cadono sotto la giurisdizione dell’OLAF, e sono così gravi che si deve ritenere ne debbano conseguire procedure penali».
Allora OLAF ha chiesto una copia del documento, ed ha diramato agli euro-deputati una circolare in cui «si attende piena collaborazione da lorsignori e dalle autorità parlamentari».
Vedremo se seguiranno le necessarie inchieste penali.

Intanto, il Telegraph ha condotto una sua inchiesta giornalistica, fra i pochissimi funzionari che hanno potuto leggere il rapporto, ed ha appreso qualcosa sul genere di frodi usate.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di diversione dei fondi assegnati ad ogni parlamentare per il funzionamento del proprio ufficio - 166 mila euro annui appunto - e che dovrebbero pagare contabili, traduttori professionisti, aziende che forniscono servizi amministrativi.
Ma i ragionieri autori dell’indagine hanno appurato che per lo più l’intero fondo annuale viene devoluto dall’eurodeputato «ad una sola persona del suo staf» qualche volta un parente stretto.
Anzi, molti europarlamentari che consumano l’intero fondo non hanno alcun impiegato al loro servizio, o uno solo come portaborse tuttofare, per giunta un parente che non parla se non una sola lingua.

«In altri casi», ha detto una fonte al Telegraph, «risultano pagamenti ad aziende di servizi che, semplicemente, non esistono; in altri sono individui che lavorano per il singolo euro-deputato e ne sono i dipendenti».
In altri casi sono «creste» sui biglietti aerei e le spese d’ufficio, in modo da assorbire l’intero fondo.

Vogliamo provare a indovinare di quale o quali Paesi sono gli euro-deputati più attivi in questa ruberia?
Forse riusciremo a capire perché i nostro politici sono così entusiasticamente europeisti, e tanti desiderino diventare euro-parlamentari, benchè conoscano solo qualche dialetto irpino o romanesco o lumbard.
E come mai i giornali italioti non abbiano riportato una riga di questa informazione.
Per rispetto al loro amato presidente della repubblica, suppongo.

Non c’è che da notare che ad ogni strato di «politica» corrisponde una Casta, con relativo furto di denaro pubblico.
E gli strati che gravano sopra noi contribuenti sono tanti, si moltiplicano e sono molto «spessi», cioè affollati di percettori.
In Italia, si comincia dai consigli di zona delle grandi città (a Milano un presidente di consiglio di zona, di solito un partitante di mezza tacca, già riceve 2 mila euro mensili, più di un giovane ingegnere con responsabilità dirigenziali nell’industria privata), e poi via sovrapponendo: Comune, Provincia, Regione, Stato nazionale, aziende «partecipate», burocrazia europea…
E poi ancora gli organi globali, ONU, WTO, Fondo Monetario, Banca Mondiale.
Tutti con stipendi miliardari.
E noi paghiamo per tutti.

Si deve infine notare che le Caste hanno dato ai loro furti abitudinari uno status giuridico.
L’ultimo esempio ci riguarda: Padoa Schioppa, tra le mille cose di cui ha imbottito la Finanziaria, aveva decretato un «tetto» agli stipendi del personale di Bankitalia, che sono i più alti e costosi del pianeta.
Una cosina giusta, finalmente.
Ma la Banca Eentrale Europea ha bocciato il provvedimento, con la motivazione che il tetto di Stato ai compensi «mina l’indipendenza della Banca Centrale italiana».
Ragionamento di cui non si vede la logica - dopotutto, la magistratura non si assegna da sé i suoi emolumenti, e ciò non mina la sua autonomia - ma che si spiega nello spirito di Casta.

I privilegi indebiti sono «diritti acquisiti», i miliardi di stipendio «garanzia di indipendenza».
Non ci sarà mai modo di tagliarli, se non tagliando le teste, accorciando gli strati di «politica» che ci depredano.
L’appendimento dei responsabili a piedi in su a piazzale Loreto compirebbe la riforma.
Ma non osiamo sperare tanto.
M.Blondet

23 febbraio 2008

La nazionalizzazione della Northern Rock


Il governo britannico ha annunciato la nazionalizzazione della banca Northern Rock il 18 febbraio, aumentando in un solo colpo il debito pubblico di 90 miliardi di sterline (circa 120 miliardi di euro). La decisione dovrebbe dare la sveglia a coloro che si oppongono alla proposta HBPA di riorganizzazione bancaria di Lyndon LaRouche, che prevede una “muraglia” tra le banche e i fondi speculativi. Gli avversari di questa proposta l'hanno recentemente attaccata in pubblico con l'argomento che essa consiste nella “nazionalizzazione” delle banche. La decisione britannica mostra che la verità è esattamente il contrario: è la politica delle banche centrali a condurre alle nazionalizzazioni e all'iperinflazione, mentre la proposta di LaRouche è l'unica via per salvare le banche, ricapitalizzarle e lanciare una ripresa economica. Una “muraglia” generale nel sistema bancario può oggi impedire una statalizzazione mussoliniana dell'economia.

Verso un altro tsunami finanziario
Un secondo choc sistemico, quello che il capo di Deutsche Bank Josef Ackermann ha definito uno tsunami finanziario peggiore della crisi dei subprime, è dietro l'angolo. L'insolvenza dei cosiddetti “monoline”, gli istituti che hanno assicurato titoli emessi sui mutui e su altri assets, è ormai questione di giorni, tanto che il governatore di New York Elliot Spitzer ha lanciato un ultimatum il 14 febbraio: o i monoline trovano il denaro fresco entro cinque giorni, riuscendo ad evitare la retrocessione del rating, oppure saranno smembrati. La precedente offerta di Warren Buffet di acquistare dai monoline la copertura assicurativa di bond municipali per un valore di 800 miliardi, con una spesa di 5 miliardi di dollari, ha portato i monoline ad un passo più vicino all'insolvenza.
La conseguenza di un'insolvenza, o di un ribasso del rating, saranno un ribasso del valore degli assets assicurati dai monoline. Le autorità di New York cercano di salvare i bond municipali trasferendoli dai monoline ad altre assicurazioni. Nel contenitore resteranno centinaia di miliardi di obbligazioni garantite da collaterale (CDO), il cui valore piomberà verso lo zero.
La banca svizzera UBS ha pubblicato una previsione secondo cui la prossima ondata di perdite sarà di almeno 203 miliardi di dollari. Questa cifra è composta da 120 miliardi di perdite per i CDO, 50 per i SIV, 18 per titoli emessi sui mutui e 15 per bonds LBO (emessi per finanziare le acquisizioni). Anche se le cifre della UBS sono ispirate alla cautela, esse comunque superano le perdite ufficiali delle banche dall'agosto 2007, che ammontano a 150 miliardi di dollari.
Un'altra conseguenza del crac in arrivo riguarda la “discarica napoletana” chiamata BCE, che comincia ad olezzare. La BCE ha accettato titoli tossici dalle banche come collaterale per crediti a breve. Le quantità attuali in deposito non sono note. A febbraio la BCE ha pubblicato i dati dello scorso settembre, da cui risulta che già in quel mese il volume degli strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione di crediti aveva raggiunto i 215 miliardi di euro. Si tratta di un incremento al 17% rispetto al 12% del 2006 (si presume che il resto siano titoli del tesoro). Il ricorso ai titoli emessi sui mutui per ottenere denaro dalla BCE è diventato sempre più frequente dopo settembre, ed è probabile che nel frattempo sia raddoppiato. Stando al suo stesso statuto, la BCE non dovrebbe accettare obbligazioni spazzatura come collaterale, ma il governatore Trichet sostiene che la BCE non ha cambiato le sue regole. Ha dovuto esibire la stessa foglia di fico in risposta a tre domande rivoltegli su questo tema da tre giornalisti diversi alla scorsa conferenza stampa a Francoforte. Tuttavia la BCE ammette che, diversamente da altre banche centrali, ha accettato un notevole volume di strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione di crediti che chiama “private label”, termine che designa titoli che non hanno garanzie da parte di enti di governo. La Federal Reserve USA non accetta strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione che non sono garantiti da enti di governo.
fonte: movisol

21 febbraio 2008

ONU: Cavi troncati internet forse è sabotaggio!



I cavi sottomarini troncati (cinque, pare confermato) nel Golfo Persico, che per giorni hanno impedito a milioni di «navigatori» in Medio Oriente di collegarsi a Internet, e ad altri milioni di telefonare, possono aver subito «un sabotaggio»: lo ha ammesso, bontà sua, la International Telecommunication Union, l’agenzia dell’ONU con sede a Ginevra che coordina le telecom mondiali, associando 191 nazioni ed oltre 700 imprese di telecomunicazione.

«Non vogliamo anticipare i risultati delle indagini in corso, ma non escludiamo che un atto di sabotaggio deliberato sia la causa dei danni ai cavi sottomarini di due settimane fa», ha detto il capo del settore sviluppo dell’agenzia ONU, Sami al-Murshed.
Lo ha detto a margine di una conferenza sui delitti elettronici in corso nel Katar.

«Alcuni esperti dubitano della opinione prevalente, ossia che i cavi siano stati troncati da ancore di navi per incidente, dato che tali cavi giacciono a notevole profondità e la navigazione sopra di essi è vietata», ha fraseggiato prudentemente il dottor Murshed.

In realtà, la filiale indiana della FLAG (Fiber-optic link around the Globe), il consorzio che gestisce i cavi danneggiati, continua a insistere che il cavo «Falcon» è stato danneggiato da un’ancora.
Ma si tace sui motivi degli altri quattro danneggiamenti.
In generale, su tutta la misteriosa faccenda i responsabili, e anche l’ONU, dicono pochissimo.
Forse è prudenza, forse al limite della reticenza.

Per esempio, gli scarni comunicati FLAG dicono che il cavo Falcon è stato riparato, così come il FEA (Flag Europe-Asia), che era stato interrotto nel Mediterraneo, tra l’Egitto e Palermo.
Sullo stato degli altri tre cavi a fibra ottica sabotati, silenzio.
Come sull’identità dei «sabotatori».

Si può forse dire che non può trattarsi di ragazzini in vena di scherzi, o di hacker improvvisati con pinne e maschera; sicuramente i sabotatori devono essere forniti di mezzi tecnici notevoli, per operare nelle profondità marine.

Nell’ambiente, gli «incidenti» stanno facendo discutere sulla necessità di tendere nuovi cavi per aumentare la ridondanza del sistema di telecomunicazioni.
Forse, qualche grossa impresa sta per guadagnare grasse commesse dagli incidenti.
Avrà motivo di ringraziare i sabotatori.
Maurizio Blondet