16 gennaio 2008

Anche il mondo ci vede a rischio



L’assenza di una valida legge sul conflitto d’interessi è la principale ragione per la quale l’Italia nel 2007 è stata relegata al 35esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa stilata ogni anno da Reporters sans Frontières e dalla Freedom House americana. Sul piano internazionale siamo considerati fortemente a rischio, indietro addirittura rispetto a paesi privi di istituzioni democratiche, percorsi da ondate repressive o con un bassissimo livello di sviluppo civile.

Niente fa pensare peraltro che la situazione possa significativamente migliorare quest’anno, se consideriamo che fra i fattori che condizionano una vera libertà di stampa è entrato in gioco l’avanzato tentativo di impedire, con durissime sanzioni amministrative e perfino penali contro i giornalisti, la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche anche quando, come prevede l’attuale normativa, siano liberate dal segreto istruttorio perché rese note agli imputati. Se pensiamo che la Camera dei deputati approvò il progetto di legge Mastella con solo sette deputati contrari (fra i quali, a suo onore, Beppe Giulietti) e che a niente valsero gli scioperi indetti dalla FNSI e il motivato parere contrario dell’Unione Europea, tanto che la battaglia è ancora incombente, c’è da pensare con un brivido alla suscettibilità della politica italiana su questo tema e al distacco nei confronti dell’opinione pubblica, che ha il diritto democratico di vedere illuminati tutti gli angoli bui del potere.
A riprova di questa inquietante divaricazione e dei guasti prodotti dall’enorme conflitto d’interessi ancora aperto, sono recentemente venute le reazioni alle rivelazioni sulle esplicite telefonate intercorse fra i vertici operativi di Mediaset e i dirigenti legati direttamente a Berlusconi all’interno della Rai, con particolare riferimento a Deborah Bergamini e a Saccà.
In queste due occasioni si è avverata l’antica metafora sullo stolto che quando il dito indica la luna si limita a guardare il dito…Una miriade di esponenti politici, di opposizione come della maggioranza, ha scatenato una campagna sulla responsabilità professionale ed etica della stampa e di singoli giornalisti, sottovalutando o ignorando totalmente il contenuto delle intercettazioni. E’ così passato in secondo piano prima la gravità del “golpe” tentato e in buona parte riuscito sul Servizio Pubblico da parte dell’azienda televisiva di proprietà dell’allora capo del governo, attraverso una sorta di “quinta colonna” che ha alterato per anni funzioni, autonomia, capacità competitiva, scelte editoriali e produttive. Come tanti altri dirigenti della Rai, io stesso, allora Direttore di Rai News 24, ho personalmente avvertito sulla pelle della Testata l’evidente anomalia e la sopraffazione in corso sugli interessi generali e le prospettive aziendali. Poi il tentativo, sempre mediante vincoli di “sudditanza” politica e personale di personaggi che tradivano il mandato, di usare la Rai come mezzo di pressione per influenzare il voto di esponenti politici dello schieramento di governo. Non sappiamo ovviamente se e in quale misura queste vicende assumeranno peso giudiziario e come influiranno sui disastrati e instabili equilibri di gestione del Servizio Pubblico, ma siamo assolutamente certi della loro rilevanza morale e politica, del diritto dei cittadini a conoscerle fino in fondo e del conseguente dovere dell’informazione di descriverle ed analizzarle. Allo stesso tempo si può non coglierne l’ulteriore urgenza di una legislazione che spezzi il perpetuarsi del conflitto d’interessi e che cambi allo stesso tempo profondamente la normativa del Servizio Pubblico, mettendolo in condizione di reale autonomia dal potere politico e rinnovandone la missione culturale?
Voglio però sottolineare che, quando parliamo di conflitto d’interessi, non possiamo riferirci esclusivamente alla posizione dominante di Silvio Berlusconi, certo centrale e decisiva per qualsiasi futuro assetto politico come per determinare equilibri e opportunità di un mercato editoriale competitivo, dotato di regole condivise e all’altezza di una democrazia matura.
Su questo punto il governo deve senza ulteriori indugi aprire sul serio il confronto in Parlamento, facendo sì – come giustamente sottolinea Giulietti – che la fondamentale trattativa per arrivare a definire una nuova, corretta legge elettorale, non ponga in alcun modo in secondo piano il confronto legislativo sul conflitto d’interessi e sul sia pur timido progetto Gentiloni per la riforma della Rai.
Sia per l’uno che per l’altro aspetto, così evidentemente diversi e distanti, è infatti in gioco la democrazia.
Partiamo dunque da qui, ma non dimentichiamo che l’Italia è ormai immersa in una inquietante deriva nella quale fattori di crisi investono tutti i poteri previsti dalla Costituzione, che vedono ciascuno la presenza di piccoli o macroscopici conflitti d’interesse e comportamenti al di fuori o al di sopra di ogni regola, che tradiscono il mandato e le competenze istituzionali dei gruppi e di singoli rappresentanti… Si potrebbero elencare a lungo le contraddizioni, le deviazioni, i condizionamenti, le interferenze, gli interessi corporativi e di casta – intrisi di sottopotere ed arrivismo se non in alcuni casi di arricchimento personale – che costellano i percorsi legislativi e parlamentari, del governo, della stessa magistratura (come dimostrano le recenti polemiche innescate dalla dura denuncia di Ilda Boccassini). Per non parlare della società italiana, che appare
a ogni livello frammentata in interessi di parte, in angusti egoismi di consorterie, in individualismi anarcoidi, ben al di fuori dal rispetto degli altri e dall’osservanza di regole e leggi certe per tutti, sempre più priva di principi etici validi al di fuori del ristretto confine del giardino di casa, del proprio tavolo di ufficio, della propria autovettura.
E’ contro questa deriva che continuano a combattere spezzoni della società civile, sia ben chiaro insieme con tante persone oneste e motivate in ogni settore, a partire ovviamente da quello delle responsabilità politiche e amministrative, sempre però in posizioni di minoranza, come un esercito assediato e diviso che stenta a tenere il campo, a riconoscersi in obiettivi e sedi collegate di comando, a mantenere un solo schieramento di fronte alle multiformi “invasioni barbariche”.
E ancora una volta l’informazione è contaminata e partecipe in vari modi della deriva invece che della resistenza alla devastazione, venendo molto spesso meno a quell’impegno di illuminazione e conoscenza critica della realtà, che consentirebbe di saldare fronti comuni più vasti e consapevoli, di ripristinare una scala corretta di ideali, di modelli positivi, di capacità critica, di comportamenti pubblici e privati nello spirito della Costituzione.
Se il personaggio e il ruolo assunti da Berlusconi sono ormai divenuti totalizzanti nella vita e nell’immaginario del Paese, parametro insostituibile di antitetiche scelte politiche, come di quelle civili, sociali e culturali, traiamone almeno un esempio emblematico di ciò che è divenuta e di ciò che invece non dovrebbe essere la realtà, a partire da quella dell’informazione.

Due mesi fa, l’11 Novembre 2007, dal palco di Montecatini, dinanzi ai Comitati del Buon Governo costruiti da Marcello Dell’Utri, Berlusconi si mise al fianco il senatore siciliano, un braccio fraternamente attorno alle spalle e inscenò una sua strenua e dettagliata difesa, in attesa del verdetto di secondo grado dopo la condanna in Assise per partecipazione esterna all’organizzazione mafiosa. Ovviamente silenzio su questa sentenza, su altre di natura penale già passate in giudicato, su notissime circostanze di conoscenze e frequentazioni mafiose. Non contento di questo gesto di considerazione e amicizia, che a suo tempo si era ben guardato di fare pubblicamente nei confronti del suo avvocato Cesare Previti, il Cavaliere ha esteso la difesa al ricordo del capo-mafia Vittorio Mangano, a suo tempo per anni fattore dei possedimenti ad Arcore e in stretti rapporti con lo stesso Dell’Utri.

Mangano, morto di malattia mentre scontava in carcere una definitiva condanna per partecipazione a omicidi, traffici di droga, racket, estorsioni e che il giudice Paolo Borsellino definì nell’ultima intervista televisiva come uno dei capi-fila della mafia al Nord, è stato ricordato da Berlusconi solo come un buon uomo vittima di magistrati feroci. Inutilmente – sono parole testuali – questi magistrati cercarono di suggerirgli “accuse inventate” contro Marcello Dell’Utri e contro lui stesso. Insomma, possiamo tranquillamente dire, il ritratto lusinghiero di un vero “ uomo d’onore”, dipinto con un linguaggio e un racconto, al di là delle omissioni e delle evidenti menzogne, davvero degni di Cosa Nostra…
Cosa sarebbe accaduto nella stampa e nelle televisioni di mezzo mondo, se un ex-premier potentissimo e leader dell’opposizione si fosse lasciato andare a questo sfogo pubblico, evidentemente calcolato e probabilmente da qualcuno richiesto? E cosa si sarebbe mosso in Parlamento e nell’opinione pubblica? Da noi non è avvenuto alcunché: due giorni di smilza cronaca, qualche raro commento dei “soliti fogli comunisti”, l’indignazione di pochi siti pervicacemente contestatori (per fortuna almeno il sonoro originale è ascoltabile sul salvifico You Tube).
Questa è oggi l’Italia e non solo quella dell’informazione.

di Roberto Morrione

15 gennaio 2008

Un paese a rischio di regime mediatico



Berlusconi, al di là delle smentite che non smentiscono nulla, ha proposto un baratto tra una nuova legge elettorale e l’integrale tutela del suo interesse privato. Non basta più respingere l’indecente proposta (e vorrei vedere il contrario!), ma è necessario aggiungere che una nuova legge elettorale che non venisse accompagnata dalla contestuale risoluzione dell’anomalia italiana in materia di conflitto d’interessi e di assetto dei media, ci condannerebbe a restare una democrazia dimezzata, un paese a rischio di “regime mediatico” per usare una espressione cara ad Umberto Eco... I ripetuti appelli del presidente Napolitano, le tante iniziative promosse da forze politiche, sociali, sindacali, religiose,stanno contribuendo a creare una nuova coscienza attorno al dramma delle morti sul lavoro. A questo positivo processo ha contribuito anche il silenzioso e quotidiano lavoro che è stato svolto dallo spazio che questo sito ha voluto dedicare a simili temi e che è stato impostato e gestito con grande rigore da Raffaelle Siniscalchi e da Diego Alhaique.
Il carteggio che qui pubblichiamo tra le organizzazioni sindacali e i vertici della Fsni dimostrano che forse è giunto il momento propizio per promuovere un appuntamento nazionale che metta insieme il mondo della comunicazione e quello del lavoro per arrivare all’approvazione di una campagna nazionale che faccia della cultura della prevenzione, della sicurezza e della lotta senza quartiere contro le morti bianche, un’autentica priorità nazionale. Se almeno un centesimo del tempo che viene dedicato dalle tv a spiare la vita degl’altri dal buco della serratura venisse dedicata alla rappresentazione della vita, e delle vite reali, ci sarebbero tempo e spazio sufficienti per programmare un’ efficace campagna mediatica.
La triste realtà, tuttavia, è che quasi tutte le tv, salvo le poche lodevoli eccezioni che spesso citiamo, sono ormai in mano ai signori degli appalti che sempre più spesso preparano e vendono programmi dove la realtà è ricostruita secondo i moduli dello spettacolo e della finzione, con tanto di ospiti pagati a tariffa, un tanto a lacrima.
Siamo arrivati al punto che, come ha acutamente scritto Norma Rangeri nel suo ultimo libro “Chi l’ha vista”, nella stessa serata e nello stesso orario, sulle reti della Rai e di Mediaset, si siano affrontati due programmi prodotti dalla solita Endemol, per altro ora controllata dalla medesima Mediaset che, in questo modo, vive anche nei palinsesti della Rai. Vi possiamo assicurare che per rilevare tale stranezza non è stato necessario ricorrere ad alcuna intercettazione telefonica….
Gli ospiti non a pagamento e i cittadini che fanno le domande ed esigono le risposte non sono più graditi. Adesso tutti hanno scoperto la “monnezza” ma quando Michele Santoro, Sandro Ruotolo, Milena Gabbanelli, per citare i casi più clamorosi, indagarono sulla discariche della Campania e sui loschi traffici che vi fiorivano furono accolti da invettive traversali. Allo stesso modo quando le famiglie degli operai di Torino o le mogli e le madri dei lavoratori morti a Monfalcone, urlano la loro rabbia, c’è sempre qualcuno che si risente per i loro eccessi e per l’ indebita amplificazione prodotta dai media. Questo club di “indignati speciali” non ha mai trovato il tempo e la voglia per indignarsi nei confronti di quelle trasmissioni dove si assiste alla più indecente mercificazione del dolore, degli affetti e si pratica il più inverecondo ossequio nei confronti degli “amici degli amici” persino quando si tratta di condannati per associazione mafiosa o per aver corrotto i magistrati.
L’Italia che continua a reclamare la legalità e a contrastare i poteri criminali non è stata mai invitata nei salotti a pagamento non appassiona le signore e i signori che producono i programmi dedicati ai grandi fratelli e ai piccoli cugini.
Dal servizio pubblico (ma non solo dal servizio pubblico) da tutti gli operatori dell’informazione, ci attendiamo uno scatto d’orgoglio, uno scontro aperto e dichiarato tra i custodi degli appalti e delle logge della conservazione e chi vorrebbe ridare forza, autonomia e dignità all’idea stessa d’impresa pubblica come ebbero a scrivere proprio su questo sito Enzo Biagi e Loris Mazzetti. Se questo non accadrà i signori delle logge e degli appalti continueranno a dominare e a tentare di mettere sotto il loro tallone, non solo l’intero mondo dei media, ma anche tanta parte della politica.
La Rai in queste ore è stata ulteriormente calpestata ed umiliata e nuovamente sottomessa alla logica del conflitto d’interesse. La destra sta facendo il suo mestiere con la consueta determinazione e spietatezza, ma noi, cosiddetti progressisti,cosa stiamo facendo? E’ inutile essere ipocriti le reazioni sono state deboli ed inefficaci. Non sempre, neppure noi di Articolo 21, abbiamo risposto con la necessaria durezza. Troppi trasversalismi deteriori sono stati tollerati. Troppi atteggiamenti equivoci sono stati condivisi, ma soprattutto non si è contrastata a tutti i livelli la logica della omologazione, della cancellazione di ogni differenza,della superficialità,del modello produttivo e organizzativo nel quale la finzione si è mangiata la realtà. Di fronte a quello che sta accadendo le unità corporative e gli unanimismi di facciata non servono più, anzi servono a renderci tutti complici e conniventi.
In questi ultimi mesi, per fortuna, qualcosa e qualcuno ha cominciato a rialzare la testa. Le organizzazioni sindacali, dall’Usigrai alla Cgil, stanno urlando il oro no alla svendita di quello che ancora resta della Rai. Gli autori del cinema, della televisione, della fiction, stanno tentando di rimettere insieme tutto il mondo degli autori (come ci hanno raccontato su questo stesso sito Santo della Volpe , Daniele Lucchetti, Michele Conforti e tanti altri).
La Fsni e le organizzazioni dei lavoratori stanno tentando una nuova alleanza non solo sui temi legati alla contrattazione,ma anche sulle questioni relative alla legalità, alla sicurezza, alla lotta contro le morti bianche.
L’Associazione Libera, coordinata da Don Luigi Ciotti, sta promuovendo iniziative ovunque per favorire una rinnovata attenzione dei media sul tema della lotta alla criminalità e ai poteri mafiosi.
La Tavola della Pace ha deciso d’indire un anno d’iniziative dedicate al tema della tutela dei diritti umani e civili e tra questi ha significativamente inserito il diritto individuale e collettivo, non solo a ricevere ma anche a produrre informazione.
Negli anni scorsi quest’associazione sotto la decisiva spinta di Enzo Biagi, di Sergio Lepri, del nostro presidente Federico Orlando,ha dato vita , insieme a decine di altre associazioni al “comitato per la libertà d’informazione” che si pose il compito di contrastare le leggi ad personam e di denunciare i guasti provocati dall’irrisolto conflitto d’interesse. Quel comitato riuscì persino a proporre e a far approvare una clamorosa risoluzione nella sede del Parlamento europeo.
Adesso è giunto il momento di rimetterlo in funzione per reclamare non solo il superamento della leggi vergogna ma anche soprattutto per sollecitare anche in questo campo l’approvazione di norme serie, rigorose, di tipo europeo, quali sono anche le pacatissime riforme avanzate dal ministro Gentiloni.
Silvio Berlusconi, al di là delle smentite che non smentiscono nulla, ha proposto un baratto tra una nuova legge elettorale e l’integrale tutela del suo interesse privato. Non basta più respingere l’indecente proposta (e vorrei vedere il contrario!),ma è necessario aggiungere che una nuova legge elettorale che non venisse accompagnata dalla contestuale risoluzione dell’anomalia italiana in materia di conflitto d’interessi e di assetto dei media, ci condannerebbe a restare una democrazia dimezzata, un paese a rischio di “regime mediatico” per usare una espressione cara ad Umberto Eco. Le condizioni di una possibile riproposizione di quel regime ci sono ancora e non mancano neppure le viltà, gli opportunismi di singoli e di piccoli gruppi all’interno della stessa maggioranza.
Per queste ragioni l’Associazione Articolo21 chiederà a tutte le forze associative, professionali e sindacali del settore della comunicazione di riprendere il cammino interrotto e di promuovere una campagna nazionale per richiedere a gran forza l’immediato rispetto degli impegni assunti in materia di conflitto d’interesse e di riforma della tv pubblica e privata che erano contenuti nel programma del centro- sinistra e che sino ad oggi non sono stati rispettati.
Per quanto ci riguarda proseguiremo su questa strada con grande spirito unitario ma anche con grande vigore e se questo dovesse comportare qualche polemica e persino qualche rottura con alcuni amici e compagni, sarà sempre preferibile al rischio che i ricatti e le minacce di Berlusconi possano far prevalere quel trasversalismo degli affari e delle logge che già tanti guasti ha provocato alla democrazia italiana.
G. Giulietti

14 gennaio 2008

Un'accelerazione della "deflazione" o depressione?


La gente tornerà a fare shopping abbastanza presto?
«Per altri tre-quattro mesi non sarà chiaro a quanto arriverà il rallentamento», dicono gli analisti di Shore Capital.
Lo chiamano rallentamento.
Pudico eufemismo.
Il processo che quegli analisti descrivono - prezzi bassi ma nessuno compra, aspettando che abbassino ancora - si chiama «deflazione» ed è il segno che la recessione sta per diventare «depressione».
Qualcosa del genere sta avvenendo anche in Italia nel settore immobiliare.
Nei modi rallentati propri di un mercato ingessato, come il nostro, da vincoli di locazione, tasse e spese notarili.
Ma il segnale che il boom della case sta cedendo viene da un breve articolo apparso su 24 Ore e segnalatoci da un lettore: «Arrivano i saldi immobiliari. La sede italiana del gruppo americano Remax ha presentato a Milano una maxi operazione di sconti che riguarda 500 tra i 10mila immobili detenuti in portafoglio e pubblicati online. Il motivo è il riconoscimento che il mercato immobiliare sta rallentando: il numero di compravendite nel 2008 è previsto in calo del 7% (fonte: Scenari immobiliari), il tempo medio di attesa è salito a 5 mesi (fonte: Nomisma)».
La Remax è un’agenzia immobiliare, tipo una grossa Tecnocasa.
Ecco come ha fatto: «Lo scorso 15 ottobre Remax Italia ha stampato i prezzi di tutti gli immobili presenti sul proprio sito; ha consegnato l’elenco al notaio; ha chiamato tutti i proprietari chiedendo loro se volevano partecipare all’iniziativa e ha registrato la percentuale di sconto che i proprietari interessati erano disposti a fare».
La manovra è ragionevole.
In Italia, i proprietari che hanno messo in vendita la casa tengono duro chiedendo prezzi da boom, ormai irrealisti, anche perché questi proprietari-venditori di solito non hanno un mutuo da pagare su quella casa, e dunque possono aspettare.
Ma i compratori non si fanno avanti, anche perché loro il mutuo devono accenderlo, se non vedono prezzi più bassi.
Il mercato è dunque immobile, cinque mesi per vendere un appartamento, calo delle compravendite del 7%.
La Remax tenta giustamente di rimettere in moto il mercato (se no lei non vede le grasse commissioni) chiedendo ai venditori di aderire volontariamente a ribassi, più realistici.
Ed ecco il risultato secondo 24 Ore: «Ha aderito all'iniziativa il 5% dei proprietari che in media ha scontato il prezzo dell’immobile dell’8,8% (Milano 8%, a Roma 12%, a Novara 25%). Meno dell’11,3% di sconto medio previsto da Nomisma per quest’anno, ma pur sempre una base di partenza della trattativa a un prezzo più basso».
«Si tratta di immobili di 220 località diverse proveniente per il 55% da Lombardia e Piemonte. Il valore medio dell’immobile scontato è di 268mila, superiore alla media di 250mila del valore degli immobili compravenduti riscontrata da Nomisma nel secondo semestre 2007 (per gli immobili acquistati con mutuo). Il picco massimo degli sconti (-47%) è stato raggiunto a Torino con un immobile che da una richiesta di 38mila euro è sceso a 20mila euro. Il valore degli immobili, che saranno online lunedì (i ‘saldi’ andranno avanti fino al 29 febbraio), va da 40mila a 4 milioni di euro».
Dunque: saldi di case in regioni «ricche» e assetate di tetto, Piemonte e Lombardia.
Tipici buoni appartamenti da 3-4 locali.
Lasciando perdere la super-offerta dell’immobile di Torino offerto col 47% di sconto (sarà un garage umido…), sembra conveniente.
Si può pensare che parecchi corrano a comprare con lo sconto di fine stagione.
Invece no.
Lo consiglia anche 24 Ore: «Lasciarsi ingolosire dall’offerta conviene davvero? Se si acquista con uno sconto del 10% oggi, in effetti, si corre il rischio che a fine anno il calo del mercato risulti analogo. Il rendimento dell’investimento da rivalutazione dell’immobile, in questo caso, sarebbe di fatto nullo. Insomma, chi può rimandare l’acquisto farebbe bene ad aspettare da qualche mese a fine anno per capire dove va davvero il mercato».
Dunque anche il giornale della Confindustria consiglia: aspettate a comprare casa, fra qualche mese i prezzi saranno ancora più bassi.
E’ il meccanismo psicologico che porta alla deflazione.
E presto coinvolgerà tutti gli acquisti che possono essere rimandati, con le conseguenze storiche della deflazione.
Presto offriranno sconti su auto, computer, elettrodomestici, iPod, telefonici ed altre carabattole elettroniche, poi scarpe e vestiario.
Non dite: bello, finalmente i prezzi calano!
Se potessimo mangiare computer e iPod sarebbe bello, ma mangiamo grano e carne e latte, che rincarano su scala mondiale, e vengono trasportati dal petrolio, che rincara e rincarerà per la domanda crescente dei nuovi consumatori-giganti, Cina e India.
Per le imprese, non sarà bello per niente.
Perché le imprese sono indebitate, e se non vendono non servono il debito con le banche.
Dapprima offriranno sconti; poiché la gente aspetta altri ribassi, i loro magazzini e piazzali si affolleranno di invenduto, e costeranno di più.
Arriva il punto in cui i profitti, limati, non bastano a pagare le rate dei fidi.
Cominceranno a fallire, con perdita di esportazioni, produzione, lavoro, profitti, disoccupazione crescente.
Per l’Italia, il processo sarà aggravato non primariamente - come in Gran Bretagna e in USA - dalle follie della finanza speculativa e dai consumatori stra-indebitati, ma dalla tassazione spoliatrice di Visco, peggiorata dalla truffa dell’IVA.
Lo Stato non paga i crediti IVA alle imprese, è noto.
Visco ha abolita la norma che consentiva di defalcare i crediti IVA compensandoli con altri contributi dovuti (altre tasse, contributi INPS, eccetera).
I piccoli imprenditori devono pagare l’IVA che non devono (e che non si sa se rivedranno mai restituita), e pagare anche le tasse e i balzelli più esosi d’Europa, mentre vendono meno e con profitti minori.
Aggrediti da tutti i lati, dallo Stato e dal mercato, soccomberanno presto.
La restituzione dell’IVA diventa cruciale per le piccole imprese, per quelle marginali: è il denaro liquido che serve loro per continuare ad operare.
Siccome Visco se lo trattiene, le imprese devono procurarsi denaro in banca, ad interessi che non scenderanno certo.
Visco dà il colpo di grazia ad un’economia reale che già arranca, sfiancata e meno produttiva delle altre europee.
Dunque ecco il futuro: avremo deflazione (prezzi calanti) per auto e iPod, di cui possiamo fare a meno, ma inflazione dei beni necessari ogni giorno, cibo, carburante, riscaldamento.
Naturalmente Visco dovrebbe accelerare almeno i rimborsi IVA.
Pensate lo farà?
Nemmeno per sogno.
Lui e l’altro complice Padoa Schioppa hanno appena ricevuto le lodi di Almunia, l’eurocretino: bravi, avete ridotto il debito pubblico all’1,3% del PIL.
Trichet, il governatore della Banca Centrale Europea, ha aggiunto: state solo attenti all’inflazione e ai prezzi.
Trichet si preoccupa dell’inflazione, mentre ci sono segni di delazione (in certi prezzi).
Anche la Federal Reserve di Chicago, nel 1929, si preoccupava dell’inflazione, mentre la deflazione era in pieno corso (2).
La FED rialzò i tassi d’interesse per due volte nel 1931.
Trichet sta facendo lo stesso.
Incompetenti, contabili e non economisti.
Ad Almunia non importa un fico che il «risanamento» sia stato ottenuto non con la riduzione della spesa pubblica corrente (anzi, aumentata quasi del 4%), né con la riduzione degli interessi sul debito (aumentati del 12,2%), bensì esclusivamente con l’ipertassazione: più 13% dalle imposte dirette (chi di voi ha guadagnato il 13% in più, l’anno scorso?), aggravio delle imposte indirette (più 4%), dei contributi sociali (più 5,8%, con pari aumento del costo del lavoro) e addirittura un aggravio del 40,6% delle imposte in conto capitale (praticamente raddoppiate: e sono imposte che intaccano non il reddito dei contribuenti ma il loro patrimonio o capitale, quindi la capacità di azione imprenditoriale).
Ad Almunia non interessa il trucco del mancato pagamento dell’IVA, vera truffa di Stato a danno dei cittadini.
E nemmeno l’altro trucco nei conti di Padoa Schioppa: le minori uscite sono dovute in grande parte al blocco degli «investimenti pubblici».
Lo Stato smette di spendere in infrastrutture pubbliche che servono all’economia, ma non smette di spendere per i suoi stipendi, auto blu ed aerei.
Anzi la spesa corrente sta per aumentare di nuovo perché pende il contratto del pubblico impiego: gli statali vogliono i loro 4-5 miliardi di euro di aumento complessivo, più il recupero dell’inflazione.
Lo vogliono da noi contribuenti che non abbiamo aumenti, e men che meno il recupero dell’inflazione.
Il «risanamento» lodato di Padoa Schioppa è dunque insostenibile nel tempo.
Quando gli statali avranno i loro aumenti, già non ci sarà più.
E i contribuenti dovranno pagare forse un 10 miliardi aggiuntivi.
Ce la faremo?
Alla fine, calerà anche l’introito tributario, per forza: i falliti non pagano tante tasse, e nemmeno i disoccupati.
E nemmeno i proprietari di case invendute pagano più le super-imposte sugli immobili, imposte in conto capitale, quelle che sono raddoppiate.
Come dice Tremonti: «E’ l’economia che determina i conti pubblici, non il contrario».
Visco e Padoa Schioppa credono giusto l’opposto, che i conti pubblici siano una variabile indipendente dall’economia, e che si possa «risanare» il debito pubblico a forza di tasse spoliatrici mentre i produttori smettono di produrre per la depressione mondiale.
Vedremo chi ha ragione.

fonte:tratto da M. Blondet

12 gennaio 2008

Perchè le banche hanno questo potere?


Anche senza essere economisti, si intuisce che la quantità di moneta necessaria ad una comunità sia quella che riflette i beni ed i servizi presenti sul mercato, più una quantità di denaro che permette alla comunità di fare investimenti che poi porteranno benessere a tutti.
Investimenti che riguardano la sfera della persona come la preparazione culturale (scuola),l’assistenza sanitaria, per passare poi alle infrastrutture (strade, ponti ecc.), ricerca e applicazione di nuove tecnologie e via dicendo.
Nelle comunità semplici dove si usava il baratto non era possibile fare tutta questa serie di investimenti semplicemente perché questi hanno la caratteristica di dare i loro frutti in un futuro mentre il baratto prevede solo lo scambio di beni già presenti. In questo tipo di comunità l’unico investimento possibile era il risparmio, ad esempio si toglieva una quota di semi di grano dal raccolto che permetteva la semina l’anno successivo e negli anni buoni si poteva pensare di scambiare la quota in surplus magari con un bue che sarebbe andato ad agevolare il lavoro dei campi.
Nel mondo moderno, con l’avvento della moneta, le comunità si sono potute evolvere in poco tempo grazie alla possibilità di anticipare la ricchezza futura attraverso l’indebitamento. Indebitarsi infatti non significa altro che materializzare guadagni futuri. Un artificio che consente alla comunità nel suo insieme di poter progredire molto più velocemente. Non ho sufficienti soldi per comprare quel macchinario che mi consentirà di aumentare la produzione? Mi faccio anticipare il guadagno che avrò da questo investimento e restituirò quanto mi è stato anticipato con l’incremento di lavoro. Lo stesso accade, o meglio dovrebbe accadere, allo Stato che dovendo costruire una strada si indebita con se stesso (la comunità) per materializzare le risorse per costruire quella strada che permetterà alla comunità di viaggiare meglio e fare scambi con maggiore facilità.
In questo quadro l’indebitamento assume una funzione di acceleratore dello sviluppo sociale. La banca quindi assume la funzione di “pompa” che rimette in circolo la ricchezza,moltiplicandola e svolge così un compito nobile, di cuore dell’intera comunità.
Così sarebbe se si limitasse ad anticipare ricchezza futura e per questo servizio chiedesse un giusto compenso, ma…
Eh sì anche qui c’è un “ma” e grosso come una casa: la banca non solo immette ricchezza futura (investimenti) che poi ritornerà alla comunità come incremento della ricchezza permanente, ma anticipa anche denaro che MAI si tradurrà in ricchezza reale e per questo, attraverso il debito impoverisce anziché arricchire. Anzi così facendo si impadronisce progressivamente di tutte le ricchezze attualmente disponibili.
Lo ritenete impossibile? Niente è impossibile se si può creare denaro e chiedere un interesse. Ora andiamo vedere come accade.

Abbiamo visto la funzione sociale che la banca assumerebbe se si limitasse a fare da cuore del sistema facendo circolare la ricchezza creando così altra ricchezza. Per questo prezioso servizio la banca è lecito che richieda un compenso, ma niente oltre a questo perché si limita a materializzare la ricchezza che verrà restituita da colui che metterà in opera l’investimento. Addirittura il solo fatto di esistere è una ricchezza per la comunità e per questo la persona dovrebbe ricevere quel tanto che gli permetta di vivere decorosamente e tutto questo sarebbe possibile senza togliere niente a nessuno, attualmente questo non è possibile semplicemente perché le istituzioni finanziarie hanno stravolto il loro ruolo all’interno della comunità, sia essa locale, nazionale o internazionale.
Le banche, infatti, oltre a farsi pagare il servizio, applicano anche un tasso di interesse. Il tasso di interesse non intacca la bontà dell’investimento se la ricchezza che riuscirò a produrre sarà superiore a quello che mi costa reperire le risorse. Il fatto è che la banca indebita anche per la vita normale dell’azienda (anticipo fatture, cassa ecc.) e anche per la vita quotidiana dell’individuo (auto, frigorifero, televisione ecc.) non solo investimenti che produrranno ricchezza, per questo a lungo andare il tasso di interesse impoverisce anziché arricchire.
Oltre a questo la banca non si limita a “pompare” nel sistema i depositi dei correntisti, cioè la ricchezza che viene risparmiata e che rimarrebbe inutilizzata, ma su questi crea denaro elettronico e magicamente anticipa quella ricchezza che dovrebbe essere creata. Anche qui non facciamo gli ortodossi e non la condanniamo per questo perché rientrerebbe comunque nella sua funzione sociale di anticipare una ricchezza che arriverà dall’investimento.
Il problema è che la banca ormai da molto tempo si è allontanata dalla sua funzione di aiuto e sostegno all’economia e ha utilizzato in modo “distorto” questa possibilità a tal punto che il sistema bancario può arrivare a prestare oltre 50 volte quello che i correntisti hanno depositato, annullando qualsiasi legame con l’economia reale.
Infatti la riserva obbligatoria delle banche oggi è al 2% ed in alcuni casi allo 0% e questo significa che il moltiplicatore bancario è (1/0,02-1) = 49; Tanto per capirci 100 euro depositati con i vari passaggi nel sistema possono “lievitare” fino a diventare 4.900, molto di più con riserva 0, semplicemente con un click del loro computer.
Potete trovare vari riferimenti nel gruppo di centrofondi dove si è svolta questa discussione, grazie a tutti coloro che hanno dato il loro contributo http://groups.google.com/group/centrofondi?hl=it
http://studimonetari.org/articoli/riservafrazionariaduepercento.html articolo di Marco Saba
http://www.centrofondi.it/articoli/credito_bancario_Munerotto.pdf studio di Federico Munerotto
http://www.centrofondi.it/articoli/Magia_Frazionaria.xls simulazione in excel di Davide911
Sui numeri e le percentuali della riserva obbligatoria consultare anche la Tav. 5 a pag. 11
http://www.bancaditalia.it/statistiche/indica/pimemo/pimemo08/pimemo08/suppl_01_08.pdf
Questo “scollamento” dall’economia reale ha creato dei potenti squilibri che oggi sono sotto gli occhi di tutti: l’indebitamento oltre ogni ragionevole limite
che si è impennato dopo gli anni ’90, che ha le caratteristiche tipiche della crescita
esponenziale degli interessi come abbiamo già avuto modo di esaminare nel report “A
quando la fine del paese dei balocchi” http://www.centrofondi.it/report/report_06_01_07.pdf e che si ritrova anche nelle famose curve di LaRouche www.movisol.org
In queste curve appare evidente come, al crescere del tempo, gli aggregati finanziari e monetari hanno un andamento esponenziale a danno dell’economia reale che invece decresce velocemente.
Episodi come la globalizzazione e lo sdoganamento della Cina hanno avuto l’unico scopo di procrastinare questo meccanismo perverso mascherando le reali condizioni del mondo economico.
Oltretutto dobbiamo pensare che il sistema bancario fruendo di leggi che gli impediscono di portare in bilancio la reale situazione (il denaro creato elettronicamente dal nulla) grazie agli accordi GAAP (Generally Accepted Accounting Principles), evade agli stati cifre esorbitanti, in Italia svariate centinaia di miliardi di euro, che da soli ridarebbero slancio alle economie in crisi. Ma non è ancora tutto. Dal 1998 con l’ultima riforma bancaria che porta il nome di Mario Draghi (vi ricorda qualcuno?) e fatta guarda caso con l’inasprirsi della curva del debito, le banche si sono tolte, con l’avallo dei politici, anche il divieto di entrare nei consigli di amministrazione delle società da loro finanziate, con il risultato che oggi oltre il 90% delle aziende sono governate e sono di fatto di proprietà dei gruppi bancari. E purtroppo la situazione si aggraverà ulteriormente quando si sentiranno gli effetti devastanti di Basilea2 che alzerà la riserva obbligatoria chiudendo repentinamente il rubinetto del credito con la conseguenza che moltissime aziende si ritroveranno nell’impossibilità di rientrare dalle linee di credito che gli erano state concesse a causa delle pessime condizioni dell’economia.
La situazione è molto critica e necessita da una parte dell’intervento della politica, quella sana, che imponga al sistema bancario una moratoria condonando almeno il 40% degli interessi dovuti, come chiede per i mutui l’economista Nino Galloni nel suo ultimo libro “Il grande mutuo” editori riuniti, liberando così risorse economiche indispensabili alla vita di un paese.
La politica poi dovrà farsi carico di far pagare le dovute tasse al sistema bancario, che poi si potrebbe anche accontentare della restituzione del capitale senza gli interessi visto che ha creato solo elettronicamente quel denaro. Riportare alla funzione sociale il mondo bancario è la priorità di questo periodo.
Nell’attesa che la politica faccia il suo dovere, ma visto l’andazzo della “casta” dovremo ricordarglielo noi, dobbiamo attivarci sganciandoci dal treno impazzito della globalizzazione, ritornando a risanare le economie locali, ricostruendo il mercato, oggi distrutto, alle nostre imprese e dando nuovo potere di acquisto alle famiglie attraverso l’adozione dei Buoni Locali http://www.centrofondi.it/report/scheda_BuoniLocali.pdf .
Altro sistema non c’è e il tempo ormai è scaduto quindi gambe in spalla e al lavoro che dobbiamo ricostruire di nuovo il nostro mondo!

Fonte: Centrofondi.it

10 gennaio 2008

Un miliardo di dollari per il TRADING?


Nonostante le varie crisi i mercati borsistici rilevano una elevata liquidità.
Le " mani forti" hanno in mano il mercato e lo muovono a loro piacimento. Il caso petrolio e oro troppo forte sono indici di situazione esplosiva. Ma sono veri questi indicatori o sono manipolati come PIL e debito?
Un caso emblematico lo ha scoperto la rete di Etleboro alla FED.


Dinanzi a noi si apre l'ennesimo canale virtuale finanziario, ma stavolta i soggetti coinvolti ricoprono un ruolo di importanza primaria sulla scena internazionale. Un cittadino di Singapore , Teo Hui Kiat, deposita presso la Federal Reserve dei titoli emessi dal Tesoro Americano dal valore nominale di oltre US$ 500.000.000, presenti sulla piazza finanziaria svizzera. Sulla base della documentazione che vi mostriamo la Federal Reserve prende in custodia i suddetti titoli, per un valore complessivo di 1 miliardo di dollari, emettendo un "custodial safekeeping receipt" ( ricevuta di deposito ) , autenticato dalle firme del Governatore Bernard Bernanke e del Vice-Governatore Roger W. Ferguson. I titoli, oggetto dell'operazione, circolano al momento sulle piazze finanziarie svizzere, e sono utilizzati in programmi di trading.
Come noto, tutti i programmi di rating sono tassativamente vietati dagli organi internazionali, essendo operazioni che, movimentando grandi somme di denaro a fronte dell'emissione di un titolo virtuale - spesso inesigibile e infruttuoso - nascondono tentativi di speculazione e di riciclaggio. Allo stesso tempo, notiamo che la prassi dei controlli da parte delle Istituzioni è rigida e impenetrabile, proteggendo spesso il sistema vizioso Trader-Istituto di credito. La crisi subprime ha appunto dimostrato il fallimento del sistema di supervisione e di controllo delle Istituzioni governative sul sistema bancario e finanziario. Così il mancato intervento da parte dell'Istituto di vigilanza equivale ad una complicità, lasciando il sospetto che sia l'ente emittente stesso ad utilizzare il titolo per scopi estranei a quanto stabilito dai regolamenti del mercato e dalle leggi nazionali e internazionali.
Occorre infatti considerare che tali titoli di debito al portatore, denominati per cifre molto elevate, possono essere utilizzati - nonostante siano le società di Trading a reperirli e certificarne la validità - da parte di Banche, Fondazioni e Multinazionali per creare grandi fondi dal nulla, medianti i quali costituire assets, liquidità e tesorerie. Il tutto viaggiando sul limite della legalità consentita e al di sopra delle normali condizioni stabilite per le transazioni, anche se dall'ammontare irrisorio. Un paradosso che sfiora l'assurdo, considerando che proprio recentemente le misure di contrasto al riciclaggio e al finanziamento illecito sono state inasprite, in relazione alla necessità di controllare ed eliminare le fonti di finanziamento al terrorismo.

A rivelare l'illiceità dell'operazione dovrebbe essere la fonte emittente dei titoli stessi - facendo così ricorso alle liste dei titoli non validi esistenti sul mercato - oppure lo scopo della transazione: rappresentano questi i controlli che la Banca Centrale e o l'Istituto di credito dovrebbe effettuare per garantire sicurezza e trasparenza sul mercato. Qualora tuttavia, i controlli non vengano fatti e si venga a creare una rete tra i diversi attori che va a eliminare e nascondere le tracce, è ovvio che il cerchio si chiude e non esiste entità che può intervenire. È da tali meccanismi, chiusi e inavvicinabili dai Governi stessi, che scaturiscono le speculazioni su scala globale, la creazione del denaro e il finanziamento ai conflitti mondiali. Questo e nient'altro. Al di là della rete bancaria e finanziaria, circondata da una costellazione di società, non esiste altro canale per i cosiddetti terroristi o per i criminali: ogni operazione portata a termine accade perché è il sistema che lo permette, in quanto le regole all'interno cui muoversi sono prestabilite. Per tale motivo, possiamo affermare che la guerra finanziamento del terrorismo è la più grande bufala che i nostri politici abbiano inventato, per dimostrare il loro impegno nella lotta contro il crimine, contro le truffe o la corruzione. Da tempo però queste illusioni sono svanite, perché il sistema ha fallito, ha rivelato delle falle e tutti noi dobbiamo pagare ora per tali errori.

09 gennaio 2008

Il caos globale



Nell'intervista mandata in onda il 27 dicembre dalla National Public Radio, l'ex presidente della Federal Reserve USA sir Alan Greenspan ha ammesso candidamente che il sistema finanziario e monetario mondiale è spacciato. “La previsione che debbo fare”, ha affermato il primo regista delle bolle finanziarie degli ultimi vent'anni, “è che ad un certo punto si verificherà l'imprevisto, che ci metterà a tappeto ... Le probabilità di questo sviluppo stanno aumentando, mi pare, perché siamo entrati in zone vulnerabili”. Egli ha detto inoltre: “Siamo giunti ad una svolta e i miglioramenti straordinari verificatisi nell'economia mondiale negli ultimi quindici anni sono transitori, e stanno per cambiare ... Dunque, ritengo che si vada verso un ribaltamento di tutto questo processo”.
In effetti, le parole di Greenspan non descrivono le dimensioni del crac finanziario in corso, per il quale non esistono soluzioni di ordine “monetario”, come Lyndon LaRouche spiegò già in una webcast a Washington il 25 luglio scorso. Ai vertici dell'oligarchia finanziaria della City di Londra ci si rende conto che il crac irreversibile sta accelerando. Negli ultimi mesi sono andati in fumo attivi bancari per circa 1500 mila miliardi di dollari e un volume analogo è andato in fumo nei mercati borsistici. La crisi che colpisce nel primo trimestre del 2008, e che coinvolge il settore assicurativo e quello dei titoli derivati, sarà di dimensioni ben più drammatiche della crisi dei mutui USA del 2007, che al confronto sembrerà poca cosa.
Soltanto in questo contesto possono essere inquadrate e comprese l'ondata di assassinii politici, l'esplosione di scontri etnici e religiosi e la diffusione globale del caos. Nessuno di questi fenomeni può essere considerato un avvenimento locale o regionale. Sono tutti parte di un'unica strategia mirante ad un unico obiettivo globale: distruggere gli stati nazionali, lanciare la guerra asimmetrica mondiale, protratta per più generazioni, e consolidare il controllo sui giacimenti delle materie prime del pianeta nelle mani dei cartelli privati anglo-olandesi.
Jacques Attali, ex consigliere del presidente Mitterrand, ha recentemente riconosciuto il nesso tra la realtà finanziaria e l'esplosione del caos in un commento apparso il 3 gennaio sul settimanale finanziario francese L'Express: “Che l'assassinio di un leader dell'opposizione in un paese del Sud [Pakistan - ndr] scombussoli così gravemente i mercati finanziari asiatici, e con essi quelli del mondo intero, rivela la fragilità estrema del pianeta ... Il mondo intero sembra correre verso il precipizio. Come se si preparasse una collisione tra due treni a piena velocità”.
La paternità del caos globale non è da attribuirsi agli “anglo-americani” ma piuttosto ad un Impero Britannico “invisibile” ed all'estesa oligarchia anglo-olandese che esso serve. Qualche lettore potrà dubitare che Londra sia ancora il centro dell'impero, capace di scatenare il caos, ma da un punto di vista storico, i contorni di un impero britannico “invisibile” non sfuggono tanto facilmente.
Primo, praticamente tutti i centri finanziari offshore che dominano il sistema finanziario deregolamentato e globalizzato si trovano nelle colonie britanniche o olandesi. Secondo, da decenni gli inglesi dominano l'industria privata dei mercenari, imprese che operano in coordinazione con i grandi cartelli britannici delle materie prime che già posseggono gran parte dei diritti minerari in Africa, Australia e America Latina. Terzo, il Commonwealth delle Nazioni, presieduto dalla regina Elisabetta II, è composto da 53 paesi che rappresentano un quinto delle terre emerse ed una notevole percentuale delle risorse strategiche e della popolazione del globo.
Questo apparato è stato messo in moto per fomentare il caos e provocare i conflitti. Poiché il sistema finanziario globale non può essere “riformato” ed è certo che Londra non si sottometterà mai volontariamente ad una riorganizzazione fallimentare che consenta alle nazioni di ripristinare il proprio controllo sovrano sul credito e sulla moneta, essa non potrà che giocare l'unica carta che le resta, il caos globale.

La mano dell'impero dietro il caos globale

Le tessere principali che compongono il quadro del caos globale britannico:
* Pakistan: l'assassinio di Benazir Bhutto ha fatto precipitare il paese e l'intera regione nel caos. Mentre l'amministrazione Bush ha esibito in Pakistan la stessa incompetenza e cretineria sfoggiata nell'invasione e occupazione dell'Iraq, l'Inghilterra è riuscita a pervenire passo dopo passo al suo obiettivo strategico: frammentazione del Pakistan e creazione di un'entità separatista, “terra di nessuno”, sul confine con l'Afghanistan, che serve come fonte di instabilità a lungo termine, di guerra asimmetrica e di operazioni economiche di mercato nero, in particolare per i traffici di oppio della “Mezzaluna d'oro”.
Inoltre è assodato che parlamentari britannici hanno finanziato i separatisti fondamentalisti Beluci in Pakistan, che dall'Afghanistan sono stati espulsi agenti dell'MI6 britannico che guidavano e finanziavano i Talibani e che la polizia britannica in Iraq ha preparato l'invasione e poi le condizioni per frammentare l'Irak in tre parti: meridionale, centrale e regione curda.
* Thailandia: in un articolo del 19 dicembre, il settimanale finanziario britannico The Economist aveva messo in guardia l'ex primo ministro Thaksin Shinawatra, attualmente in esilio, che egli sarà il “Benazir Bhutto della Thailandia” se si azzarda a rimettere piede nel suo paese dopo le elezioni del 23 dicembre. Dopo l'assassinio della Bhutto, Thaksin ha dichiarato di temere per la propria incolumità. Inoltre la monarchia thailandese rischia una crisi di successione visto il peggiorare delle condizioni di salute del vecchio re. Il caos potrebbe facilmente diffondersi dalla Thailandia in tutta l'Asia Sudorientale.
* Malesia: Un gruppo minoritario della destra (Gruppo di azione dei diritti Hindu) si è andato affermando nel paese, che a Nord confina con la Thailandia. Ora l'arresto del suo leader, P. Uthayakumar, potrebbe sfociare in una destabilizzazione del paese. L'organizzazione vanterebbe collegamenti con i terroristi Tigri Tamil, il movimento separatista del Sri Lanka responsabile di un recente attentato dinamitardo nel paese costato la vita a diverse persone.
* Kenya: lo scoppio di violenze nel paese africano a seguito di elezioni contestate ha provocato la morte di 300 persone e lo spostamento di 250 mila rifugiati. La mano britannica in questa destabilizzazione, che minaccia di trasformarsi in un genocidio, è palese. In effetti, né il presidente Mwai Kibaki, né il leader dell'opposizione Raila Odinga possono in alcun modo sperare di mettere la situazione sotto controllo perché sono ambedue manipolati dalla Camera dei Lord. Il principale burattinaio è Lord Steel of Aikwood, esponente del partito liberal-democratico che è in contatto con Kibaki da 25 anni, ma che ha anche aiutato Odinga a creare il Partito Liberal-democratico del Kenya diventandone il presidente. Steel è stato socio di affari di Tony Buckingham, il fondatore di una delle più note imprese private di mercenari, la Executive Outcome. Egli figura inoltre nel consiglio di amministrazione della Royal Africa Society, organismo personalmente patrocinato da Elisabetta II e finanziato dalle grandi imprese minerarie come Anglo America, Rio Tinto e DeBeers. La società è presieduta da lord Holme of Cheltenham, collega di Steel, che siede nel board della Rio Tinto ed è membro del Privy Council, il consiglio della corona.
Fonte: movisol

Farloccolandia: mutui, perizie & company

Farlocco è un termine dialettale tipico nel Nord Italia utilizzato per individuare un'operazione fasulla o peggio ancora falsa, frutto generalmente di un imbroglio o una truffa. Farloccolandia è il nomignolo che mi sento di dare al nostro paese sulla base del comportamento del suo sistema bancario e parabancario. Sembra infatti che a distanza di qualche anno si stia riproponendo lo Schema Parmalat nella sua piena onnipotenza. In che consisteva lo Schema Parmalat, per chi non lo sapesse ancora? Molto semplice: quando una banca si rendeva conto che il prestito effettuato alla nota azienda di Collecchio era ormai inesigibile o inescutibile, allora si inventava una emissione obbligazionaria cartolarizzando il credito vantato alla Parmalat e si offrivano le fenomenali tranche obbligazionarie al pensionato babbaleo di turno. In questo modo si trasferiva il rischio di insolvenza (tipico dell'attività bancaria) sulle tasche dei suoi ignari correntisti o investitori.

Nonostante i drammatici appelli delle associazioni di consumatori all'interno di qualche talk show e le promesse farlocche della politica per un sistema bancario più serio ed onesto, lo Schema Parmalat è stato rispolverato e messo alacremente in catena di montaggio. Proprio come hanno fatto con i debiti della Parmalat adesso stanno facendo altrettanto con i mutui: infatti, le banche intuendo con largo anticipo i primi segnali di indigenza economica e di insolvenza finanziaria piuttosto diffusi nelle famiglie italiane, hanno provveduto a trasferire i mutui recentemente erogati negli ultimi anni dentro la pancia di qualche cosiddetto fondo di investimento immobiliare. Questi fenomenali fondi sono stati successivamente offerti a risparmiatori, fondi pensione o addirittura altri fondi di fondi, con la garanzia che si trattassero di investimenti a capitale protetto in virtù delle ipoteche che gravavano sugli immobili sottostanti ogni richiesta di mutuo.

Questa operazione è nota con il nome di cartolarizzazione, anche se per i risvolti indiretti che ha ed avrà sui vostri portafogli, sarebbe opportuno chiamarla sodomizzazione. Ancora una volta quindi, il sistema bancario scarica il suo rischio e le sue nefandezze sulle tasche di povere persone oneste inconsapevoli di quello che stanno per sottoscrivere. Quello che fa tuttavia terribilmente ribollire il sangue è sapere che la maggior parte degli istituti di credito continua a proporre ancora interventi integrali (quindi mutui al 100 %) per l'acquisto di immobili, nonostante quanto accaduto la scorsa estate e nonostante il mercato immobiliare sia visto profondamente in crisi per i prossimi anni. Ma allora per quale ragione si persevera a finanziare l'acquisto della prima casa a persone già in difficoltà ed indigenza economica, sapendo che stiamo andando incontro ad una voragine finanziaria che si trasformerà presto in una deflazione stile 1929 ?

Il profitto indiscriminato è la risposta a questa domanda. Adesso si riesce a percepire addirittura la volontà (quasi politica) a finanziare per il 100 % solo i più morti di fame (extracomunitari senza denaro in tasca, precari a singhiozzo, ragazze madri in aspettativa) perchè solo a loro si possono proporre le condizioni di indebitamento fuori dalla media di mercato (e quindi più remunerative per la banca che le concede). Eh sì, perchè vi è una sostanziosa differenza tra un mutuo erogato all'EURIBOR + 2 punti di spread ed uno erogato con appena mezzo punto di ricarico ! Di questi mutui e del loro periodico rimborso le banche non si preoccupano più di tanto, in quanto non appena hanno incassato finanziariamente le prime sei rate, questi fenomenali banchieri prendono il mutuo, lo cartolarizzano e lo piazzano sul mercato del risparmio gestito !

Addirittura esistono casi sempre più frequenti in cui l'importo del mutuo è calcolato sommando il costo dell'immobile con gli oneri di rogito e le prime sei rate del mutuo stesso ! Della serie: oltre al prestito, ti anticipo anche le prime sei rate, in questo modo sono sicuro che potrò cartolarizzare il mutuo senza grane o lungaggini in quanto il mutuo risulterà essere intestato ad un buon pagatore ! Sempre parlando di farlocchi, è doveroso sottolineare di quanto siano sempre più spesso gonfiate le perizie degli immobili oggetto di compravendita, le quali devono rappresentare un valore di mercato significativamente congruo per giustificare in taluni casi interventi addirittura superiori al 100 %. La fantasia a questo punto diventa il vero unico limite, infatti mi sono stati rappresentati comportamenti molto discutibili da parte di qualche circuito di franchising immobiliare che riesce misteriosamente a far lievitare persino l'imponibile della dichiarazione dei redditi del richiedente il mutuo, pur di far deliberare il finanziamento nel pieno rispetto del rapporto di congruità tra il peso della rata ed il reddito mensile effettivamente percepito.

Per questo motivo il crash che colpirà le principali economie sarà devastante, forse con un potere di detonazione addirittura superiore al passato 1929, in quanto grazie all'operato farlocco del sistema bancario adesso abbiamo fondi di investimento e fondi pensione che hanno nella loro pancia tutti questi mutui farlocchi destinati ad essere non pagati nel lungo termine con una garanzia immobiliare legata al valore di presumibile realizzo pesantemente contraffatta. In buona sostanza sono a rischio proprio investimenti che dovrebbero garantire il capitale protetto, ma per ovvie ragioni di architettura finanziaria non possono più esserlo. Ecco perchè la scorsa estate abbiamo visto fondi monetari perdere il 4 % in una settimana, rendimenti assolutamente incompatibili dal punti di vista tecnico, in quanto un fondo di liquidità non può per definizione essere soggetto ad una contrazione di valore di tale entità. Se però alcuni fondi immobiliari nati dalla cartolarizzazione forzata di mutui ad intervento integrale vengono spacciati per fondi monetari, grazie alla compiacenza delle agenzie di rating, allora tutto diventa possibile. Anche una sommossa popolare od un colpo di stato.

Eugenio Benetazzo

07 gennaio 2008

La privatizzazione finale dello Stato


Può suonare paradossale, ma è una seria e certa realtà giuridica: lo Stato italiano non è la Repubblica italiana voluta dalla Costituzione del 1948. È in radicale antitesi e contrapposizione con la Costituzione e con i fondamenti della medesima. Forse più di quanto lo sarebbe un ordinamento di tipo fascista. Perché in Italia siamo alla proprietà privata dello Stato e dei poteri politici.
L’articolo 1 della Costituzione afferma «L’Italia è una repubblica democratica. La sovranità appartiene al popolo». Al contrario, nello Stato italiano la sovranità economica, la sovranità monetaria, appartiene interamente ai privati. Ai finanzieri privati proprietari di Banca d’Italia. Sì, la Banca d’Italia non è degli Italiani, non è dello Stato: è di finanzieri privati.
La sovranità economica sull’Italia appartiene anche alla Banca Centrale Europea, che, in base al Trattato di Maastricht, è un’istituzione autocratica sopranazionale, esente da ogni controllo democratico e persino giudiziario, gestita da un direttorio nominato dal sistema delle banche private. I suoi direttori sono esonerati da ogni responsabilità e decidono nel segreto. Una vera e propria potenza straniera, alla quale i paesi dell’Eurozona sono sottomessi..
Chi ha il controllo della moneta e del credito, ha il controllo della politica, e incassa il signoraggio sulla produzione della moneta e del credito – per l’Italia, si tratta di circa 800 miliardi di Euro l’anno. Chi ha il potere di fissare il tasso di interesse, di dare e togliere liquidità al mercato, ha perciò stesso il potere di dare e togliere forza all’economia, di far saltare i bilanci delle aziende private e degli Stati. Di costringere questi ultimi ad aumentare le tasse. Di ricattare parlamenti, governi, società. Come sta avvenendo. Come è sempre avvenuto, ad esempio, in America Latina. Bene: questo potere è in mano a privati, che lo esercitano in totale esenzione da ogni responsabilità e sorveglianza. Dicono che ciò sia bene, perché lo esercitano meglio dei politici, che sono corrotti e demagogici. Sì, meglio – ma per se stessi, non per la gente. Non per quelli che non riescono più a pagare il mutuo, e che perdono la casa, mandata all’asta dai banchieri, che la ricomprano attraverso loro società-schermo. Non per le imprese che chiudono o falliscono. Non per i contribuenti, non per i risparmiatori regolarmente truffati ad opera di banchieri privati (che poi forse ritroviamo azionisti di Banca d’Italia, da Parmalat a Enron a Cirio a Halliburton ai credit derivatives).
Veniamo alla Banca d’Italia. Fino al 12 Dicembre 2006, essa era un ente di diritti pubblico con uno statuto emanato per legge dello Stato, e questo statuto, al suo articolo 3, stabiliva che la proprietà della Banca d’Italia doveva essere per la maggioranza in mano pubblica aveva la struttura legale di una società di capitali privati, di una s.p.a., ma una norma – l’art. 3 – stabiliva che la maggioranza del capitale dovesse essere in mano pubblica e che nessuna cessione di quote potesse avvenire, se non a soggetti pubblici. In realtà, questa norma era sempre stata violata: la grande maggioranza delle quote della Banca d’Italia era in mano ai finanzieri privati (banchieri e assicuratori), e quando Prodi eseguì le privatizzazioni delle tre banche di Stato (BNL, CREDIT e Banca Commerciale) proprietarie di quote di Banca d’Italia, non trattenne quelle quote allo Stato, ma le cedette ai privati. Operazione contraria all’articolo 3, o perlomeno elusiva, a cui nessuno di oppose, a suo tempo. Berlusconi, verso la fine della scorsa legislatura, sollevò la questione della proprietà della Banca d’Italia, che doveva essere pubblica, e propose un piano per renderla tale. Ma il mondo bancario, e per esso Mario Draghi, nuovo governatore di Banca d’Italia, pose un secco veto: la Banca d’Italia deve restare privata. Un altro esponente del mondo e degli interessi bancari, Romano Prodi della Banca Goldman Sachs, andato al governo assieme al suo collega della Banca Centrale Europea, Tommaso Padoa Schioppa, si mise subito all’opera: se la legge è violata perché la proprietà della Banca d’Italia è al 95% privata anziché in maggioranza pubblica, non bisogna – sarebbe un sacrilegio – mettere la proprietà in regola con la legge, bensì, al contrario, mettere la legge in regola con la proprietà. Così si è fatto col decreto del 12 dicembre 2006, firmato da Napolitano, Prodi, Padoa Schioppa. Già! Prodi e Padoa Schioppa è ovvio che lo firmino – sono fiduciari dei banchieri. Ma che lo firmi Napolitano, un vecchio comunista, uno che era comunista nel 1948, quando essere comunisti significava essere stalinisti, intransigenti fautori della proprietà collettiva dei mezzi di produzione – che lo firmi Napolitano, è davvero il colmo! Dov’è il suo comunismo? Dov’è la difesa della Costituzione, per la quale doveva dare, se necessario, la vita? Dov’è la difesa del supremo principio della sovranità popolare? E del lavoro come fondamento della Repubblica, del lavoro che invece viene sacrificato all’usura? Napolitano doveva semplicemente rifiutarsi di firmare per far salvi principi essenziali della Costituzione che giurò di difendere.
In realtà, chi conosce i “comunisti” (non la base ingenua e idealista, ma i capi freddi e lucidi – non i Rubashov, cioè, ma i Gletkin del romanzo di Arthur Köstler, Buio a Mezzogiorno), sa che essi non sono comunisti, non gli importa nulla di socialità etc. – i capi “comunisti”, da Stalin in poi, hanno come scopo la conquista e la gestione del potere fini a se stesse. Non hanno un’identità ideologica: per questo fine, essi si servono di tutto, di ogni idea, di ogni uomo, dello Stato, dei principi, come di un puro mezzo, strumenti sostituibili. Sono tecnici della manipolazione sociale. Tutto il resto, per loro, è puerile romanticismo. Va bene per il popolino. Paris vaut bien une messe.
E i partiti della sinistra? Ebbene, si è visto anche nella vicenda Consorte: i partiti della sinistra seguono i finanzieri e si occupano di allineare la società agli interessi dei banchieri.

Marco Della Luna

05 gennaio 2008

Fisica, l’ora della rivoluzione


Al Cern, centro europeo di ricerche nucleari di Ginevra, sta per essere acceso l’acceleratore più potente del mondo

La ricerca fondamentale sembra oggi un po’ dimenticata di fronte agli straordinari entusiasmi per gli sviluppi tecnologici e ambientali. Ciononostante la ricerca fondamentale, quella esclusivamente guidata dal desiderio umano di conoscere e di sapere, è ora in una fase di straordinario progresso. E in questo gli enti europei Cern, Eso, Esa e italiani Infn e Asi continuano ad avere un ruolo determinante. Il 2008 si annuncia come un anno molto interessante per la fisica delle particelle e per l’astrofisica. La densità e la composizione della materia ed energia nell’Universo sono di importanza fondamentale.

Stiamo adesso arrivando ad una svolta, come è stato dimostrato dal premio Nobel per la fisica 2006 a John Mather e George Smoot per i loro studi sul Big Bang con il satellite Cobe, lanciato dalla Nasa nel 1989. Queste misure, che hanno aperto alla cosmologia il ruolo di una scienza esatta, proseguite con il satellite Wmap e il futuro satellite europeo Planck, stabiliranno con ancora più dettaglio il comportamento dell’Universo «bambino», nel primo istante in cui la luce si separò dalla materia, offrendoci oggi, 12 miliardi di anni dopo, questa meravigliosa immagine sferica dell’Universo incandescente.

LA MATERIA OSCURA DELL'UNIVERSO

Con simili misure si è riusciti per la prima volta a «pesare» l’Universo e a confermare con una precisione del 2% il valore predetto dalla cosiddetta teoria inflazionaria, basata sulla meccanica quantistica dei primissimi istanti della creazione dell’Universo. Oggi sappiamo, dunque, che la materia luminosa contribuisce solamente con una piccolissima frazione, lo 0.5% della massa dell’Universo, mentre la materia ordinaria, quella di cui è costituito il mondo a noi visibile, rappresenta solo il 6%. Quantunque le stelle siano straordinariamente interessanti e attraenti alla vista, esse rappresentano in realtà solamente una frazione piccolissima della materia e dell’energia complessive presenti nell’Universo.

Come risaputo da parecchi decenni, la maggioranza della materia e dell’energia dell’Universo sono «oscure », invisibili all’astronomo e quindi solo indirettamente osservabili attraverso gli effetti indotti. La fisica delle particelle elementari ha tra i suoi compiti principali anche quello di aiutarci a comprendere quale ne sia l’origine, accomunando la fisica dell’infinitamente piccolo delle particelle elementari e quella dell’infinitamente grande della cosmologia. E’ questo uno dei compiti principali del nuovo Lhc (Large Hadron Collider), che entrerà presto in funzione al Cern.

La fisica nucleare associata alla cosmologia ci ha permesso di ricostruire recentemente e con precisione il processo di nucleosintesi degli elementi della materia ordinaria (per intenderci i noti elementi della chimica) che, come descritto nel famoso libro di Steve Weinberg, avvenne nei famosi «tre minuti» dopo il Big Bang. Sappiamo oggi che questa materia ordinaria, quella di cui noi ed ogni oggetto esistente sulla Terra sono costituiti, rappresenta solo una piccola frazione della materia ed energia dell’Universo.

Tutta la materia con cui siamo a visibile contatto fa parte di questo 6%. E i rimanenti 94 %? Intuitivamente ci si aspetterebbe che l’Universo sia sinonimo di materia ordinaria. Oggi sappiamo che questa intuizione è grossolanamente falsa, come è dimostrato dal valore globale della materia osservata dell’universo e dalla forte insufficienza della nucleosintesi.

LE PARTICELLE «SUSY»

Sappiamo dunque che vi è molta più materia di quanto sia dato dalla materia ordinaria: quest’ultima non è la forma dominante della materia nell’Universo. Quantunque la quantità di questa materia oscura sia oggi compiutamente confermata da un gran numero di osservazioni, la sua vera natura rimane ancora un completo mistero. La fisica delle particelle elementari propone una soluzione attraente a questo problema ipotizzando che siano particelle elementari residuate dal Big Bang. Particolarmente interessante sono le cosiddette particelle «supersimmetriche», battezzate «Susy», di massa sufficientemente elevata per non essere state finora prodotte artificialmente ad esempio con l’acceleratore Lep del Cern, ma che lo potrebbero essere con la nuova grande macchina Lhc e i relativi esperimenti. Esse sono fortemente sostenute da teorie che hanno come scopo quello di unificare le forze della natura.

La possibilità che le particelle Susy possano anche costituire la materia «oscura» è una straordinaria coincidenza e un’alternativa da studiare con vigore, anche se evidentemente la soluzione del puzzle offre molte altre possibilità. Quantunque Susy sia un candidato convincente, i fisici delle particelle elementari lo devono ancora scoprire. Non va dimenticato che la Natura ha in riserva molte altre alternative tra cui altre particelle stabili, sufficiente pesanti e senza interazioni apprezzabili, genericamente chiamate Wimp, o Weakly Interacting Massive Particles, le quali potrebbero giocare il ruolo della materia «oscura». L’enorme numero di particelle «oscure» generate dal Big Bang nel cosmo, sia Susy o altre, dovrebbe produrre come conseguenza qui sulla Terra un impressionante flusso di milioni di particelle per ogni centimetro quadrato.

E’ quindi anche possibile ricercare questi Wimp grazie alle rarissime collisioni in laboratori sotterranei, dove la presenza di altri eventi ordinari è fortemente attenuata. Il ben più piccolo esperimento Warp nel Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, oggi in fase di avanzata realizzazione e a cui io partecipo personalmente, costituisce l’esperimento più avanzato mondialmente in questo campo.

L'ITALIA NON DEVE RIMANERE INDIETRO -

Evidentemente le due ricerche, quelle della produzione artificiale di tali particelle al Cern con l’Lhc e quelle dell’osservazione del flusso naturale proveniente dal Big Bang con Warp sono esperimenti complementari, ma ciononostante in diretta concorrenza per una possibile scoperta. Più in generale, al fine di dare risposta alle molte questioni fondamentali, nuovi dati sperimentali cosmologici e di laboratorio sono urgentemente necessari, sia in astronomia che nelle particelle elementari, come ad esempio nella ricerca di nuove particelle esotiche e non interagenti, e in fisica nucleare, ad esempio per comprendere a fondo la nucleosintesi. Abbiamo davanti a noi un affascinante e multidisciplinare periodo di scoperte, nelle quali gli esperimenti più precisi e sensibili saranno i migliori. E a tale fine, nuovi strumenti e, permettetemi di dirlo, anche nuovi finanziamenti sono necessari.

Ma, ancora più importante, è che oggi ci troviamo di fronte una vera concordanza nei primi istanti dell’Universo e una guida su dove dirigere la ricerca sperimentale. Questa situazione ricorda quella delle particelle elementari negli anni Ottanta quando fu completato il Modello Standard. La scoperta sperimentale nel laboratorio della natura della materia «oscura» e la sua dominanza nella dinamica del cosmo sarebbe una straordinaria rivoluzione di portata confrontabile alla rivoluzione copernicana quando fu compreso che la Terra non era il centro dell’Universo o alla rivoluzione darwiniana quando si capì che l’uomo era solo l’ultimo elemento di una lunga catena di evoluzioni della specie.

In questo nuovo ed eccitante periodo di sviluppi rivoluzionari, la scienza europea e in particolare quella italiana non possono restare indietro.

Carlo Rubbia

04 gennaio 2008

Stupidità globale?


Come si ricorderà, il 18 dicembre scorso la BCE inondò il mercato interbancario con 380 miliardi di euro a 2 settimane - somma astronomica che lasciò stupefatte persino le Banche Centrali anglo -americane - per dare liquidità alle banche che rifiutavano di prestarsi soldi a vicenda, sapendo di avere in pancia enormi buchi da perdite sub-prime e bisognose di costituirsi riserve.
Ebbene: adesso la BCE sta prosciugando l'alluvione che ha provocato, riacquistando almeno 300 miliardi di dollari dalle banche.
Lo chiede con un'asta di acquisto, offrendo il 4%.

E il bello è che le banche, che avevano bisogno disperato di questa liquidità, stavolta lo ridanno alla BCE: allo stesso tasso cui l'avevano preso in prestito, è vero, ma con una perdita secca.
Se avessero usato quel denaro per concedere fidi e prestiti anche a breve, avrebbero guadagnato di più.
Ma evidentemente stimano che il rischio di prestare, oggi, non valga il profitto (3).

Lo stesso fanno i banchieri anglo-americani: questi leoni del rischio, che negli anni scorsi, senza batter ciglio hanno comprato 1,8 trilioni di dollari di titoli confezionati con i mutui sub-prime (roba che puzzava lontano un miglio, data l'insolvenza dei debitori dei mutui), oggi corrono ad acquistare Buoni del Tesoro USA a 10 anni, come pensionati tremebondi.
Fra l'altro questi Bond di Stato decennali danno un interesse che è inferiore al tasso d'inflazione, e ancor più lo sarà perché l'inflazione non farà che crescere, e può perfino diventare iper-inflazione.
Cioè stanno facendo un cattivo affare per paura del rischio, come ne fecero prima uno pessimo per attrazione demenziale al rischio.
Sono questi i cretini globali che per anni ci hanno invitato ad affidare a loro i nostri risparmi, adducendo che loro sì erano i veri esperti della finanza, i veri competenti della speculazione.
La BCE d'altra parte riassorbe l'eccessiva liquidità di cui ha inondato l'Europa: e fa bene, anche se il costo dell'operazione, per noi euro-contribuenti, non viene rivelato.
Ma perché aveva creato quell'alluvione?
E perché le banche prima sono corse a prendere il denaro, ed ora corrono a restituirlo?

Secondo l'economista Francesco Forte, che fu ministro di Craxi, la BCE ha aiutato le banche alla «foto di fine anno», ad abbellire i bilanci che si chiudono il 31 dicembre.
Il bilancio annuale viene poi «reso pubblico l'anno seguente, come un fotofinish rappresentativo di una situazione che si suppone strutturale», ironizza Forte- ma strutturale non è.
I malati si sono fatti dare il belletto per tingersi le guance.
Pura cosmetica finanziaria.
Così, mentre le banche si sono messe il fondotinta per il fotofinish e sembrano sane, ottocentomila americani, nella sola seconda metà del 2007, hanno cominciato le pratiche d'insolvenza che le porterà a perdere la casa d'abitazione per pignoramento.
Nel mondo anglosassone, le perdite dei privati e delle banche ammonteranno - secondo le valutazioni di Evans-Pritchard del Telegraph - a un trilione di dollari, il che porterà come conseguenza una restrizione del credito di 4 trilioni di dollari.

Un governo serio come quello giapponese si prepara ad acquisti in massa di granaglie sui mercati mondiali, per assicurare alla sua popolazione riserve stabili in tempi di prezzi crescenti (il frumento è rincarato del 71% in un anno, la soya dell'81%) e per costituirsi riserve d'emergenza nel caso di vera scarsità.
Il Giappone è il più grosso importatore mondiali di grani, e conta di aumentare le sue riserve, attualmente bastanti per uno-due mesi di consumo, a tre mesi (4).
Il Giappone del resto si prepara a un rallentamento, per il fatto che lo yen s'è apprezzato sul dollaro del 18%.
Il fatto che l'euro si sia apprezzato del 50, invece, non preoccupa i nostri cretini locali, eurocrati alla Padoa Schioppa, mentre persino la Germania sta rallentando.
L'importante è la cosmetica finanziaria e qualche trucco contabile creativo, ciò che essi credono essere l'economia.

In questa sfilata di cretini planetari non dobbiamo dimenticare i sindacati italioti, che - da quando Napolitano ha scoperto che c'è il carovita - minacciano lo sciopero generale per aumentare i salari, tutti quanti: come fare sciopero per l'alta marea, ma non è qui il punto.
E' come se CGIL CISL UIL fossero sbarcati da Marte due giorni fa, e non avessero invece partecipato da decenni a tutti i negoziati con Confindustria e governo, in base ai quali i salari nostri sono i più bassi d'Europa.
Con l'accordo collusivo dei sindacati cosiddetti «dei lavoratori».
Sono furbetti locali, ma la loro cretineria sta nel credere di riuscire, anche stavolta, a darcela a bere.
O avranno ragione loro?
In questo caso, i super-cretini siamo noi.

Maurizio Blondet

03 gennaio 2008

Le banche mondiali aspirate dal "BUCO NERO" del crack finanziario


LEAP/E2020 ritiene ormai che almeno un grande istituto finanziario americano (banca, assicurazione, fondo d'investimento) farà fallimento da qui a febbraio 2008 causando a sua volta la bancarotta di molti altri istituti finanziari e banche in Europa (in particolare nel Regno Unito), in Asia e nei paesi emergenti. Si tratta di un "buco nero" finanziario, secondo l'espressione usata da Tony James (1), presidente della Blackstone, che si è formato a partire dalla crisi "subprimes" americana.

I fattori scatenanti di tale evento sono ormai così potenti ed i segnali precorritori così numerosi, che, secondo i nostri ricercatori, la sua probabilità, di qui a tre mesi, raggiunge ormai quasi il 100%. È altrettanto certo per il nostro gruppo che le autorità finanziarie americane tenteranno di realizzare una rete protettiva di rimborso per evitare il contagio del panico all'insieme del sistema finanziario americano (2); ma l'ampiezza del fallimento toccherà immediatamente le istituzioni finanziarie più esposte negli Stati Uniti e nel resto del mondo. I paesi dove gli operatori finanziari sono i più legati agli operatori finanziari americani saranno dunque in prima linea: Regno Unito, Giappone, Cina in particolare (3).

I principali fattori scatenanti sono, secondo il nostro gruppo, quattro:
1. Riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti
2. Crollo accelerato del valore degli attivi detenuti da queste stesse banche sotto l'effetto della nuova regolamentazione bancaria US (FASB regulation 157)
3. Fragilità crescente degli assicuratori obbligazionari
4. Recessione economica negli Stati Uniti.

Questi fattori sono naturalmente da rimettere nel contesto generale che descrive LEAP/E2020 dall'inizio dell'anno 2006, cioè la crisi sistemica globale, che ovviamente i dirigenti politici, finanziari ed economici mondiali iniziano a temere (4). Il fatto che quasi da due anni le banche centrali, in particolare la Federal Reserve US e la Banca d'Inghilterra, come i principali operatori finanziari, siano stati sistematicamente in ritardo sugli eventi, lascia pensare che questa volta non adotteranno la misura giusta per la crisi bancaria se non solo dopo che si sarà consumato un evento ancora più drastico. È, in generale, il momento in cui è troppo tardi per impedire efficacemente il contagio della crisi a tutto il sistema.



Indice d'evoluzione del "morale del consumatore" dell'Università del Michigan (che include novembre 2007) - fonte Fed di Saint Louis /LEAP/E2020
In questo comunicato pubblico del GEAB N°19, LEAP/E2020 ha scelto di sviluppare la sua analisi della riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti. Fattore N°1 - riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti
Così analizzata in dettaglio nella GEAB N°19, l'applicazione della norma FASB 157 fin dal 15 novembre 2007 esporrà direttamente il bilancio degli istituti finanziari che operano negli Stati Uniti alle conseguenze del crollo del valore di una parte importante dei loro attivi. E questa parte è in aumento costante, poiché la crisi dei "subprimes" è in realtà soltanto il catalizzatore di una crisi finanziaria più vasta che influisce ormai su tutti gli attivi finanziari americani (5). I Vari CDOs saranno d'ora in poi trascinati in questa crisi di fiducia generalizzata, mentre costituiscono una parte importante degli attivi bancari, poiché in questi ultimi anni le grandi banche sono uscite dal loro ruolo di prestatore per lanciarsi nell'investimento e nella speculazione, nel modo degli "hedge funds". Quest'ultimi hanno del resto rappresentato per più di un decennio una fonte crescente di redditi per le grandi banche internazionali. Ci si ricorda ancora degli onorari faraonici che gli "hedge-funds" ed i fondi per gli investimenti versavano alle banche(!) nel quadro delle loro operazioni multiple, fra cui i riacquisti in LBO ("Leverage Buy-Out", o riacquisto con effetto di leva finanziaria), fusione-acquisizioni (o M&A, "Merger and Acquisition") ed altre quotazioni in borsa (IPO, o "Initial Public Offering ")." Quest'epoca, tuttavia non così lontana (poiché si è conclusa quest'estate), è ora passata. Ormai gli "hedge-funds" si battono per non andare in fallimento. I fondi per gli investimenti scavano le loro perdite tentando di evitare di essere aspirati nel "buco nero finanziario" di cui parla il proprietario della Blackwater (già citato). I progetti di fusione-acquisizione sono ad un punto morto. Così, nel settore tecnologico (mercato per eccellenza delle fusioni-acquisizioni), Wall Street ha visto l'importo delle transazioni passare da 99 miliardi USD nel terzo trimestre 2006 a 52 miliardi USD nel terzo trimestre 2007 (cioè un ribasso di circa il 50%) mentre la crisi del credito era ancora soltanto ai suoi inizi. Tuttavia la debolezza del dollaro US ha causato nel terzo trimestre 2007 una frenesia di acquisti europei negli Stati Uniti poiché i primi, per la prima volta, hanno speso quanto i loro omologhi nordamericani (6).

Il gelo delle LBO - fonte Dealogic

Le quotazioni in borsa a Wall Street, che aveva meglio resistito alla crisi estiva, ormai sono rimandate "alle calende greche" in attesa di giorni migliori. Così il numero di quotazioni in borsa di più di 1 miliardo USD è passato da 8 nel trimestre (nel terzo trimestre 2006) a 2 (nel terzo trimestre 2007). Questo fenomeno si rafforza come è stato illustrato da RWE, il produttore d'energia tedesco che ha deciso di rifiutare la quotazione in borsa della sua filiale American Water a causa della crisi del credito negli Stati Uniti (7); come Rusal, il gigante russo dell'alluminio che ha rimandato a data da definirsi la sua quotazione in borsa mentre prometteva di essere la più importante del 2007 con gli advisors che erano stati già scelti (cioè Morgan Stanley, JP. Morgan e Deutsche Bank) (8)
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Quanto alle LBO (quest'assemblaggi finanziari che permettono di comperare un'impresa utilizzando la ricchezza potenziale che essa nasconde (9), non soltanto il loro mercato si è praticamente estinto, ma le transazioni non hanno potuto essere congelate o annullate e così finiscono in tribunale come dimostra il caso emblematico di SallieMae, la società di prestiti agli studenti, e JC. Flowers (un fondo per gli investimenti molto attivo, ma che, paradossalmente, non ha siti web (10)). Del resto in ottobre, LBOs ha rappresentato soltanto il 5% delle transazioni di fusione-acquisizione contro il 31% del giugno 2007.

Grado d'esposizione delle banche US ai rischi legati ai prodotti finanziari derivati - fonte Contraryinvestor

Tutte quest'evoluzioni convergono nella stessa direzione, cioè la perdita di una fonte importante di redditi delle banche che operano negli Stati Uniti, che dunque si accumulerà alle conseguenze dell'applicazione della norma FASB 157 e della crisi dello CDOs, cioè la perdita di valore di una parte importante dell'attivo di queste stesse banche. Nel 2006 infatti, i redditi, provenendo per lo più dai loro onorari di advisors e dalle attività d’intermediazione per questi riacquisti, fusioni, acquisizioni, ecc.... hanno costituito il 27% del totale, con la più forte progressione registrata da sette anni (sette anni prima, nel 1999, eravamo alla vigilia dell'esplosione della bolla Internet!). D'altra parte, già nel 2006, questi redditi avevano dovuto compensare le perdite generate dai primi effetti della crisi dei "subprimes". Nel 2007, le perdite legate al mercato ipotecario sono letteralmente esplose rispetto al 2006, e, come si può constatare, i redditi degli advisors e degli intermediari nelle grandi transazioni finanziarie si sono prosciugati (11).
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Non c’è bisogno di essere un esperto per concludere che queste banche conosceranno tra la fine del 2007 e l'inizio 2008 una crisi molto grave che determinerà perdite che non si potranno affrontare. Ciò che si vede oggi, secondo LEAP/E2020, sono soltanto i segnali precursori di una crisi bancaria totale i cui fattori e le cui conseguenze per gli investitori ed i risparmiatori sono stati dettagliati nella GEAB N°19.

DIARIO DELLA CRISI FINANZIARIA

Continua, almeno apparentemente senza soste, la guerra per banche negli Stati Uniti d’America, ma non si scherza neanche in Europa e in Italia, e l’ultima battaglia è condotta a suon di dossier di valutazione dei concorrenti, un gioco nel quale il ruolo di assoluta protagonista è interpretato dall’ineffabile, potente e preveggente Goldman Sachs, che, giovedì, in un colpo solo ha gettato nel panico i vertici di Citigroup, Bank of America e J.P. Morgan-Chase con valutazioni sui conti delle tre banche USA nel quarto trimestre tali da farle stramazzare al suolo. Sarà un caso, ma colpisce che gli strali degli attenti e preparati analisti di Goldman si siano diretti contro le tre sole entità del vasto panorama finanziario che avevano, seppur obtorto collo, accettato di accogliere l’imperativo suggerimento dell’ex numero uno di Goldman e attualmente, non si sa per quanto viste le performance recenti, ministro del Tesoro di Gorge W. Bush junior, e si erano imbarcati nella ormai defunta avventura della realizzazione di quel MLEC che tanto ha contribuito ad aumentare il panico degli operatori e le perplessità di commentatori e analisti. Secondo i tre analisti un po’ teleguidati di Goldman, le tre banche USA dovranno spesare nel quarto trimestre dell’anno perdite complessive per la bellezza di 33,6 miliardi di dollari, così ripartite: 18,7 miliardi per Citigroup, 11,5 per Merrill Lynch e solo 3,4 miliardi (ma il dato rappresenta il doppio delle precedenti previsioni dei tre maliziosi analisti) per la più solida ed avveduta del trio che è rappresentata da J.P. Morgan-Chase. Ma la vera perfidia degli analisti di Goldman riguarda la povera Citigroup, che non solo è chiamata ad operare svalutazioni mostre dei titoli della finanza strutturata (in gran parte i micidiali collateralized debt obligations), ma si prevede che dovrà tagliare di ben il 40 per cento quel livello elevatissimo di dividendi che rappresenta l’unico motivo degli attuali e dei futuri azionisti di Citi per non seguire il perentorio sell emesso dai nostri tre analisti coraggiosi di Goldman a conclusione del loro rapporto. Pur a fronte delle mega svalutazioni previste per Merrill Lynch ed alla crescita esponenziale di quelle che toccheranno a J.P. Morgan-Chase, i nostri mantengono un giudizio tutto sommato lusinghiero di neutral, ma è evidente ai più che si tratta soltanto di una fase nell’escalation del processo di downgrade, ma anche del timore del committente dei giudizi dele possibili contromosse delle tre banche che hanno certamente messo all’opera i loro altrettanto numerosi ed agguerriti analisti con l’esplicita mission di fare e senza pietà le pulci ai già noti conti trimestrali ed annuali di Goldman. In attesa di assistere alle future puntate di questa guerra per banche, mi limito a segnalare che anche l’entità semi pubblica che si occupa di finanziare i genitori che vogliono assicurare un livello adeguato di studi ai propri figli, un’entità affettuosamente chiamata Sallie Mae, sta battendo cassa presso il mercato per un ammontare che dagli iniziali 1,5 miliardi di dollari è presto passato, vista l’aria sempre più brutta che tira, a 2,5 miliardi, anche se deve farsi largo tra le ben più grosse Fannie Mae e Freddie Mac che le loro massicce e pressanti richieste al mecato le hanno fatte già da qualche tempo. Ma quello che non ha giovato agli umori del mercato è stato il flop dell’attesissimo rimbalzo degli ordini di beni durevoli dopo il vero e proprio tonfo di ottobre e che si è invece tradotto in un miserrimo incremento dello 0,1 per cento (contro il +2,2 per cento atteso) ed un lieve recupero della fiducia dei consumatori per il futuro più o meno remoto, mentre il giudizio degli intervistati sul presente ha continuato a scendere precipitosamente verso livelli più bassi di quelli registrati solo un mese prima. Ma la vera campana a morto è suonata poco prima con il calo del 7,6 per cento delle richieste di nuovi mutui, una flessione che si è rivelata ancora più consistente nella componente del rifinanziamento degli stessi mutui, calato dell’8,5 per cento, mentre quella relativa ai nuovi mutui è scesa solo del 6,6 per cento,, con l’indice complessivo che si è portato a 603,8 dal massimo di 1.856,7 toccato nell’ormai lontanissimo, e non solo in termini temporali, maggio del 2003.; non è quindi del tutto casuale se i listini americani prima, quelli asiatici poi, per finire in modo leggermente più dolce nella conservatrice Europa, hanno accusato il colpo e, anche se ancora una volta al netto delle mani forti che da tempo si vedono sul mercato finanziario globale, hanno segnato ribassi di tutto rispetto. Nonostante abbia retto molto meglio del previsto e del prevedibile agli effetti della crisi finanziaria in corso, il comparto degli hedge fund inizia a sempre di più a fare i conti con gli effetti del credit crunch e non si contano più le chiusure o le limitazioni degli affidamenti facenti capo a banche sempre più nervose ed attente al rischio di controparte, mentre, per i finanziamenti e i committments residui sta salendo ogni giorno che passa il costo che i banchieri richiedono per la loro merce sempre più rara. Venendo all’Italia, non stupisce la notizia che racconta che Mediobanca, advisor sia della Banca Popolare di Vicenza che del Banco Popolare, ha chiesto alle due banche di cedere a sé stessa, con una spesa di 400 milioni di euro, le partecipazioni in una società di credito al consumo, denominata Linea, portandosi così al terzo posto tra le entità operanti nel lucroso mercato del credito al consumo e nel quale aveva già un posto di rilievo mediante la controllata Compass, ponendosi immediatamente alle spalle del gigante Findomestic contesa tra BNP Paribas e Intesa-San Paolo e della Prestitempo controllata da Deutsche Bank. Con questa operazione si semplifica ulteriormente il quadro dei soggetti dominanti questo importante segmento del mercato finanziario italiano, che, a parte le società controllate dai gruppi industriali e finalizzate all’acquisto a rate dei propri prodotti, vede l’assoluta prevalenza dei soggetti interamente controllati dalle banche a fronte di una pletora, ma dalle quote di mercato ridottissime, di società finanziarie. A costo di essere monotono e alla luce delle forti implicazioni sociali del crescente ricorso all’indebitamento da parte delle famiglie, ripropongo un mantra che sembra lasciare completamente indifferenti il Governatore Draghi ed il Governo, un mantra che può sintetizzarsi nella intollerabilità di un tasso di riferimento per il calcolo del tasso usurario valido per le banche e di uno, ben più elevato, applicabile alle società finanziarie. Ricordo che il diario della crisi è disponibile anche su www.diariodellacrisi.blogspot.com .
Marco Sarli Responsabile Ufficio Studi UILCA

Il nuovo anno all'insegna del crac finanziario


Quando i nostri lettori leggeranno il primo numero dello Strategic Alert del nuovo anno, le misure prese dai banchieri centrali per prolungare l'agonia del sistema finanziario con illimitate iniezioni di liquidità staranno per scadere, e inizierà una fase totalmente imprevedibile, in cui continuerà la disintegrazione del sistema con un altro grande tracollo tra gennaio e febbraio.
Le iniezioni di liquidità di Natale e Capodanno devono essere rifinanziate dopo il 3 gennaio, ma nelle ultime due settimane sono aumentate le perdite del sistema. Tali perdite richiedono ulteriori iniezioni di liquidità, che possono rapidamente giungere a ordini di grandezza superiori a quelle già effettuate, alimentando la spirale iperinflazionistica della speculazione sulle materie prime e sui generi alimentari basata sull'effetto leva. Al contempo, col nuovo anno, le misure previste da Basilea 2 entreranno in vigore anche negli Stati Uniti, conferendo alla situazione maggiore imprevedibilità: i crediti non verranno più elargiti sulla base dei criteri di capitalizzazione, ma sulla base dei rating, in una situazione in cui il rating AAA non vale più niente.
Come ha ribadito più volte l'economista e leader democratico Lyndon LaRouche, se i governi continueranno a tollerare questa politica, saranno destinati a cadere per aver ceduto la sovranità ai predatori finanziari. I predatori stanno già studiando gli statuti delle banche centrali per trovare il sistema di giustificare un rifinanziamento generalizzato. Stando al Daily Telegraph del 27 dicembre, gli insider stanno studiando un memorandum preparato da membri dello staff della Federal Reserve, in cui si esamina “che cosa si possa fare secondo lo statuto della Federal Reserve nel caso in cui fallisca tutto il resto.” Stando alla sezione 13 dello statuto, la Fed può prendere misure di emergenza nel caso in cui le banche diventino “riluttanti o non disponibili” a concedere crediti. In tal caso, può autorizzare la banca a “concedere il prestito a chiunque assumendosene ella stessa il rischio” e questo aprirebbe tutti i boccaporti senza ritegno, conducendoci “tra la Scilla della stretta creditizia e i Cariddi dell'inflazione”.
In un briefing allo staff dell'EIR il 28 dicembre, la presidente del Movimento Solidarietà tedesco Helga Zepp LaRouche ha sottolineato che in Europa, col sistema dell'Euro e della banca centrale europea, non esiste un provvedimento paragonabile a quello previsto dalla Fed. Questo significa che il patto di stabilità previsto dal trattato di Maastricht potrebbe costringere i governi ad aumentare le tasse e ridurre drasticamente la spesa in fase di recessione, pur di rifinanziare gli hedge funds.
fonte: movisol

16 gennaio 2008

Anche il mondo ci vede a rischio



L’assenza di una valida legge sul conflitto d’interessi è la principale ragione per la quale l’Italia nel 2007 è stata relegata al 35esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa stilata ogni anno da Reporters sans Frontières e dalla Freedom House americana. Sul piano internazionale siamo considerati fortemente a rischio, indietro addirittura rispetto a paesi privi di istituzioni democratiche, percorsi da ondate repressive o con un bassissimo livello di sviluppo civile.

Niente fa pensare peraltro che la situazione possa significativamente migliorare quest’anno, se consideriamo che fra i fattori che condizionano una vera libertà di stampa è entrato in gioco l’avanzato tentativo di impedire, con durissime sanzioni amministrative e perfino penali contro i giornalisti, la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche anche quando, come prevede l’attuale normativa, siano liberate dal segreto istruttorio perché rese note agli imputati. Se pensiamo che la Camera dei deputati approvò il progetto di legge Mastella con solo sette deputati contrari (fra i quali, a suo onore, Beppe Giulietti) e che a niente valsero gli scioperi indetti dalla FNSI e il motivato parere contrario dell’Unione Europea, tanto che la battaglia è ancora incombente, c’è da pensare con un brivido alla suscettibilità della politica italiana su questo tema e al distacco nei confronti dell’opinione pubblica, che ha il diritto democratico di vedere illuminati tutti gli angoli bui del potere.
A riprova di questa inquietante divaricazione e dei guasti prodotti dall’enorme conflitto d’interessi ancora aperto, sono recentemente venute le reazioni alle rivelazioni sulle esplicite telefonate intercorse fra i vertici operativi di Mediaset e i dirigenti legati direttamente a Berlusconi all’interno della Rai, con particolare riferimento a Deborah Bergamini e a Saccà.
In queste due occasioni si è avverata l’antica metafora sullo stolto che quando il dito indica la luna si limita a guardare il dito…Una miriade di esponenti politici, di opposizione come della maggioranza, ha scatenato una campagna sulla responsabilità professionale ed etica della stampa e di singoli giornalisti, sottovalutando o ignorando totalmente il contenuto delle intercettazioni. E’ così passato in secondo piano prima la gravità del “golpe” tentato e in buona parte riuscito sul Servizio Pubblico da parte dell’azienda televisiva di proprietà dell’allora capo del governo, attraverso una sorta di “quinta colonna” che ha alterato per anni funzioni, autonomia, capacità competitiva, scelte editoriali e produttive. Come tanti altri dirigenti della Rai, io stesso, allora Direttore di Rai News 24, ho personalmente avvertito sulla pelle della Testata l’evidente anomalia e la sopraffazione in corso sugli interessi generali e le prospettive aziendali. Poi il tentativo, sempre mediante vincoli di “sudditanza” politica e personale di personaggi che tradivano il mandato, di usare la Rai come mezzo di pressione per influenzare il voto di esponenti politici dello schieramento di governo. Non sappiamo ovviamente se e in quale misura queste vicende assumeranno peso giudiziario e come influiranno sui disastrati e instabili equilibri di gestione del Servizio Pubblico, ma siamo assolutamente certi della loro rilevanza morale e politica, del diritto dei cittadini a conoscerle fino in fondo e del conseguente dovere dell’informazione di descriverle ed analizzarle. Allo stesso tempo si può non coglierne l’ulteriore urgenza di una legislazione che spezzi il perpetuarsi del conflitto d’interessi e che cambi allo stesso tempo profondamente la normativa del Servizio Pubblico, mettendolo in condizione di reale autonomia dal potere politico e rinnovandone la missione culturale?
Voglio però sottolineare che, quando parliamo di conflitto d’interessi, non possiamo riferirci esclusivamente alla posizione dominante di Silvio Berlusconi, certo centrale e decisiva per qualsiasi futuro assetto politico come per determinare equilibri e opportunità di un mercato editoriale competitivo, dotato di regole condivise e all’altezza di una democrazia matura.
Su questo punto il governo deve senza ulteriori indugi aprire sul serio il confronto in Parlamento, facendo sì – come giustamente sottolinea Giulietti – che la fondamentale trattativa per arrivare a definire una nuova, corretta legge elettorale, non ponga in alcun modo in secondo piano il confronto legislativo sul conflitto d’interessi e sul sia pur timido progetto Gentiloni per la riforma della Rai.
Sia per l’uno che per l’altro aspetto, così evidentemente diversi e distanti, è infatti in gioco la democrazia.
Partiamo dunque da qui, ma non dimentichiamo che l’Italia è ormai immersa in una inquietante deriva nella quale fattori di crisi investono tutti i poteri previsti dalla Costituzione, che vedono ciascuno la presenza di piccoli o macroscopici conflitti d’interesse e comportamenti al di fuori o al di sopra di ogni regola, che tradiscono il mandato e le competenze istituzionali dei gruppi e di singoli rappresentanti… Si potrebbero elencare a lungo le contraddizioni, le deviazioni, i condizionamenti, le interferenze, gli interessi corporativi e di casta – intrisi di sottopotere ed arrivismo se non in alcuni casi di arricchimento personale – che costellano i percorsi legislativi e parlamentari, del governo, della stessa magistratura (come dimostrano le recenti polemiche innescate dalla dura denuncia di Ilda Boccassini). Per non parlare della società italiana, che appare
a ogni livello frammentata in interessi di parte, in angusti egoismi di consorterie, in individualismi anarcoidi, ben al di fuori dal rispetto degli altri e dall’osservanza di regole e leggi certe per tutti, sempre più priva di principi etici validi al di fuori del ristretto confine del giardino di casa, del proprio tavolo di ufficio, della propria autovettura.
E’ contro questa deriva che continuano a combattere spezzoni della società civile, sia ben chiaro insieme con tante persone oneste e motivate in ogni settore, a partire ovviamente da quello delle responsabilità politiche e amministrative, sempre però in posizioni di minoranza, come un esercito assediato e diviso che stenta a tenere il campo, a riconoscersi in obiettivi e sedi collegate di comando, a mantenere un solo schieramento di fronte alle multiformi “invasioni barbariche”.
E ancora una volta l’informazione è contaminata e partecipe in vari modi della deriva invece che della resistenza alla devastazione, venendo molto spesso meno a quell’impegno di illuminazione e conoscenza critica della realtà, che consentirebbe di saldare fronti comuni più vasti e consapevoli, di ripristinare una scala corretta di ideali, di modelli positivi, di capacità critica, di comportamenti pubblici e privati nello spirito della Costituzione.
Se il personaggio e il ruolo assunti da Berlusconi sono ormai divenuti totalizzanti nella vita e nell’immaginario del Paese, parametro insostituibile di antitetiche scelte politiche, come di quelle civili, sociali e culturali, traiamone almeno un esempio emblematico di ciò che è divenuta e di ciò che invece non dovrebbe essere la realtà, a partire da quella dell’informazione.

Due mesi fa, l’11 Novembre 2007, dal palco di Montecatini, dinanzi ai Comitati del Buon Governo costruiti da Marcello Dell’Utri, Berlusconi si mise al fianco il senatore siciliano, un braccio fraternamente attorno alle spalle e inscenò una sua strenua e dettagliata difesa, in attesa del verdetto di secondo grado dopo la condanna in Assise per partecipazione esterna all’organizzazione mafiosa. Ovviamente silenzio su questa sentenza, su altre di natura penale già passate in giudicato, su notissime circostanze di conoscenze e frequentazioni mafiose. Non contento di questo gesto di considerazione e amicizia, che a suo tempo si era ben guardato di fare pubblicamente nei confronti del suo avvocato Cesare Previti, il Cavaliere ha esteso la difesa al ricordo del capo-mafia Vittorio Mangano, a suo tempo per anni fattore dei possedimenti ad Arcore e in stretti rapporti con lo stesso Dell’Utri.

Mangano, morto di malattia mentre scontava in carcere una definitiva condanna per partecipazione a omicidi, traffici di droga, racket, estorsioni e che il giudice Paolo Borsellino definì nell’ultima intervista televisiva come uno dei capi-fila della mafia al Nord, è stato ricordato da Berlusconi solo come un buon uomo vittima di magistrati feroci. Inutilmente – sono parole testuali – questi magistrati cercarono di suggerirgli “accuse inventate” contro Marcello Dell’Utri e contro lui stesso. Insomma, possiamo tranquillamente dire, il ritratto lusinghiero di un vero “ uomo d’onore”, dipinto con un linguaggio e un racconto, al di là delle omissioni e delle evidenti menzogne, davvero degni di Cosa Nostra…
Cosa sarebbe accaduto nella stampa e nelle televisioni di mezzo mondo, se un ex-premier potentissimo e leader dell’opposizione si fosse lasciato andare a questo sfogo pubblico, evidentemente calcolato e probabilmente da qualcuno richiesto? E cosa si sarebbe mosso in Parlamento e nell’opinione pubblica? Da noi non è avvenuto alcunché: due giorni di smilza cronaca, qualche raro commento dei “soliti fogli comunisti”, l’indignazione di pochi siti pervicacemente contestatori (per fortuna almeno il sonoro originale è ascoltabile sul salvifico You Tube).
Questa è oggi l’Italia e non solo quella dell’informazione.

di Roberto Morrione

15 gennaio 2008

Un paese a rischio di regime mediatico



Berlusconi, al di là delle smentite che non smentiscono nulla, ha proposto un baratto tra una nuova legge elettorale e l’integrale tutela del suo interesse privato. Non basta più respingere l’indecente proposta (e vorrei vedere il contrario!), ma è necessario aggiungere che una nuova legge elettorale che non venisse accompagnata dalla contestuale risoluzione dell’anomalia italiana in materia di conflitto d’interessi e di assetto dei media, ci condannerebbe a restare una democrazia dimezzata, un paese a rischio di “regime mediatico” per usare una espressione cara ad Umberto Eco... I ripetuti appelli del presidente Napolitano, le tante iniziative promosse da forze politiche, sociali, sindacali, religiose,stanno contribuendo a creare una nuova coscienza attorno al dramma delle morti sul lavoro. A questo positivo processo ha contribuito anche il silenzioso e quotidiano lavoro che è stato svolto dallo spazio che questo sito ha voluto dedicare a simili temi e che è stato impostato e gestito con grande rigore da Raffaelle Siniscalchi e da Diego Alhaique.
Il carteggio che qui pubblichiamo tra le organizzazioni sindacali e i vertici della Fsni dimostrano che forse è giunto il momento propizio per promuovere un appuntamento nazionale che metta insieme il mondo della comunicazione e quello del lavoro per arrivare all’approvazione di una campagna nazionale che faccia della cultura della prevenzione, della sicurezza e della lotta senza quartiere contro le morti bianche, un’autentica priorità nazionale. Se almeno un centesimo del tempo che viene dedicato dalle tv a spiare la vita degl’altri dal buco della serratura venisse dedicata alla rappresentazione della vita, e delle vite reali, ci sarebbero tempo e spazio sufficienti per programmare un’ efficace campagna mediatica.
La triste realtà, tuttavia, è che quasi tutte le tv, salvo le poche lodevoli eccezioni che spesso citiamo, sono ormai in mano ai signori degli appalti che sempre più spesso preparano e vendono programmi dove la realtà è ricostruita secondo i moduli dello spettacolo e della finzione, con tanto di ospiti pagati a tariffa, un tanto a lacrima.
Siamo arrivati al punto che, come ha acutamente scritto Norma Rangeri nel suo ultimo libro “Chi l’ha vista”, nella stessa serata e nello stesso orario, sulle reti della Rai e di Mediaset, si siano affrontati due programmi prodotti dalla solita Endemol, per altro ora controllata dalla medesima Mediaset che, in questo modo, vive anche nei palinsesti della Rai. Vi possiamo assicurare che per rilevare tale stranezza non è stato necessario ricorrere ad alcuna intercettazione telefonica….
Gli ospiti non a pagamento e i cittadini che fanno le domande ed esigono le risposte non sono più graditi. Adesso tutti hanno scoperto la “monnezza” ma quando Michele Santoro, Sandro Ruotolo, Milena Gabbanelli, per citare i casi più clamorosi, indagarono sulla discariche della Campania e sui loschi traffici che vi fiorivano furono accolti da invettive traversali. Allo stesso modo quando le famiglie degli operai di Torino o le mogli e le madri dei lavoratori morti a Monfalcone, urlano la loro rabbia, c’è sempre qualcuno che si risente per i loro eccessi e per l’ indebita amplificazione prodotta dai media. Questo club di “indignati speciali” non ha mai trovato il tempo e la voglia per indignarsi nei confronti di quelle trasmissioni dove si assiste alla più indecente mercificazione del dolore, degli affetti e si pratica il più inverecondo ossequio nei confronti degli “amici degli amici” persino quando si tratta di condannati per associazione mafiosa o per aver corrotto i magistrati.
L’Italia che continua a reclamare la legalità e a contrastare i poteri criminali non è stata mai invitata nei salotti a pagamento non appassiona le signore e i signori che producono i programmi dedicati ai grandi fratelli e ai piccoli cugini.
Dal servizio pubblico (ma non solo dal servizio pubblico) da tutti gli operatori dell’informazione, ci attendiamo uno scatto d’orgoglio, uno scontro aperto e dichiarato tra i custodi degli appalti e delle logge della conservazione e chi vorrebbe ridare forza, autonomia e dignità all’idea stessa d’impresa pubblica come ebbero a scrivere proprio su questo sito Enzo Biagi e Loris Mazzetti. Se questo non accadrà i signori delle logge e degli appalti continueranno a dominare e a tentare di mettere sotto il loro tallone, non solo l’intero mondo dei media, ma anche tanta parte della politica.
La Rai in queste ore è stata ulteriormente calpestata ed umiliata e nuovamente sottomessa alla logica del conflitto d’interesse. La destra sta facendo il suo mestiere con la consueta determinazione e spietatezza, ma noi, cosiddetti progressisti,cosa stiamo facendo? E’ inutile essere ipocriti le reazioni sono state deboli ed inefficaci. Non sempre, neppure noi di Articolo 21, abbiamo risposto con la necessaria durezza. Troppi trasversalismi deteriori sono stati tollerati. Troppi atteggiamenti equivoci sono stati condivisi, ma soprattutto non si è contrastata a tutti i livelli la logica della omologazione, della cancellazione di ogni differenza,della superficialità,del modello produttivo e organizzativo nel quale la finzione si è mangiata la realtà. Di fronte a quello che sta accadendo le unità corporative e gli unanimismi di facciata non servono più, anzi servono a renderci tutti complici e conniventi.
In questi ultimi mesi, per fortuna, qualcosa e qualcuno ha cominciato a rialzare la testa. Le organizzazioni sindacali, dall’Usigrai alla Cgil, stanno urlando il oro no alla svendita di quello che ancora resta della Rai. Gli autori del cinema, della televisione, della fiction, stanno tentando di rimettere insieme tutto il mondo degli autori (come ci hanno raccontato su questo stesso sito Santo della Volpe , Daniele Lucchetti, Michele Conforti e tanti altri).
La Fsni e le organizzazioni dei lavoratori stanno tentando una nuova alleanza non solo sui temi legati alla contrattazione,ma anche sulle questioni relative alla legalità, alla sicurezza, alla lotta contro le morti bianche.
L’Associazione Libera, coordinata da Don Luigi Ciotti, sta promuovendo iniziative ovunque per favorire una rinnovata attenzione dei media sul tema della lotta alla criminalità e ai poteri mafiosi.
La Tavola della Pace ha deciso d’indire un anno d’iniziative dedicate al tema della tutela dei diritti umani e civili e tra questi ha significativamente inserito il diritto individuale e collettivo, non solo a ricevere ma anche a produrre informazione.
Negli anni scorsi quest’associazione sotto la decisiva spinta di Enzo Biagi, di Sergio Lepri, del nostro presidente Federico Orlando,ha dato vita , insieme a decine di altre associazioni al “comitato per la libertà d’informazione” che si pose il compito di contrastare le leggi ad personam e di denunciare i guasti provocati dall’irrisolto conflitto d’interesse. Quel comitato riuscì persino a proporre e a far approvare una clamorosa risoluzione nella sede del Parlamento europeo.
Adesso è giunto il momento di rimetterlo in funzione per reclamare non solo il superamento della leggi vergogna ma anche soprattutto per sollecitare anche in questo campo l’approvazione di norme serie, rigorose, di tipo europeo, quali sono anche le pacatissime riforme avanzate dal ministro Gentiloni.
Silvio Berlusconi, al di là delle smentite che non smentiscono nulla, ha proposto un baratto tra una nuova legge elettorale e l’integrale tutela del suo interesse privato. Non basta più respingere l’indecente proposta (e vorrei vedere il contrario!),ma è necessario aggiungere che una nuova legge elettorale che non venisse accompagnata dalla contestuale risoluzione dell’anomalia italiana in materia di conflitto d’interessi e di assetto dei media, ci condannerebbe a restare una democrazia dimezzata, un paese a rischio di “regime mediatico” per usare una espressione cara ad Umberto Eco. Le condizioni di una possibile riproposizione di quel regime ci sono ancora e non mancano neppure le viltà, gli opportunismi di singoli e di piccoli gruppi all’interno della stessa maggioranza.
Per queste ragioni l’Associazione Articolo21 chiederà a tutte le forze associative, professionali e sindacali del settore della comunicazione di riprendere il cammino interrotto e di promuovere una campagna nazionale per richiedere a gran forza l’immediato rispetto degli impegni assunti in materia di conflitto d’interesse e di riforma della tv pubblica e privata che erano contenuti nel programma del centro- sinistra e che sino ad oggi non sono stati rispettati.
Per quanto ci riguarda proseguiremo su questa strada con grande spirito unitario ma anche con grande vigore e se questo dovesse comportare qualche polemica e persino qualche rottura con alcuni amici e compagni, sarà sempre preferibile al rischio che i ricatti e le minacce di Berlusconi possano far prevalere quel trasversalismo degli affari e delle logge che già tanti guasti ha provocato alla democrazia italiana.
G. Giulietti

14 gennaio 2008

Un'accelerazione della "deflazione" o depressione?


La gente tornerà a fare shopping abbastanza presto?
«Per altri tre-quattro mesi non sarà chiaro a quanto arriverà il rallentamento», dicono gli analisti di Shore Capital.
Lo chiamano rallentamento.
Pudico eufemismo.
Il processo che quegli analisti descrivono - prezzi bassi ma nessuno compra, aspettando che abbassino ancora - si chiama «deflazione» ed è il segno che la recessione sta per diventare «depressione».
Qualcosa del genere sta avvenendo anche in Italia nel settore immobiliare.
Nei modi rallentati propri di un mercato ingessato, come il nostro, da vincoli di locazione, tasse e spese notarili.
Ma il segnale che il boom della case sta cedendo viene da un breve articolo apparso su 24 Ore e segnalatoci da un lettore: «Arrivano i saldi immobiliari. La sede italiana del gruppo americano Remax ha presentato a Milano una maxi operazione di sconti che riguarda 500 tra i 10mila immobili detenuti in portafoglio e pubblicati online. Il motivo è il riconoscimento che il mercato immobiliare sta rallentando: il numero di compravendite nel 2008 è previsto in calo del 7% (fonte: Scenari immobiliari), il tempo medio di attesa è salito a 5 mesi (fonte: Nomisma)».
La Remax è un’agenzia immobiliare, tipo una grossa Tecnocasa.
Ecco come ha fatto: «Lo scorso 15 ottobre Remax Italia ha stampato i prezzi di tutti gli immobili presenti sul proprio sito; ha consegnato l’elenco al notaio; ha chiamato tutti i proprietari chiedendo loro se volevano partecipare all’iniziativa e ha registrato la percentuale di sconto che i proprietari interessati erano disposti a fare».
La manovra è ragionevole.
In Italia, i proprietari che hanno messo in vendita la casa tengono duro chiedendo prezzi da boom, ormai irrealisti, anche perché questi proprietari-venditori di solito non hanno un mutuo da pagare su quella casa, e dunque possono aspettare.
Ma i compratori non si fanno avanti, anche perché loro il mutuo devono accenderlo, se non vedono prezzi più bassi.
Il mercato è dunque immobile, cinque mesi per vendere un appartamento, calo delle compravendite del 7%.
La Remax tenta giustamente di rimettere in moto il mercato (se no lei non vede le grasse commissioni) chiedendo ai venditori di aderire volontariamente a ribassi, più realistici.
Ed ecco il risultato secondo 24 Ore: «Ha aderito all'iniziativa il 5% dei proprietari che in media ha scontato il prezzo dell’immobile dell’8,8% (Milano 8%, a Roma 12%, a Novara 25%). Meno dell’11,3% di sconto medio previsto da Nomisma per quest’anno, ma pur sempre una base di partenza della trattativa a un prezzo più basso».
«Si tratta di immobili di 220 località diverse proveniente per il 55% da Lombardia e Piemonte. Il valore medio dell’immobile scontato è di 268mila, superiore alla media di 250mila del valore degli immobili compravenduti riscontrata da Nomisma nel secondo semestre 2007 (per gli immobili acquistati con mutuo). Il picco massimo degli sconti (-47%) è stato raggiunto a Torino con un immobile che da una richiesta di 38mila euro è sceso a 20mila euro. Il valore degli immobili, che saranno online lunedì (i ‘saldi’ andranno avanti fino al 29 febbraio), va da 40mila a 4 milioni di euro».
Dunque: saldi di case in regioni «ricche» e assetate di tetto, Piemonte e Lombardia.
Tipici buoni appartamenti da 3-4 locali.
Lasciando perdere la super-offerta dell’immobile di Torino offerto col 47% di sconto (sarà un garage umido…), sembra conveniente.
Si può pensare che parecchi corrano a comprare con lo sconto di fine stagione.
Invece no.
Lo consiglia anche 24 Ore: «Lasciarsi ingolosire dall’offerta conviene davvero? Se si acquista con uno sconto del 10% oggi, in effetti, si corre il rischio che a fine anno il calo del mercato risulti analogo. Il rendimento dell’investimento da rivalutazione dell’immobile, in questo caso, sarebbe di fatto nullo. Insomma, chi può rimandare l’acquisto farebbe bene ad aspettare da qualche mese a fine anno per capire dove va davvero il mercato».
Dunque anche il giornale della Confindustria consiglia: aspettate a comprare casa, fra qualche mese i prezzi saranno ancora più bassi.
E’ il meccanismo psicologico che porta alla deflazione.
E presto coinvolgerà tutti gli acquisti che possono essere rimandati, con le conseguenze storiche della deflazione.
Presto offriranno sconti su auto, computer, elettrodomestici, iPod, telefonici ed altre carabattole elettroniche, poi scarpe e vestiario.
Non dite: bello, finalmente i prezzi calano!
Se potessimo mangiare computer e iPod sarebbe bello, ma mangiamo grano e carne e latte, che rincarano su scala mondiale, e vengono trasportati dal petrolio, che rincara e rincarerà per la domanda crescente dei nuovi consumatori-giganti, Cina e India.
Per le imprese, non sarà bello per niente.
Perché le imprese sono indebitate, e se non vendono non servono il debito con le banche.
Dapprima offriranno sconti; poiché la gente aspetta altri ribassi, i loro magazzini e piazzali si affolleranno di invenduto, e costeranno di più.
Arriva il punto in cui i profitti, limati, non bastano a pagare le rate dei fidi.
Cominceranno a fallire, con perdita di esportazioni, produzione, lavoro, profitti, disoccupazione crescente.
Per l’Italia, il processo sarà aggravato non primariamente - come in Gran Bretagna e in USA - dalle follie della finanza speculativa e dai consumatori stra-indebitati, ma dalla tassazione spoliatrice di Visco, peggiorata dalla truffa dell’IVA.
Lo Stato non paga i crediti IVA alle imprese, è noto.
Visco ha abolita la norma che consentiva di defalcare i crediti IVA compensandoli con altri contributi dovuti (altre tasse, contributi INPS, eccetera).
I piccoli imprenditori devono pagare l’IVA che non devono (e che non si sa se rivedranno mai restituita), e pagare anche le tasse e i balzelli più esosi d’Europa, mentre vendono meno e con profitti minori.
Aggrediti da tutti i lati, dallo Stato e dal mercato, soccomberanno presto.
La restituzione dell’IVA diventa cruciale per le piccole imprese, per quelle marginali: è il denaro liquido che serve loro per continuare ad operare.
Siccome Visco se lo trattiene, le imprese devono procurarsi denaro in banca, ad interessi che non scenderanno certo.
Visco dà il colpo di grazia ad un’economia reale che già arranca, sfiancata e meno produttiva delle altre europee.
Dunque ecco il futuro: avremo deflazione (prezzi calanti) per auto e iPod, di cui possiamo fare a meno, ma inflazione dei beni necessari ogni giorno, cibo, carburante, riscaldamento.
Naturalmente Visco dovrebbe accelerare almeno i rimborsi IVA.
Pensate lo farà?
Nemmeno per sogno.
Lui e l’altro complice Padoa Schioppa hanno appena ricevuto le lodi di Almunia, l’eurocretino: bravi, avete ridotto il debito pubblico all’1,3% del PIL.
Trichet, il governatore della Banca Centrale Europea, ha aggiunto: state solo attenti all’inflazione e ai prezzi.
Trichet si preoccupa dell’inflazione, mentre ci sono segni di delazione (in certi prezzi).
Anche la Federal Reserve di Chicago, nel 1929, si preoccupava dell’inflazione, mentre la deflazione era in pieno corso (2).
La FED rialzò i tassi d’interesse per due volte nel 1931.
Trichet sta facendo lo stesso.
Incompetenti, contabili e non economisti.
Ad Almunia non importa un fico che il «risanamento» sia stato ottenuto non con la riduzione della spesa pubblica corrente (anzi, aumentata quasi del 4%), né con la riduzione degli interessi sul debito (aumentati del 12,2%), bensì esclusivamente con l’ipertassazione: più 13% dalle imposte dirette (chi di voi ha guadagnato il 13% in più, l’anno scorso?), aggravio delle imposte indirette (più 4%), dei contributi sociali (più 5,8%, con pari aumento del costo del lavoro) e addirittura un aggravio del 40,6% delle imposte in conto capitale (praticamente raddoppiate: e sono imposte che intaccano non il reddito dei contribuenti ma il loro patrimonio o capitale, quindi la capacità di azione imprenditoriale).
Ad Almunia non interessa il trucco del mancato pagamento dell’IVA, vera truffa di Stato a danno dei cittadini.
E nemmeno l’altro trucco nei conti di Padoa Schioppa: le minori uscite sono dovute in grande parte al blocco degli «investimenti pubblici».
Lo Stato smette di spendere in infrastrutture pubbliche che servono all’economia, ma non smette di spendere per i suoi stipendi, auto blu ed aerei.
Anzi la spesa corrente sta per aumentare di nuovo perché pende il contratto del pubblico impiego: gli statali vogliono i loro 4-5 miliardi di euro di aumento complessivo, più il recupero dell’inflazione.
Lo vogliono da noi contribuenti che non abbiamo aumenti, e men che meno il recupero dell’inflazione.
Il «risanamento» lodato di Padoa Schioppa è dunque insostenibile nel tempo.
Quando gli statali avranno i loro aumenti, già non ci sarà più.
E i contribuenti dovranno pagare forse un 10 miliardi aggiuntivi.
Ce la faremo?
Alla fine, calerà anche l’introito tributario, per forza: i falliti non pagano tante tasse, e nemmeno i disoccupati.
E nemmeno i proprietari di case invendute pagano più le super-imposte sugli immobili, imposte in conto capitale, quelle che sono raddoppiate.
Come dice Tremonti: «E’ l’economia che determina i conti pubblici, non il contrario».
Visco e Padoa Schioppa credono giusto l’opposto, che i conti pubblici siano una variabile indipendente dall’economia, e che si possa «risanare» il debito pubblico a forza di tasse spoliatrici mentre i produttori smettono di produrre per la depressione mondiale.
Vedremo chi ha ragione.

fonte:tratto da M. Blondet

12 gennaio 2008

Perchè le banche hanno questo potere?


Anche senza essere economisti, si intuisce che la quantità di moneta necessaria ad una comunità sia quella che riflette i beni ed i servizi presenti sul mercato, più una quantità di denaro che permette alla comunità di fare investimenti che poi porteranno benessere a tutti.
Investimenti che riguardano la sfera della persona come la preparazione culturale (scuola),l’assistenza sanitaria, per passare poi alle infrastrutture (strade, ponti ecc.), ricerca e applicazione di nuove tecnologie e via dicendo.
Nelle comunità semplici dove si usava il baratto non era possibile fare tutta questa serie di investimenti semplicemente perché questi hanno la caratteristica di dare i loro frutti in un futuro mentre il baratto prevede solo lo scambio di beni già presenti. In questo tipo di comunità l’unico investimento possibile era il risparmio, ad esempio si toglieva una quota di semi di grano dal raccolto che permetteva la semina l’anno successivo e negli anni buoni si poteva pensare di scambiare la quota in surplus magari con un bue che sarebbe andato ad agevolare il lavoro dei campi.
Nel mondo moderno, con l’avvento della moneta, le comunità si sono potute evolvere in poco tempo grazie alla possibilità di anticipare la ricchezza futura attraverso l’indebitamento. Indebitarsi infatti non significa altro che materializzare guadagni futuri. Un artificio che consente alla comunità nel suo insieme di poter progredire molto più velocemente. Non ho sufficienti soldi per comprare quel macchinario che mi consentirà di aumentare la produzione? Mi faccio anticipare il guadagno che avrò da questo investimento e restituirò quanto mi è stato anticipato con l’incremento di lavoro. Lo stesso accade, o meglio dovrebbe accadere, allo Stato che dovendo costruire una strada si indebita con se stesso (la comunità) per materializzare le risorse per costruire quella strada che permetterà alla comunità di viaggiare meglio e fare scambi con maggiore facilità.
In questo quadro l’indebitamento assume una funzione di acceleratore dello sviluppo sociale. La banca quindi assume la funzione di “pompa” che rimette in circolo la ricchezza,moltiplicandola e svolge così un compito nobile, di cuore dell’intera comunità.
Così sarebbe se si limitasse ad anticipare ricchezza futura e per questo servizio chiedesse un giusto compenso, ma…
Eh sì anche qui c’è un “ma” e grosso come una casa: la banca non solo immette ricchezza futura (investimenti) che poi ritornerà alla comunità come incremento della ricchezza permanente, ma anticipa anche denaro che MAI si tradurrà in ricchezza reale e per questo, attraverso il debito impoverisce anziché arricchire. Anzi così facendo si impadronisce progressivamente di tutte le ricchezze attualmente disponibili.
Lo ritenete impossibile? Niente è impossibile se si può creare denaro e chiedere un interesse. Ora andiamo vedere come accade.

Abbiamo visto la funzione sociale che la banca assumerebbe se si limitasse a fare da cuore del sistema facendo circolare la ricchezza creando così altra ricchezza. Per questo prezioso servizio la banca è lecito che richieda un compenso, ma niente oltre a questo perché si limita a materializzare la ricchezza che verrà restituita da colui che metterà in opera l’investimento. Addirittura il solo fatto di esistere è una ricchezza per la comunità e per questo la persona dovrebbe ricevere quel tanto che gli permetta di vivere decorosamente e tutto questo sarebbe possibile senza togliere niente a nessuno, attualmente questo non è possibile semplicemente perché le istituzioni finanziarie hanno stravolto il loro ruolo all’interno della comunità, sia essa locale, nazionale o internazionale.
Le banche, infatti, oltre a farsi pagare il servizio, applicano anche un tasso di interesse. Il tasso di interesse non intacca la bontà dell’investimento se la ricchezza che riuscirò a produrre sarà superiore a quello che mi costa reperire le risorse. Il fatto è che la banca indebita anche per la vita normale dell’azienda (anticipo fatture, cassa ecc.) e anche per la vita quotidiana dell’individuo (auto, frigorifero, televisione ecc.) non solo investimenti che produrranno ricchezza, per questo a lungo andare il tasso di interesse impoverisce anziché arricchire.
Oltre a questo la banca non si limita a “pompare” nel sistema i depositi dei correntisti, cioè la ricchezza che viene risparmiata e che rimarrebbe inutilizzata, ma su questi crea denaro elettronico e magicamente anticipa quella ricchezza che dovrebbe essere creata. Anche qui non facciamo gli ortodossi e non la condanniamo per questo perché rientrerebbe comunque nella sua funzione sociale di anticipare una ricchezza che arriverà dall’investimento.
Il problema è che la banca ormai da molto tempo si è allontanata dalla sua funzione di aiuto e sostegno all’economia e ha utilizzato in modo “distorto” questa possibilità a tal punto che il sistema bancario può arrivare a prestare oltre 50 volte quello che i correntisti hanno depositato, annullando qualsiasi legame con l’economia reale.
Infatti la riserva obbligatoria delle banche oggi è al 2% ed in alcuni casi allo 0% e questo significa che il moltiplicatore bancario è (1/0,02-1) = 49; Tanto per capirci 100 euro depositati con i vari passaggi nel sistema possono “lievitare” fino a diventare 4.900, molto di più con riserva 0, semplicemente con un click del loro computer.
Potete trovare vari riferimenti nel gruppo di centrofondi dove si è svolta questa discussione, grazie a tutti coloro che hanno dato il loro contributo http://groups.google.com/group/centrofondi?hl=it
http://studimonetari.org/articoli/riservafrazionariaduepercento.html articolo di Marco Saba
http://www.centrofondi.it/articoli/credito_bancario_Munerotto.pdf studio di Federico Munerotto
http://www.centrofondi.it/articoli/Magia_Frazionaria.xls simulazione in excel di Davide911
Sui numeri e le percentuali della riserva obbligatoria consultare anche la Tav. 5 a pag. 11
http://www.bancaditalia.it/statistiche/indica/pimemo/pimemo08/pimemo08/suppl_01_08.pdf
Questo “scollamento” dall’economia reale ha creato dei potenti squilibri che oggi sono sotto gli occhi di tutti: l’indebitamento oltre ogni ragionevole limite
che si è impennato dopo gli anni ’90, che ha le caratteristiche tipiche della crescita
esponenziale degli interessi come abbiamo già avuto modo di esaminare nel report “A
quando la fine del paese dei balocchi” http://www.centrofondi.it/report/report_06_01_07.pdf e che si ritrova anche nelle famose curve di LaRouche www.movisol.org
In queste curve appare evidente come, al crescere del tempo, gli aggregati finanziari e monetari hanno un andamento esponenziale a danno dell’economia reale che invece decresce velocemente.
Episodi come la globalizzazione e lo sdoganamento della Cina hanno avuto l’unico scopo di procrastinare questo meccanismo perverso mascherando le reali condizioni del mondo economico.
Oltretutto dobbiamo pensare che il sistema bancario fruendo di leggi che gli impediscono di portare in bilancio la reale situazione (il denaro creato elettronicamente dal nulla) grazie agli accordi GAAP (Generally Accepted Accounting Principles), evade agli stati cifre esorbitanti, in Italia svariate centinaia di miliardi di euro, che da soli ridarebbero slancio alle economie in crisi. Ma non è ancora tutto. Dal 1998 con l’ultima riforma bancaria che porta il nome di Mario Draghi (vi ricorda qualcuno?) e fatta guarda caso con l’inasprirsi della curva del debito, le banche si sono tolte, con l’avallo dei politici, anche il divieto di entrare nei consigli di amministrazione delle società da loro finanziate, con il risultato che oggi oltre il 90% delle aziende sono governate e sono di fatto di proprietà dei gruppi bancari. E purtroppo la situazione si aggraverà ulteriormente quando si sentiranno gli effetti devastanti di Basilea2 che alzerà la riserva obbligatoria chiudendo repentinamente il rubinetto del credito con la conseguenza che moltissime aziende si ritroveranno nell’impossibilità di rientrare dalle linee di credito che gli erano state concesse a causa delle pessime condizioni dell’economia.
La situazione è molto critica e necessita da una parte dell’intervento della politica, quella sana, che imponga al sistema bancario una moratoria condonando almeno il 40% degli interessi dovuti, come chiede per i mutui l’economista Nino Galloni nel suo ultimo libro “Il grande mutuo” editori riuniti, liberando così risorse economiche indispensabili alla vita di un paese.
La politica poi dovrà farsi carico di far pagare le dovute tasse al sistema bancario, che poi si potrebbe anche accontentare della restituzione del capitale senza gli interessi visto che ha creato solo elettronicamente quel denaro. Riportare alla funzione sociale il mondo bancario è la priorità di questo periodo.
Nell’attesa che la politica faccia il suo dovere, ma visto l’andazzo della “casta” dovremo ricordarglielo noi, dobbiamo attivarci sganciandoci dal treno impazzito della globalizzazione, ritornando a risanare le economie locali, ricostruendo il mercato, oggi distrutto, alle nostre imprese e dando nuovo potere di acquisto alle famiglie attraverso l’adozione dei Buoni Locali http://www.centrofondi.it/report/scheda_BuoniLocali.pdf .
Altro sistema non c’è e il tempo ormai è scaduto quindi gambe in spalla e al lavoro che dobbiamo ricostruire di nuovo il nostro mondo!

Fonte: Centrofondi.it

10 gennaio 2008

Un miliardo di dollari per il TRADING?


Nonostante le varie crisi i mercati borsistici rilevano una elevata liquidità.
Le " mani forti" hanno in mano il mercato e lo muovono a loro piacimento. Il caso petrolio e oro troppo forte sono indici di situazione esplosiva. Ma sono veri questi indicatori o sono manipolati come PIL e debito?
Un caso emblematico lo ha scoperto la rete di Etleboro alla FED.


Dinanzi a noi si apre l'ennesimo canale virtuale finanziario, ma stavolta i soggetti coinvolti ricoprono un ruolo di importanza primaria sulla scena internazionale. Un cittadino di Singapore , Teo Hui Kiat, deposita presso la Federal Reserve dei titoli emessi dal Tesoro Americano dal valore nominale di oltre US$ 500.000.000, presenti sulla piazza finanziaria svizzera. Sulla base della documentazione che vi mostriamo la Federal Reserve prende in custodia i suddetti titoli, per un valore complessivo di 1 miliardo di dollari, emettendo un "custodial safekeeping receipt" ( ricevuta di deposito ) , autenticato dalle firme del Governatore Bernard Bernanke e del Vice-Governatore Roger W. Ferguson. I titoli, oggetto dell'operazione, circolano al momento sulle piazze finanziarie svizzere, e sono utilizzati in programmi di trading.
Come noto, tutti i programmi di rating sono tassativamente vietati dagli organi internazionali, essendo operazioni che, movimentando grandi somme di denaro a fronte dell'emissione di un titolo virtuale - spesso inesigibile e infruttuoso - nascondono tentativi di speculazione e di riciclaggio. Allo stesso tempo, notiamo che la prassi dei controlli da parte delle Istituzioni è rigida e impenetrabile, proteggendo spesso il sistema vizioso Trader-Istituto di credito. La crisi subprime ha appunto dimostrato il fallimento del sistema di supervisione e di controllo delle Istituzioni governative sul sistema bancario e finanziario. Così il mancato intervento da parte dell'Istituto di vigilanza equivale ad una complicità, lasciando il sospetto che sia l'ente emittente stesso ad utilizzare il titolo per scopi estranei a quanto stabilito dai regolamenti del mercato e dalle leggi nazionali e internazionali.
Occorre infatti considerare che tali titoli di debito al portatore, denominati per cifre molto elevate, possono essere utilizzati - nonostante siano le società di Trading a reperirli e certificarne la validità - da parte di Banche, Fondazioni e Multinazionali per creare grandi fondi dal nulla, medianti i quali costituire assets, liquidità e tesorerie. Il tutto viaggiando sul limite della legalità consentita e al di sopra delle normali condizioni stabilite per le transazioni, anche se dall'ammontare irrisorio. Un paradosso che sfiora l'assurdo, considerando che proprio recentemente le misure di contrasto al riciclaggio e al finanziamento illecito sono state inasprite, in relazione alla necessità di controllare ed eliminare le fonti di finanziamento al terrorismo.

A rivelare l'illiceità dell'operazione dovrebbe essere la fonte emittente dei titoli stessi - facendo così ricorso alle liste dei titoli non validi esistenti sul mercato - oppure lo scopo della transazione: rappresentano questi i controlli che la Banca Centrale e o l'Istituto di credito dovrebbe effettuare per garantire sicurezza e trasparenza sul mercato. Qualora tuttavia, i controlli non vengano fatti e si venga a creare una rete tra i diversi attori che va a eliminare e nascondere le tracce, è ovvio che il cerchio si chiude e non esiste entità che può intervenire. È da tali meccanismi, chiusi e inavvicinabili dai Governi stessi, che scaturiscono le speculazioni su scala globale, la creazione del denaro e il finanziamento ai conflitti mondiali. Questo e nient'altro. Al di là della rete bancaria e finanziaria, circondata da una costellazione di società, non esiste altro canale per i cosiddetti terroristi o per i criminali: ogni operazione portata a termine accade perché è il sistema che lo permette, in quanto le regole all'interno cui muoversi sono prestabilite. Per tale motivo, possiamo affermare che la guerra finanziamento del terrorismo è la più grande bufala che i nostri politici abbiano inventato, per dimostrare il loro impegno nella lotta contro il crimine, contro le truffe o la corruzione. Da tempo però queste illusioni sono svanite, perché il sistema ha fallito, ha rivelato delle falle e tutti noi dobbiamo pagare ora per tali errori.

09 gennaio 2008

Il caos globale



Nell'intervista mandata in onda il 27 dicembre dalla National Public Radio, l'ex presidente della Federal Reserve USA sir Alan Greenspan ha ammesso candidamente che il sistema finanziario e monetario mondiale è spacciato. “La previsione che debbo fare”, ha affermato il primo regista delle bolle finanziarie degli ultimi vent'anni, “è che ad un certo punto si verificherà l'imprevisto, che ci metterà a tappeto ... Le probabilità di questo sviluppo stanno aumentando, mi pare, perché siamo entrati in zone vulnerabili”. Egli ha detto inoltre: “Siamo giunti ad una svolta e i miglioramenti straordinari verificatisi nell'economia mondiale negli ultimi quindici anni sono transitori, e stanno per cambiare ... Dunque, ritengo che si vada verso un ribaltamento di tutto questo processo”.
In effetti, le parole di Greenspan non descrivono le dimensioni del crac finanziario in corso, per il quale non esistono soluzioni di ordine “monetario”, come Lyndon LaRouche spiegò già in una webcast a Washington il 25 luglio scorso. Ai vertici dell'oligarchia finanziaria della City di Londra ci si rende conto che il crac irreversibile sta accelerando. Negli ultimi mesi sono andati in fumo attivi bancari per circa 1500 mila miliardi di dollari e un volume analogo è andato in fumo nei mercati borsistici. La crisi che colpisce nel primo trimestre del 2008, e che coinvolge il settore assicurativo e quello dei titoli derivati, sarà di dimensioni ben più drammatiche della crisi dei mutui USA del 2007, che al confronto sembrerà poca cosa.
Soltanto in questo contesto possono essere inquadrate e comprese l'ondata di assassinii politici, l'esplosione di scontri etnici e religiosi e la diffusione globale del caos. Nessuno di questi fenomeni può essere considerato un avvenimento locale o regionale. Sono tutti parte di un'unica strategia mirante ad un unico obiettivo globale: distruggere gli stati nazionali, lanciare la guerra asimmetrica mondiale, protratta per più generazioni, e consolidare il controllo sui giacimenti delle materie prime del pianeta nelle mani dei cartelli privati anglo-olandesi.
Jacques Attali, ex consigliere del presidente Mitterrand, ha recentemente riconosciuto il nesso tra la realtà finanziaria e l'esplosione del caos in un commento apparso il 3 gennaio sul settimanale finanziario francese L'Express: “Che l'assassinio di un leader dell'opposizione in un paese del Sud [Pakistan - ndr] scombussoli così gravemente i mercati finanziari asiatici, e con essi quelli del mondo intero, rivela la fragilità estrema del pianeta ... Il mondo intero sembra correre verso il precipizio. Come se si preparasse una collisione tra due treni a piena velocità”.
La paternità del caos globale non è da attribuirsi agli “anglo-americani” ma piuttosto ad un Impero Britannico “invisibile” ed all'estesa oligarchia anglo-olandese che esso serve. Qualche lettore potrà dubitare che Londra sia ancora il centro dell'impero, capace di scatenare il caos, ma da un punto di vista storico, i contorni di un impero britannico “invisibile” non sfuggono tanto facilmente.
Primo, praticamente tutti i centri finanziari offshore che dominano il sistema finanziario deregolamentato e globalizzato si trovano nelle colonie britanniche o olandesi. Secondo, da decenni gli inglesi dominano l'industria privata dei mercenari, imprese che operano in coordinazione con i grandi cartelli britannici delle materie prime che già posseggono gran parte dei diritti minerari in Africa, Australia e America Latina. Terzo, il Commonwealth delle Nazioni, presieduto dalla regina Elisabetta II, è composto da 53 paesi che rappresentano un quinto delle terre emerse ed una notevole percentuale delle risorse strategiche e della popolazione del globo.
Questo apparato è stato messo in moto per fomentare il caos e provocare i conflitti. Poiché il sistema finanziario globale non può essere “riformato” ed è certo che Londra non si sottometterà mai volontariamente ad una riorganizzazione fallimentare che consenta alle nazioni di ripristinare il proprio controllo sovrano sul credito e sulla moneta, essa non potrà che giocare l'unica carta che le resta, il caos globale.

La mano dell'impero dietro il caos globale

Le tessere principali che compongono il quadro del caos globale britannico:
* Pakistan: l'assassinio di Benazir Bhutto ha fatto precipitare il paese e l'intera regione nel caos. Mentre l'amministrazione Bush ha esibito in Pakistan la stessa incompetenza e cretineria sfoggiata nell'invasione e occupazione dell'Iraq, l'Inghilterra è riuscita a pervenire passo dopo passo al suo obiettivo strategico: frammentazione del Pakistan e creazione di un'entità separatista, “terra di nessuno”, sul confine con l'Afghanistan, che serve come fonte di instabilità a lungo termine, di guerra asimmetrica e di operazioni economiche di mercato nero, in particolare per i traffici di oppio della “Mezzaluna d'oro”.
Inoltre è assodato che parlamentari britannici hanno finanziato i separatisti fondamentalisti Beluci in Pakistan, che dall'Afghanistan sono stati espulsi agenti dell'MI6 britannico che guidavano e finanziavano i Talibani e che la polizia britannica in Iraq ha preparato l'invasione e poi le condizioni per frammentare l'Irak in tre parti: meridionale, centrale e regione curda.
* Thailandia: in un articolo del 19 dicembre, il settimanale finanziario britannico The Economist aveva messo in guardia l'ex primo ministro Thaksin Shinawatra, attualmente in esilio, che egli sarà il “Benazir Bhutto della Thailandia” se si azzarda a rimettere piede nel suo paese dopo le elezioni del 23 dicembre. Dopo l'assassinio della Bhutto, Thaksin ha dichiarato di temere per la propria incolumità. Inoltre la monarchia thailandese rischia una crisi di successione visto il peggiorare delle condizioni di salute del vecchio re. Il caos potrebbe facilmente diffondersi dalla Thailandia in tutta l'Asia Sudorientale.
* Malesia: Un gruppo minoritario della destra (Gruppo di azione dei diritti Hindu) si è andato affermando nel paese, che a Nord confina con la Thailandia. Ora l'arresto del suo leader, P. Uthayakumar, potrebbe sfociare in una destabilizzazione del paese. L'organizzazione vanterebbe collegamenti con i terroristi Tigri Tamil, il movimento separatista del Sri Lanka responsabile di un recente attentato dinamitardo nel paese costato la vita a diverse persone.
* Kenya: lo scoppio di violenze nel paese africano a seguito di elezioni contestate ha provocato la morte di 300 persone e lo spostamento di 250 mila rifugiati. La mano britannica in questa destabilizzazione, che minaccia di trasformarsi in un genocidio, è palese. In effetti, né il presidente Mwai Kibaki, né il leader dell'opposizione Raila Odinga possono in alcun modo sperare di mettere la situazione sotto controllo perché sono ambedue manipolati dalla Camera dei Lord. Il principale burattinaio è Lord Steel of Aikwood, esponente del partito liberal-democratico che è in contatto con Kibaki da 25 anni, ma che ha anche aiutato Odinga a creare il Partito Liberal-democratico del Kenya diventandone il presidente. Steel è stato socio di affari di Tony Buckingham, il fondatore di una delle più note imprese private di mercenari, la Executive Outcome. Egli figura inoltre nel consiglio di amministrazione della Royal Africa Society, organismo personalmente patrocinato da Elisabetta II e finanziato dalle grandi imprese minerarie come Anglo America, Rio Tinto e DeBeers. La società è presieduta da lord Holme of Cheltenham, collega di Steel, che siede nel board della Rio Tinto ed è membro del Privy Council, il consiglio della corona.
Fonte: movisol

Farloccolandia: mutui, perizie & company

Farlocco è un termine dialettale tipico nel Nord Italia utilizzato per individuare un'operazione fasulla o peggio ancora falsa, frutto generalmente di un imbroglio o una truffa. Farloccolandia è il nomignolo che mi sento di dare al nostro paese sulla base del comportamento del suo sistema bancario e parabancario. Sembra infatti che a distanza di qualche anno si stia riproponendo lo Schema Parmalat nella sua piena onnipotenza. In che consisteva lo Schema Parmalat, per chi non lo sapesse ancora? Molto semplice: quando una banca si rendeva conto che il prestito effettuato alla nota azienda di Collecchio era ormai inesigibile o inescutibile, allora si inventava una emissione obbligazionaria cartolarizzando il credito vantato alla Parmalat e si offrivano le fenomenali tranche obbligazionarie al pensionato babbaleo di turno. In questo modo si trasferiva il rischio di insolvenza (tipico dell'attività bancaria) sulle tasche dei suoi ignari correntisti o investitori.

Nonostante i drammatici appelli delle associazioni di consumatori all'interno di qualche talk show e le promesse farlocche della politica per un sistema bancario più serio ed onesto, lo Schema Parmalat è stato rispolverato e messo alacremente in catena di montaggio. Proprio come hanno fatto con i debiti della Parmalat adesso stanno facendo altrettanto con i mutui: infatti, le banche intuendo con largo anticipo i primi segnali di indigenza economica e di insolvenza finanziaria piuttosto diffusi nelle famiglie italiane, hanno provveduto a trasferire i mutui recentemente erogati negli ultimi anni dentro la pancia di qualche cosiddetto fondo di investimento immobiliare. Questi fenomenali fondi sono stati successivamente offerti a risparmiatori, fondi pensione o addirittura altri fondi di fondi, con la garanzia che si trattassero di investimenti a capitale protetto in virtù delle ipoteche che gravavano sugli immobili sottostanti ogni richiesta di mutuo.

Questa operazione è nota con il nome di cartolarizzazione, anche se per i risvolti indiretti che ha ed avrà sui vostri portafogli, sarebbe opportuno chiamarla sodomizzazione. Ancora una volta quindi, il sistema bancario scarica il suo rischio e le sue nefandezze sulle tasche di povere persone oneste inconsapevoli di quello che stanno per sottoscrivere. Quello che fa tuttavia terribilmente ribollire il sangue è sapere che la maggior parte degli istituti di credito continua a proporre ancora interventi integrali (quindi mutui al 100 %) per l'acquisto di immobili, nonostante quanto accaduto la scorsa estate e nonostante il mercato immobiliare sia visto profondamente in crisi per i prossimi anni. Ma allora per quale ragione si persevera a finanziare l'acquisto della prima casa a persone già in difficoltà ed indigenza economica, sapendo che stiamo andando incontro ad una voragine finanziaria che si trasformerà presto in una deflazione stile 1929 ?

Il profitto indiscriminato è la risposta a questa domanda. Adesso si riesce a percepire addirittura la volontà (quasi politica) a finanziare per il 100 % solo i più morti di fame (extracomunitari senza denaro in tasca, precari a singhiozzo, ragazze madri in aspettativa) perchè solo a loro si possono proporre le condizioni di indebitamento fuori dalla media di mercato (e quindi più remunerative per la banca che le concede). Eh sì, perchè vi è una sostanziosa differenza tra un mutuo erogato all'EURIBOR + 2 punti di spread ed uno erogato con appena mezzo punto di ricarico ! Di questi mutui e del loro periodico rimborso le banche non si preoccupano più di tanto, in quanto non appena hanno incassato finanziariamente le prime sei rate, questi fenomenali banchieri prendono il mutuo, lo cartolarizzano e lo piazzano sul mercato del risparmio gestito !

Addirittura esistono casi sempre più frequenti in cui l'importo del mutuo è calcolato sommando il costo dell'immobile con gli oneri di rogito e le prime sei rate del mutuo stesso ! Della serie: oltre al prestito, ti anticipo anche le prime sei rate, in questo modo sono sicuro che potrò cartolarizzare il mutuo senza grane o lungaggini in quanto il mutuo risulterà essere intestato ad un buon pagatore ! Sempre parlando di farlocchi, è doveroso sottolineare di quanto siano sempre più spesso gonfiate le perizie degli immobili oggetto di compravendita, le quali devono rappresentare un valore di mercato significativamente congruo per giustificare in taluni casi interventi addirittura superiori al 100 %. La fantasia a questo punto diventa il vero unico limite, infatti mi sono stati rappresentati comportamenti molto discutibili da parte di qualche circuito di franchising immobiliare che riesce misteriosamente a far lievitare persino l'imponibile della dichiarazione dei redditi del richiedente il mutuo, pur di far deliberare il finanziamento nel pieno rispetto del rapporto di congruità tra il peso della rata ed il reddito mensile effettivamente percepito.

Per questo motivo il crash che colpirà le principali economie sarà devastante, forse con un potere di detonazione addirittura superiore al passato 1929, in quanto grazie all'operato farlocco del sistema bancario adesso abbiamo fondi di investimento e fondi pensione che hanno nella loro pancia tutti questi mutui farlocchi destinati ad essere non pagati nel lungo termine con una garanzia immobiliare legata al valore di presumibile realizzo pesantemente contraffatta. In buona sostanza sono a rischio proprio investimenti che dovrebbero garantire il capitale protetto, ma per ovvie ragioni di architettura finanziaria non possono più esserlo. Ecco perchè la scorsa estate abbiamo visto fondi monetari perdere il 4 % in una settimana, rendimenti assolutamente incompatibili dal punti di vista tecnico, in quanto un fondo di liquidità non può per definizione essere soggetto ad una contrazione di valore di tale entità. Se però alcuni fondi immobiliari nati dalla cartolarizzazione forzata di mutui ad intervento integrale vengono spacciati per fondi monetari, grazie alla compiacenza delle agenzie di rating, allora tutto diventa possibile. Anche una sommossa popolare od un colpo di stato.

Eugenio Benetazzo

07 gennaio 2008

La privatizzazione finale dello Stato


Può suonare paradossale, ma è una seria e certa realtà giuridica: lo Stato italiano non è la Repubblica italiana voluta dalla Costituzione del 1948. È in radicale antitesi e contrapposizione con la Costituzione e con i fondamenti della medesima. Forse più di quanto lo sarebbe un ordinamento di tipo fascista. Perché in Italia siamo alla proprietà privata dello Stato e dei poteri politici.
L’articolo 1 della Costituzione afferma «L’Italia è una repubblica democratica. La sovranità appartiene al popolo». Al contrario, nello Stato italiano la sovranità economica, la sovranità monetaria, appartiene interamente ai privati. Ai finanzieri privati proprietari di Banca d’Italia. Sì, la Banca d’Italia non è degli Italiani, non è dello Stato: è di finanzieri privati.
La sovranità economica sull’Italia appartiene anche alla Banca Centrale Europea, che, in base al Trattato di Maastricht, è un’istituzione autocratica sopranazionale, esente da ogni controllo democratico e persino giudiziario, gestita da un direttorio nominato dal sistema delle banche private. I suoi direttori sono esonerati da ogni responsabilità e decidono nel segreto. Una vera e propria potenza straniera, alla quale i paesi dell’Eurozona sono sottomessi..
Chi ha il controllo della moneta e del credito, ha il controllo della politica, e incassa il signoraggio sulla produzione della moneta e del credito – per l’Italia, si tratta di circa 800 miliardi di Euro l’anno. Chi ha il potere di fissare il tasso di interesse, di dare e togliere liquidità al mercato, ha perciò stesso il potere di dare e togliere forza all’economia, di far saltare i bilanci delle aziende private e degli Stati. Di costringere questi ultimi ad aumentare le tasse. Di ricattare parlamenti, governi, società. Come sta avvenendo. Come è sempre avvenuto, ad esempio, in America Latina. Bene: questo potere è in mano a privati, che lo esercitano in totale esenzione da ogni responsabilità e sorveglianza. Dicono che ciò sia bene, perché lo esercitano meglio dei politici, che sono corrotti e demagogici. Sì, meglio – ma per se stessi, non per la gente. Non per quelli che non riescono più a pagare il mutuo, e che perdono la casa, mandata all’asta dai banchieri, che la ricomprano attraverso loro società-schermo. Non per le imprese che chiudono o falliscono. Non per i contribuenti, non per i risparmiatori regolarmente truffati ad opera di banchieri privati (che poi forse ritroviamo azionisti di Banca d’Italia, da Parmalat a Enron a Cirio a Halliburton ai credit derivatives).
Veniamo alla Banca d’Italia. Fino al 12 Dicembre 2006, essa era un ente di diritti pubblico con uno statuto emanato per legge dello Stato, e questo statuto, al suo articolo 3, stabiliva che la proprietà della Banca d’Italia doveva essere per la maggioranza in mano pubblica aveva la struttura legale di una società di capitali privati, di una s.p.a., ma una norma – l’art. 3 – stabiliva che la maggioranza del capitale dovesse essere in mano pubblica e che nessuna cessione di quote potesse avvenire, se non a soggetti pubblici. In realtà, questa norma era sempre stata violata: la grande maggioranza delle quote della Banca d’Italia era in mano ai finanzieri privati (banchieri e assicuratori), e quando Prodi eseguì le privatizzazioni delle tre banche di Stato (BNL, CREDIT e Banca Commerciale) proprietarie di quote di Banca d’Italia, non trattenne quelle quote allo Stato, ma le cedette ai privati. Operazione contraria all’articolo 3, o perlomeno elusiva, a cui nessuno di oppose, a suo tempo. Berlusconi, verso la fine della scorsa legislatura, sollevò la questione della proprietà della Banca d’Italia, che doveva essere pubblica, e propose un piano per renderla tale. Ma il mondo bancario, e per esso Mario Draghi, nuovo governatore di Banca d’Italia, pose un secco veto: la Banca d’Italia deve restare privata. Un altro esponente del mondo e degli interessi bancari, Romano Prodi della Banca Goldman Sachs, andato al governo assieme al suo collega della Banca Centrale Europea, Tommaso Padoa Schioppa, si mise subito all’opera: se la legge è violata perché la proprietà della Banca d’Italia è al 95% privata anziché in maggioranza pubblica, non bisogna – sarebbe un sacrilegio – mettere la proprietà in regola con la legge, bensì, al contrario, mettere la legge in regola con la proprietà. Così si è fatto col decreto del 12 dicembre 2006, firmato da Napolitano, Prodi, Padoa Schioppa. Già! Prodi e Padoa Schioppa è ovvio che lo firmino – sono fiduciari dei banchieri. Ma che lo firmi Napolitano, un vecchio comunista, uno che era comunista nel 1948, quando essere comunisti significava essere stalinisti, intransigenti fautori della proprietà collettiva dei mezzi di produzione – che lo firmi Napolitano, è davvero il colmo! Dov’è il suo comunismo? Dov’è la difesa della Costituzione, per la quale doveva dare, se necessario, la vita? Dov’è la difesa del supremo principio della sovranità popolare? E del lavoro come fondamento della Repubblica, del lavoro che invece viene sacrificato all’usura? Napolitano doveva semplicemente rifiutarsi di firmare per far salvi principi essenziali della Costituzione che giurò di difendere.
In realtà, chi conosce i “comunisti” (non la base ingenua e idealista, ma i capi freddi e lucidi – non i Rubashov, cioè, ma i Gletkin del romanzo di Arthur Köstler, Buio a Mezzogiorno), sa che essi non sono comunisti, non gli importa nulla di socialità etc. – i capi “comunisti”, da Stalin in poi, hanno come scopo la conquista e la gestione del potere fini a se stesse. Non hanno un’identità ideologica: per questo fine, essi si servono di tutto, di ogni idea, di ogni uomo, dello Stato, dei principi, come di un puro mezzo, strumenti sostituibili. Sono tecnici della manipolazione sociale. Tutto il resto, per loro, è puerile romanticismo. Va bene per il popolino. Paris vaut bien une messe.
E i partiti della sinistra? Ebbene, si è visto anche nella vicenda Consorte: i partiti della sinistra seguono i finanzieri e si occupano di allineare la società agli interessi dei banchieri.

Marco Della Luna

05 gennaio 2008

Fisica, l’ora della rivoluzione


Al Cern, centro europeo di ricerche nucleari di Ginevra, sta per essere acceso l’acceleratore più potente del mondo

La ricerca fondamentale sembra oggi un po’ dimenticata di fronte agli straordinari entusiasmi per gli sviluppi tecnologici e ambientali. Ciononostante la ricerca fondamentale, quella esclusivamente guidata dal desiderio umano di conoscere e di sapere, è ora in una fase di straordinario progresso. E in questo gli enti europei Cern, Eso, Esa e italiani Infn e Asi continuano ad avere un ruolo determinante. Il 2008 si annuncia come un anno molto interessante per la fisica delle particelle e per l’astrofisica. La densità e la composizione della materia ed energia nell’Universo sono di importanza fondamentale.

Stiamo adesso arrivando ad una svolta, come è stato dimostrato dal premio Nobel per la fisica 2006 a John Mather e George Smoot per i loro studi sul Big Bang con il satellite Cobe, lanciato dalla Nasa nel 1989. Queste misure, che hanno aperto alla cosmologia il ruolo di una scienza esatta, proseguite con il satellite Wmap e il futuro satellite europeo Planck, stabiliranno con ancora più dettaglio il comportamento dell’Universo «bambino», nel primo istante in cui la luce si separò dalla materia, offrendoci oggi, 12 miliardi di anni dopo, questa meravigliosa immagine sferica dell’Universo incandescente.

LA MATERIA OSCURA DELL'UNIVERSO

Con simili misure si è riusciti per la prima volta a «pesare» l’Universo e a confermare con una precisione del 2% il valore predetto dalla cosiddetta teoria inflazionaria, basata sulla meccanica quantistica dei primissimi istanti della creazione dell’Universo. Oggi sappiamo, dunque, che la materia luminosa contribuisce solamente con una piccolissima frazione, lo 0.5% della massa dell’Universo, mentre la materia ordinaria, quella di cui è costituito il mondo a noi visibile, rappresenta solo il 6%. Quantunque le stelle siano straordinariamente interessanti e attraenti alla vista, esse rappresentano in realtà solamente una frazione piccolissima della materia e dell’energia complessive presenti nell’Universo.

Come risaputo da parecchi decenni, la maggioranza della materia e dell’energia dell’Universo sono «oscure », invisibili all’astronomo e quindi solo indirettamente osservabili attraverso gli effetti indotti. La fisica delle particelle elementari ha tra i suoi compiti principali anche quello di aiutarci a comprendere quale ne sia l’origine, accomunando la fisica dell’infinitamente piccolo delle particelle elementari e quella dell’infinitamente grande della cosmologia. E’ questo uno dei compiti principali del nuovo Lhc (Large Hadron Collider), che entrerà presto in funzione al Cern.

La fisica nucleare associata alla cosmologia ci ha permesso di ricostruire recentemente e con precisione il processo di nucleosintesi degli elementi della materia ordinaria (per intenderci i noti elementi della chimica) che, come descritto nel famoso libro di Steve Weinberg, avvenne nei famosi «tre minuti» dopo il Big Bang. Sappiamo oggi che questa materia ordinaria, quella di cui noi ed ogni oggetto esistente sulla Terra sono costituiti, rappresenta solo una piccola frazione della materia ed energia dell’Universo.

Tutta la materia con cui siamo a visibile contatto fa parte di questo 6%. E i rimanenti 94 %? Intuitivamente ci si aspetterebbe che l’Universo sia sinonimo di materia ordinaria. Oggi sappiamo che questa intuizione è grossolanamente falsa, come è dimostrato dal valore globale della materia osservata dell’universo e dalla forte insufficienza della nucleosintesi.

LE PARTICELLE «SUSY»

Sappiamo dunque che vi è molta più materia di quanto sia dato dalla materia ordinaria: quest’ultima non è la forma dominante della materia nell’Universo. Quantunque la quantità di questa materia oscura sia oggi compiutamente confermata da un gran numero di osservazioni, la sua vera natura rimane ancora un completo mistero. La fisica delle particelle elementari propone una soluzione attraente a questo problema ipotizzando che siano particelle elementari residuate dal Big Bang. Particolarmente interessante sono le cosiddette particelle «supersimmetriche», battezzate «Susy», di massa sufficientemente elevata per non essere state finora prodotte artificialmente ad esempio con l’acceleratore Lep del Cern, ma che lo potrebbero essere con la nuova grande macchina Lhc e i relativi esperimenti. Esse sono fortemente sostenute da teorie che hanno come scopo quello di unificare le forze della natura.

La possibilità che le particelle Susy possano anche costituire la materia «oscura» è una straordinaria coincidenza e un’alternativa da studiare con vigore, anche se evidentemente la soluzione del puzzle offre molte altre possibilità. Quantunque Susy sia un candidato convincente, i fisici delle particelle elementari lo devono ancora scoprire. Non va dimenticato che la Natura ha in riserva molte altre alternative tra cui altre particelle stabili, sufficiente pesanti e senza interazioni apprezzabili, genericamente chiamate Wimp, o Weakly Interacting Massive Particles, le quali potrebbero giocare il ruolo della materia «oscura». L’enorme numero di particelle «oscure» generate dal Big Bang nel cosmo, sia Susy o altre, dovrebbe produrre come conseguenza qui sulla Terra un impressionante flusso di milioni di particelle per ogni centimetro quadrato.

E’ quindi anche possibile ricercare questi Wimp grazie alle rarissime collisioni in laboratori sotterranei, dove la presenza di altri eventi ordinari è fortemente attenuata. Il ben più piccolo esperimento Warp nel Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, oggi in fase di avanzata realizzazione e a cui io partecipo personalmente, costituisce l’esperimento più avanzato mondialmente in questo campo.

L'ITALIA NON DEVE RIMANERE INDIETRO -

Evidentemente le due ricerche, quelle della produzione artificiale di tali particelle al Cern con l’Lhc e quelle dell’osservazione del flusso naturale proveniente dal Big Bang con Warp sono esperimenti complementari, ma ciononostante in diretta concorrenza per una possibile scoperta. Più in generale, al fine di dare risposta alle molte questioni fondamentali, nuovi dati sperimentali cosmologici e di laboratorio sono urgentemente necessari, sia in astronomia che nelle particelle elementari, come ad esempio nella ricerca di nuove particelle esotiche e non interagenti, e in fisica nucleare, ad esempio per comprendere a fondo la nucleosintesi. Abbiamo davanti a noi un affascinante e multidisciplinare periodo di scoperte, nelle quali gli esperimenti più precisi e sensibili saranno i migliori. E a tale fine, nuovi strumenti e, permettetemi di dirlo, anche nuovi finanziamenti sono necessari.

Ma, ancora più importante, è che oggi ci troviamo di fronte una vera concordanza nei primi istanti dell’Universo e una guida su dove dirigere la ricerca sperimentale. Questa situazione ricorda quella delle particelle elementari negli anni Ottanta quando fu completato il Modello Standard. La scoperta sperimentale nel laboratorio della natura della materia «oscura» e la sua dominanza nella dinamica del cosmo sarebbe una straordinaria rivoluzione di portata confrontabile alla rivoluzione copernicana quando fu compreso che la Terra non era il centro dell’Universo o alla rivoluzione darwiniana quando si capì che l’uomo era solo l’ultimo elemento di una lunga catena di evoluzioni della specie.

In questo nuovo ed eccitante periodo di sviluppi rivoluzionari, la scienza europea e in particolare quella italiana non possono restare indietro.

Carlo Rubbia

04 gennaio 2008

Stupidità globale?


Come si ricorderà, il 18 dicembre scorso la BCE inondò il mercato interbancario con 380 miliardi di euro a 2 settimane - somma astronomica che lasciò stupefatte persino le Banche Centrali anglo -americane - per dare liquidità alle banche che rifiutavano di prestarsi soldi a vicenda, sapendo di avere in pancia enormi buchi da perdite sub-prime e bisognose di costituirsi riserve.
Ebbene: adesso la BCE sta prosciugando l'alluvione che ha provocato, riacquistando almeno 300 miliardi di dollari dalle banche.
Lo chiede con un'asta di acquisto, offrendo il 4%.

E il bello è che le banche, che avevano bisogno disperato di questa liquidità, stavolta lo ridanno alla BCE: allo stesso tasso cui l'avevano preso in prestito, è vero, ma con una perdita secca.
Se avessero usato quel denaro per concedere fidi e prestiti anche a breve, avrebbero guadagnato di più.
Ma evidentemente stimano che il rischio di prestare, oggi, non valga il profitto (3).

Lo stesso fanno i banchieri anglo-americani: questi leoni del rischio, che negli anni scorsi, senza batter ciglio hanno comprato 1,8 trilioni di dollari di titoli confezionati con i mutui sub-prime (roba che puzzava lontano un miglio, data l'insolvenza dei debitori dei mutui), oggi corrono ad acquistare Buoni del Tesoro USA a 10 anni, come pensionati tremebondi.
Fra l'altro questi Bond di Stato decennali danno un interesse che è inferiore al tasso d'inflazione, e ancor più lo sarà perché l'inflazione non farà che crescere, e può perfino diventare iper-inflazione.
Cioè stanno facendo un cattivo affare per paura del rischio, come ne fecero prima uno pessimo per attrazione demenziale al rischio.
Sono questi i cretini globali che per anni ci hanno invitato ad affidare a loro i nostri risparmi, adducendo che loro sì erano i veri esperti della finanza, i veri competenti della speculazione.
La BCE d'altra parte riassorbe l'eccessiva liquidità di cui ha inondato l'Europa: e fa bene, anche se il costo dell'operazione, per noi euro-contribuenti, non viene rivelato.
Ma perché aveva creato quell'alluvione?
E perché le banche prima sono corse a prendere il denaro, ed ora corrono a restituirlo?

Secondo l'economista Francesco Forte, che fu ministro di Craxi, la BCE ha aiutato le banche alla «foto di fine anno», ad abbellire i bilanci che si chiudono il 31 dicembre.
Il bilancio annuale viene poi «reso pubblico l'anno seguente, come un fotofinish rappresentativo di una situazione che si suppone strutturale», ironizza Forte- ma strutturale non è.
I malati si sono fatti dare il belletto per tingersi le guance.
Pura cosmetica finanziaria.
Così, mentre le banche si sono messe il fondotinta per il fotofinish e sembrano sane, ottocentomila americani, nella sola seconda metà del 2007, hanno cominciato le pratiche d'insolvenza che le porterà a perdere la casa d'abitazione per pignoramento.
Nel mondo anglosassone, le perdite dei privati e delle banche ammonteranno - secondo le valutazioni di Evans-Pritchard del Telegraph - a un trilione di dollari, il che porterà come conseguenza una restrizione del credito di 4 trilioni di dollari.

Un governo serio come quello giapponese si prepara ad acquisti in massa di granaglie sui mercati mondiali, per assicurare alla sua popolazione riserve stabili in tempi di prezzi crescenti (il frumento è rincarato del 71% in un anno, la soya dell'81%) e per costituirsi riserve d'emergenza nel caso di vera scarsità.
Il Giappone è il più grosso importatore mondiali di grani, e conta di aumentare le sue riserve, attualmente bastanti per uno-due mesi di consumo, a tre mesi (4).
Il Giappone del resto si prepara a un rallentamento, per il fatto che lo yen s'è apprezzato sul dollaro del 18%.
Il fatto che l'euro si sia apprezzato del 50, invece, non preoccupa i nostri cretini locali, eurocrati alla Padoa Schioppa, mentre persino la Germania sta rallentando.
L'importante è la cosmetica finanziaria e qualche trucco contabile creativo, ciò che essi credono essere l'economia.

In questa sfilata di cretini planetari non dobbiamo dimenticare i sindacati italioti, che - da quando Napolitano ha scoperto che c'è il carovita - minacciano lo sciopero generale per aumentare i salari, tutti quanti: come fare sciopero per l'alta marea, ma non è qui il punto.
E' come se CGIL CISL UIL fossero sbarcati da Marte due giorni fa, e non avessero invece partecipato da decenni a tutti i negoziati con Confindustria e governo, in base ai quali i salari nostri sono i più bassi d'Europa.
Con l'accordo collusivo dei sindacati cosiddetti «dei lavoratori».
Sono furbetti locali, ma la loro cretineria sta nel credere di riuscire, anche stavolta, a darcela a bere.
O avranno ragione loro?
In questo caso, i super-cretini siamo noi.

Maurizio Blondet

03 gennaio 2008

Le banche mondiali aspirate dal "BUCO NERO" del crack finanziario


LEAP/E2020 ritiene ormai che almeno un grande istituto finanziario americano (banca, assicurazione, fondo d'investimento) farà fallimento da qui a febbraio 2008 causando a sua volta la bancarotta di molti altri istituti finanziari e banche in Europa (in particolare nel Regno Unito), in Asia e nei paesi emergenti. Si tratta di un "buco nero" finanziario, secondo l'espressione usata da Tony James (1), presidente della Blackstone, che si è formato a partire dalla crisi "subprimes" americana.

I fattori scatenanti di tale evento sono ormai così potenti ed i segnali precorritori così numerosi, che, secondo i nostri ricercatori, la sua probabilità, di qui a tre mesi, raggiunge ormai quasi il 100%. È altrettanto certo per il nostro gruppo che le autorità finanziarie americane tenteranno di realizzare una rete protettiva di rimborso per evitare il contagio del panico all'insieme del sistema finanziario americano (2); ma l'ampiezza del fallimento toccherà immediatamente le istituzioni finanziarie più esposte negli Stati Uniti e nel resto del mondo. I paesi dove gli operatori finanziari sono i più legati agli operatori finanziari americani saranno dunque in prima linea: Regno Unito, Giappone, Cina in particolare (3).

I principali fattori scatenanti sono, secondo il nostro gruppo, quattro:
1. Riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti
2. Crollo accelerato del valore degli attivi detenuti da queste stesse banche sotto l'effetto della nuova regolamentazione bancaria US (FASB regulation 157)
3. Fragilità crescente degli assicuratori obbligazionari
4. Recessione economica negli Stati Uniti.

Questi fattori sono naturalmente da rimettere nel contesto generale che descrive LEAP/E2020 dall'inizio dell'anno 2006, cioè la crisi sistemica globale, che ovviamente i dirigenti politici, finanziari ed economici mondiali iniziano a temere (4). Il fatto che quasi da due anni le banche centrali, in particolare la Federal Reserve US e la Banca d'Inghilterra, come i principali operatori finanziari, siano stati sistematicamente in ritardo sugli eventi, lascia pensare che questa volta non adotteranno la misura giusta per la crisi bancaria se non solo dopo che si sarà consumato un evento ancora più drastico. È, in generale, il momento in cui è troppo tardi per impedire efficacemente il contagio della crisi a tutto il sistema.



Indice d'evoluzione del "morale del consumatore" dell'Università del Michigan (che include novembre 2007) - fonte Fed di Saint Louis /LEAP/E2020
In questo comunicato pubblico del GEAB N°19, LEAP/E2020 ha scelto di sviluppare la sua analisi della riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti. Fattore N°1 - riduzione drastica dei redditi delle banche che operano negli Stati Uniti
Così analizzata in dettaglio nella GEAB N°19, l'applicazione della norma FASB 157 fin dal 15 novembre 2007 esporrà direttamente il bilancio degli istituti finanziari che operano negli Stati Uniti alle conseguenze del crollo del valore di una parte importante dei loro attivi. E questa parte è in aumento costante, poiché la crisi dei "subprimes" è in realtà soltanto il catalizzatore di una crisi finanziaria più vasta che influisce ormai su tutti gli attivi finanziari americani (5). I Vari CDOs saranno d'ora in poi trascinati in questa crisi di fiducia generalizzata, mentre costituiscono una parte importante degli attivi bancari, poiché in questi ultimi anni le grandi banche sono uscite dal loro ruolo di prestatore per lanciarsi nell'investimento e nella speculazione, nel modo degli "hedge funds". Quest'ultimi hanno del resto rappresentato per più di un decennio una fonte crescente di redditi per le grandi banche internazionali. Ci si ricorda ancora degli onorari faraonici che gli "hedge-funds" ed i fondi per gli investimenti versavano alle banche(!) nel quadro delle loro operazioni multiple, fra cui i riacquisti in LBO ("Leverage Buy-Out", o riacquisto con effetto di leva finanziaria), fusione-acquisizioni (o M&A, "Merger and Acquisition") ed altre quotazioni in borsa (IPO, o "Initial Public Offering ")." Quest'epoca, tuttavia non così lontana (poiché si è conclusa quest'estate), è ora passata. Ormai gli "hedge-funds" si battono per non andare in fallimento. I fondi per gli investimenti scavano le loro perdite tentando di evitare di essere aspirati nel "buco nero finanziario" di cui parla il proprietario della Blackwater (già citato). I progetti di fusione-acquisizione sono ad un punto morto. Così, nel settore tecnologico (mercato per eccellenza delle fusioni-acquisizioni), Wall Street ha visto l'importo delle transazioni passare da 99 miliardi USD nel terzo trimestre 2006 a 52 miliardi USD nel terzo trimestre 2007 (cioè un ribasso di circa il 50%) mentre la crisi del credito era ancora soltanto ai suoi inizi. Tuttavia la debolezza del dollaro US ha causato nel terzo trimestre 2007 una frenesia di acquisti europei negli Stati Uniti poiché i primi, per la prima volta, hanno speso quanto i loro omologhi nordamericani (6).

Il gelo delle LBO - fonte Dealogic

Le quotazioni in borsa a Wall Street, che aveva meglio resistito alla crisi estiva, ormai sono rimandate "alle calende greche" in attesa di giorni migliori. Così il numero di quotazioni in borsa di più di 1 miliardo USD è passato da 8 nel trimestre (nel terzo trimestre 2006) a 2 (nel terzo trimestre 2007). Questo fenomeno si rafforza come è stato illustrato da RWE, il produttore d'energia tedesco che ha deciso di rifiutare la quotazione in borsa della sua filiale American Water a causa della crisi del credito negli Stati Uniti (7); come Rusal, il gigante russo dell'alluminio che ha rimandato a data da definirsi la sua quotazione in borsa mentre prometteva di essere la più importante del 2007 con gli advisors che erano stati già scelti (cioè Morgan Stanley, JP. Morgan e Deutsche Bank) (8)
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Quanto alle LBO (quest'assemblaggi finanziari che permettono di comperare un'impresa utilizzando la ricchezza potenziale che essa nasconde (9), non soltanto il loro mercato si è praticamente estinto, ma le transazioni non hanno potuto essere congelate o annullate e così finiscono in tribunale come dimostra il caso emblematico di SallieMae, la società di prestiti agli studenti, e JC. Flowers (un fondo per gli investimenti molto attivo, ma che, paradossalmente, non ha siti web (10)). Del resto in ottobre, LBOs ha rappresentato soltanto il 5% delle transazioni di fusione-acquisizione contro il 31% del giugno 2007.

Grado d'esposizione delle banche US ai rischi legati ai prodotti finanziari derivati - fonte Contraryinvestor

Tutte quest'evoluzioni convergono nella stessa direzione, cioè la perdita di una fonte importante di redditi delle banche che operano negli Stati Uniti, che dunque si accumulerà alle conseguenze dell'applicazione della norma FASB 157 e della crisi dello CDOs, cioè la perdita di valore di una parte importante dell'attivo di queste stesse banche. Nel 2006 infatti, i redditi, provenendo per lo più dai loro onorari di advisors e dalle attività d’intermediazione per questi riacquisti, fusioni, acquisizioni, ecc.... hanno costituito il 27% del totale, con la più forte progressione registrata da sette anni (sette anni prima, nel 1999, eravamo alla vigilia dell'esplosione della bolla Internet!). D'altra parte, già nel 2006, questi redditi avevano dovuto compensare le perdite generate dai primi effetti della crisi dei "subprimes". Nel 2007, le perdite legate al mercato ipotecario sono letteralmente esplose rispetto al 2006, e, come si può constatare, i redditi degli advisors e degli intermediari nelle grandi transazioni finanziarie si sono prosciugati (11).
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Non c’è bisogno di essere un esperto per concludere che queste banche conosceranno tra la fine del 2007 e l'inizio 2008 una crisi molto grave che determinerà perdite che non si potranno affrontare. Ciò che si vede oggi, secondo LEAP/E2020, sono soltanto i segnali precursori di una crisi bancaria totale i cui fattori e le cui conseguenze per gli investitori ed i risparmiatori sono stati dettagliati nella GEAB N°19.

DIARIO DELLA CRISI FINANZIARIA

Continua, almeno apparentemente senza soste, la guerra per banche negli Stati Uniti d’America, ma non si scherza neanche in Europa e in Italia, e l’ultima battaglia è condotta a suon di dossier di valutazione dei concorrenti, un gioco nel quale il ruolo di assoluta protagonista è interpretato dall’ineffabile, potente e preveggente Goldman Sachs, che, giovedì, in un colpo solo ha gettato nel panico i vertici di Citigroup, Bank of America e J.P. Morgan-Chase con valutazioni sui conti delle tre banche USA nel quarto trimestre tali da farle stramazzare al suolo. Sarà un caso, ma colpisce che gli strali degli attenti e preparati analisti di Goldman si siano diretti contro le tre sole entità del vasto panorama finanziario che avevano, seppur obtorto collo, accettato di accogliere l’imperativo suggerimento dell’ex numero uno di Goldman e attualmente, non si sa per quanto viste le performance recenti, ministro del Tesoro di Gorge W. Bush junior, e si erano imbarcati nella ormai defunta avventura della realizzazione di quel MLEC che tanto ha contribuito ad aumentare il panico degli operatori e le perplessità di commentatori e analisti. Secondo i tre analisti un po’ teleguidati di Goldman, le tre banche USA dovranno spesare nel quarto trimestre dell’anno perdite complessive per la bellezza di 33,6 miliardi di dollari, così ripartite: 18,7 miliardi per Citigroup, 11,5 per Merrill Lynch e solo 3,4 miliardi (ma il dato rappresenta il doppio delle precedenti previsioni dei tre maliziosi analisti) per la più solida ed avveduta del trio che è rappresentata da J.P. Morgan-Chase. Ma la vera perfidia degli analisti di Goldman riguarda la povera Citigroup, che non solo è chiamata ad operare svalutazioni mostre dei titoli della finanza strutturata (in gran parte i micidiali collateralized debt obligations), ma si prevede che dovrà tagliare di ben il 40 per cento quel livello elevatissimo di dividendi che rappresenta l’unico motivo degli attuali e dei futuri azionisti di Citi per non seguire il perentorio sell emesso dai nostri tre analisti coraggiosi di Goldman a conclusione del loro rapporto. Pur a fronte delle mega svalutazioni previste per Merrill Lynch ed alla crescita esponenziale di quelle che toccheranno a J.P. Morgan-Chase, i nostri mantengono un giudizio tutto sommato lusinghiero di neutral, ma è evidente ai più che si tratta soltanto di una fase nell’escalation del processo di downgrade, ma anche del timore del committente dei giudizi dele possibili contromosse delle tre banche che hanno certamente messo all’opera i loro altrettanto numerosi ed agguerriti analisti con l’esplicita mission di fare e senza pietà le pulci ai già noti conti trimestrali ed annuali di Goldman. In attesa di assistere alle future puntate di questa guerra per banche, mi limito a segnalare che anche l’entità semi pubblica che si occupa di finanziare i genitori che vogliono assicurare un livello adeguato di studi ai propri figli, un’entità affettuosamente chiamata Sallie Mae, sta battendo cassa presso il mercato per un ammontare che dagli iniziali 1,5 miliardi di dollari è presto passato, vista l’aria sempre più brutta che tira, a 2,5 miliardi, anche se deve farsi largo tra le ben più grosse Fannie Mae e Freddie Mac che le loro massicce e pressanti richieste al mecato le hanno fatte già da qualche tempo. Ma quello che non ha giovato agli umori del mercato è stato il flop dell’attesissimo rimbalzo degli ordini di beni durevoli dopo il vero e proprio tonfo di ottobre e che si è invece tradotto in un miserrimo incremento dello 0,1 per cento (contro il +2,2 per cento atteso) ed un lieve recupero della fiducia dei consumatori per il futuro più o meno remoto, mentre il giudizio degli intervistati sul presente ha continuato a scendere precipitosamente verso livelli più bassi di quelli registrati solo un mese prima. Ma la vera campana a morto è suonata poco prima con il calo del 7,6 per cento delle richieste di nuovi mutui, una flessione che si è rivelata ancora più consistente nella componente del rifinanziamento degli stessi mutui, calato dell’8,5 per cento, mentre quella relativa ai nuovi mutui è scesa solo del 6,6 per cento,, con l’indice complessivo che si è portato a 603,8 dal massimo di 1.856,7 toccato nell’ormai lontanissimo, e non solo in termini temporali, maggio del 2003.; non è quindi del tutto casuale se i listini americani prima, quelli asiatici poi, per finire in modo leggermente più dolce nella conservatrice Europa, hanno accusato il colpo e, anche se ancora una volta al netto delle mani forti che da tempo si vedono sul mercato finanziario globale, hanno segnato ribassi di tutto rispetto. Nonostante abbia retto molto meglio del previsto e del prevedibile agli effetti della crisi finanziaria in corso, il comparto degli hedge fund inizia a sempre di più a fare i conti con gli effetti del credit crunch e non si contano più le chiusure o le limitazioni degli affidamenti facenti capo a banche sempre più nervose ed attente al rischio di controparte, mentre, per i finanziamenti e i committments residui sta salendo ogni giorno che passa il costo che i banchieri richiedono per la loro merce sempre più rara. Venendo all’Italia, non stupisce la notizia che racconta che Mediobanca, advisor sia della Banca Popolare di Vicenza che del Banco Popolare, ha chiesto alle due banche di cedere a sé stessa, con una spesa di 400 milioni di euro, le partecipazioni in una società di credito al consumo, denominata Linea, portandosi così al terzo posto tra le entità operanti nel lucroso mercato del credito al consumo e nel quale aveva già un posto di rilievo mediante la controllata Compass, ponendosi immediatamente alle spalle del gigante Findomestic contesa tra BNP Paribas e Intesa-San Paolo e della Prestitempo controllata da Deutsche Bank. Con questa operazione si semplifica ulteriormente il quadro dei soggetti dominanti questo importante segmento del mercato finanziario italiano, che, a parte le società controllate dai gruppi industriali e finalizzate all’acquisto a rate dei propri prodotti, vede l’assoluta prevalenza dei soggetti interamente controllati dalle banche a fronte di una pletora, ma dalle quote di mercato ridottissime, di società finanziarie. A costo di essere monotono e alla luce delle forti implicazioni sociali del crescente ricorso all’indebitamento da parte delle famiglie, ripropongo un mantra che sembra lasciare completamente indifferenti il Governatore Draghi ed il Governo, un mantra che può sintetizzarsi nella intollerabilità di un tasso di riferimento per il calcolo del tasso usurario valido per le banche e di uno, ben più elevato, applicabile alle società finanziarie. Ricordo che il diario della crisi è disponibile anche su www.diariodellacrisi.blogspot.com .
Marco Sarli Responsabile Ufficio Studi UILCA

Il nuovo anno all'insegna del crac finanziario


Quando i nostri lettori leggeranno il primo numero dello Strategic Alert del nuovo anno, le misure prese dai banchieri centrali per prolungare l'agonia del sistema finanziario con illimitate iniezioni di liquidità staranno per scadere, e inizierà una fase totalmente imprevedibile, in cui continuerà la disintegrazione del sistema con un altro grande tracollo tra gennaio e febbraio.
Le iniezioni di liquidità di Natale e Capodanno devono essere rifinanziate dopo il 3 gennaio, ma nelle ultime due settimane sono aumentate le perdite del sistema. Tali perdite richiedono ulteriori iniezioni di liquidità, che possono rapidamente giungere a ordini di grandezza superiori a quelle già effettuate, alimentando la spirale iperinflazionistica della speculazione sulle materie prime e sui generi alimentari basata sull'effetto leva. Al contempo, col nuovo anno, le misure previste da Basilea 2 entreranno in vigore anche negli Stati Uniti, conferendo alla situazione maggiore imprevedibilità: i crediti non verranno più elargiti sulla base dei criteri di capitalizzazione, ma sulla base dei rating, in una situazione in cui il rating AAA non vale più niente.
Come ha ribadito più volte l'economista e leader democratico Lyndon LaRouche, se i governi continueranno a tollerare questa politica, saranno destinati a cadere per aver ceduto la sovranità ai predatori finanziari. I predatori stanno già studiando gli statuti delle banche centrali per trovare il sistema di giustificare un rifinanziamento generalizzato. Stando al Daily Telegraph del 27 dicembre, gli insider stanno studiando un memorandum preparato da membri dello staff della Federal Reserve, in cui si esamina “che cosa si possa fare secondo lo statuto della Federal Reserve nel caso in cui fallisca tutto il resto.” Stando alla sezione 13 dello statuto, la Fed può prendere misure di emergenza nel caso in cui le banche diventino “riluttanti o non disponibili” a concedere crediti. In tal caso, può autorizzare la banca a “concedere il prestito a chiunque assumendosene ella stessa il rischio” e questo aprirebbe tutti i boccaporti senza ritegno, conducendoci “tra la Scilla della stretta creditizia e i Cariddi dell'inflazione”.
In un briefing allo staff dell'EIR il 28 dicembre, la presidente del Movimento Solidarietà tedesco Helga Zepp LaRouche ha sottolineato che in Europa, col sistema dell'Euro e della banca centrale europea, non esiste un provvedimento paragonabile a quello previsto dalla Fed. Questo significa che il patto di stabilità previsto dal trattato di Maastricht potrebbe costringere i governi ad aumentare le tasse e ridurre drasticamente la spesa in fase di recessione, pur di rifinanziare gli hedge funds.
fonte: movisol