15 marzo 2008

Se tuo voto vale 50 euro, tu quanto vali?


Fin quando nessuno vivrà il terrore delle proprie azioni tutto rimarrà immobile. Nessuno si rende conto della violenza dell'immobilismo un movimento gandhiano in modo inverso. Queste elezioni, inutili, anticostituzionali ed altro accresceranno il divario fra realtà e privilegi barocchi. Qualcuno interverrà? Ne dubito.

NESSUNO vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali" e ancor più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l'equivalente di cinque manovre finanziarie. Il titolo "La mafia s. p. a. è la più grande impresa italiana" fece il giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato ancora.

E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.

Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro. Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa ma che nessuno osa affrontare.

Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato.

Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.

Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.

Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E' una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '92 a oggi, le organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere.

Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l'inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell'emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l'esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco.

Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio.

La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all'Italia ferita dalle stragi di mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi rivolgo ai responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio". Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.

È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.

Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto all'insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione. A non svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce pagata per qualche mese.
Roberto Saviano

14 marzo 2008

I furbetti del Parlamento



Dopo i vari scandali e rinvii a giudizio dei furbetti che sfruttando le maglie della legalità e della posizione dominante si innescavano spirali di guadagno illecito come in un sistema multilevel, adesso è il momento dei deputati-cavalli che la legge elettorale vigente permette. Naturalmente è tutto legale, il voto elettorale è una merce di scambio per gli oligarchi di partito. Complimenti a loro.Vuoi vedere che tutti i partiti sono d'accordo su questo sistema elettorale? Ma tutti i cittadini sono d'accordo su questa legge?Questo è un paese che non ha nemmeno la sovranità elettorale

Ebbene sì, mentre il teatrino dell'oligarchia va avanti, con nuove (vecchie) comparse, la lobby dei "furbetti" delle scalate torna tranquilla in Parlamento...
Il PD candida senza pudore Massimo D'Alema (già graziato dalla prescrizione per una tangente dell'uomo della sanità pugliese legato alla SCU), Piero Fassino e Nicola Latorre [vedere ordinanza Gip Forleo ]. Ma anche il Pdl rivuole gli "scalatori" in Parlamento. Così, ad esempio, facendo finta di nulla, candida il buon vecchio Luigi Grillo non più nella sua Liguria, bensì nella lontana Puglia. Peccato che con la "rete" sia facile trovarlo! [vedere ordinanza Gip Forleo - formato .pdf]
La Lega Nord in Liguria candida il suo uomo del Bingo e della banca legaiola salvata dal Giampiero Fiorani, Maurizio Balocchi. L'UdC, che si sa ci tiene a ribadire "io c'entro", propone Totò "Vasa Vasa" Cuffaro appena condannato in primo grado per favoreggiamento di singoli boss mafiosi, come anche...
il buon vecchio Lorenzo Cesa coinvolto nell'inchiesta Why Not e già beccato con la valigetta di tangenti ai tempi del Ministro Prandini.

Gli amici di Cosa Nostra non potevano certo ridursi al solo Cuffaro ed allora ecco che il Pdl conferma Marcello Dell'Utri [sentenza] in ed il PD il Valdimiro Crisafulli (per cui Beppe Lumia chiede, inascoltato, da anni l'espulsione), tanto per citarne due, per iniziare. Ma tra i candidati al Parlamento non potevano mancare le chicche di Antonio Di Pietro (impegnato strenuamente tra il sostegno della Brebemi con il Testa -il suo socio bulgaro-, le "deviazioni" dei soldi pubblici destinati quali "rimborsi elettorali" all'Italia dei "Valori" ed il "collocamento" nei Cda). L'impropriamente detto "moralizzatore" [il dossier - il grafico] schiera, ad esempio in Liguria:
- l'irriducibile difensore della repressione cilena durante il G8 di Genova, Giovanni Paladini (che sia per far concorrenza a Claudio Scajola, candidato del Pdl?!?);
- Carmen Patrizia Muratore che abbiamo trovato in due società costituite a Genova, registrate nel Molise del buon Tonino e trasferite a Roma, insieme all'uomo della Gallipoli dalemiana - attivissimo a Genova con le società del Lazzarini, l'amico di Claudio Burlando -, Giuseppe Marzo.
Ma il buon Di Pietro schiera anche una giovane donna dalle buone premesse, Manuela Cappello, avvallatrice di scempi e abusi alla faccia della tutela del territorio e capace di grandi promesse, prontamente smentite [il caso di Davagna altri articoli sul caso nello speciale "speculazioni in Liguria" - il caso del Civ]
Ma questo è solo una premessa... a breve nuovi approfondimenti sui candidati di quella farsa chiamata "elezioni".

PS
Intanto in Calabria tutto si sta "normalizzando". Dopo il siluramento di De Magistris - con il contributo di quei "paladini della legalità" con le campagne ad personam da pecore - tutto porta a credere che i "sorveglianti" abbiano assicurato la "copertura" del Tempio. Infatti le inchieste di De Magistris rischiavano di rovinare la buona media calabrese: 1 sola condanna per corruzione ed 1 sola condanna per concussione in 20 anni! Così piano piano tutti vengono prosciolti, a partire dal già "graziato" Agazio Loiero, passando per Adamo e Pacenza... La Calabria secondo le sentenze definitive degli ultimi 20 anni è la regione più pulita d'Italia. Niente da dire... c'è da crederci, si potrebbe pensare che abbiano partecipato in molti agli stessi corsi di approfondimento del giudice che a Gela dopo 8 anni non ha ancora scritto le motivazioni della sentenza di condanna dei boss mafiosi e della moglie di Piddu Madonia, garantendo loro la scarcerazione per decorrenza dei termini. Si può sapere chi è il "venerabile maestro" di questi corsi? Tra i suoi aiutanti, vista l'abilità, deve per forza avere un buon "mancino" o qualche "maccanico"... chissà se mai lo sapremo, forse al prossimo "carnevale" scopriremo qualcosa lungo una vecchia o nuova "contrada"!
C.Abbondanza - S.Castiglion

13 marzo 2008

In memoria di Luigi Roca


Penso (e temo) che, purtroppo, il ruolo dei politici (e relativa responsabilità morale) sia oggi molto meno importante di un tempo. Gli stati hanno ormai completamente abdicato alla loro funzione, dopo essere stati comprati per un “piatto di lenticchie” e sono oramai governati solo dai potentati economico-finanziari, anche ad opera di istituzioni-fantoccio. E questo vale per lo smantellamento dello stato sociale così come per l'imposizione delle "politiche" del lavoro.

"Mi ammazzo perché insieme al lavoro ho perso la dignità". L'"ottava vittima" della Thyssen,[ Luigi Roca] 39 anni, non ha mai lavorato nella fabbrica della morte. Ma la sua azienda, la Berco di Busano Canavese, faceva parte del gruppo tedesco. E il suo contratto, interinale, non è stato rinnovato perché la Thyssen adesso ha 150 persone "da collocare", come si dice terribilmente in questi casi. Come se le persone fossero i pezzi di un incastro. Però Luigi era diventato il pezzo stagliato: di troppo, e già troppo vecchio. Trentanove anni, un'età da matusalemme se cerchi il posto fisso. Ma ci aveva creduto. Dopo quattro anni di rimbalzi, un mese, due mesi in fabbrica e poi a casa, era arrivato un impiego giusto, più solido. Durerà " .

Eventi come il suicidio di Luigi Roca, indicano quanto oggi sia grande la distanza tra la classe dirigente italiana e la realtà sociale. E non ci vuole grande dottrina sociologica per capirlo.
Da un lato abbiamo una campagna elettorale, intessuta di luoghi comuni, polemiche inutili, protagonismi imbecilli, e dall’altro un uomo di 39 anni, punta di iceberg di un malessere sociale sempre più diffuso, che si suicida, perché “insieme al lavoro ha perso la dignità”.
Il primo impulso, di chi scrive, è quello di gridare in faccia a coloro che governano (o che si apprestano a governarci) una sola parola: vergogna! Ma servirebbe a qualcosa? Chi ci legge crede che, ora, in campagna elettorale, di colpo, “il lavoro riacquisterà centralità”, come spesso si legge? Macché, tutto continuerà come prima.
Dal momento che siamo davanti a quello che si può indicare, usando un linguaggio oggi desueto, come il grande tradimento del “lavoro” da parte del "capitale". Una delle conquiste del capitalismo welfarista è stata quella di attribuire al lavoro, stabile, remunerato, una funzione di “securizzazione” sociale e di consenso democratico. Per una serie ragioni, tra le quali, in primis, la globalizzazione neoliberista, questo patto tra lavoro e capitale è venuto meno. Di qui la crescente diffusione di quella precarizzazione che ha spinto Luigi Roca, che credeva nella dignità welfarista del lavoro, al suicidio.
Perciò questa tragica morte non è frutto di contingenze individuali, ma rinvia causalmente a un preciso fenomeno strutturale. Che tuttavia, alla lunga, dal momento che il capitalismo ha necessità di lavoratori-consumatori, potrebbe innescare una crisi sistemica. Ma si tratta solo di una possibilità. Si pensi, infatti, alla crescente capacità, in particolare dell’apparato informativo e mediatico-simbolico, di raccordare, in chiave di ipocrita leggerezza post-moderna, la precarietà lavorativa a stili di vita liberi, soprattutto moralmente. E basati sulla "manna" del credito al consumo e sulle possibilità di accesso, pur ridotte, a ipnotici beni di status.
Probabilmente Luigi Roca, come lavoratore metalmeccanico, e dunque in certo senso “tradizionale”, avvertiva, come accennato, più di altri lavoratori flessibili ma istituzionalmente e culturalmente dissimili (ad esempio i lavoratori di un call center o di un supermercato), la cesura tra il vecchio mondo del “lavori” e il nuovo mondo dei “lavoretti”. Condizione che non voleva, anzi non poteva accettare. Di qui la percezione di un' assenza di "regole" lavorative certe, che ha condotto Luigi Roca a risalire gli accidentati e solitari sentieri prima della depressione e poi del suicidio.
Del quale sono moralmente responsabili quei politici, che in piena campagna elettorale, fanno finta di non vedere come molti lavoratori considerino la flessibilità (e la precarizzazione sociale che ne consegue) un vero e proprio tradimento morale, prima che economico, nei riguardi di una “dignitosa” visione del lavoro.
Certo, interna al sistema capitalistico, dunque poca cosa, ma che per Luigi Roca, e giustamente, era tutto. Luigi, in realtà, chiedeva solo un minimo di rispetto sociale. Legato a un lavoro sicuro, prima promesso e poi negato. E ora, invece, siamo qui a ricordarlo. Che tristezza.

C. Gambescia

15 marzo 2008

Se tuo voto vale 50 euro, tu quanto vali?


Fin quando nessuno vivrà il terrore delle proprie azioni tutto rimarrà immobile. Nessuno si rende conto della violenza dell'immobilismo un movimento gandhiano in modo inverso. Queste elezioni, inutili, anticostituzionali ed altro accresceranno il divario fra realtà e privilegi barocchi. Qualcuno interverrà? Ne dubito.

NESSUNO vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali" e ancor più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l'equivalente di cinque manovre finanziarie. Il titolo "La mafia s. p. a. è la più grande impresa italiana" fece il giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato ancora.

E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.

Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro. Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa ma che nessuno osa affrontare.

Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato.

Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.

Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.

Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E' una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '92 a oggi, le organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere.

Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l'inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell'emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l'esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco.

Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio.

La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all'Italia ferita dalle stragi di mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi rivolgo ai responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio". Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.

È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.

Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto all'insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione. A non svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce pagata per qualche mese.
Roberto Saviano

14 marzo 2008

I furbetti del Parlamento



Dopo i vari scandali e rinvii a giudizio dei furbetti che sfruttando le maglie della legalità e della posizione dominante si innescavano spirali di guadagno illecito come in un sistema multilevel, adesso è il momento dei deputati-cavalli che la legge elettorale vigente permette. Naturalmente è tutto legale, il voto elettorale è una merce di scambio per gli oligarchi di partito. Complimenti a loro.Vuoi vedere che tutti i partiti sono d'accordo su questo sistema elettorale? Ma tutti i cittadini sono d'accordo su questa legge?Questo è un paese che non ha nemmeno la sovranità elettorale

Ebbene sì, mentre il teatrino dell'oligarchia va avanti, con nuove (vecchie) comparse, la lobby dei "furbetti" delle scalate torna tranquilla in Parlamento...
Il PD candida senza pudore Massimo D'Alema (già graziato dalla prescrizione per una tangente dell'uomo della sanità pugliese legato alla SCU), Piero Fassino e Nicola Latorre [vedere ordinanza Gip Forleo ]. Ma anche il Pdl rivuole gli "scalatori" in Parlamento. Così, ad esempio, facendo finta di nulla, candida il buon vecchio Luigi Grillo non più nella sua Liguria, bensì nella lontana Puglia. Peccato che con la "rete" sia facile trovarlo! [vedere ordinanza Gip Forleo - formato .pdf]
La Lega Nord in Liguria candida il suo uomo del Bingo e della banca legaiola salvata dal Giampiero Fiorani, Maurizio Balocchi. L'UdC, che si sa ci tiene a ribadire "io c'entro", propone Totò "Vasa Vasa" Cuffaro appena condannato in primo grado per favoreggiamento di singoli boss mafiosi, come anche...
il buon vecchio Lorenzo Cesa coinvolto nell'inchiesta Why Not e già beccato con la valigetta di tangenti ai tempi del Ministro Prandini.

Gli amici di Cosa Nostra non potevano certo ridursi al solo Cuffaro ed allora ecco che il Pdl conferma Marcello Dell'Utri [sentenza] in ed il PD il Valdimiro Crisafulli (per cui Beppe Lumia chiede, inascoltato, da anni l'espulsione), tanto per citarne due, per iniziare. Ma tra i candidati al Parlamento non potevano mancare le chicche di Antonio Di Pietro (impegnato strenuamente tra il sostegno della Brebemi con il Testa -il suo socio bulgaro-, le "deviazioni" dei soldi pubblici destinati quali "rimborsi elettorali" all'Italia dei "Valori" ed il "collocamento" nei Cda). L'impropriamente detto "moralizzatore" [il dossier - il grafico] schiera, ad esempio in Liguria:
- l'irriducibile difensore della repressione cilena durante il G8 di Genova, Giovanni Paladini (che sia per far concorrenza a Claudio Scajola, candidato del Pdl?!?);
- Carmen Patrizia Muratore che abbiamo trovato in due società costituite a Genova, registrate nel Molise del buon Tonino e trasferite a Roma, insieme all'uomo della Gallipoli dalemiana - attivissimo a Genova con le società del Lazzarini, l'amico di Claudio Burlando -, Giuseppe Marzo.
Ma il buon Di Pietro schiera anche una giovane donna dalle buone premesse, Manuela Cappello, avvallatrice di scempi e abusi alla faccia della tutela del territorio e capace di grandi promesse, prontamente smentite [il caso di Davagna altri articoli sul caso nello speciale "speculazioni in Liguria" - il caso del Civ]
Ma questo è solo una premessa... a breve nuovi approfondimenti sui candidati di quella farsa chiamata "elezioni".

PS
Intanto in Calabria tutto si sta "normalizzando". Dopo il siluramento di De Magistris - con il contributo di quei "paladini della legalità" con le campagne ad personam da pecore - tutto porta a credere che i "sorveglianti" abbiano assicurato la "copertura" del Tempio. Infatti le inchieste di De Magistris rischiavano di rovinare la buona media calabrese: 1 sola condanna per corruzione ed 1 sola condanna per concussione in 20 anni! Così piano piano tutti vengono prosciolti, a partire dal già "graziato" Agazio Loiero, passando per Adamo e Pacenza... La Calabria secondo le sentenze definitive degli ultimi 20 anni è la regione più pulita d'Italia. Niente da dire... c'è da crederci, si potrebbe pensare che abbiano partecipato in molti agli stessi corsi di approfondimento del giudice che a Gela dopo 8 anni non ha ancora scritto le motivazioni della sentenza di condanna dei boss mafiosi e della moglie di Piddu Madonia, garantendo loro la scarcerazione per decorrenza dei termini. Si può sapere chi è il "venerabile maestro" di questi corsi? Tra i suoi aiutanti, vista l'abilità, deve per forza avere un buon "mancino" o qualche "maccanico"... chissà se mai lo sapremo, forse al prossimo "carnevale" scopriremo qualcosa lungo una vecchia o nuova "contrada"!
C.Abbondanza - S.Castiglion

13 marzo 2008

In memoria di Luigi Roca


Penso (e temo) che, purtroppo, il ruolo dei politici (e relativa responsabilità morale) sia oggi molto meno importante di un tempo. Gli stati hanno ormai completamente abdicato alla loro funzione, dopo essere stati comprati per un “piatto di lenticchie” e sono oramai governati solo dai potentati economico-finanziari, anche ad opera di istituzioni-fantoccio. E questo vale per lo smantellamento dello stato sociale così come per l'imposizione delle "politiche" del lavoro.

"Mi ammazzo perché insieme al lavoro ho perso la dignità". L'"ottava vittima" della Thyssen,[ Luigi Roca] 39 anni, non ha mai lavorato nella fabbrica della morte. Ma la sua azienda, la Berco di Busano Canavese, faceva parte del gruppo tedesco. E il suo contratto, interinale, non è stato rinnovato perché la Thyssen adesso ha 150 persone "da collocare", come si dice terribilmente in questi casi. Come se le persone fossero i pezzi di un incastro. Però Luigi era diventato il pezzo stagliato: di troppo, e già troppo vecchio. Trentanove anni, un'età da matusalemme se cerchi il posto fisso. Ma ci aveva creduto. Dopo quattro anni di rimbalzi, un mese, due mesi in fabbrica e poi a casa, era arrivato un impiego giusto, più solido. Durerà " .

Eventi come il suicidio di Luigi Roca, indicano quanto oggi sia grande la distanza tra la classe dirigente italiana e la realtà sociale. E non ci vuole grande dottrina sociologica per capirlo.
Da un lato abbiamo una campagna elettorale, intessuta di luoghi comuni, polemiche inutili, protagonismi imbecilli, e dall’altro un uomo di 39 anni, punta di iceberg di un malessere sociale sempre più diffuso, che si suicida, perché “insieme al lavoro ha perso la dignità”.
Il primo impulso, di chi scrive, è quello di gridare in faccia a coloro che governano (o che si apprestano a governarci) una sola parola: vergogna! Ma servirebbe a qualcosa? Chi ci legge crede che, ora, in campagna elettorale, di colpo, “il lavoro riacquisterà centralità”, come spesso si legge? Macché, tutto continuerà come prima.
Dal momento che siamo davanti a quello che si può indicare, usando un linguaggio oggi desueto, come il grande tradimento del “lavoro” da parte del "capitale". Una delle conquiste del capitalismo welfarista è stata quella di attribuire al lavoro, stabile, remunerato, una funzione di “securizzazione” sociale e di consenso democratico. Per una serie ragioni, tra le quali, in primis, la globalizzazione neoliberista, questo patto tra lavoro e capitale è venuto meno. Di qui la crescente diffusione di quella precarizzazione che ha spinto Luigi Roca, che credeva nella dignità welfarista del lavoro, al suicidio.
Perciò questa tragica morte non è frutto di contingenze individuali, ma rinvia causalmente a un preciso fenomeno strutturale. Che tuttavia, alla lunga, dal momento che il capitalismo ha necessità di lavoratori-consumatori, potrebbe innescare una crisi sistemica. Ma si tratta solo di una possibilità. Si pensi, infatti, alla crescente capacità, in particolare dell’apparato informativo e mediatico-simbolico, di raccordare, in chiave di ipocrita leggerezza post-moderna, la precarietà lavorativa a stili di vita liberi, soprattutto moralmente. E basati sulla "manna" del credito al consumo e sulle possibilità di accesso, pur ridotte, a ipnotici beni di status.
Probabilmente Luigi Roca, come lavoratore metalmeccanico, e dunque in certo senso “tradizionale”, avvertiva, come accennato, più di altri lavoratori flessibili ma istituzionalmente e culturalmente dissimili (ad esempio i lavoratori di un call center o di un supermercato), la cesura tra il vecchio mondo del “lavori” e il nuovo mondo dei “lavoretti”. Condizione che non voleva, anzi non poteva accettare. Di qui la percezione di un' assenza di "regole" lavorative certe, che ha condotto Luigi Roca a risalire gli accidentati e solitari sentieri prima della depressione e poi del suicidio.
Del quale sono moralmente responsabili quei politici, che in piena campagna elettorale, fanno finta di non vedere come molti lavoratori considerino la flessibilità (e la precarizzazione sociale che ne consegue) un vero e proprio tradimento morale, prima che economico, nei riguardi di una “dignitosa” visione del lavoro.
Certo, interna al sistema capitalistico, dunque poca cosa, ma che per Luigi Roca, e giustamente, era tutto. Luigi, in realtà, chiedeva solo un minimo di rispetto sociale. Legato a un lavoro sicuro, prima promesso e poi negato. E ora, invece, siamo qui a ricordarlo. Che tristezza.

C. Gambescia