06 settembre 2008

Henry Paulson ha perso il controllo della finanza statunitense



Quando Henry Paulson accettò di lasciare il suo incarico di presidente della potente banca di investimenti di Wall Street, Goldman Sachs, per andare a Washington come Segretario del Tesoro nel 2006 chiese poteri straordinari, di fatto come uno zar dell’economia. Li ottenne.

Paulson è anche a capo del Gruppo di Lavoro Presidenziale per il Mercato Finanziario – il segretario del tesoro e presidente del Federal Reserve Board, della Commissione di Sicurezza e Scambi e della Commodity Futures Trading Commission. Il Gruppo di Lavoro è l’equivalente nel mondo finanziario della stanza della guerra al Pentagono.

Paulson, e non il presidente della Fed Bernanke, è la persona che gestisce le crisi per l'amministrazione. E le sue azioni recenti indicano che ha perso il controllo dei problemi mentre questi, dalle compagnie di prestiti semigovernative Freddie Mac e Fannie Mae al collasso del mercato multimiliardario dei fondi Asset Backed Securities (ABS) all’economia reale si stanno unendo nella peggior crisi dalla Grande Depressione degli anni ’30.

“Il sistema bancario statunitense è sicuro”

In una stana eco del presidente Herbert Hoover nel 1932, durante una campagna presidenziale contro Roosevelt, in seguito al crollo della borsa e al collasso di numerose banche minori, Paulson è recentemente apparso sulle TV nazionali per dichiarare “il nostro sistema bancario è sicuro e in salute.” Ha aggiunto che la lista delle banche coinvolte è “una situazione ben gestibile.” In effetti ciò che non ha detto è che l’agenzia federale per l’assicurazione dei depositi, il Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), ha un elenco di banche problematiche che ne conta 90. In quell’elenco non sono incluse banche come Citigroup, fino a poco tempo fa la banca più grande al mondo.

[Henry Paulson e Ben Bernanke]

La dichiarazione fatica a rassicurare. La cassa di risparmio della California, la IndyMac Bank, che è stata dichiarata insolvente un mese fa, non era sulla lista della FDIC fino ad una settimana prima del collasso. La verità è che la crisi creata dal garantire milioni di mutui sulla casa come nuovi strumenti finanziari e dalla vendita dei pacchetti ai fondi pensionistici e agli investitori si sta gonfiando come una palla di neve che rotola giù dalle alpi svizzere.

L’indicatore della mancanza di controllo è la dichiarazione di Paulson di qualche settimana fa che dice che “alla istituzioni finanziarie deve essere permesso fallire.” Questo succedeva due settimane prima che Paulson andasse al Congresso per “chiedere all’autorità congressuale di comprare quote illimitate come prestito a Fannie Mae e Freddie Mac.” Come ho riportato nel mio recente pezzo, Financial Tsunami: The Next Big Wave is Breaking: Fannie Mae Freddie Mac and US Mortgage Debt (Lo Tsunami Finanziario: La Prossima Grande Ondata sta Arrivando: Fannie Mae, Freddie Mac e il debito USA sui mutui), le due compagnie private hanno assicurato mutui sulla casa per 6.000 miliardi di dollari, la metà dell’intero debito USA sui mutui. Paulson ha motivato la richiesta definendo Fannie Mae e Freddie Mac “l’unica parte funzionante del mercato dei prestiti sulla casa.”

Questo richiama l’affermazione di un “sistema bancario sicuro.” Possiamo avere un sistema bancario sicuro in cui la sola parte funzionante è letteralmente insolvente – il suo debito maggiore del suo capitale?

È ben noto a Wall Street che alcune delle maggiori istituzioni finanziarie hanno immensi problemi non dichiarati con i fondi ABS che hanno stimato molto più alti del loro valore reale per far figurare i loro registri migliori di quello che sono. I nomi Citigroup, Lehman Bros., Morgan Stanley, anche la vecchia azienda di Paulson, Goldman Sachs e chiaramente gli inventori della subprime mortgage securitization, Merrill Lynch, posseggono tutti un’enorme fetta di quello che viene chiamato Capitale Livello Tre, capitali che nessuno vuole comprare ma di cui la banca dichiara il valore basandosi sulla “fantasia.” In breve, il valore di queste istituzioni alla base del sistema finanziario statunitense è estremamente sopravvalutato in confronto a quello reale che sono state costrette a mettere sul mercato oggi. Commentando cinicamente, i lettori non dovrebbero aspettarsi nessun rimedio alla crisi dal presidente Barack Obama. Il capo del settore finanziario della campagna nazionale di Obama è il miliardario Penny Pritzker, che tra le altre cose è erede degli Hotel Hyatt. Fu Pritzker assieme a Merrill Lynch 10 anni fa che per primo sviluppò il modello per garantire il capitale reale dei mutui subprime, scatenando l’attuale tsunami finanziario.

Citigroup è già stata costretta ad andare a Dubai ad elemosinare miliardi di liquidi. Dopo aver annunciato di non aver bisogno di altri capitali. Ora Citigroup ha annunciato piani di vendita di 500 miliardi di dollari di capitali per raccogliere fondi. La domanda che l’investitore attento sta facendo è se Citigroup sia davvero in grado di adempiere. In modo simile Merrill Lynch ha raccolto 6.6 miliardi dalla Kuwaitiana Mizuho, dichiarandosi in salute, e qualche settimana dopo ha dovuto raggranellare ulteriori capitali. Morgan Stanley ha venduto il 10% della compagnia alla China International Corp.

La contrazione rapida dell’economia reale

Dietro le dichiarazioni rassicuranti di Paulson ed altri sul fatto che “il peggio è passato”, la realtà del collasso del credito dall’agosto 2007 è quella di una contrazione economica che, come ho detto più volte in questo spazio, supererà la Grande Depressione del periodo 1929 – 1938.

Un buon amico, costruttore disoccupato in una zona prosperosa dell’Arizona, mi ha appena mandato la seguente lista di gandi magazzini al dettaglio chiusi negli Stati Uniti. Non ha nessun valore che oltre il 70% del PIL degli Stati Uniti viene dalle spese dei consumatori e che l’intera strategia della Federal Reserve di Alan Greenspan, dopo lo scoppio della bolla borsistica del marzo 2000, fosse di portare i tassi di interesse statunitensi ai livelli più bassi dagli anni ’30 per stimolare la spesa da parte dei consumatori sul credito, cioè sul debito, per evitare la recessione. Ecco la lista dei negozi che hanno chiuso in America nelle ultime settimane:

Ann Taylor, chiude 117 negozi in tutta la nazione.

Eddie Bauer, chiuderà altri negozi dopo i 27 chiusi nel primo trimestre

Lane Bryant, Fashion Bug, Catherines, 150 negozi chiusi in tutta la nazione

Talbots, J. Jill, chiudono negozi. Talbots chiuderà tutti i suoi 78 punti vendita per uomo e bambino più altri 22 negozi poco produttivi. I 22 punti vendita saranno un misto tra Talbot’s donna e J. Jill.

Gap inc., chiude 85 punti vendita

Foot Locker, chiude 140 punti vendita

Wickes Furniture è in fallimento e chiude tutti i suoi negozi. La ditta, che da 37 anni si indirizza ai consumatori di fascia media, ha richiesto il mese scorso la protezione fallimentare.

Levitz, vendita al dettaglio di arredamento, ha annunciato di essere in fallimento e di chiudere tutti i suoi 76 negozi a dicembre. Il rivenditore è nato nel 1910.

Zales, Piercing Pagoda ha in programma la chusura di 82 negozi entro il 31 luglio per poi chiuderne altri 23 poco attivi.

Il proprietario di Disney Store ha il diritto di chiudere 98 negozi.

Home Depot ha 15 punti vendita in chiusura a causa di un mercato della casa e di un’economia statunitense in tracollo. La decisione interesserà 1300 impiegati. È la prima volta che la più grande catena al mondo di negozi per la casa chiude un negozio di punta.

CompUSA (chiuso).

Macy’s, chiude nove negozi.

Movie Gallery, società di video noleggio, ha in programma la chiusura di 400 Movie Gallery e Hollywood Video Stores su 3500 esistenti oltre ai 520 punti che la catena ha chiuso lo scorso autunno come conseguenza della bancarotta.

Pacific Sunwear, chiude 153 Demo stores.

Pep Boys, chiude 33 rivendite di ricambi per auto.

Sprint Nextel, chiude 125 punti con 4000 impiegati, che seguono i 5000 sospesi lo scorso anno.

J. C. Penney, Lowe’s e Office Depot stanno facendo passi indietro.

Ethan Allen Interiors, programma la chiusura di 12 punti vendita su 300 per tagliare i costi.

Wilsons the Leather Experts, chiude 158 negozi.

Bombay Company, chiude tutti i 384 negozi negli USA.

Dillard’s Inc. chiude altri sei negozi quest’anno.

Per chiunque abbia familiarità con i centri commerciali o i negozi al dettaglio americani, ciò rappresenta uno sconvolgimento della vita economica di tutti i giorni della nazione, dai negozi di arredamento all’abbigliamento ai videonoleggi alla pelle. Il processo è solamente cominciato e nessuno dei maggiori candidati alla presidenza ha osato parlarne in campo economico, in quanto evidentemente non hanno da offrire soluzioni che non mettano in pericolo i finanziamenti alla loro campagna. Obama non è legato solo a Pritzker ma anche al miliardario di Omaha Warren Buffett e a George Soros. McCain dipende dai contributi tradizionali del partito repubblicano, che chiede riforme fiscali per chi percepisce i guadagni più alti e un trattamento di laissez faire per le banche nei confronti di milioni di proprietari di fronte all’impossibilità di riscattare la propria casa e al blocco dei capitali da parte delle banche.

Le banche di tutto il paese hanno applicato severi tagli ai prestiti, per timore di insolvenze. Questo ha aggravato il collasso dei consumatori documentato sopra. Centinaia di migliaia di broker, banchieri grandi e piccoli, impiegati del settore del mobile, commessi e lavoratori edili non sono capaci di trovare lavoro. Ci sono licenziamenti in massa e chi lavora lo fa spesso ad orario ridotto. In giugno le vendite di auto sono calate del 28% per Ford, del 18% per General Motors e del 21% per Toyota, cosa che porterà ad altri tagli nelle settimane a venire. Questa sarà la prossima ondata di disoccupazione.

La realtà economica non è rispecchiata dalle statistiche ufficiali del Dipartimento del Commercio o di quello del Lavoro. I dati vengono continuamente “rivisti” per occultare l’amara realtà in un anno di elezioni.

Un mio buon amico, l’economista californiano John Williams, ha meticolosamente registrato tali “revisioni dei dati” per più di 25 anni, e ha scoperto una realtà così allarmente da spingerlo a fondare un servizio supportato indipendentemente, “Shadow Government Statistics” [statistiche ombra del governo, ndt] in cui fa delle stime dei conti reali e non delle leggende ufficiali.

Secondo i conti di William l’economia statunitense è entrata in recessione, definita in due trimestri consecutivi di PIL negativo, alla fine del 2006. Da allora la recessione si è estesa, in modo particolarmente drammatico negli ultimi 12 mesi. Un fatto poco noto è che il Dipartimento del Lavoro pubblica anche sei diverse statistiche sulla disoccupazione, da U1 a U6. L’indice di disoccupazione “ufficiale” è quello definito con precisione in U3, e si attesta al 5,5%. comunque, come fa notare William, U6 è l’indice reale e dichiara ufficialmente il 9,7% di disoccupazione. Dai suoi calcoli risulta che il 13,7% della popolazione al momento attuale è disoccupata e in cerca di impiego.

Una spiegazione personale

Il costruttore dell’Ariziona disoccupato che ho citato sopra mi ha mandato di recente la seguente nota personale sulla situazione. “Ecco come la cosa appare alla gente come me: la vendita dei capitali reali è stata la forza motrice dell’economia in molte aree del paese durante gli ultimi dieci anni o più. Da tre anni viviamo una fase discendente del mercato. Abbiamo visto che il costo per mettersi in affari è salito per i costruttori, assieme ad un calo dei compratori, in quanto tutti tirano la cinghia, e all’impossibilità di vendere le case già esistenti. Molti datori di lavoro sono stati costretti a interrompere migliaia di opere per fallimento. Se la gente ha un lavoro, è preoccupata di perderlo. Non è più possibile spostarsi al lavoro in auto per lunghe distanze in quanto la benzina costa il doppio del 2006. C’è stata una caduta del 40% del valore delle case di proprietà. Molta gente è 'sommersa' dalle proprie case, nel senso che sono indebitati per somme maggiori del suo valore di mercato. Quindi molta gente sottoimpiegata non risulta nelle statistiche di disoccupazione del governo. I lavoratori autonomi come me non vengono mai conteggiati.”

Il costruttore dell’Arizona continua, “Oggi nessuno costruisce. L’inventario delle case invendute è triplo rispetto al 2003. Le banche non danno più così facilmente i prestiti per la casa. Molti agenti immobiliari non vendono una casa da due anni. Gli edifici vuoti stanno diventando la normalità. In molte zone la disoccupazione nel settore delle costruzioni e del 50% o più. Decine di migliaia di messicani irregolari che facevano gran parte del lavoro manuale sono tornati in Messico per trovare lavoro. Io faccio manutenzione e lavoretti di tutti i generi, grandi o piccoli, e guadagno il 70 – 90 percento di quello che serve per sopravvivere con una famiglia di una moglie e tre bambini. I miei risparmi fanno il resto. Non può andare avanti così troppo a lungo. Siamo passati da una situazione agiata e tranquilla ad una nervosa e precaria, e le opportunità sono diminuite in soli tre anni. Facevamo parte della classe media.”

F. William Engdahl è l’autore di “A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order” (Pluto Press) e“Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation.” Sta lavorando ad un nuovo libro, dal quale è stato adattato questo pezzo, “Power of Money: The Rise and Decline of the American Century.” Può essere contattato attraverso il suo sito internet www.engdahl.oilgeopoitics.net.

Perchè non applicare al mondo calcistico il concetto di decrescita?



Ogni anno, appena riparte il campionato di calcio, ricominciano subito gli incidenti… E così si assiste al solito copione interpretato dagli stessi attori: tifosi teppisti che spaccano tutto, se non fanno di peggio; governo che dirigna i denti; polizia che ribadisce di avere pochi mezzi; società calcistiche e federazione che si girano dall’altra parte, facendo finta di nulla. Dopo di che tutto ricomincia come prima…
E noi qui a fare sociologia di una specie di baraccone dei pubblici divertimenti, dove c’è chi guadagna miliardi, e chi pur di andare alla partita s’impegna l’orologio d’oro del nonno.

Basta con le analisi. Proponiamo di applicare il concetto di decrescita al calcio. Meno squadre, meno soldi ai giocatori, meno partite, più attività sportiva di massa, e nelle scuole, a cominciare dai più giovani. Già sappiamo però che nessuno prenderà in considerazione questa nostra modesta proposta per prevenire, per dirla con il grande Berto. Per quale ragione? Perché il mondo del calcio, così com’ è oggi strutturato (dalle società ai tifosi) è un potente narcotico sociale. Sappiamo di non dire nulla di nuovo. Ma spesso le cose vere sono quelle più banali. In primo luogo, il sistema preferisce che il giovani più esagitati puntino, diciamo così, i fucili verso gli stadi, che non verso il Palazzo d’Inverno. Gli incidenti negli stadi, tutto sommato, sono il male minore. Tradotto: sempre meglio della rivoluzione.

In secondo luogo, altra cosa scontata, intorno al mondo del calcio girano enormi interessi economici (si pensi solo alla questione dei diritti televisivi ). In certo senso il calcio va a braccetto con il capitalismo più speculativo e probabilmente mafioso. Come mai certe società che sembrano sempre sull’orlo del tracollo, non falliscono mai? Dove prendono, società calcistiche (apparentemente) in crisi, i soldi - e tanti - per acquistare quei “campioni” che poi riempiono gli stadi e rimettono così il moto il circolo narcotizzante del calcio?
Basta, qui ci vuole una cura dimagrante. Il calcio deve decrescere. Perciò non solo consigliamo di non andare più allo stadio, ma anche di tenere spento il televisore nelle ore clou (tutte praticamente) di ogni domenica. Insomma, perché non ridurre o addirittura tagliare le risorse economiche che alimentano un vergognoso baraccone divertentistico come il calcio, al servizio del più corrotto potere politico ed economico?</span>

C. Gambescia

Afghanistan , la nuova palude



Una relazione dei servizi segreti francesi ritiene che in questo paese del Golfo, la NATO si è incamminata in una strada senza uscita. I talibán si sono riorganizzati ed hanno guadagnato efficacia grazie alla crisi nella quale è immerso il Pakistán. Dei due conflitti scatenati dalle amministrazioni di George W. Bush, in Afganistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, la Casa Bianca perde quello che, a parere dell’opinione pubblica internazionale, è il più legittimo tra i due: quello in Afganistan. Questa guerra e l' occupazione successiva di questo paese con una forza internazionale discende direttamente dagli attentati dell’11 settembre. Quella è stato la purga con la quale la Casa Bianca ha punito chi aveva protetto Osama bin Laden ed aveva fatto crescere le basi di Al Qaida sul suo territorio. L'imboscata tesa martedì scorso da un commando talibán e nella quale sono morti 10 soldati francesi non soltanto costituisce l'attacco più grave sofferto dalla forza internazionale d'Assistenza alla Sicurezza (ISAF) dal suo spiegamento nel 2003, ma anche la prova che “gli studenti di teologia„ che furono amici degli Stati Uniti ma che Washington scalzò dal potere nel 2001 si sono riorganizzati e sono capaci di operare in regioni molto vicine alla capitale, Kaboul. Esperti, analisti e gli stessi protagonisti riconoscono che le opzioni sono lettere morta che conducono ad una stessa pista: la guerra senza fine. Il ministro francese della difesa, Hervé Morin, ha fatto allo stesso tempo un riassunto breve ed esemplificativo del contesto militare: “I combattimenti sono ogni volta più difficili perché i talibán sono capaci di mettere in pratica tattiche molto più agguerrite di prima„. Una relazione dei servizi segreti francesi ritiene che, in Afganistan, la NATO (alleanza atlantica) “è su una strada senza uscita, totale e duratura„. Tuttavia, il discorso ufficiale nelle capitali occidentali è uguale a quello che Bush emette da anni: la guerra contro il terrorismo, il compromesso con la democrazia in queste regioni del mondo, ecc. ma i 70 mila uomini della forza internazionale dispiegati in territorio afgano da molti anni non ha ottenuto, come in Iraq, né di fermare la guerra né di conformare le pratiche democratiche [di questo paese] alla maniera occidentale. Gli studenti di teologia sono tornati in primo piano ed il loro obiettivo è Kaboul. Habibullah Rafi uno storico ed un analista politico afgano, sostiene che la resurrezione dei talibán è dovuta in gran parte alla mancanza di abilità degli occupanti: “Quando i nordamericani hanno sostituito il regime, i talibán svanirono. Ma a seguito dei bombardamenti, che la maggior parte delle volte hanno causato perdite civili, i talibán hanno conquistato nuovamente la popolazione. La gente non dà aiuto, ma chiude gli occhi„. In un'intervista pubblicata da Liberation, Olivier Roy, uno degli esperti internazionali più solidi dell’Asia centrale ed autore di molti libri sull’Afganistan, ha descritto il muro dinanzi al quale si trovano gli occupanti, con gli Stati Uniti in testa: “non è possibile vincere militarmente questa guerra, ma neppure è possibile andarsene e lasciare l' Afganistan nel caos„. Gli Stati Uniti e gli alleati che integrano la forza internazionale d'Assistenza alla sicurezza affrontano problemi politici, militari, etnici e religiosi. Sull'argomento, Olivier Roy sottolinea che uno dei più grandi errori che ha commesso l' Amministrazione Bush è stata di rifiutare di negoziare con i settori più duri del movimento talibán. “L'Amministrazione Bush - spiega Oliver Roy - considera i talibán come un movimento esclusivamente terroristico. Si vede qui l'ostacolo creato dall'Amministrazione Bush con l’ideologizzazione della guerra contro il terrorismo. Tuttavia, questo negoziato con un settore dei talibán rappresenta la sola uscita.„ La NATO è a tal punto impantanata che, ancora una volta, sembra essere stata incapace di gestire con efficacia la risposta all’imboscata dove sono morti i 10 soldati francesi. I soldati francesi che sono sopravvissuti all’attacco hanno descritto scene degne di un brutto film: lunghe ore di combattimento senza appoggio, coordinamento erroneo, lentezza scandalosa del comando centrale per inviare i rinforzi adeguati. Uno dei feriti ha ammesso: “Noi non avevamo più altre munizioni„. La relazione ufficiale sull’imboscata contrasta fino all’assurdo con le testimonianze dei soldati che sono intervenuti nei combattimenti. Uno dei superstiti ha raccontato a Le Monde che l’alto numero di vittime si spiega perché i soldati sono stati bersaglio delle stesse forze NATO che dovevano salvarli. Nulla espone meglio la palude nella quale si trova la NATO come la descrizione tecnica dell’imboscata. Non si è preparato il terreno prima dell'arrivo del corpo dei soldati francesi, non si è attivata neppure una forza di reazione rapida per prevenire ogni problema, né si è realizzato, prima, un lavoro d'intelligence. I soldati sono caduti nella trappola dell’inefficienza e della mancanza di coordinamento. In modo compatto, gli analisti riconoscono che i talibán hanno guadagnato in efficacia grazie alla crisi nella quale è immerso il Pakistán, paese vicino dal quale operano con qualsiasi impunità protetti nelle zone tribali (FATA, Federally Administered Tribal Areas), dove vivono i pashtunes (la stessa etnia dei talibán). Il vuoto di potere in Pakistán derivato da anni di paralisi e tensioni politiche ha creato condizioni simili a quelle che esistevano prima della caduta del regime talibán: Il Pakistán è un territorio di transito e di addestramento. Sull'argomento, Ahmed Rashid, un saggista esauriente che è divenuto celebre con il libro “L'ombra del Talibán”, ha spiegato a Le Monde che “la strategia dei talibán consiste nel creare una crisi così grande nell'ambito della NATO affinchè qualche paese annunci il suo ritiro dalla coalizione militare presente in Afganistan„. Rashid rivela che ci sono “centinaia di combattenti che vengono dall'Iraq. Ci sono anche arabi e pakistani, islamisti che provengono dal Cashemire e dall'Asia centrale„. Ahmed Rashid avanza anche un'informazione che rivela il fallimento completo delle operazioni militari condotte fino ad ora: “Dal 2001, la riorganizzazione dei talibán porta la firma di Al Qaida„.


di Eduardo Febbro (*)


(*) Desde París.



06 settembre 2008

Henry Paulson ha perso il controllo della finanza statunitense



Quando Henry Paulson accettò di lasciare il suo incarico di presidente della potente banca di investimenti di Wall Street, Goldman Sachs, per andare a Washington come Segretario del Tesoro nel 2006 chiese poteri straordinari, di fatto come uno zar dell’economia. Li ottenne.

Paulson è anche a capo del Gruppo di Lavoro Presidenziale per il Mercato Finanziario – il segretario del tesoro e presidente del Federal Reserve Board, della Commissione di Sicurezza e Scambi e della Commodity Futures Trading Commission. Il Gruppo di Lavoro è l’equivalente nel mondo finanziario della stanza della guerra al Pentagono.

Paulson, e non il presidente della Fed Bernanke, è la persona che gestisce le crisi per l'amministrazione. E le sue azioni recenti indicano che ha perso il controllo dei problemi mentre questi, dalle compagnie di prestiti semigovernative Freddie Mac e Fannie Mae al collasso del mercato multimiliardario dei fondi Asset Backed Securities (ABS) all’economia reale si stanno unendo nella peggior crisi dalla Grande Depressione degli anni ’30.

“Il sistema bancario statunitense è sicuro”

In una stana eco del presidente Herbert Hoover nel 1932, durante una campagna presidenziale contro Roosevelt, in seguito al crollo della borsa e al collasso di numerose banche minori, Paulson è recentemente apparso sulle TV nazionali per dichiarare “il nostro sistema bancario è sicuro e in salute.” Ha aggiunto che la lista delle banche coinvolte è “una situazione ben gestibile.” In effetti ciò che non ha detto è che l’agenzia federale per l’assicurazione dei depositi, il Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), ha un elenco di banche problematiche che ne conta 90. In quell’elenco non sono incluse banche come Citigroup, fino a poco tempo fa la banca più grande al mondo.

[Henry Paulson e Ben Bernanke]

La dichiarazione fatica a rassicurare. La cassa di risparmio della California, la IndyMac Bank, che è stata dichiarata insolvente un mese fa, non era sulla lista della FDIC fino ad una settimana prima del collasso. La verità è che la crisi creata dal garantire milioni di mutui sulla casa come nuovi strumenti finanziari e dalla vendita dei pacchetti ai fondi pensionistici e agli investitori si sta gonfiando come una palla di neve che rotola giù dalle alpi svizzere.

L’indicatore della mancanza di controllo è la dichiarazione di Paulson di qualche settimana fa che dice che “alla istituzioni finanziarie deve essere permesso fallire.” Questo succedeva due settimane prima che Paulson andasse al Congresso per “chiedere all’autorità congressuale di comprare quote illimitate come prestito a Fannie Mae e Freddie Mac.” Come ho riportato nel mio recente pezzo, Financial Tsunami: The Next Big Wave is Breaking: Fannie Mae Freddie Mac and US Mortgage Debt (Lo Tsunami Finanziario: La Prossima Grande Ondata sta Arrivando: Fannie Mae, Freddie Mac e il debito USA sui mutui), le due compagnie private hanno assicurato mutui sulla casa per 6.000 miliardi di dollari, la metà dell’intero debito USA sui mutui. Paulson ha motivato la richiesta definendo Fannie Mae e Freddie Mac “l’unica parte funzionante del mercato dei prestiti sulla casa.”

Questo richiama l’affermazione di un “sistema bancario sicuro.” Possiamo avere un sistema bancario sicuro in cui la sola parte funzionante è letteralmente insolvente – il suo debito maggiore del suo capitale?

È ben noto a Wall Street che alcune delle maggiori istituzioni finanziarie hanno immensi problemi non dichiarati con i fondi ABS che hanno stimato molto più alti del loro valore reale per far figurare i loro registri migliori di quello che sono. I nomi Citigroup, Lehman Bros., Morgan Stanley, anche la vecchia azienda di Paulson, Goldman Sachs e chiaramente gli inventori della subprime mortgage securitization, Merrill Lynch, posseggono tutti un’enorme fetta di quello che viene chiamato Capitale Livello Tre, capitali che nessuno vuole comprare ma di cui la banca dichiara il valore basandosi sulla “fantasia.” In breve, il valore di queste istituzioni alla base del sistema finanziario statunitense è estremamente sopravvalutato in confronto a quello reale che sono state costrette a mettere sul mercato oggi. Commentando cinicamente, i lettori non dovrebbero aspettarsi nessun rimedio alla crisi dal presidente Barack Obama. Il capo del settore finanziario della campagna nazionale di Obama è il miliardario Penny Pritzker, che tra le altre cose è erede degli Hotel Hyatt. Fu Pritzker assieme a Merrill Lynch 10 anni fa che per primo sviluppò il modello per garantire il capitale reale dei mutui subprime, scatenando l’attuale tsunami finanziario.

Citigroup è già stata costretta ad andare a Dubai ad elemosinare miliardi di liquidi. Dopo aver annunciato di non aver bisogno di altri capitali. Ora Citigroup ha annunciato piani di vendita di 500 miliardi di dollari di capitali per raccogliere fondi. La domanda che l’investitore attento sta facendo è se Citigroup sia davvero in grado di adempiere. In modo simile Merrill Lynch ha raccolto 6.6 miliardi dalla Kuwaitiana Mizuho, dichiarandosi in salute, e qualche settimana dopo ha dovuto raggranellare ulteriori capitali. Morgan Stanley ha venduto il 10% della compagnia alla China International Corp.

La contrazione rapida dell’economia reale

Dietro le dichiarazioni rassicuranti di Paulson ed altri sul fatto che “il peggio è passato”, la realtà del collasso del credito dall’agosto 2007 è quella di una contrazione economica che, come ho detto più volte in questo spazio, supererà la Grande Depressione del periodo 1929 – 1938.

Un buon amico, costruttore disoccupato in una zona prosperosa dell’Arizona, mi ha appena mandato la seguente lista di gandi magazzini al dettaglio chiusi negli Stati Uniti. Non ha nessun valore che oltre il 70% del PIL degli Stati Uniti viene dalle spese dei consumatori e che l’intera strategia della Federal Reserve di Alan Greenspan, dopo lo scoppio della bolla borsistica del marzo 2000, fosse di portare i tassi di interesse statunitensi ai livelli più bassi dagli anni ’30 per stimolare la spesa da parte dei consumatori sul credito, cioè sul debito, per evitare la recessione. Ecco la lista dei negozi che hanno chiuso in America nelle ultime settimane:

Ann Taylor, chiude 117 negozi in tutta la nazione.

Eddie Bauer, chiuderà altri negozi dopo i 27 chiusi nel primo trimestre

Lane Bryant, Fashion Bug, Catherines, 150 negozi chiusi in tutta la nazione

Talbots, J. Jill, chiudono negozi. Talbots chiuderà tutti i suoi 78 punti vendita per uomo e bambino più altri 22 negozi poco produttivi. I 22 punti vendita saranno un misto tra Talbot’s donna e J. Jill.

Gap inc., chiude 85 punti vendita

Foot Locker, chiude 140 punti vendita

Wickes Furniture è in fallimento e chiude tutti i suoi negozi. La ditta, che da 37 anni si indirizza ai consumatori di fascia media, ha richiesto il mese scorso la protezione fallimentare.

Levitz, vendita al dettaglio di arredamento, ha annunciato di essere in fallimento e di chiudere tutti i suoi 76 negozi a dicembre. Il rivenditore è nato nel 1910.

Zales, Piercing Pagoda ha in programma la chusura di 82 negozi entro il 31 luglio per poi chiuderne altri 23 poco attivi.

Il proprietario di Disney Store ha il diritto di chiudere 98 negozi.

Home Depot ha 15 punti vendita in chiusura a causa di un mercato della casa e di un’economia statunitense in tracollo. La decisione interesserà 1300 impiegati. È la prima volta che la più grande catena al mondo di negozi per la casa chiude un negozio di punta.

CompUSA (chiuso).

Macy’s, chiude nove negozi.

Movie Gallery, società di video noleggio, ha in programma la chiusura di 400 Movie Gallery e Hollywood Video Stores su 3500 esistenti oltre ai 520 punti che la catena ha chiuso lo scorso autunno come conseguenza della bancarotta.

Pacific Sunwear, chiude 153 Demo stores.

Pep Boys, chiude 33 rivendite di ricambi per auto.

Sprint Nextel, chiude 125 punti con 4000 impiegati, che seguono i 5000 sospesi lo scorso anno.

J. C. Penney, Lowe’s e Office Depot stanno facendo passi indietro.

Ethan Allen Interiors, programma la chiusura di 12 punti vendita su 300 per tagliare i costi.

Wilsons the Leather Experts, chiude 158 negozi.

Bombay Company, chiude tutti i 384 negozi negli USA.

Dillard’s Inc. chiude altri sei negozi quest’anno.

Per chiunque abbia familiarità con i centri commerciali o i negozi al dettaglio americani, ciò rappresenta uno sconvolgimento della vita economica di tutti i giorni della nazione, dai negozi di arredamento all’abbigliamento ai videonoleggi alla pelle. Il processo è solamente cominciato e nessuno dei maggiori candidati alla presidenza ha osato parlarne in campo economico, in quanto evidentemente non hanno da offrire soluzioni che non mettano in pericolo i finanziamenti alla loro campagna. Obama non è legato solo a Pritzker ma anche al miliardario di Omaha Warren Buffett e a George Soros. McCain dipende dai contributi tradizionali del partito repubblicano, che chiede riforme fiscali per chi percepisce i guadagni più alti e un trattamento di laissez faire per le banche nei confronti di milioni di proprietari di fronte all’impossibilità di riscattare la propria casa e al blocco dei capitali da parte delle banche.

Le banche di tutto il paese hanno applicato severi tagli ai prestiti, per timore di insolvenze. Questo ha aggravato il collasso dei consumatori documentato sopra. Centinaia di migliaia di broker, banchieri grandi e piccoli, impiegati del settore del mobile, commessi e lavoratori edili non sono capaci di trovare lavoro. Ci sono licenziamenti in massa e chi lavora lo fa spesso ad orario ridotto. In giugno le vendite di auto sono calate del 28% per Ford, del 18% per General Motors e del 21% per Toyota, cosa che porterà ad altri tagli nelle settimane a venire. Questa sarà la prossima ondata di disoccupazione.

La realtà economica non è rispecchiata dalle statistiche ufficiali del Dipartimento del Commercio o di quello del Lavoro. I dati vengono continuamente “rivisti” per occultare l’amara realtà in un anno di elezioni.

Un mio buon amico, l’economista californiano John Williams, ha meticolosamente registrato tali “revisioni dei dati” per più di 25 anni, e ha scoperto una realtà così allarmente da spingerlo a fondare un servizio supportato indipendentemente, “Shadow Government Statistics” [statistiche ombra del governo, ndt] in cui fa delle stime dei conti reali e non delle leggende ufficiali.

Secondo i conti di William l’economia statunitense è entrata in recessione, definita in due trimestri consecutivi di PIL negativo, alla fine del 2006. Da allora la recessione si è estesa, in modo particolarmente drammatico negli ultimi 12 mesi. Un fatto poco noto è che il Dipartimento del Lavoro pubblica anche sei diverse statistiche sulla disoccupazione, da U1 a U6. L’indice di disoccupazione “ufficiale” è quello definito con precisione in U3, e si attesta al 5,5%. comunque, come fa notare William, U6 è l’indice reale e dichiara ufficialmente il 9,7% di disoccupazione. Dai suoi calcoli risulta che il 13,7% della popolazione al momento attuale è disoccupata e in cerca di impiego.

Una spiegazione personale

Il costruttore dell’Ariziona disoccupato che ho citato sopra mi ha mandato di recente la seguente nota personale sulla situazione. “Ecco come la cosa appare alla gente come me: la vendita dei capitali reali è stata la forza motrice dell’economia in molte aree del paese durante gli ultimi dieci anni o più. Da tre anni viviamo una fase discendente del mercato. Abbiamo visto che il costo per mettersi in affari è salito per i costruttori, assieme ad un calo dei compratori, in quanto tutti tirano la cinghia, e all’impossibilità di vendere le case già esistenti. Molti datori di lavoro sono stati costretti a interrompere migliaia di opere per fallimento. Se la gente ha un lavoro, è preoccupata di perderlo. Non è più possibile spostarsi al lavoro in auto per lunghe distanze in quanto la benzina costa il doppio del 2006. C’è stata una caduta del 40% del valore delle case di proprietà. Molta gente è 'sommersa' dalle proprie case, nel senso che sono indebitati per somme maggiori del suo valore di mercato. Quindi molta gente sottoimpiegata non risulta nelle statistiche di disoccupazione del governo. I lavoratori autonomi come me non vengono mai conteggiati.”

Il costruttore dell’Arizona continua, “Oggi nessuno costruisce. L’inventario delle case invendute è triplo rispetto al 2003. Le banche non danno più così facilmente i prestiti per la casa. Molti agenti immobiliari non vendono una casa da due anni. Gli edifici vuoti stanno diventando la normalità. In molte zone la disoccupazione nel settore delle costruzioni e del 50% o più. Decine di migliaia di messicani irregolari che facevano gran parte del lavoro manuale sono tornati in Messico per trovare lavoro. Io faccio manutenzione e lavoretti di tutti i generi, grandi o piccoli, e guadagno il 70 – 90 percento di quello che serve per sopravvivere con una famiglia di una moglie e tre bambini. I miei risparmi fanno il resto. Non può andare avanti così troppo a lungo. Siamo passati da una situazione agiata e tranquilla ad una nervosa e precaria, e le opportunità sono diminuite in soli tre anni. Facevamo parte della classe media.”

F. William Engdahl è l’autore di “A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order” (Pluto Press) e“Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation.” Sta lavorando ad un nuovo libro, dal quale è stato adattato questo pezzo, “Power of Money: The Rise and Decline of the American Century.” Può essere contattato attraverso il suo sito internet www.engdahl.oilgeopoitics.net.

Perchè non applicare al mondo calcistico il concetto di decrescita?



Ogni anno, appena riparte il campionato di calcio, ricominciano subito gli incidenti… E così si assiste al solito copione interpretato dagli stessi attori: tifosi teppisti che spaccano tutto, se non fanno di peggio; governo che dirigna i denti; polizia che ribadisce di avere pochi mezzi; società calcistiche e federazione che si girano dall’altra parte, facendo finta di nulla. Dopo di che tutto ricomincia come prima…
E noi qui a fare sociologia di una specie di baraccone dei pubblici divertimenti, dove c’è chi guadagna miliardi, e chi pur di andare alla partita s’impegna l’orologio d’oro del nonno.

Basta con le analisi. Proponiamo di applicare il concetto di decrescita al calcio. Meno squadre, meno soldi ai giocatori, meno partite, più attività sportiva di massa, e nelle scuole, a cominciare dai più giovani. Già sappiamo però che nessuno prenderà in considerazione questa nostra modesta proposta per prevenire, per dirla con il grande Berto. Per quale ragione? Perché il mondo del calcio, così com’ è oggi strutturato (dalle società ai tifosi) è un potente narcotico sociale. Sappiamo di non dire nulla di nuovo. Ma spesso le cose vere sono quelle più banali. In primo luogo, il sistema preferisce che il giovani più esagitati puntino, diciamo così, i fucili verso gli stadi, che non verso il Palazzo d’Inverno. Gli incidenti negli stadi, tutto sommato, sono il male minore. Tradotto: sempre meglio della rivoluzione.

In secondo luogo, altra cosa scontata, intorno al mondo del calcio girano enormi interessi economici (si pensi solo alla questione dei diritti televisivi ). In certo senso il calcio va a braccetto con il capitalismo più speculativo e probabilmente mafioso. Come mai certe società che sembrano sempre sull’orlo del tracollo, non falliscono mai? Dove prendono, società calcistiche (apparentemente) in crisi, i soldi - e tanti - per acquistare quei “campioni” che poi riempiono gli stadi e rimettono così il moto il circolo narcotizzante del calcio?
Basta, qui ci vuole una cura dimagrante. Il calcio deve decrescere. Perciò non solo consigliamo di non andare più allo stadio, ma anche di tenere spento il televisore nelle ore clou (tutte praticamente) di ogni domenica. Insomma, perché non ridurre o addirittura tagliare le risorse economiche che alimentano un vergognoso baraccone divertentistico come il calcio, al servizio del più corrotto potere politico ed economico?</span>

C. Gambescia

Afghanistan , la nuova palude



Una relazione dei servizi segreti francesi ritiene che in questo paese del Golfo, la NATO si è incamminata in una strada senza uscita. I talibán si sono riorganizzati ed hanno guadagnato efficacia grazie alla crisi nella quale è immerso il Pakistán. Dei due conflitti scatenati dalle amministrazioni di George W. Bush, in Afganistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, la Casa Bianca perde quello che, a parere dell’opinione pubblica internazionale, è il più legittimo tra i due: quello in Afganistan. Questa guerra e l' occupazione successiva di questo paese con una forza internazionale discende direttamente dagli attentati dell’11 settembre. Quella è stato la purga con la quale la Casa Bianca ha punito chi aveva protetto Osama bin Laden ed aveva fatto crescere le basi di Al Qaida sul suo territorio. L'imboscata tesa martedì scorso da un commando talibán e nella quale sono morti 10 soldati francesi non soltanto costituisce l'attacco più grave sofferto dalla forza internazionale d'Assistenza alla Sicurezza (ISAF) dal suo spiegamento nel 2003, ma anche la prova che “gli studenti di teologia„ che furono amici degli Stati Uniti ma che Washington scalzò dal potere nel 2001 si sono riorganizzati e sono capaci di operare in regioni molto vicine alla capitale, Kaboul. Esperti, analisti e gli stessi protagonisti riconoscono che le opzioni sono lettere morta che conducono ad una stessa pista: la guerra senza fine. Il ministro francese della difesa, Hervé Morin, ha fatto allo stesso tempo un riassunto breve ed esemplificativo del contesto militare: “I combattimenti sono ogni volta più difficili perché i talibán sono capaci di mettere in pratica tattiche molto più agguerrite di prima„. Una relazione dei servizi segreti francesi ritiene che, in Afganistan, la NATO (alleanza atlantica) “è su una strada senza uscita, totale e duratura„. Tuttavia, il discorso ufficiale nelle capitali occidentali è uguale a quello che Bush emette da anni: la guerra contro il terrorismo, il compromesso con la democrazia in queste regioni del mondo, ecc. ma i 70 mila uomini della forza internazionale dispiegati in territorio afgano da molti anni non ha ottenuto, come in Iraq, né di fermare la guerra né di conformare le pratiche democratiche [di questo paese] alla maniera occidentale. Gli studenti di teologia sono tornati in primo piano ed il loro obiettivo è Kaboul. Habibullah Rafi uno storico ed un analista politico afgano, sostiene che la resurrezione dei talibán è dovuta in gran parte alla mancanza di abilità degli occupanti: “Quando i nordamericani hanno sostituito il regime, i talibán svanirono. Ma a seguito dei bombardamenti, che la maggior parte delle volte hanno causato perdite civili, i talibán hanno conquistato nuovamente la popolazione. La gente non dà aiuto, ma chiude gli occhi„. In un'intervista pubblicata da Liberation, Olivier Roy, uno degli esperti internazionali più solidi dell’Asia centrale ed autore di molti libri sull’Afganistan, ha descritto il muro dinanzi al quale si trovano gli occupanti, con gli Stati Uniti in testa: “non è possibile vincere militarmente questa guerra, ma neppure è possibile andarsene e lasciare l' Afganistan nel caos„. Gli Stati Uniti e gli alleati che integrano la forza internazionale d'Assistenza alla sicurezza affrontano problemi politici, militari, etnici e religiosi. Sull'argomento, Olivier Roy sottolinea che uno dei più grandi errori che ha commesso l' Amministrazione Bush è stata di rifiutare di negoziare con i settori più duri del movimento talibán. “L'Amministrazione Bush - spiega Oliver Roy - considera i talibán come un movimento esclusivamente terroristico. Si vede qui l'ostacolo creato dall'Amministrazione Bush con l’ideologizzazione della guerra contro il terrorismo. Tuttavia, questo negoziato con un settore dei talibán rappresenta la sola uscita.„ La NATO è a tal punto impantanata che, ancora una volta, sembra essere stata incapace di gestire con efficacia la risposta all’imboscata dove sono morti i 10 soldati francesi. I soldati francesi che sono sopravvissuti all’attacco hanno descritto scene degne di un brutto film: lunghe ore di combattimento senza appoggio, coordinamento erroneo, lentezza scandalosa del comando centrale per inviare i rinforzi adeguati. Uno dei feriti ha ammesso: “Noi non avevamo più altre munizioni„. La relazione ufficiale sull’imboscata contrasta fino all’assurdo con le testimonianze dei soldati che sono intervenuti nei combattimenti. Uno dei superstiti ha raccontato a Le Monde che l’alto numero di vittime si spiega perché i soldati sono stati bersaglio delle stesse forze NATO che dovevano salvarli. Nulla espone meglio la palude nella quale si trova la NATO come la descrizione tecnica dell’imboscata. Non si è preparato il terreno prima dell'arrivo del corpo dei soldati francesi, non si è attivata neppure una forza di reazione rapida per prevenire ogni problema, né si è realizzato, prima, un lavoro d'intelligence. I soldati sono caduti nella trappola dell’inefficienza e della mancanza di coordinamento. In modo compatto, gli analisti riconoscono che i talibán hanno guadagnato in efficacia grazie alla crisi nella quale è immerso il Pakistán, paese vicino dal quale operano con qualsiasi impunità protetti nelle zone tribali (FATA, Federally Administered Tribal Areas), dove vivono i pashtunes (la stessa etnia dei talibán). Il vuoto di potere in Pakistán derivato da anni di paralisi e tensioni politiche ha creato condizioni simili a quelle che esistevano prima della caduta del regime talibán: Il Pakistán è un territorio di transito e di addestramento. Sull'argomento, Ahmed Rashid, un saggista esauriente che è divenuto celebre con il libro “L'ombra del Talibán”, ha spiegato a Le Monde che “la strategia dei talibán consiste nel creare una crisi così grande nell'ambito della NATO affinchè qualche paese annunci il suo ritiro dalla coalizione militare presente in Afganistan„. Rashid rivela che ci sono “centinaia di combattenti che vengono dall'Iraq. Ci sono anche arabi e pakistani, islamisti che provengono dal Cashemire e dall'Asia centrale„. Ahmed Rashid avanza anche un'informazione che rivela il fallimento completo delle operazioni militari condotte fino ad ora: “Dal 2001, la riorganizzazione dei talibán porta la firma di Al Qaida„.


di Eduardo Febbro (*)


(*) Desde París.