11 gennaio 2010

A che serve risparmiare?

Per secoli "`risparmiare"' ha voluto significare "`accantonare, mettere da parte"' in previsione di spese future importanti o impreviste. Il risparmio permette di pianificare, progettare e migliorare le prospettive di vita e lavoro delle generazioni presenti e future; basti pensare al padre che rinuncia ai consumi presenti per garantire al figlio la possibilità creare una propria impresa o di accedere a master di specializzazione.

Quello che invece è accaduto negli ultimi venti anni è un totale stravolgimento del concetto di risparmio, operato dall'economia del Pil.

Per sostenere la fantascientifica, costante e inarrestabile crescita del Pil, si è pensato di sostenere in modo altrettanto fantascientifico il livello dei consumi. D'altronde si insegna anche nelle università che aumentando i consumi aumenta la produzione, si generano più posti di lavoro, quindi più stipendi da spendere in consumi e di nuovo più produzione (anche l'assiduo frequentatore del bar dello sport è in grado di fare questo ragionamento). L'effetto sul Pil (cioè sulla produzione di beni) è moltiplicativo. L'esponenziale produzione di rifiuti generata da questo processa produrrà altro Pil visto che occuperà manodopera e imprese che altrimenti non sarebbero esistite. Dal momento stesso in cui il reddito delle famiglie si è rivelato non sufficiente al sostenimento del livello desiderato dei consumi, si è pensato di aumentarlo virtualmente attraverso la concessione illimitata di credito al consumo. Questo ha permesso la nascita di un numero smisurato di finanziarie (quelle che fanno credito anche ai cattivi pagatori privi di reddito) e la realizzazione di sogni a tutti coloro che fino a quel momento si vedevano preclusa la possibilità di acquistare un SUV 5000 a benzina o di vivere una vacanza di sette giorni nel paradiso dei pedofili in Thailandia.

Il paradosso di tutto questo processo, considerato virtuoso dagli economisti, non sta tanto nelle esternalità negative prodotte (si pensi all'inquinamento o alla possibilità di impiegare il denaro speso in attività più fruttuose come imparare a suonare un strumento musicale) ma nel fatto che il consumatore, pur avendo speso tutto il suo reddito presente e quello futuro dei suoi figli in merci di consumo (si badi che parlo di merci e non di beni), ha la percezione di aver risparmiato.

Frasi del tipo "`grazie alla rottamazione ho acquistato una nuova autovettura risparmiando 2000 euro"', senza considerare il fatto che l'auto rottamata poteva durare ancora per parecchi anni o "`il negozio X faceva gli sconti, così ne ho approfittato acquistando un set da poker con fiches numerate, 6 bicchieri (made in China), una bilancia digitale e una tenda da campeggio, risparmiando ben 100 euro", non curante del fatto che a poker non ci gioca mai, di bicchieri ne ha piena la credenza, di bilancia ne possiede una meccanica perfettamente funzionante che non ha bisogno di pile e infine l'ultima volta che è andato in campeggio aveva 18 anni (ora ne ha 40). In entrambi gli esempi il consumatore è convinto di aver risparmiato, pur avendo speso denaro per merci del tutto inutili.

E' questo il geniale incantesimo dell'economia del Pil: illudere il consumatore che sta risparmiando, anche nel momento in cui sta ipotecando il futuro dei propri figli acquistando un'auto grande come un Tir, rigorosamente con lettore MP3 integrato (pagato qualche centinaio di euro – si rende noto che i lettori MP3 [certo, non integrati] costano poche decine di euro.)

I consumi, così, rimangono alti ma alle strette dipendenze del sistema finanziario. Se questo crolla crollano inevitabilmente anche i consumi. E' con la crisi finanziaria che il consumatore si accorge che è un poveraccio e che al massimo poteva permettersi un televisore mivar bianco e nero piuttosto che il 100 pollici al plasma (pagabile in 100 comode rate da 20 euro al mese).

A quel punto ci si accorge che non si ha niente da parte e che i libri scolastici dei figli, così come l'iscrizione all'università, costano troppo; che si è preferito un lavoro privo di qualunque prospettiva di crescita e gratificazione perchè permetteva da subito un guadagno basso ma sicuro che dava la possibilità di ottenere credito per acquistare l'auto, il pc portatile e altre merci il cui acquisto poteva (ma ce ne accorgiamo solo ora) essere rinviato al futuro.

Se tutti i consumatori si accorgessero del raggiro cui sono stati vittime sarebbe comunque un buon risultato e da lì si potrebbe ripartire per riformulare un nuovo paradigma dei consumi che abbia come elemento centrale i beni e non le merci. Purtroppo il cambio di mentalità, reso possibile anche dal fondamentale ruolo svolto dalla televisione e dai media in generale, è stato così devastante che oggi, in piena crisi finanziaria, il consumatore cerca in tutti i modi di conservare lo standard di consumi acquisito senza considerare minimamente la possibilità di rivedere tale standard al ribasso, magari acquistando beni di cui ha bisogno e non merci che divorano il suo reddito. Piuttosto che non acquistare aspetta i saldi e quando non ce la fa più entra in uno stato di profonda frustrazione che lo porta a imprecare contro politici e calciatori (che prendono troppo) o contro datore di lavoro e sindacati che non fanno nulla per aumentargli lo stipendio.

Con dei semplici calcoli si accorgerebbe di avere ancora potenzialità di risparmio reale senza intaccare minimamente (anzi migliorando) la qualità della sua mediocre esistenza, pur continuando a pagare la rata del mutuo. Basterebbe che smettesse di riempire il carrello di imballaggi colorati, limitando gli acquisti a beni necessari e genuini, magari facendosi un giretto nei negozi del centro o nelle aziende agricole vicine alla propria città, piuttosto che perdersi negli enormi lager commerciali che infestano le periferie dei centri abitati; in questo modo produrrebbe anche meno rifiuti. Con questa semplice mossa si ritroverebbe alla fine dell'anno con un primo gruzzoletto al quale potrebbero aggiungersene altri se evitasse di comprare continuamente merci tecnologiche come telefonini, telecamere, frullatori, aspirabriciole ecc.. limitandosi ad usare il più possibile quelli che già possiede. Ulteriori risparmi deriverebbero dalla rinuncia al telefono fisso e alla televisione a pagamento (altro cancro che ormai ha diffuso le sue metastasi presso tutti i ceti sociali).

Qualora fosse possibile, sarebbe opportuno autoprodursi quei beni che fino a pochi anni fa ogni famiglia era in grado di fabbricarsi da sola: pane, passata di pomodoro, olio, dolci. L'economia del Pil, infatti, rendendo accessibili merci a chiunque ha reso del tutto inutile la conservazione di conoscenze e abilità che nei secoli hanno permesso il sostentamento a famiglie numerosissime prive di reddito monetario.

Tutto quello di cui abbiamo bisogno lo si può comprare, dal divertimento dei figli al broccolo fluorescente. Perchè autoprodurselo? Il motivo principale sarebbe che l'autoproduzione permetterebbe di ricominciare a risparmiare, ma nel vero senso della parola, una buona parte del reddito monetario.

Insomma, ritornare a risparmiare come facevano i nostri nonni.

La fine del risparmio ha già prodotto effetti devastanti sulle capacità dei giovani di progettare la propria vita futura, di fare programmi a lungo termine. Il bisogno di consumo ha preso il sopravvento sull'abilità del giovane di pensare e costruire il proprio avvenire. Non ritengo che la perdita di speranza dei giovani sia imputabile (almeno non totalmente) alla precarizzazione del lavoro; tale precarizzazione ha semplicemente reso più problematica la possibilità di mantenere alto il livello del consumo di merci; da un certo punto di vista è un bene che lavori come "`centralinista di call-center"' siano principalmente con contratti a termine in quanto è impensabile che un essere umano possa tutta la vita svolgere quel tipo di lavoro, senza prospettive di crescita umana e intellettuale. Il problema è che molti giovani, non avendo in testa l'idea di risparmio, preferiscono questo lavoro che permette loro di consumare merci (al resto ci pensano mamma e papà) invece che risparmiare tempo e denaro per l'acquisizione di conoscenze e abilità che garantirebbero l'accesso (ma in futuro) a lavori più gratificanti.

Ecco quindi che un centralinista part-time che prende 800 euro al mese e che vive con i genitori, può ancora permettersi l'acquisto (a rate) di una moto e di un'auto, di fare vacanze in luoghi esotici, di aggiornare con cadenza mensile l'hardware del proprio pc e di acquistare settimanalmente abbigliamento griffato. In realtà questo consumatore, perdendo l'abilità al risparmio, ha barattato il proprio avvenire con la possibilità di consumi immediati; vive nell'illusione di aver risparmiato pur non avendo un centesimo in tasca.

di Luca Correani

10 gennaio 2010

Luttwak al soldo del Sismi


Caro Edward". Si apre così una lettera di Pio Pompa al consulente americano dei servizi segreti. Ma l’autore della missiva, l’ex funzionario del servizio segreto militare Pio Pompa, avrebbe fatto meglio a iniziare con un "Carissimo" vista l’entità dei compensi strappati ai contribuenti italiani da questo professore nato in Romania, passato da Palermo e cresciuto tra Londra e gli Stati Uniti a cornflakes e intelligence.

Luttwak è famoso per le sue comparsate a Porta a Porta, dove con l’accento da telecronista di football americano imitato perfettamente da Corrado Guzzanti rifila ai telespettatori concetti indigesti sulla guerra necessaria e sui terroristi da sterminare. Dalle carte sequestrate nel "covo del Sismi" di via Nazionale diretto da Pio Pompa si scopre che per le sue analisi Luttwak è stato retribuito profumatamente dal Sismi diretto da Nicolò Pollari, attraverso la Apri Spa di Luciano Monti.

Nella sua lettera, che dovrebbe risalire al settembre 2002, Pompa propone al "caro Edward" un contratto da nababbo: "a) impegno minimo di dieci giornate al mese per un importo di 5 mila euro al giorno, spese escluse, pari a complessive 50 mila euro al mese; b) la collaborazione avrà la durata di 12 mesi, a far data dalla sottoscrizione del contratto, per un importo annuale di 600 mila euro; c) le spese attinenti le attività da svolgere, debitamente concordate, saranno rimborsate a parte dietro presentazione della relativa documentazione".

Luttwak ha raccontato in un’intervista a Claudio Gatti del Sole 24 ore nel novembre del 2008: "Lavoravo con Pompa per Apri e Apri lavorava per il Sismi". A leggere le mail sequestrate a Pompa però si coglie un esempio negativo delle ricadute del rapporto Luttwak-Sismi sulla manipolazione dei media. Tutto si svolge nelle ore immediatamente seguenti la strage di Nassirya del 12 novembre 2003. Muoiono 28 persone, 18 italiani. L’Italia è scossa e e si raccoglie intorno al salotto di Vespa. Luttwak è invitato insieme a Franco Frattini, allora ministro degli Esteri.

L’illustre politologo indipendente (in realtà strapagato dal Sismi e quindi dal Governo) si esibisce in questo numero acrobatico per connettere Al Qaeda alla sinistra antagonista. Ecco quello che milioni di italiani hanno sentito quella sera.

Luttwak: "Un amico qui a Roma che ha un figlio che guarda internet ha fatto presente che ci sono siti italiani fatti da italiani che parlano di resistenza e aizzano attacchi contro la coalizione. Ci sono Nuovimondimedia.it , Informationguerrilla.org . Questi dicono 'andate in Iraq, lottate, uccidete la coalizione e gli italiani'".
Vespa frena: "Luttwak, abbiamo cliccato non è venuto niente e lei, Frattini, che fa conferma?". Il ministro accende lo sguardo accigliato da busto marmoreo: "C'erano certo".

Vespa: "C'erano?".

Frattini: "Ma li hanno cancellati, sono scomparsi".

Vespa: “No, scusi eh, prima che li cancellassero esistevano? Lei testimonia che esistevano?".

Frattini: "Non li ho guardati ma noi sapevamo che esistevano".

Leggendo le mail sequestrate si capisce chi è la fonte che ha spinto il politologo a dire la balla spaziale. Pompa scrive a Luttwak: "Come richiesto ti invio i contenuti dei siti web riguardanti la tua presenza a Porta a Porta". Così l’amico americano scopre che l’associazione Nuovimondi annuncia querela. Luttwak è terrorizzato: il 20 e poi il 23 novembre scrive ossessivamente a quella che sembra essere la sua fonte: "Visto querela dai siti gradirei copie loro pagine offensive".

Purtroppo per lui quelle pagine non esistono. Il 24 novembre torna alla carica: "est possibile recuperare le loro pagine aggressive prima di Nassirya?". Da Pompa arriva solo un link su Osama che non c’entra nulla. Luttwak insiste il 26 novembre: "Ho bisogno dei testi precedenti dei siti, cioé quando celebravano la resistenza".Antonio Imparato di Nuovimondi racconta: "Abbiamo fatto querela perché era un fatto totalmente inventato ed era particolarmente grave perché pubblicizzato sull’onda emotiva dell’attentato di Nassirya. Non so come è finita".

È interessante il ruolo di Apri. Questa società di consulenza ha fatturato 2,8 milioni di euro nel 2008 ed è diretta da Luciano Monti, in quel periodo presidente di Assoconsult, aderente a Confindustria. Pompa vanta con Apri un rapporto di ferro. La sua fidatissima segretaria trentenne, che poi sarà assunta al Sismi, è stata una dipendente Apri e ha raccontato che Pompa stesso aveva una stanza nella sede Apri di Piazza Esedra.

A leggere il carteggio tra Pompa e Luttwak, Apri funzionava come una cassa dei servizi per i consulenti.

In un appunto di Pompa, sequestrato dalla Digos, si legge l’elenco delle attività svolte da Apri. In particolare nell’appunto di Pompa si cita il think tank composto oltre che dal politologo americano e dai dirigenti di Apri Monti e Orvieto, da altri esperti vicini al Governo come il generale Carlo Jean e il commercialista Enrico Vitali, partner dello studio tributario fondato da Giulio Tremonti.

Il report descrive 15 incontri sui seguenti temi: emergenza nazionale, flussi migratori e finanziari, organizzazioni islamiche e sviluppi del settore aerospaziale. A differenza degli informatori come il giornalista Renato Farina pagati direttamente dalla "Casa" (come dimostrano le ricevute sopra pubblicate e controfirmate con il nome in codice "Betulla"), i consulenti prestavano la loro opera a Apri.

A un certo punto però il giocattolo si rompe. Pompa segnala a Pollari nel 2003: "L’assoluta non veridicità, come dimostrato dalla quasi totale assenza di prodotti a supporto, delle giornate lavorative imputate al capoprogetto, prof. Luciano Monti e al suo collaboratore dott. Piero Orvieto, rispettivamente n. 41 e 50 giornate che sarebbero state effettuate nel bimestre novembre-dicembre 2002 per un importo complessivo di 131.495 euro".

Per Pompa, Apri chiede 2 milioni di euro perché interpreta a modo suo la convenzione del 2002. Ma il Sismi non vuole pagare tanto. A cascata Apri blocca i pagamenti a Luttwak che fa causa e tempesta Monti e Pompa di mail sempre più dure. Alla fine Pompa gli propone di chiudere accettando "solo" 142 mila euro, "a cui vanno aggiunte quelle non ancora pagate da Monti". Chissà se il “Caro Edward” ha accettato.
by Marco Lillo

Recessione: diminuiscono i crimini


Con la recessione aumentano (negli Stati Uniti e altrove) poveri e disoccupati, ma crollano i crimini. Con grandissimo stupore di criminologi e sociologi che fin dai primi licenziamenti del 2008 avevano previsto il contrario. In realtà, negli Usa, con più di 7 milioni di posti di lavoro persi, il livello di criminalità è arrivato al punto più basso da cinquant’anni.
Il Wall Street Journal ha dedicato all’evento una pagina, decretando la morte di una delle teorie sociologiche più diffuse, che spiega come la causa della criminalità siano l’ineguaglianza dei redditi e la povertà. È accaduto invece che ineguaglianze e livelli di povertà sono aumentati, e i crimini diminuiti. Come mai?
Perché la teoria: povertà uguale criminalità, era sbagliata, e, a dire il vero, lo si sapeva da un pezzo. Influenzata dalla sociologia radicale americana di Wright Mills e Vance Packard, con scorie della Scuola di Francoforte portate da Herbert Marcuse, accusava il capitalismo di creare nuove sacche di povertà a vantaggio degli eletti, e di spingere i diseredati al crimine come unico modo di affermare se stessi, oltre che di sopravvivere.
Invece, e non solo in questa crisi ma anche nelle precedenti, i dati oggettivi hanno dimostrato il contrario.
Il fatto è che anche il crimine costa, cresce in una situazione dove ci sono liquidità ed energie. Lo aveva perfettamente dimostrato il grande sociologo francese Gaston Bouthoul fin dagli anni ’50 del secolo scorso, studiando la guerra, e demolendo in quel caso la vecchia (ma ancora circolante da noi) teoria che le guerre siano fatte dai poveri, spinti a ciò dai bisogni più elementari, loro negati dalle economie dei Paesi ricchi e dall’ineguaglianza internazionale.
Bouthoul dimostrò in modo inoppugnabile che le guerre erano sempre nate da un accumulo di energie dei Paesi ricchi, che le investivano (gettandole via, ripetendo il rito romano della sparsio, i doni gettati al trionfo del vincitore) in conflitti di natura ideale, politica, religiosa, ma che nella maggior parte dei casi rappresentavano, anche per loro, un’autentica distruzione di ricchezza.
Non solo però per muovere guerra, ma anche per delinquere, ci vogliono soldi, energie. Un tipo come Bernie Madoff, che si fece dare miliardi di dollari da una folla di plutocrati, intascandoseli, è certo l’icona del criminale affluente, pre-recessione. Ma anche le bande di rapinatori hanno bisogno di un retroterra solido: luoghi che ti ospitino, organizzazioni che finanzino, coprano, acquistino armi, automobili, quel che serve.
Il crimine (come mi raccontava Alberto dall’Ora, uno dei più grandi penalisti italiani), è soprattutto un’attività industriale, finalizzata alla moltiplicazione della ricchezza dei suoi partecipanti. Se la ricchezza si contrae, anche l’azienda-crimine riduce le attività.
Anche il terrorismo internazionale, che costa un mucchio di soldi, ha potuto svilupparsi quando i Paesi che lo ispirano hanno cominciato a disporre di ingenti capitali, tanto da poterli buttar via. Quando non c’erano i petrodollari il terrorismo era affidato a qualche anarchico, che in genere pagava di tasca sua singoli attentati a sfortunati sovrani, recandosi in terza classe sul luogo del delitto.
E i poveri, allora? I poveri non c’entrarono mai nulla, con l’incremento del crimine. Solo le fantasie negative sviluppate sui poveri dagli intellettuali ricchi (promotori di queste sociologie), condite dai loro sensi di colpa, li hanno convinti che se un operaio perde il lavoro, diventa un bandito.
La morale delle classi meno favorite ha basi più solide, e abitudini alle privazioni più consolidate, della paura della povertà di un professore che ha studiato nelle migliori università americane.
Certo, i poveri cercano di diventare ricchi, ma raramente perdono la testa quando devono fare un passo indietro, in una condizione già nota, e di cui riconoscono la dignità (in genere sconosciuta all’intellettuale radical-borghese che la filtra attraverso i propri sensi di colpa).
Si sa da tempo: il popolo è più onesto e più coraggioso dei suoi paladini.
di Claudio Risé

11 gennaio 2010

A che serve risparmiare?

Per secoli "`risparmiare"' ha voluto significare "`accantonare, mettere da parte"' in previsione di spese future importanti o impreviste. Il risparmio permette di pianificare, progettare e migliorare le prospettive di vita e lavoro delle generazioni presenti e future; basti pensare al padre che rinuncia ai consumi presenti per garantire al figlio la possibilità creare una propria impresa o di accedere a master di specializzazione.

Quello che invece è accaduto negli ultimi venti anni è un totale stravolgimento del concetto di risparmio, operato dall'economia del Pil.

Per sostenere la fantascientifica, costante e inarrestabile crescita del Pil, si è pensato di sostenere in modo altrettanto fantascientifico il livello dei consumi. D'altronde si insegna anche nelle università che aumentando i consumi aumenta la produzione, si generano più posti di lavoro, quindi più stipendi da spendere in consumi e di nuovo più produzione (anche l'assiduo frequentatore del bar dello sport è in grado di fare questo ragionamento). L'effetto sul Pil (cioè sulla produzione di beni) è moltiplicativo. L'esponenziale produzione di rifiuti generata da questo processa produrrà altro Pil visto che occuperà manodopera e imprese che altrimenti non sarebbero esistite. Dal momento stesso in cui il reddito delle famiglie si è rivelato non sufficiente al sostenimento del livello desiderato dei consumi, si è pensato di aumentarlo virtualmente attraverso la concessione illimitata di credito al consumo. Questo ha permesso la nascita di un numero smisurato di finanziarie (quelle che fanno credito anche ai cattivi pagatori privi di reddito) e la realizzazione di sogni a tutti coloro che fino a quel momento si vedevano preclusa la possibilità di acquistare un SUV 5000 a benzina o di vivere una vacanza di sette giorni nel paradiso dei pedofili in Thailandia.

Il paradosso di tutto questo processo, considerato virtuoso dagli economisti, non sta tanto nelle esternalità negative prodotte (si pensi all'inquinamento o alla possibilità di impiegare il denaro speso in attività più fruttuose come imparare a suonare un strumento musicale) ma nel fatto che il consumatore, pur avendo speso tutto il suo reddito presente e quello futuro dei suoi figli in merci di consumo (si badi che parlo di merci e non di beni), ha la percezione di aver risparmiato.

Frasi del tipo "`grazie alla rottamazione ho acquistato una nuova autovettura risparmiando 2000 euro"', senza considerare il fatto che l'auto rottamata poteva durare ancora per parecchi anni o "`il negozio X faceva gli sconti, così ne ho approfittato acquistando un set da poker con fiches numerate, 6 bicchieri (made in China), una bilancia digitale e una tenda da campeggio, risparmiando ben 100 euro", non curante del fatto che a poker non ci gioca mai, di bicchieri ne ha piena la credenza, di bilancia ne possiede una meccanica perfettamente funzionante che non ha bisogno di pile e infine l'ultima volta che è andato in campeggio aveva 18 anni (ora ne ha 40). In entrambi gli esempi il consumatore è convinto di aver risparmiato, pur avendo speso denaro per merci del tutto inutili.

E' questo il geniale incantesimo dell'economia del Pil: illudere il consumatore che sta risparmiando, anche nel momento in cui sta ipotecando il futuro dei propri figli acquistando un'auto grande come un Tir, rigorosamente con lettore MP3 integrato (pagato qualche centinaio di euro – si rende noto che i lettori MP3 [certo, non integrati] costano poche decine di euro.)

I consumi, così, rimangono alti ma alle strette dipendenze del sistema finanziario. Se questo crolla crollano inevitabilmente anche i consumi. E' con la crisi finanziaria che il consumatore si accorge che è un poveraccio e che al massimo poteva permettersi un televisore mivar bianco e nero piuttosto che il 100 pollici al plasma (pagabile in 100 comode rate da 20 euro al mese).

A quel punto ci si accorge che non si ha niente da parte e che i libri scolastici dei figli, così come l'iscrizione all'università, costano troppo; che si è preferito un lavoro privo di qualunque prospettiva di crescita e gratificazione perchè permetteva da subito un guadagno basso ma sicuro che dava la possibilità di ottenere credito per acquistare l'auto, il pc portatile e altre merci il cui acquisto poteva (ma ce ne accorgiamo solo ora) essere rinviato al futuro.

Se tutti i consumatori si accorgessero del raggiro cui sono stati vittime sarebbe comunque un buon risultato e da lì si potrebbe ripartire per riformulare un nuovo paradigma dei consumi che abbia come elemento centrale i beni e non le merci. Purtroppo il cambio di mentalità, reso possibile anche dal fondamentale ruolo svolto dalla televisione e dai media in generale, è stato così devastante che oggi, in piena crisi finanziaria, il consumatore cerca in tutti i modi di conservare lo standard di consumi acquisito senza considerare minimamente la possibilità di rivedere tale standard al ribasso, magari acquistando beni di cui ha bisogno e non merci che divorano il suo reddito. Piuttosto che non acquistare aspetta i saldi e quando non ce la fa più entra in uno stato di profonda frustrazione che lo porta a imprecare contro politici e calciatori (che prendono troppo) o contro datore di lavoro e sindacati che non fanno nulla per aumentargli lo stipendio.

Con dei semplici calcoli si accorgerebbe di avere ancora potenzialità di risparmio reale senza intaccare minimamente (anzi migliorando) la qualità della sua mediocre esistenza, pur continuando a pagare la rata del mutuo. Basterebbe che smettesse di riempire il carrello di imballaggi colorati, limitando gli acquisti a beni necessari e genuini, magari facendosi un giretto nei negozi del centro o nelle aziende agricole vicine alla propria città, piuttosto che perdersi negli enormi lager commerciali che infestano le periferie dei centri abitati; in questo modo produrrebbe anche meno rifiuti. Con questa semplice mossa si ritroverebbe alla fine dell'anno con un primo gruzzoletto al quale potrebbero aggiungersene altri se evitasse di comprare continuamente merci tecnologiche come telefonini, telecamere, frullatori, aspirabriciole ecc.. limitandosi ad usare il più possibile quelli che già possiede. Ulteriori risparmi deriverebbero dalla rinuncia al telefono fisso e alla televisione a pagamento (altro cancro che ormai ha diffuso le sue metastasi presso tutti i ceti sociali).

Qualora fosse possibile, sarebbe opportuno autoprodursi quei beni che fino a pochi anni fa ogni famiglia era in grado di fabbricarsi da sola: pane, passata di pomodoro, olio, dolci. L'economia del Pil, infatti, rendendo accessibili merci a chiunque ha reso del tutto inutile la conservazione di conoscenze e abilità che nei secoli hanno permesso il sostentamento a famiglie numerosissime prive di reddito monetario.

Tutto quello di cui abbiamo bisogno lo si può comprare, dal divertimento dei figli al broccolo fluorescente. Perchè autoprodurselo? Il motivo principale sarebbe che l'autoproduzione permetterebbe di ricominciare a risparmiare, ma nel vero senso della parola, una buona parte del reddito monetario.

Insomma, ritornare a risparmiare come facevano i nostri nonni.

La fine del risparmio ha già prodotto effetti devastanti sulle capacità dei giovani di progettare la propria vita futura, di fare programmi a lungo termine. Il bisogno di consumo ha preso il sopravvento sull'abilità del giovane di pensare e costruire il proprio avvenire. Non ritengo che la perdita di speranza dei giovani sia imputabile (almeno non totalmente) alla precarizzazione del lavoro; tale precarizzazione ha semplicemente reso più problematica la possibilità di mantenere alto il livello del consumo di merci; da un certo punto di vista è un bene che lavori come "`centralinista di call-center"' siano principalmente con contratti a termine in quanto è impensabile che un essere umano possa tutta la vita svolgere quel tipo di lavoro, senza prospettive di crescita umana e intellettuale. Il problema è che molti giovani, non avendo in testa l'idea di risparmio, preferiscono questo lavoro che permette loro di consumare merci (al resto ci pensano mamma e papà) invece che risparmiare tempo e denaro per l'acquisizione di conoscenze e abilità che garantirebbero l'accesso (ma in futuro) a lavori più gratificanti.

Ecco quindi che un centralinista part-time che prende 800 euro al mese e che vive con i genitori, può ancora permettersi l'acquisto (a rate) di una moto e di un'auto, di fare vacanze in luoghi esotici, di aggiornare con cadenza mensile l'hardware del proprio pc e di acquistare settimanalmente abbigliamento griffato. In realtà questo consumatore, perdendo l'abilità al risparmio, ha barattato il proprio avvenire con la possibilità di consumi immediati; vive nell'illusione di aver risparmiato pur non avendo un centesimo in tasca.

di Luca Correani

10 gennaio 2010

Luttwak al soldo del Sismi


Caro Edward". Si apre così una lettera di Pio Pompa al consulente americano dei servizi segreti. Ma l’autore della missiva, l’ex funzionario del servizio segreto militare Pio Pompa, avrebbe fatto meglio a iniziare con un "Carissimo" vista l’entità dei compensi strappati ai contribuenti italiani da questo professore nato in Romania, passato da Palermo e cresciuto tra Londra e gli Stati Uniti a cornflakes e intelligence.

Luttwak è famoso per le sue comparsate a Porta a Porta, dove con l’accento da telecronista di football americano imitato perfettamente da Corrado Guzzanti rifila ai telespettatori concetti indigesti sulla guerra necessaria e sui terroristi da sterminare. Dalle carte sequestrate nel "covo del Sismi" di via Nazionale diretto da Pio Pompa si scopre che per le sue analisi Luttwak è stato retribuito profumatamente dal Sismi diretto da Nicolò Pollari, attraverso la Apri Spa di Luciano Monti.

Nella sua lettera, che dovrebbe risalire al settembre 2002, Pompa propone al "caro Edward" un contratto da nababbo: "a) impegno minimo di dieci giornate al mese per un importo di 5 mila euro al giorno, spese escluse, pari a complessive 50 mila euro al mese; b) la collaborazione avrà la durata di 12 mesi, a far data dalla sottoscrizione del contratto, per un importo annuale di 600 mila euro; c) le spese attinenti le attività da svolgere, debitamente concordate, saranno rimborsate a parte dietro presentazione della relativa documentazione".

Luttwak ha raccontato in un’intervista a Claudio Gatti del Sole 24 ore nel novembre del 2008: "Lavoravo con Pompa per Apri e Apri lavorava per il Sismi". A leggere le mail sequestrate a Pompa però si coglie un esempio negativo delle ricadute del rapporto Luttwak-Sismi sulla manipolazione dei media. Tutto si svolge nelle ore immediatamente seguenti la strage di Nassirya del 12 novembre 2003. Muoiono 28 persone, 18 italiani. L’Italia è scossa e e si raccoglie intorno al salotto di Vespa. Luttwak è invitato insieme a Franco Frattini, allora ministro degli Esteri.

L’illustre politologo indipendente (in realtà strapagato dal Sismi e quindi dal Governo) si esibisce in questo numero acrobatico per connettere Al Qaeda alla sinistra antagonista. Ecco quello che milioni di italiani hanno sentito quella sera.

Luttwak: "Un amico qui a Roma che ha un figlio che guarda internet ha fatto presente che ci sono siti italiani fatti da italiani che parlano di resistenza e aizzano attacchi contro la coalizione. Ci sono Nuovimondimedia.it , Informationguerrilla.org . Questi dicono 'andate in Iraq, lottate, uccidete la coalizione e gli italiani'".
Vespa frena: "Luttwak, abbiamo cliccato non è venuto niente e lei, Frattini, che fa conferma?". Il ministro accende lo sguardo accigliato da busto marmoreo: "C'erano certo".

Vespa: "C'erano?".

Frattini: "Ma li hanno cancellati, sono scomparsi".

Vespa: “No, scusi eh, prima che li cancellassero esistevano? Lei testimonia che esistevano?".

Frattini: "Non li ho guardati ma noi sapevamo che esistevano".

Leggendo le mail sequestrate si capisce chi è la fonte che ha spinto il politologo a dire la balla spaziale. Pompa scrive a Luttwak: "Come richiesto ti invio i contenuti dei siti web riguardanti la tua presenza a Porta a Porta". Così l’amico americano scopre che l’associazione Nuovimondi annuncia querela. Luttwak è terrorizzato: il 20 e poi il 23 novembre scrive ossessivamente a quella che sembra essere la sua fonte: "Visto querela dai siti gradirei copie loro pagine offensive".

Purtroppo per lui quelle pagine non esistono. Il 24 novembre torna alla carica: "est possibile recuperare le loro pagine aggressive prima di Nassirya?". Da Pompa arriva solo un link su Osama che non c’entra nulla. Luttwak insiste il 26 novembre: "Ho bisogno dei testi precedenti dei siti, cioé quando celebravano la resistenza".Antonio Imparato di Nuovimondi racconta: "Abbiamo fatto querela perché era un fatto totalmente inventato ed era particolarmente grave perché pubblicizzato sull’onda emotiva dell’attentato di Nassirya. Non so come è finita".

È interessante il ruolo di Apri. Questa società di consulenza ha fatturato 2,8 milioni di euro nel 2008 ed è diretta da Luciano Monti, in quel periodo presidente di Assoconsult, aderente a Confindustria. Pompa vanta con Apri un rapporto di ferro. La sua fidatissima segretaria trentenne, che poi sarà assunta al Sismi, è stata una dipendente Apri e ha raccontato che Pompa stesso aveva una stanza nella sede Apri di Piazza Esedra.

A leggere il carteggio tra Pompa e Luttwak, Apri funzionava come una cassa dei servizi per i consulenti.

In un appunto di Pompa, sequestrato dalla Digos, si legge l’elenco delle attività svolte da Apri. In particolare nell’appunto di Pompa si cita il think tank composto oltre che dal politologo americano e dai dirigenti di Apri Monti e Orvieto, da altri esperti vicini al Governo come il generale Carlo Jean e il commercialista Enrico Vitali, partner dello studio tributario fondato da Giulio Tremonti.

Il report descrive 15 incontri sui seguenti temi: emergenza nazionale, flussi migratori e finanziari, organizzazioni islamiche e sviluppi del settore aerospaziale. A differenza degli informatori come il giornalista Renato Farina pagati direttamente dalla "Casa" (come dimostrano le ricevute sopra pubblicate e controfirmate con il nome in codice "Betulla"), i consulenti prestavano la loro opera a Apri.

A un certo punto però il giocattolo si rompe. Pompa segnala a Pollari nel 2003: "L’assoluta non veridicità, come dimostrato dalla quasi totale assenza di prodotti a supporto, delle giornate lavorative imputate al capoprogetto, prof. Luciano Monti e al suo collaboratore dott. Piero Orvieto, rispettivamente n. 41 e 50 giornate che sarebbero state effettuate nel bimestre novembre-dicembre 2002 per un importo complessivo di 131.495 euro".

Per Pompa, Apri chiede 2 milioni di euro perché interpreta a modo suo la convenzione del 2002. Ma il Sismi non vuole pagare tanto. A cascata Apri blocca i pagamenti a Luttwak che fa causa e tempesta Monti e Pompa di mail sempre più dure. Alla fine Pompa gli propone di chiudere accettando "solo" 142 mila euro, "a cui vanno aggiunte quelle non ancora pagate da Monti". Chissà se il “Caro Edward” ha accettato.
by Marco Lillo

Recessione: diminuiscono i crimini


Con la recessione aumentano (negli Stati Uniti e altrove) poveri e disoccupati, ma crollano i crimini. Con grandissimo stupore di criminologi e sociologi che fin dai primi licenziamenti del 2008 avevano previsto il contrario. In realtà, negli Usa, con più di 7 milioni di posti di lavoro persi, il livello di criminalità è arrivato al punto più basso da cinquant’anni.
Il Wall Street Journal ha dedicato all’evento una pagina, decretando la morte di una delle teorie sociologiche più diffuse, che spiega come la causa della criminalità siano l’ineguaglianza dei redditi e la povertà. È accaduto invece che ineguaglianze e livelli di povertà sono aumentati, e i crimini diminuiti. Come mai?
Perché la teoria: povertà uguale criminalità, era sbagliata, e, a dire il vero, lo si sapeva da un pezzo. Influenzata dalla sociologia radicale americana di Wright Mills e Vance Packard, con scorie della Scuola di Francoforte portate da Herbert Marcuse, accusava il capitalismo di creare nuove sacche di povertà a vantaggio degli eletti, e di spingere i diseredati al crimine come unico modo di affermare se stessi, oltre che di sopravvivere.
Invece, e non solo in questa crisi ma anche nelle precedenti, i dati oggettivi hanno dimostrato il contrario.
Il fatto è che anche il crimine costa, cresce in una situazione dove ci sono liquidità ed energie. Lo aveva perfettamente dimostrato il grande sociologo francese Gaston Bouthoul fin dagli anni ’50 del secolo scorso, studiando la guerra, e demolendo in quel caso la vecchia (ma ancora circolante da noi) teoria che le guerre siano fatte dai poveri, spinti a ciò dai bisogni più elementari, loro negati dalle economie dei Paesi ricchi e dall’ineguaglianza internazionale.
Bouthoul dimostrò in modo inoppugnabile che le guerre erano sempre nate da un accumulo di energie dei Paesi ricchi, che le investivano (gettandole via, ripetendo il rito romano della sparsio, i doni gettati al trionfo del vincitore) in conflitti di natura ideale, politica, religiosa, ma che nella maggior parte dei casi rappresentavano, anche per loro, un’autentica distruzione di ricchezza.
Non solo però per muovere guerra, ma anche per delinquere, ci vogliono soldi, energie. Un tipo come Bernie Madoff, che si fece dare miliardi di dollari da una folla di plutocrati, intascandoseli, è certo l’icona del criminale affluente, pre-recessione. Ma anche le bande di rapinatori hanno bisogno di un retroterra solido: luoghi che ti ospitino, organizzazioni che finanzino, coprano, acquistino armi, automobili, quel che serve.
Il crimine (come mi raccontava Alberto dall’Ora, uno dei più grandi penalisti italiani), è soprattutto un’attività industriale, finalizzata alla moltiplicazione della ricchezza dei suoi partecipanti. Se la ricchezza si contrae, anche l’azienda-crimine riduce le attività.
Anche il terrorismo internazionale, che costa un mucchio di soldi, ha potuto svilupparsi quando i Paesi che lo ispirano hanno cominciato a disporre di ingenti capitali, tanto da poterli buttar via. Quando non c’erano i petrodollari il terrorismo era affidato a qualche anarchico, che in genere pagava di tasca sua singoli attentati a sfortunati sovrani, recandosi in terza classe sul luogo del delitto.
E i poveri, allora? I poveri non c’entrarono mai nulla, con l’incremento del crimine. Solo le fantasie negative sviluppate sui poveri dagli intellettuali ricchi (promotori di queste sociologie), condite dai loro sensi di colpa, li hanno convinti che se un operaio perde il lavoro, diventa un bandito.
La morale delle classi meno favorite ha basi più solide, e abitudini alle privazioni più consolidate, della paura della povertà di un professore che ha studiato nelle migliori università americane.
Certo, i poveri cercano di diventare ricchi, ma raramente perdono la testa quando devono fare un passo indietro, in una condizione già nota, e di cui riconoscono la dignità (in genere sconosciuta all’intellettuale radical-borghese che la filtra attraverso i propri sensi di colpa).
Si sa da tempo: il popolo è più onesto e più coraggioso dei suoi paladini.
di Claudio Risé