26 maggio 2010

Ma i partiti sono sempre più ricchi



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Se per dare un giudizio dell’affidabilità dell’Italia i mercati utilizzassero la dinamica del finanziamento pubblico ai partiti anziché quella degli stipendi del pubblico impiego, allora non avremmo davvero speranza. La speculazione ci avrebbe già fatti a pezzi prima della Spagna, del Portogallo, della Grecia e dell’Irlanda, ovvero i Paesi che ci precedono nella graduatoria della crescita delle retribuzioni pubbliche.
Mentre fra il 1999 e il 2008 queste aumentavano in Italia, secondo l’Ocse, del 42,5%, gli incassi dei nostri partiti si moltiplicavano addirittura per undici: + 1.110%. Grazie a due colpi da maestro. Il primo nel 1999, quando i «rimborsi elettorali», la formula ipocrita con la quale si chiama adesso il vituperato finanziamento pubblico abrogato per finta dal referendum del 1993, furono portati in un sol colpo da 800 a 4 mila lire. II secondo nel 2002, quando si passò da 4 mila lire a 5 euro a legislatura (1 euro l’anno) per ogni italiano iscritto alle liste elettorali di Montecitorio: 5 euro per la Camera, 5 per il Senato, 5 per le europee e 5 per le regionali. Totale, 20 euro a cranio per ogni quinquennio, indipendentemente da quanti davvero vanno a votare. E siccome gli iscritti alle liste elettorali di Montecitorio sono 50 milioni tondi, la bolletta che gli italiani pagano ai partiti ha raggiunto la cifra stratosferica di un miliardo di euro per cinque anni: 200 milioni l’anno. Con l’aggiunta di un simpatico bonus, introdotto, anch’esso alla chetichella, nel 2006. Nel caso di fine anticipata della legislatura, infatti, i contributi elettorali continuano a correre.
Per il triennio che si conclude nel 2011, quindi, razione doppia per Camera e Senato. E invece di 200 milioni, eccone 300. Almeno sulla carta, perché c’è stato un taglio di cassa del 10%. Che ha provocato (l’avreste detto?) anche qualche vergognoso mugugno.
Per capire quanta ipocrisia abbiano messo nell’aver chiamato «rimborsi» questo fiume di denaro, basta leggere che cosa ha ripetutamente scritto la Corte dei conti nei suoi referti sulle spese elettorali, sottolineando come non esista alcuna relazione fra le somme spese per le campagne elettorali e quello che lo Stato dà ai partiti. Ma ben più eloquenti sono i numeri. Nel 1996 un partito come Forza Italia aveva speso per la campagna elettorale, considerando anche la Casa delle Libertà, 4 milioni 90.563 euro. Dieci anni più tardi, la spesa era arrivata a 62 milioni 490.854 euro: +1.427%. E i «rimborsi»? Da 14 milioni 707.526 a 128 milioni 42.335 euro: +770%. Se nel 1996 il partito di Silvio Berlusconi si era messo in tasca, puliti, lo milioni 616.963 euro, cioè la differenza fra la le spese e i «rimborsi», dieci anni dopo l’«utile» era salito a qualcosa come 65 milioni 551.481 euro. Due anni più tardi, nel 2008, con spese elettorali cresciute ancora del 10%, i rimborsi spettanti al Popolo della Libertà sono schizzati a 206 milioni 518.945 euro. Con un «utile» astronomico: 138 milioni 43.803 euro. Non che le cose siano andate peggio alla sinistra, nonostante l’ultima batosta elettorale. Secondo i dati pubblicati nel referto della Corte dei conti sulle politiche 2008, il Partito democratico di Walter Veltroni aveva investito in tutta la campagna elettorale 18 milioni 418.043 euro, meno di un terzo del Popolo della Libertà.
Acquisendo però il diritto a incassare una somma dieci volte superiore a quella investita: 180 milioni 231.506 euro. Cifra che ha perciò garantito a sua volta al Pd un «utile» ancora maggiore di quello del partito di Berlusconi:161 milioni 813.463 euro.
A conti fatti, le elezioni politiche del 2008 riverseranno nelle casse dei partiti introiti «puliti» per 367 milioni di euro. Ovvero la differenza fra 136 milioni di spese e 503 milioni di «rimborsi» per Camera e Senato, spalmati su cinque anni. Per ogni euro sborsato, dunque, ne sono tornati indietro quattro. Gli effetti di questo andazzo sono fin troppo facilmente intuibili. A cominciare dagli apparati di alcuni partiti, i quali hanno potuto evitare la pesante dieta dimagrante che si era profilata dopo il 1993. Per proseguire con l’abnorme incremento delle spese elettorali, che hanno raggiunto livelli senza precedenti. E finire con il risanamento di alcune difficili situazioni finanziarie. Se la pesante esposizione (si parla di 500 milioni di euro) di cui i Democratici di sinistra si erano fatti carico accollandosi i debiti dell’Unità si è ridotta a meno di un terzo, il merito è anche di quei generosissimi contributi. Che consentono oggi anche al Partito democratico, unica formazione politica ad avere un bilancio certificato, di chiudere i conti con un attivo di una quindicina di milioni. Per non parlare di altri «tesoretti» sulla cui destinazione si è discusso a lungo, ma senza costrutto: per esempio i «rimborsi» elettorali a cui hanno avuto diritto ancora sia i Ds sia la Margherita dopo la nascita del Pd.
Certo, ci sono anche situazioni dove i soldi non bastano mai. Forza Italia, per esempio, era arrivata nel 2006 a essere esposta per 157 milioni di euro con le banche. Garantiti da una fidejussione personale del Cavaliere. Per avere un’idea di quanto pure la dimensione economica di quel partito fosse personale, si consideri che nei conti c’era anche un debito di 14 milioni e mezzo con la Dolcedrago, società del premier che controlla la Immobilare Idra, cassaforte nella quale sonocustodite le ville di Arcore e Macherio, le proprietà sarde, la casa romana nella zona dell’Appia Antica dove abita Franco Zeffirelli, e altre ancora.
Possiamo immaginare la sofferenza dei tesorieri se davvero la minaccia di Giulio Tremonti, di tagliare i «rimborsi» da 5 euro a 2 euro e 50 per ogni legislatura e per ogni tornata elettorale, dovesse andare in porto. Si consolino comunque: pure dimezzati, i finanziamenti pubblici sarebbero pur sempre ancora più alti di quelli che toccano ai partiti di altri Paesi europei. Come Francia e Spagna...
di Sergio Rizzo

25 maggio 2010

La crisi economica mondiale, la Grande Depressione del XXI’ secolo.

In tutte le grandi regioni del mondo, la recessione economica è profonda e provoca la disoccupazione di massa,il fallimento dei programmi sociali degli stati e l’impoverimento di milioni di persone. La crisi economica si accompagna ad un processo mondiale di militarizzazione, ad “una guerra senza frontiere” condotta dagli Stati Uniti d’America e dai suoi alleati della NATO.

La condizione della “guerra lunga” del Pentagono è intimamente legata alla ristrutturazione dell’economia mondiale.

Non si tratta di una crisi economica o di una recessione ben definita.

L’architettura finanziaria mondiale mantiene degli obiettivi strategici e di sicurezza nazionale , mentre il programma militare USA-NATO serve ad avallare una potente élite di aziende, che nasconde e mina inesorabilmente le funzioni del governo civile.

Questo libro porta il lettore nei corridoi della Federal Riserve e del Council on Foreign Relation, dietro le porte chiuse della Banca dei regolamenti internazionali(BRI) e nel cuore delle sale delle riunioni corporative e facoltose di Wall Street, dove si effettuano correntemente le transazioni finanziarie di una certa portata con un solo clic che parte dai terminali informatici in linea con i grandi mercati borsistici.

Ogni autore alza il velo da una complessa tela di menzogne e di deformazioni mediatiche che servono a coprire gli ingranaggi del sistema economico mondiale i cui effetti devastanti si ribaltano sulla vita della gente. La nostra analisi si concentra sul ruolo dei potenti attori economici e politici in questo ambiente caratterizzato dalla corruzione, dalla manipolazione finanziaria e dalla frode.

Malgrado la diversità dei punti di vista e delle prospettive esposte in questo volume, gli autori arrivano all’unanime conclusione che l’umanità si trovi ora al bivio della più grave crisi economico-finanziaria della storia moderna.

Il tracollo dei mercati finanziari tra il 2008 e il 2009 è nato da una frode istituzionalizzata e dalla manipolazione finanziaria.

I “salvataggi delle banche, che ”sono stati messi in opera sotto l’egida di Wall Street, hanno condotto al più grande trasferimento di ricchezza monetaria della storia mai visto, creando nello stesso tempo un debito pubblico insormontabile.

Con il deterioramento planetario dei livelli di vita e la caduta delle spese di consumo, l’intera struttura del commercio internazionale delle derrate è potenzialmente compromessa.

Il sistema di pagamento delle transazioni monetarie è scombussolato.

Una volta crollato il mercato del lavoro , il pagamento dei salari è diventato più difficile e si è avviata di conseguenza una diminuzione delle spese legate ai beni e ai servizi essenziali.

Questo grave tracollo del potere d’acquisto si è poi ripercosso sul sistema della produzione dando come risultante una serie di azioni come i fallimenti e la chiusura delle fabbriche .

Esacerbata dal congelamento del credito, la diminuzione della domanda di beni di consumo ha contribuito a smobilitare le risorse umane e materiali.

Questo processo di declino economico cumulativo ha interessato ogni categoria della manodopera. I pagamenti dei salari non vengono più effettuati , il credito viene sviato e le spese d’investimento sono ad un punto morto. Nel frattempo, nei paesi occidentali la”rete di sicurezza sociale” ereditato dallo stato sociale che protegge i disoccupati durante il rallentamento economico, viene ugualmente messo in pericolo.

Il mito della ripresa economica.

Per quanto si riconosca spesso l’esistenza di una”Grande Depressione” simile a quella del 1930, questo aspetto viene mimetizzato da un consenso inflessibile:”L’economia è sulla via della ripresa”.

Mentre si parla della ripresa economica, i commentatori di Wall Street hanno intenzionalmente trascurato con tenacia il fatto che il fallimento finanziario non è solo determinato dalla bolla, quella del mercato dell’abitazione e dell’immobiliare,che era già scoppiata. In realtà la crisi è determinata da più bolle che sembrano diminuire l’importanza dello scoppio della bolla del 2008.

Per quanto non vi sia alcun disaccordo fondamentale tra gli analisti della corrente dominante che sostiene la presenza della ripresa economica , esiste un animato dibattito ad esempio sul come questa ripresa si manifesterà: se sarà all’inizio del prossimo trimestre o nel terzo trimestre dell’anno prossimo ecc.

Già ad inizio 2010 , la “ripresa” dell’economia statunitense era stata prevista e confermata da un flusso di disinformazione mediatica accuratamente formulato.

Durante quel periodo il pantano sociale di accresciuta disoccupazione, questo evento è stato accuratamente dissimulato negli Stati Uniti e gli economisti vedevano il fallimento come un fenomeno di micro economia.

Per quanto rivelassero delle realtà a livello locale riguardanti una o più fabbriche, i servizi relativi i fallimenti non davano una veduta d’insieme su ciò che stava succedendo a livello nazionale ed internazionale. Quando per tutto il paese si sono sommate queste chiusure simultanee di fabbriche nelle piccole e nelle grandi città, è emerso un quadro molto diverso poiché interi settori dell’economia nazionale avevano cessato la loro attività.

Si continua ad indurre in errore l’opinione pubblica per quel che riguarda le cause e le conseguenze della crisi economica , senza contare le soluzioni politiche.

La gente è portata a pensare che l’economia possieda una propria logica che dipenda dalla libera influenza reciproca delle forze del mercato e che in nessuna circostanza alcuni potenti attori finanziari tirino ancora le fila in seno alle riunioni lobbistiche per influenzare il corso degli eventi economici.

L’appropriazione accanita e fraudolenta della ricchezza è mantenuta come parte integrante del “sogno americano” come mezzo per propagare benefici per la crescita economica.

Così come è stato espresso da Michel Hudson , il seguente mito recita: ”senza ricchezza al vertice non ci sarebbero ricadute”. Una logica così inadempiente del ciclo economico nasconde una comprensione delle origini strutturali e storiche della crisi economica mondiale.

Frode finanziaria.


La disinformazione mediatica serve largamente gli interessi di una manciata di banche mondiali e di speculatori istituzionali che utilizzano il dominio sui mercati finanziari e su quello delle derrate per ammassare quantità impressionanti di ricchezza monetaria.

I settori dello stato sono controllati dall’ordine lobbistico stabilito degli speculatori. Nel frattempo i “ salvataggi bancari” presentati alla gente come necessari per la ripresa economica, hanno facilitato e legittimato un processo addizionale di appropriazione della ricchezza.


Una quantità importante di ricchezza monetaria viene acquisita dalla manipolazione finanziaria. L’apparato finanziario ha sviluppato sofisticati strumenti di manipolazione e di imbrogli puri e semplici, ai quali ci si riferisce con la definizione di”deregulation”.

Grazie ad informazioni privilegiate e ad una conoscenza preventiva , i grandi attori finanziari, che utilizzano gli strumenti delle transazioni speculative, hanno la capacità di falsificare e di truccare i movimenti dei mercati a loro vantaggio, di accelerare il fallimento di un competitore e di provocare danni alle economie dei paesi in via di sviluppo. Questi strumenti sono diventati elementi fondamentali dell’architettura finanziaria e sono intergrati nel sistema.

L’insuccesso della scienza economica dominante.

La professione dell’economista, in particolare in ambito universitario, affronta raramente il “mondo reale” che si correla al funzionamento del mercato. I concetti teorici, centrati su modelli matematici, servono a rappresentare un mondo astratto e fittizio in seno al quale gli individui sono tutti uguali. Non esiste distinzione teorica tra lavoratori, consumatori o imprese alle quali ci si riferisce senza distinzione come a dei “negoziatori individuali”.

Quindi, nessun individuo ha il potere o la capacità d’influenzare da solo il mercato e non ci possono essere dei conflitti tra lavoratori e capitalisti nel mondo astratto.

Omettendo di esaminare le azioni reciproche dei potenti attori economici nell’economia”reale”, si ignorano le tecniche della falsificazione dei mercati , della manipolazione finanziaria e della frode.

La concentrazione e la centralizzazione delle prese di decisione economiche, il ruolo delle élite finanziarie, i circoli di riflessione, le sale di consiglio: nessuna di queste richieste è stata esaminata nei programmi economici universitari. Il concetto teorico è disfunzionale: non può essere utilizzato per assicurare una comprensione della crisi economica.

La scienza economica è un concetto ideologico che serve a mimetizzare e a giustificare il nuovo ordine mondiale. Una parte dei postulati dogmatici contribuisce alla salvaguardia del capitalismo del libero mercato negando l’esistenza delle ineguaglianze sociali e la natura del sistema che si basa sul profitto. Il ruolo dei potenti attori economici e il modo che questi hanno di influenzare i meccanismi del mercato finanziario e delle merci non è oggetto di preoccupazione da parte dei teorici di questa disciplina. I poteri di manipolazione che servono all’appropriazione di importanti quantità di ricchezze monetarie sono raramente prese in considerazione. E quando sono riconosciute si considera che esse appartengono al dominio della sociologia o delle scienze politiche.

Questo significa che il quadro politico e istituzionale del sistema economico mondiale, modellato nel corso degli ultimi trent’anni, viene raramente analizzato dagli economisti della cultura dominante. Così accade che l’economia, in quanto disciplina, a parte qualche eccezione, non ha fornito l’analisi necessaria per la comprensione della crisi economica. In realtà, i suoi principali postulati del libero mercato negano l’esistenza di una crisi.

L’economia neoclassica è centrata sull’equilibrio, lo squilibrio e la”correzione del mercato” o “l’aggiustamento “ attraverso il meccanismo del mercato stesso, con lo scopo di rimettere l’economia ”sulla via della crescita autonoma” .

La povertà e le disuguaglianze sociali.

L’economia politica mondiale è un sistema che arricchisce una manciata di persone a scapito della stragrande maggioranza. La crisi economica ha contribuito all’aumento delle ineguaglianze sociali, anche all’interno dei paesi stessi. Nel capitalismo mondiale, la povertà non risulta dall’esiguità o dalla mancanza di risorse umane e materiali. E’ piuttosto vero il contrario: la depressione economica è caratterizzata da un processo di disimpegno delle risorse umane e del capitale fisico. La vita delle persone viene distrutta e la crisi economica è profonda.

Le strutture delle disuguaglianze sociali sono state consapevolmente rinforzate è ci hanno portato non solo ad un processo generalizzato di impoverimento, ma anche all’annientamento di gruppi di reddito medio e medio superiore .

Il consumatore della classe media, sul quale è basato li modello di sviluppo capitalistico incontrollabile, è anch’esso minacciato. I fallimenti hanno colpito parecchi tra i settori più vivi dell’economia consumista. Le classi medie occidentali dal canto loro, sono state assoggettate all’erosione della loro ricchezza materiale per parecchi decenni. Mentre la classe media esiste solo in teoria perchè si tratta di una classe costruita e preservata dall’indebitamento delle famiglie.

Al posto della classe media, i ricchi sono diventati rapidamente la classe consumista, e questo ha portato all’incessante crescita dell’economia dei prodotti di lusso.

In più, in seguito all’inaridimento dei mercati nei prodotti manifatturieri per la classe media, la struttura e la crescita economica hanno subito una svolta epocale decisiva.

Con il crollo dell’economia civile, lo sviluppo dell’economia di guerra degli Stati Uniti, sostenuta da un bilancio della Difesa mostruoso che si avvicina a bilioni di dollari, ha raggiunto nuovi picchi. Nel momento in cui i mercati sprofondano e la recessione si espande, gli appaltatori militari, le industrie di armi perfezionate, gli imprenditori per la sicurezza nazionale e le promettenti compagnie di mercenari, hanno conosciuto uno sviluppo fiorente delle loro differenti attività.

La guerra e la crisi economica.

La guerra è inestricabilmente legata all’impoverimento delle persone, nel paese in cui si effettua e in tutto il mondo. La militarizzazione e la crisi economica sono dunque intimamente legate.

Il rifornimento di prodotti e di servizi essenziali necessari al fabbisogno umano è stato sostituito da un”ordigno omicida” il cui scopo è solo il denaro che favorisce la”guerra mondiale al terrorismo”.

I poveri sono fatti/utilizzati per combattere i poveri.

Tuttavia, la guerra arricchisce la classe superiore che controlla l’industria, l’esercito, il petrolio e le banche.

In un’economia di guerra, la morte và bene per gli affari, la povertà và bene per la società e il potere và bene per la politica.

I paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti, spendono centinaia di miliardi di dollari all’anno per assassinare creature innocenti in paesi poveri e lontani mentre i loro cittadini soffrono le disparità derivate dalla povertà ,dal fatto di appartenere ad una certa classe disagiata, di far parte di un certo genere di persone e infine dalle divisioni razziali.

Una”guerra economica” assoluta viene condotta dal libero mercato e causa la disoccupazione, la povertà e le malattie. La vita delle persone è in caduta libera ed il loro potere d’acquisto non esiste più. Negli ultimi vent’anni di “ libero mercato” mondiale la vita di milioni di persone è stata stravolta in maniera decisiva, generando la povertà e lo scollamento sociale.

Piuttosto di affrontare la catastrofe sociale imminente, i governi occidentali che sono al servizio degli interessi delle élite economiche, hanno edificato uno stato di polizia stile ”Grande Fratello” il cui solo scopo è il confronto e la repressione di ogni forma di opposizione e di dissenso sociale.

La crisi economica e sociale è lungi dall’aver raggiunto il suo parossismo e interi paesi sono in pericolo, tra questi la Grecia e l’Islanda. Non resta che osservare la crescita dei conflitti nel Medio Oriente e in Asia centrale e le minacce degli Stati Uniti e della NATO verso la Cina , la Russia e l’Iran per affermare che la guerra e l’economia sono strettamente legate.

L’analisi di quest’opera.

I collaboratori di questo libro rivelano la complessità del sistema bancario mondiale e della sua relazione insidiosa con il complesso apparato militare-industriale e i conglomerati industriali petroliferi.

Quest’opera rappresenta un approccio interdisciplinare e polivalente, e trasmette una comprensione di dimensioni storiche e istituzionali. Sottolinea anche le relazioni tra la crisi economica e la guerra, l’impero e la povertà mondiale.

Questa crisi ha veramente una portata planetaria e le sue ripercussioni si stanno propagando in tutti i paesi e in tutte le società

Nella prima parte del libro viene esposto l’insieme delle cause della crisi economica con gli insuccessi delle scienze economiche della cultura dominante. Michel Chossudovsky focalizza l’attenzione sulla storia della deregulation finanziaria e sulla speculazione.

Tanya Cariina Hsu analizza il ruolo dell’impero americano e la sua relazione con la crisi economica. John Bellamy Foster e Fred Magdoff offrono una disamina dell’economia politica della crisi spiegando il ruolo chiave della politica monetaria. James Petras e Claudia von Werlhof presentano una dettagliata critica sul neoliberismo mettendo l’accento sulle ripercussioni economiche, politiche e sociali delle riforme nel “libero mercato”.

Infine Shamus Cooke prende in esame il ruolo centrale dell’indebitamento, sia esso pubblico o privato.

Nella seconda parte, che comprende i capitoli di Michel Chossudovsky e di Peter Phillis , analizza l’ondata crescente di povertà e di disuguaglianza sociale risultante dalla Grande Depressione.

Grazie ai contributi di Michel Chossudovsky, Peter Dale Scott, Michael Hudson, Bill Van Auken,Tom Burghardt e Andrei Gavin Marshall, la terza parte osserva la correlazione tra la crisi economica, la sicurezza nazionale, la guerra condotta dagli Stati Uniti e la NATO e il governo mondiale.

In questo contesto, come viene espresso da Peter Dale Scott, la crisi economica crea le condizioni che favoriscono l’instaurazione della legge marziale.

La quarta parte è imperniata sul sistema monetario internazionale, sulla sua evoluzione e sulla trasformazione del suo ruolo. Andrei Gavin Marshall prende in considerazione la storia delle banche centrali così come le differenti iniziative che mirano a creare dei sistemi monetari regionali e internazionali. Ellen Brown si concentra sulla creazione di una banca centrale mondiale e di una divisa internazionale attraverso la BRI.

Infine Richard C.Cook studia il sistema monetario basato sul debito come sistema di controllo e offre una struttura per la democratizzazione del sistema monetario.

La quinta parte è centrata sui meccanismi del sistema bancario parallelo che ha scaturito il fallimento dei mercati finanziari nel 2008.

I capitoli di Mike Whitney e di Ellen Brown descrivono nel dettaglio come il sistema Ponzi di Wall Street è stato utilizzato per manipolare il mercato e trasferire miliardi di dollari nelle tasche dei banksters.

Siamo in debito con gli autori per la loro ricerca attentamente documentata, la loro analisi incisiva e soprattutto , per il costante impegno nella ricerca della verità.

Essi ci hanno consegnato con straordinaria chiarezza la comprensione di sistemi economici , sociali e politici che condizionano la vita di milioni di persone in tutto il mondo.

Grazie a: Tom Burghardt, Ellen Brown, Richard C. Cook, Shamus Cooke, John Bellamy Foster, Michael Hudson, Tanya Cariina Hsu, Fred Magdoff, James Petras, Peter Phillips, Peter Dale Scott, Mike Whitney, Bill Van Auken et Claudia von Werlhof, ont livré, et ce avec une extraordinaire clareté, une compréhension des processus économiques, sociaux et politiques complexes qui affectent la vie de millions de personnes dans le monde. Cook, Shamus Cooke, John Bellamy Foster, Michael Hudson, Tanya Hsu cariin Fred Magdoff, James Petras, Peter Phillips, Peter Dale Scott, Mike Whitney, Bill Van Auken e Claudia von Werlhof.

Michel Chossudovsky et Andrew Gavin Marshall, Montréal et Vancouver, mai 2010 Michel Chossudovsky Gavin e Andrew Marshall, Montreal e Vancouver, maggio 2010

24 maggio 2010

A proposito della questione sull’autenticità dei «Protocolli» dei Savi Anziani di Sion



Da quando hanno fatto la loro comparsa nella storia d’Europa (la prima traduzione italiana apparve nel 1921 a cura di Giovanni Preziosi), i «Protocolli dei Savi Anziani di Sion» non hanno cessato di polarizzare l’attenzione degli storici, dei politologi e dell’opinione pubblica intorno alla controversia sulla loro autenticità.
Il libro, apparso nella Russia di Nicola II all’interno di un’opera più vasta del mistico russo Sergej Nilus, è scritto in prima persona da un “grande vecchio” che rivolge le sue parole a un’assemblea di anziani ebrei, esponendo le linee guida di un piano strategico dalla straordinaria vastità di concezione e mirante, addirittura, alla conquista e alla sottomissione del mondo da parte degli Ebrei, il “popolo eletto”.
Infiltrandosi come una prodigiosa, efficientissima e segretissima quinta colonna nelle società cristiane, e segnatamente nei centri del potere economico, finanziario, culturale e dell’informazione, gli Ebrei - stando a questo testo - si porrebbero l’obiettivo dichiarato di indebolire la fibra morale di tutte le società non ebree, sovvertendo gradualmente, ma inesorabilmente, tutti i valori, tutte le certezze, tutte le tradizioni, fino a creare le condizioni adatte perché il mondo intero cada, come un frutto maturo, in potere dell’ebraismo internazionale, che agisce per mezzo di banchieri, uomini politici, giornalisti ed esponenti del mondo della cultura.
Dal momento che i «Protocolli» si prestano ad una lettura in chiave antisemita e che, effettivamente, essi entrarono a far parte del bagaglio propagandistico antisemita del nazismo (e, in misura molto più blanda, del fascismo, ma solo all’epoca delle leggi razziali del 1938), con tutto quello che ne è derivato, gli storici della seconda metà del Novecento hanno liquidato l’intera questione della loro autenticità, dichiarandoli un falso confezionato dalla «Ochrana», il servizio segreto zarista, probabilmente a Parigi e con lo scopo di creare una sorta di giustificazione morale per i “pogrom” che infuriavano, di quando in quando, in Russia, in Ucraina, in Polonia.
Anche il saggista Sergio Romano, col suo libro del 1992 «I falsi protocolli», ha impostato così tutta la problematica ad essi relativa, come già il titolo suggerisce chiaramente: come se, una volta assodata la loro non autenticità, venisse a cadere interamente l’altra questione, ad essa collegata, ma che nessuno osa anche soltanto accennare, tanto forte è il timore di essere accusati di antisemitismo o addirittura di simpatie per il nazismo: se, cioè, le cose espresse in quel documento possano corrispondere a dei fatti reali e se, inoltre, siano o meno in linea con la Legge ebraica e con il sentire ebraico nei confronti dei “gojm”, dei Gentili.
Ma torniamo al legame fra l’«Ochrana» e i «Protocolli».
Ora, a parte il fatto che si potrebbe discutere se tutti i “pogrom” fossero voluti e organizzati dagli ambienti antisemiti della Russia e dai servizi segreti zaristi, o se non possano ricondursi anche, almeno in parte, ad una manovra delle potenti lobbies ebraiche dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti, proprio allo scopo di screditare il governo zarista (ne abbiamo già parlato nell’articolo «Possono darsi delle verità così tremende che nessuna voce umana riuscirebbe a pronunziarle», inserito sul sito di Arianna Editrice in data 28/02/10), forse sarebbe il caso di domandarsi se la questione della autenticità, affermata o negata che sia, costituisca davvero la questione centrale che ci si dovrebbe porre davanti a questo impressionante documento.
Infatti, posto e stabilito che nessuna seria società segreta lascia documenti scritti relativi ai suoi complotti (e, in questo senso, i «Protocolli», nella versione in cui li conosciamo, sono quasi certamente un falso), il punto è che non si dovrebbe guardare il dito che indica la Luna, ma la Luna in se stessa: si dovrebbe cioè vedere se, nello sviluppo della storia moderna e nelle prescrizioni e invocazioni della “Torah”, della “Mishna” e del “Talmud”, i concetti espressi nei «Protocolli» trovino corrispondenza, oppure no.
A proposito dell’intera questione, Julius Evola, autore della «Introduzione» all’edizione italiana del 1938 dei «Protocolli», curata dalla rivista di Giovanni Preziosi «La vita italiana», così si esprimeva (pp. 9-10):

«Due punti vengono particolarmente in risalto nei “Protocolli”. Il primo si riferisce direttamente alla questione ebraica. Il secondo ha una portata più generale e conduce ad affrontare il problema delle forze vere in atto nella storia. Perché il lettore si renda pienamente conto dell’uno e dell’altro punto, crediamo opportuno svolgere alcune considerazioni, indispensabili per un giusto orientamento.
Per un tale orientamento, occorre anzitutto affrontare il famoso problema della “autenticità” del documento, problema sul quale si è voluto tendenziosamente concentrare tutta l’attenzione e misurare la portata e la validità dello scritto. Cosa invero puerile. Si può infatti negare senz’altro l’esistenza di una qualunque direzione segreta degli avvenimenti storici. Ma ammettere, sia pure come semplice ipotesi, che qualcosa di simile possa darsi, non si può, senza dover riconoscere che, allora, s’impone un genere di ricerca ben diverso da quello basato sul “documento” nel senso più grossolano del termine. Qui sta precisamente – secondo la giusta osservazione del Guénon – il punto decisivo, che limita la portata della questione dell’”autenticità”: nel fatto, che NESSUNA ORGANIZZAZIONE VERAMENTE E SERIAMENTE SEGRETA, QUALE SI SIA LA SUA NATURA, LASCIA DIETRO DI SÉ DEI “DOCUMENTI” SCRITTI. Solo un procedimento “induttivo” può dunque precisare la portata di “testi”, come i “Protocolli”. IL CHE SIGNIFICA CHE IL PROBLEMA DELLA LORO “AUTENTICITÀ” È SECONDARIO E DA SOSTITUIRSI CON QUELLO, BEN PIÙ SERIO ED ESSENZIALE, DELLA LORO “VERIDICITÀ”. Giovanni Preziosi già sedici anni or sono, nel pubblicare per la prima volta il testo, aveva ben messo in rilievo questo punto. La conclusione seria e positiva di tutta la polemica, che nel frattempo si è sviluppata, è la seguente: CHE QUAND’ANCHE (cioè: dato e non concesso) I “PROTOCOLLI” NON FOSSERO AUTENTICI NEL SENSO PIÙ RISTRETTO, È COME SE ESSI LO FOSSERO, PER DUE RAGIONI CAPITALI E DECISIVE:
1) Perché i fatti ne dimostrano la verità;
2) Perché la loro corrispondenza con le idee-madre dell’Ebraismo tradizionale we moderno è incontestabile.»

Che l’antisemitismo di Evola non fosse di tipo biologico - e quindi razzista - è attestato, peraltro, dal seguente passaggio (che, ove ipotizza una strumentalizzazione degli stessi Ebrei da parte di poteri occulti corrispondenti ad un livello più alto, che potrebbe far capo a forze non interamente umane, ricorda, sia detto fra parentesi, la posizione sostenuta al presente da David Icke; op. cit., p. 21-22):

«Diciamo subito che noi personalmente non possiamo seguire, qui, un certo antisemitismo fanatico che, nel suo voler vedere dappertutto l’Ebreo come “deus ex machina”, finisce col cader esso stesso vittima di una specie di tranello. Infatti dal Guénon è stato rilevato che uno dei mezzi usati dalle forze mascherate per la loro difesa consiste spesso nel condurre tendenziosamente tutta l’attenzione dei loro avversari verso chi solo in parte è la causa reale di certi rivolgimenti: fattone così una specie di capro espiatorio, su cui si scarica ogni reazione, esse restano libere di continuare il loro giuoco. Ciò vale, in una certa misura, anche per la questione ebraica. La constatazione della parte deleteria che l’Ebreo ha avuto nella storia della civiltà non deve pregiudicare una indagine più profonda, atta a farci presentire forze di cui lo stesso Ebraismo potrebbe esser stato, in parte, solo lo strumento. Nei “Protocolli”, del resto, spesso si parla promiscuamente di Ebraismo e di Massoneria, si legge” cospirazione massonico-ebraica”, “la nostra divisa massonica, ecc., e in calce della loro prima edizione si legge: “firmato dai rappresentanti di Sion del 33 grado”. Poiché la tesi, secondo la quale la Massoneria sarebbe esclusivamente una creazione e uno strumento ebraico è, per varie ragioni, insostenibile, già da ciò appare la necessità di riferirsi ad una trama assai più vasta di forze occulte pervertitrici, che noi siamo perfino inclini a non esaurire in elementi puramente umani. Le principali ideologie consigliate dai “Protocolli” come strumenti di distruzione e effettivamente apparse con questo significato nella storia - liberalismo, individualismo, scientismo, razionalismo, ecc. - non sono, del resto, che gli ultimi anelli di una catena di cause, impensabili senza antecedenti, quali per esempio l’umanesimo, la Riforma, il cartesianismo: fenomeni dei quali però nessuno vorrà seriamente far responsabile una congiura ebraica, così come il Nilus, in appendice, mostra d credere, inquantoché fa retrocedere la congiura ebraica niente di meno che al 929 a. C. Bisogna invece restringere l’azione distruttrice positiva dell’internazionale ebraica ad un periodo assai più recente e pensare che gli Ebrei hanno trovato un terreno già minato da processi di decomposizione e d’involuzione, le cui origini risalgono a tempi assai remoti e che sui legano ad una catena assai complessa di cause: essi hanno utilizzato questo terreno, vi hanno, per così dire, innestato la loro azione, accelerando il ritmo di quei processi. La loro parte di esecutori del sovvertimento mondiale non può dunque essere assoluta. I “Savi Anziani” costituiscono invero un mistero assai più profondo di quanto lo possano supporre la gran parte degli antisemiti, e così pure, per un altro verso, coloro che invece fanno cominciare e finire ogni cosa nell’internazionale massonica, o simili.»

Per Evola, la questione dell’autenticità o meno è una falsa questione, perché quello che conta è la piena concordanza fra lo spirito della Legge ebraica e lo spirito che emerge dalle pagine dei «Protocolli; e, in particolare, l’idea della rivincita mondiale dell’ebraismo su tutto il resto dell’umanità, sui Gentili, considerati alla stregua di bestiame, se non di autentica spazzatura destinata, comunque, ad un ruolo totalmente subalterno nel “nuovo ordine mondiale” che verrà instaurato nel gran giorno (idem, pp. 24-26):

«Per ben inquadrare il problema ebraico e comprendere il vero pericolo dell’Ebraismo bisogna partire dalla premessa che alla base dell’Ebraismo non sta tabto la razza (in senso strettamente biologico), ma la Legge. La Legge è l’Antico Testamento, la “Torah”m, ma altresì, e soprattutto, i suoi ulteriori sviluppi, la “Mishna” e essenzialmente il “Talmud”. È stato giustamente detto che, come Adamo è stato plasmato da Jehova, così l’ebreo è stato plasmato dalla Legge: e la Legge, nella sua influenza millenaria attraverso le generazioni, ha destato speciali istinti, un particolar modo di sentire, di reagire, di comportarsi, è passata nel sangue, tanto da continuare ad agire anche prescindendo dalla coscienza diretta e dall’intenzione del singolo. È così che l’unità d’Israele permane attraverso la dispersione: in funzione di un’essenza, di un incoercibile modo d’essere. E insieme a tale unità sussiste e agisce sempre, fatalmente, o in modo atavico e inconscio, o in modo oculato e serpentino, il suo principio, la Legge ebraica, lo spirito talmudico.
È qui che interviene un’altra prova della veridicità dei “Protocolli” quale documento ebraico, inquantoché trarre da questa Legge tutte le sue logiche conseguenze nei termini di un piano d’azione significa – esattamente – venire più o meno a quanto di essenziale si trova nei “Protocolli”. Ed è essenziale questo punto, CHE MENTRE L’EBRAISMO INTERNAZIONALE HA IMPEGNATO TUTTE LE SUE FORZE PER DIMOSTRARE CHE I “PROTOCOLLI” SONO FALSI, ESSO HA SEMPRE E CON LA MASSIMA CURA EVITATO IL PROBLEMA DI VEDERE FINO A CHE PUNTO QUESTO DOCUMENTO, FALSO O VERO CHE SIA, CORRISPONDE ALLO SPIRITO EBRAICO. E proprio questo è il problema che ora vogliamo considerare. L’essenza della Legge ebraica è la distinzione radicale fra Ebreo e non-Ebreo più o meno negli stessi termini che fra uomo e bruto, fra eletti e schiavi; è la promessa, che il Regno universale d’Israele, prima o poi, verrà, e che tutti i popoli debbono soggiacere allo scettro di Giuda; è il dovere, per l’Ebreo, di non riconoscere in nessuna legge, che non sia la sua legge, altro che violenza e ingiustizia e accusare un tormento, una indegnità, dovunque il dominio, che egli ha, non sia l’assoluto dominio; è la dichiarazione di una doppia morale, che restringe la solidarietà alla razza ebraica, mentre ratifica ogni menzogna, ogni inganno, ogni tradimento nei rapporti fra Ebrei e non-Ebrei, facendo dei secondi una specie di fuori-legge; è, infine, la santificazione dell’oro e dell’interesse come strumenti della potenza dell’Ebreo, al quale soltanto, per promessa divina, appartiene ogni ricchezza della terra e che deve “divorare” iogni popolo che il Signore gli darà. Nel “Talmud” si arriva a dire: “Il migliore fra i non-Ebrei (“gojm”), uccidilo”. Nel “Shemoré Esré”, preghiera ebraica quotidiana, si legge: “Che gli apostati perdano ogni speranza, che i Nazzareni e i Minim (i Cristiani) periscano di colpo, siano cancellati dal libro della vita e non siano contati fra i giusti”. “ Ambizione senza limiti, ingordigia divoratrice, un desiderio spietato di vendetta e un odio intenso” si legge nei “Protocolli” (XI) e difficilmente si saprebbe dare una più adeguata espressione di ciò che risulta a chi penetri l’essenza ebraica. E mai è venuta meno, all’Ebreo, la speranza del Regno, è in essa che sta, anzi, in gran parte, il segreto della forza inaudita che ha tenuto in piedi ed ha conservato uguale a sé stesso Israele, tenace, caparbio, orgoglioso e vile ad un tempo, attraverso i secoli. Ancor oggi, annualmente, nella festa del Rosch Hassanah, tutte le comunità ebraiche evocano la promessa: “Innalzate le palme e acclamate, giubilando, Dio, poiché Jehova, l’altissimo, il terribile, sottometterà tutte le nazioni e le porrà sotto ai vostri piedi”.»

Le considerazioni di Evola ci sembrano non prive di un certo spessore concettuale e meritevoli, comunque, di essere prese seriamente in esame, piaccia o non piaccia la figura di colui che le ha formulate ed il ruolo da lui rivestito nella cultura antisemita dell’epoca.
La prima domanda che ci dovremmo porre è se una cospirazione globale sia possibile e verosimile e se sia dato di scorgerne non già le prove - abbiamo visto che nessuna società segreta ne lascerebbe alle proprie spalle -, ma almeno degli indizi abbastanza riconoscibili.
La seconda domanda è se sia possibile che non già gli Ebrei indiscriminatamente, ma alcuni gruppi ebraici potenti e sperimentati, facendo leva su una Legge che è stata loro inculcata per innumerevoli generazioni, non possano essersi prestati ad un disegno del genere, magari in collaborazione con altri centri di potere occulto.
Alla prima domanda ci sembra sia difficile rispondere in maniera assolutamente negativa.
Che i membri del “villaggio globale” si trovino in una condizione di vera e propria schiavitù psicologica e culturale, instupiditi da demenziali programmi radiofonici e televisivi, disinformati da una stampa asservita e fuorviati da sedicenti intellettuali che fanno a gara, ormai da lungo tempo, nel fare a pezzi ogni parvenza di valore tradizionale e nel descrivere la vita come decadenza, dolore, noia e disperazione: tutto questo è sotto gli occhi di tutti, se si possiedono ancora - beninteso - occhi per vedere e una mente per riflettere.
Ora, è difficile pensare che tutto questo sia frutto del caso o di una spontanea convergenza di circostanze; senza contare che l’esperienza ci insegna che i grandi gruppi finanziari e industriali non tralascerebbero alcuna strategia, alcuna manovra, alcuna bassezza, per quanto criminosa, nel perseguire i loro fini inconfessabili: che non consistono solamente nel vendere una quantità sempre crescente di prodotti inutili o addirittura nocivi, ma anche nel distruggere ogni residuo di spirito critico nel suddito-consumatore, in modo da renderlo il più simile possibile ad uno “zombie”: perché solo così si può essere certi che egli non prenderà consapevolezza della sua reale condizione e non tenterà di sottrarvisi.
Scatenare guerre e rivoluzioni, finanziare gruppi terroristici magari di opposta matrice ideologica, istigare colpi di stato, provocare crisi finanziarie, promuovere filosofie e movimenti artistici che inneggiano al nichilismo e alla distruzione della società: sono tutte azioni che un tale gruppo di potere occulto, attraverso le sue innumerevoli ramificazioni, non esiterebbe a mettere in atto e che non presentano, sotto il profilo tecnico, ostacoli insormontabili, specialmente se si dispone di possibilità finanziarie praticamente illimitate.
Alla seconda domanda ci sembra che si possa egualmente rispondere in maniera affermativa; o, quanto meno, che una risposta affermativa possa costituire una ragionevole ipotesi di lavoro sulla quale indagare.
Gruppi di potere occulto sappiamo che esistono, primo fra tutti la Massoneria, che affonda le proprie radici in una tradizione ormai plurisecolare e la cui regia nascosta è ormai accertata dietro fatti storici rilevanti, a cominciare da quelli riguardanti la nascita del nostro Stato nazionale, nel corso del Risorgimento.
Che, poi, esista una sorta di federazione tra tali gruppi, ciascuno dei quali persegue, in realtà, un proprio disegno egemonico e ciascuno dei quali spera di servirsi degli altri per realizzare i propri fini particolari: anche questo rientra nell’ambito del possibile e perfino del probabile; come suggerisce, ancora una volta, l’osservazione di fatti storici ormai noti, come la collaborazione che si instaura fra organizzazioni criminali internazionali, ciascuna delle quali particolarmente interessata ad un certo ambito delle attività illecite.
Che, infine, salendo di livello in livello, si giunga al vertice della piramide che nessuno ha mai potuto conoscere di persona, anche perché i suoi membri più importanti, i burattinai supremi del grande gioco, sono - forse - creature di origine non umana: ebbene, ciò può essere solo oggetto di speculazione teorica, mancando prove o anche indizi concreti tali, da poter dirimere la questione per via documentaria.
Chi studia il fenomeno della cospirazione mondiale non può servirsi dei normali metodi di ricerca dello storico professionista, perché la materia stessa è completamente diversa da quella della storia. Lo storico procede di documento in documento; ma lo studioso della cospirazione globale sa che non troverà mai dei “documenti” paragonabili a quelli di cui si servono i suoi colleghi della storia, chiamiamola così, profana.
Possiamo da ciò trarre la conclusione che non è cosa da persone serie mettersi a studiare la cospirazione globale, dato che, a rigore, non siamo affatto certi nemmeno del fatto che esista il soggetto di una tale ricerca?
Certamente no.
Il fatto che non esistano prove assolutamente certe e incontrovertibili di una costante presenza aliena sul nostro pianeta non è un argomento per squalificare gli studi che si possono fare in proposito o per denigrare quanti decidono di dedicarvisi; e la stessa osservazione può farsi per tutti quegli ambiti di studio che abbracciano materie prive di un riscontro materiale oggettivo, a cominciare dalle religioni.
Gli studiosi “seri”, però, temono il ridicolo: sono persone che ha molto amor proprio, anche se non esitano a mangiare nella greppia di istituzioni, giornali o televisioni che si aspettano da loro appunto quel tipo di “serietà” che consiste nel non fare mai, assolutamente mai, delle domande veramente scomode, ma nel blandire, al contrario, la pigrizia mentale del pubblico.
Ora, il ridicolo (o peggio) è quasi inevitabile per chiunque si addentri nel labirinto della cospirazione globale; e i più petulanti nel ridere alle spalle di un tale ricercatore sono, senza dubbio, proprio coloro i quali - ne siano consapevoli o no - hanno subito in dosi più massicce l’opera di omologazione e istupidimento perseguita dal Pensiero Unico dominante. Perché a quei signori pieni di sussiego e di serietà, magari baroni universitari con ampie gratificazioni professionali, non va molto a genio l’idea di prendere in esame la possibilità, anche solo teorica, di essere, né più né meno di chiunque altro, soltanto dei poveri burattini eterodiretti.
Come se non bastasse, fa parte, da sempre, della tecnica di tutti i gruppi di potere occulto, quella di operare una sistematica disinformazione, lasciando trapelare brandelli di verità, mescolati però a tali e tante inverosimiglianze, da confondere completamente le carte e da screditare anche il lavoro di quanti concentrano le proprie spassionate ricerche proprio su quei brandelli.
Certo, finché il conformismo intellettuale continuerà a dominare incontrastato, i signori dei poteri occulti potranno dormire sonni tranquilli ancora a lungo.
Finché qualcuno, un poco alla volta, comincerà a scuotersi dal torpore e a farsi delle domande scomode e politicamente scorrette: a farle a se stesso in primo luogo; e poi, in un secondo tempo, a farle anche agli altri.
Allora, i signori del Pensiero Unico cominceranno a non sentirsi più tanto tranquilli.
Avranno paura che la verità cominci a venir fuori: non quella mezza verità che essi stessi lasciano fuggire, di quando in quando, aprendo e chiudendo il rubinetto della disinformazione; ma la verità vera, quella che a loro non piace affatto, perché disturba i loro progetti e i loro affari.
Quel giorno, forse, si sta avvicinando.
Un principio di consapevolezza incomincia a soffiare, qua e là, nella stagnante palude in cui siamo sprofondati.
Speriamo che quella brezza si trasformi quanto prima in un vento impetuoso e che sia abbastanza forte da disturbare i piani e gli affari di chi ci vorrebbe eternamente schiavi, e sia pure schiavi di lusso, imprigionati mani e piedi con delle catene d’oro massiccio.

di Francesco Lamendola

26 maggio 2010

Ma i partiti sono sempre più ricchi



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Se per dare un giudizio dell’affidabilità dell’Italia i mercati utilizzassero la dinamica del finanziamento pubblico ai partiti anziché quella degli stipendi del pubblico impiego, allora non avremmo davvero speranza. La speculazione ci avrebbe già fatti a pezzi prima della Spagna, del Portogallo, della Grecia e dell’Irlanda, ovvero i Paesi che ci precedono nella graduatoria della crescita delle retribuzioni pubbliche.
Mentre fra il 1999 e il 2008 queste aumentavano in Italia, secondo l’Ocse, del 42,5%, gli incassi dei nostri partiti si moltiplicavano addirittura per undici: + 1.110%. Grazie a due colpi da maestro. Il primo nel 1999, quando i «rimborsi elettorali», la formula ipocrita con la quale si chiama adesso il vituperato finanziamento pubblico abrogato per finta dal referendum del 1993, furono portati in un sol colpo da 800 a 4 mila lire. II secondo nel 2002, quando si passò da 4 mila lire a 5 euro a legislatura (1 euro l’anno) per ogni italiano iscritto alle liste elettorali di Montecitorio: 5 euro per la Camera, 5 per il Senato, 5 per le europee e 5 per le regionali. Totale, 20 euro a cranio per ogni quinquennio, indipendentemente da quanti davvero vanno a votare. E siccome gli iscritti alle liste elettorali di Montecitorio sono 50 milioni tondi, la bolletta che gli italiani pagano ai partiti ha raggiunto la cifra stratosferica di un miliardo di euro per cinque anni: 200 milioni l’anno. Con l’aggiunta di un simpatico bonus, introdotto, anch’esso alla chetichella, nel 2006. Nel caso di fine anticipata della legislatura, infatti, i contributi elettorali continuano a correre.
Per il triennio che si conclude nel 2011, quindi, razione doppia per Camera e Senato. E invece di 200 milioni, eccone 300. Almeno sulla carta, perché c’è stato un taglio di cassa del 10%. Che ha provocato (l’avreste detto?) anche qualche vergognoso mugugno.
Per capire quanta ipocrisia abbiano messo nell’aver chiamato «rimborsi» questo fiume di denaro, basta leggere che cosa ha ripetutamente scritto la Corte dei conti nei suoi referti sulle spese elettorali, sottolineando come non esista alcuna relazione fra le somme spese per le campagne elettorali e quello che lo Stato dà ai partiti. Ma ben più eloquenti sono i numeri. Nel 1996 un partito come Forza Italia aveva speso per la campagna elettorale, considerando anche la Casa delle Libertà, 4 milioni 90.563 euro. Dieci anni più tardi, la spesa era arrivata a 62 milioni 490.854 euro: +1.427%. E i «rimborsi»? Da 14 milioni 707.526 a 128 milioni 42.335 euro: +770%. Se nel 1996 il partito di Silvio Berlusconi si era messo in tasca, puliti, lo milioni 616.963 euro, cioè la differenza fra la le spese e i «rimborsi», dieci anni dopo l’«utile» era salito a qualcosa come 65 milioni 551.481 euro. Due anni più tardi, nel 2008, con spese elettorali cresciute ancora del 10%, i rimborsi spettanti al Popolo della Libertà sono schizzati a 206 milioni 518.945 euro. Con un «utile» astronomico: 138 milioni 43.803 euro. Non che le cose siano andate peggio alla sinistra, nonostante l’ultima batosta elettorale. Secondo i dati pubblicati nel referto della Corte dei conti sulle politiche 2008, il Partito democratico di Walter Veltroni aveva investito in tutta la campagna elettorale 18 milioni 418.043 euro, meno di un terzo del Popolo della Libertà.
Acquisendo però il diritto a incassare una somma dieci volte superiore a quella investita: 180 milioni 231.506 euro. Cifra che ha perciò garantito a sua volta al Pd un «utile» ancora maggiore di quello del partito di Berlusconi:161 milioni 813.463 euro.
A conti fatti, le elezioni politiche del 2008 riverseranno nelle casse dei partiti introiti «puliti» per 367 milioni di euro. Ovvero la differenza fra 136 milioni di spese e 503 milioni di «rimborsi» per Camera e Senato, spalmati su cinque anni. Per ogni euro sborsato, dunque, ne sono tornati indietro quattro. Gli effetti di questo andazzo sono fin troppo facilmente intuibili. A cominciare dagli apparati di alcuni partiti, i quali hanno potuto evitare la pesante dieta dimagrante che si era profilata dopo il 1993. Per proseguire con l’abnorme incremento delle spese elettorali, che hanno raggiunto livelli senza precedenti. E finire con il risanamento di alcune difficili situazioni finanziarie. Se la pesante esposizione (si parla di 500 milioni di euro) di cui i Democratici di sinistra si erano fatti carico accollandosi i debiti dell’Unità si è ridotta a meno di un terzo, il merito è anche di quei generosissimi contributi. Che consentono oggi anche al Partito democratico, unica formazione politica ad avere un bilancio certificato, di chiudere i conti con un attivo di una quindicina di milioni. Per non parlare di altri «tesoretti» sulla cui destinazione si è discusso a lungo, ma senza costrutto: per esempio i «rimborsi» elettorali a cui hanno avuto diritto ancora sia i Ds sia la Margherita dopo la nascita del Pd.
Certo, ci sono anche situazioni dove i soldi non bastano mai. Forza Italia, per esempio, era arrivata nel 2006 a essere esposta per 157 milioni di euro con le banche. Garantiti da una fidejussione personale del Cavaliere. Per avere un’idea di quanto pure la dimensione economica di quel partito fosse personale, si consideri che nei conti c’era anche un debito di 14 milioni e mezzo con la Dolcedrago, società del premier che controlla la Immobilare Idra, cassaforte nella quale sonocustodite le ville di Arcore e Macherio, le proprietà sarde, la casa romana nella zona dell’Appia Antica dove abita Franco Zeffirelli, e altre ancora.
Possiamo immaginare la sofferenza dei tesorieri se davvero la minaccia di Giulio Tremonti, di tagliare i «rimborsi» da 5 euro a 2 euro e 50 per ogni legislatura e per ogni tornata elettorale, dovesse andare in porto. Si consolino comunque: pure dimezzati, i finanziamenti pubblici sarebbero pur sempre ancora più alti di quelli che toccano ai partiti di altri Paesi europei. Come Francia e Spagna...
di Sergio Rizzo

25 maggio 2010

La crisi economica mondiale, la Grande Depressione del XXI’ secolo.

In tutte le grandi regioni del mondo, la recessione economica è profonda e provoca la disoccupazione di massa,il fallimento dei programmi sociali degli stati e l’impoverimento di milioni di persone. La crisi economica si accompagna ad un processo mondiale di militarizzazione, ad “una guerra senza frontiere” condotta dagli Stati Uniti d’America e dai suoi alleati della NATO.

La condizione della “guerra lunga” del Pentagono è intimamente legata alla ristrutturazione dell’economia mondiale.

Non si tratta di una crisi economica o di una recessione ben definita.

L’architettura finanziaria mondiale mantiene degli obiettivi strategici e di sicurezza nazionale , mentre il programma militare USA-NATO serve ad avallare una potente élite di aziende, che nasconde e mina inesorabilmente le funzioni del governo civile.

Questo libro porta il lettore nei corridoi della Federal Riserve e del Council on Foreign Relation, dietro le porte chiuse della Banca dei regolamenti internazionali(BRI) e nel cuore delle sale delle riunioni corporative e facoltose di Wall Street, dove si effettuano correntemente le transazioni finanziarie di una certa portata con un solo clic che parte dai terminali informatici in linea con i grandi mercati borsistici.

Ogni autore alza il velo da una complessa tela di menzogne e di deformazioni mediatiche che servono a coprire gli ingranaggi del sistema economico mondiale i cui effetti devastanti si ribaltano sulla vita della gente. La nostra analisi si concentra sul ruolo dei potenti attori economici e politici in questo ambiente caratterizzato dalla corruzione, dalla manipolazione finanziaria e dalla frode.

Malgrado la diversità dei punti di vista e delle prospettive esposte in questo volume, gli autori arrivano all’unanime conclusione che l’umanità si trovi ora al bivio della più grave crisi economico-finanziaria della storia moderna.

Il tracollo dei mercati finanziari tra il 2008 e il 2009 è nato da una frode istituzionalizzata e dalla manipolazione finanziaria.

I “salvataggi delle banche, che ”sono stati messi in opera sotto l’egida di Wall Street, hanno condotto al più grande trasferimento di ricchezza monetaria della storia mai visto, creando nello stesso tempo un debito pubblico insormontabile.

Con il deterioramento planetario dei livelli di vita e la caduta delle spese di consumo, l’intera struttura del commercio internazionale delle derrate è potenzialmente compromessa.

Il sistema di pagamento delle transazioni monetarie è scombussolato.

Una volta crollato il mercato del lavoro , il pagamento dei salari è diventato più difficile e si è avviata di conseguenza una diminuzione delle spese legate ai beni e ai servizi essenziali.

Questo grave tracollo del potere d’acquisto si è poi ripercosso sul sistema della produzione dando come risultante una serie di azioni come i fallimenti e la chiusura delle fabbriche .

Esacerbata dal congelamento del credito, la diminuzione della domanda di beni di consumo ha contribuito a smobilitare le risorse umane e materiali.

Questo processo di declino economico cumulativo ha interessato ogni categoria della manodopera. I pagamenti dei salari non vengono più effettuati , il credito viene sviato e le spese d’investimento sono ad un punto morto. Nel frattempo, nei paesi occidentali la”rete di sicurezza sociale” ereditato dallo stato sociale che protegge i disoccupati durante il rallentamento economico, viene ugualmente messo in pericolo.

Il mito della ripresa economica.

Per quanto si riconosca spesso l’esistenza di una”Grande Depressione” simile a quella del 1930, questo aspetto viene mimetizzato da un consenso inflessibile:”L’economia è sulla via della ripresa”.

Mentre si parla della ripresa economica, i commentatori di Wall Street hanno intenzionalmente trascurato con tenacia il fatto che il fallimento finanziario non è solo determinato dalla bolla, quella del mercato dell’abitazione e dell’immobiliare,che era già scoppiata. In realtà la crisi è determinata da più bolle che sembrano diminuire l’importanza dello scoppio della bolla del 2008.

Per quanto non vi sia alcun disaccordo fondamentale tra gli analisti della corrente dominante che sostiene la presenza della ripresa economica , esiste un animato dibattito ad esempio sul come questa ripresa si manifesterà: se sarà all’inizio del prossimo trimestre o nel terzo trimestre dell’anno prossimo ecc.

Già ad inizio 2010 , la “ripresa” dell’economia statunitense era stata prevista e confermata da un flusso di disinformazione mediatica accuratamente formulato.

Durante quel periodo il pantano sociale di accresciuta disoccupazione, questo evento è stato accuratamente dissimulato negli Stati Uniti e gli economisti vedevano il fallimento come un fenomeno di micro economia.

Per quanto rivelassero delle realtà a livello locale riguardanti una o più fabbriche, i servizi relativi i fallimenti non davano una veduta d’insieme su ciò che stava succedendo a livello nazionale ed internazionale. Quando per tutto il paese si sono sommate queste chiusure simultanee di fabbriche nelle piccole e nelle grandi città, è emerso un quadro molto diverso poiché interi settori dell’economia nazionale avevano cessato la loro attività.

Si continua ad indurre in errore l’opinione pubblica per quel che riguarda le cause e le conseguenze della crisi economica , senza contare le soluzioni politiche.

La gente è portata a pensare che l’economia possieda una propria logica che dipenda dalla libera influenza reciproca delle forze del mercato e che in nessuna circostanza alcuni potenti attori finanziari tirino ancora le fila in seno alle riunioni lobbistiche per influenzare il corso degli eventi economici.

L’appropriazione accanita e fraudolenta della ricchezza è mantenuta come parte integrante del “sogno americano” come mezzo per propagare benefici per la crescita economica.

Così come è stato espresso da Michel Hudson , il seguente mito recita: ”senza ricchezza al vertice non ci sarebbero ricadute”. Una logica così inadempiente del ciclo economico nasconde una comprensione delle origini strutturali e storiche della crisi economica mondiale.

Frode finanziaria.


La disinformazione mediatica serve largamente gli interessi di una manciata di banche mondiali e di speculatori istituzionali che utilizzano il dominio sui mercati finanziari e su quello delle derrate per ammassare quantità impressionanti di ricchezza monetaria.

I settori dello stato sono controllati dall’ordine lobbistico stabilito degli speculatori. Nel frattempo i “ salvataggi bancari” presentati alla gente come necessari per la ripresa economica, hanno facilitato e legittimato un processo addizionale di appropriazione della ricchezza.


Una quantità importante di ricchezza monetaria viene acquisita dalla manipolazione finanziaria. L’apparato finanziario ha sviluppato sofisticati strumenti di manipolazione e di imbrogli puri e semplici, ai quali ci si riferisce con la definizione di”deregulation”.

Grazie ad informazioni privilegiate e ad una conoscenza preventiva , i grandi attori finanziari, che utilizzano gli strumenti delle transazioni speculative, hanno la capacità di falsificare e di truccare i movimenti dei mercati a loro vantaggio, di accelerare il fallimento di un competitore e di provocare danni alle economie dei paesi in via di sviluppo. Questi strumenti sono diventati elementi fondamentali dell’architettura finanziaria e sono intergrati nel sistema.

L’insuccesso della scienza economica dominante.

La professione dell’economista, in particolare in ambito universitario, affronta raramente il “mondo reale” che si correla al funzionamento del mercato. I concetti teorici, centrati su modelli matematici, servono a rappresentare un mondo astratto e fittizio in seno al quale gli individui sono tutti uguali. Non esiste distinzione teorica tra lavoratori, consumatori o imprese alle quali ci si riferisce senza distinzione come a dei “negoziatori individuali”.

Quindi, nessun individuo ha il potere o la capacità d’influenzare da solo il mercato e non ci possono essere dei conflitti tra lavoratori e capitalisti nel mondo astratto.

Omettendo di esaminare le azioni reciproche dei potenti attori economici nell’economia”reale”, si ignorano le tecniche della falsificazione dei mercati , della manipolazione finanziaria e della frode.

La concentrazione e la centralizzazione delle prese di decisione economiche, il ruolo delle élite finanziarie, i circoli di riflessione, le sale di consiglio: nessuna di queste richieste è stata esaminata nei programmi economici universitari. Il concetto teorico è disfunzionale: non può essere utilizzato per assicurare una comprensione della crisi economica.

La scienza economica è un concetto ideologico che serve a mimetizzare e a giustificare il nuovo ordine mondiale. Una parte dei postulati dogmatici contribuisce alla salvaguardia del capitalismo del libero mercato negando l’esistenza delle ineguaglianze sociali e la natura del sistema che si basa sul profitto. Il ruolo dei potenti attori economici e il modo che questi hanno di influenzare i meccanismi del mercato finanziario e delle merci non è oggetto di preoccupazione da parte dei teorici di questa disciplina. I poteri di manipolazione che servono all’appropriazione di importanti quantità di ricchezze monetarie sono raramente prese in considerazione. E quando sono riconosciute si considera che esse appartengono al dominio della sociologia o delle scienze politiche.

Questo significa che il quadro politico e istituzionale del sistema economico mondiale, modellato nel corso degli ultimi trent’anni, viene raramente analizzato dagli economisti della cultura dominante. Così accade che l’economia, in quanto disciplina, a parte qualche eccezione, non ha fornito l’analisi necessaria per la comprensione della crisi economica. In realtà, i suoi principali postulati del libero mercato negano l’esistenza di una crisi.

L’economia neoclassica è centrata sull’equilibrio, lo squilibrio e la”correzione del mercato” o “l’aggiustamento “ attraverso il meccanismo del mercato stesso, con lo scopo di rimettere l’economia ”sulla via della crescita autonoma” .

La povertà e le disuguaglianze sociali.

L’economia politica mondiale è un sistema che arricchisce una manciata di persone a scapito della stragrande maggioranza. La crisi economica ha contribuito all’aumento delle ineguaglianze sociali, anche all’interno dei paesi stessi. Nel capitalismo mondiale, la povertà non risulta dall’esiguità o dalla mancanza di risorse umane e materiali. E’ piuttosto vero il contrario: la depressione economica è caratterizzata da un processo di disimpegno delle risorse umane e del capitale fisico. La vita delle persone viene distrutta e la crisi economica è profonda.

Le strutture delle disuguaglianze sociali sono state consapevolmente rinforzate è ci hanno portato non solo ad un processo generalizzato di impoverimento, ma anche all’annientamento di gruppi di reddito medio e medio superiore .

Il consumatore della classe media, sul quale è basato li modello di sviluppo capitalistico incontrollabile, è anch’esso minacciato. I fallimenti hanno colpito parecchi tra i settori più vivi dell’economia consumista. Le classi medie occidentali dal canto loro, sono state assoggettate all’erosione della loro ricchezza materiale per parecchi decenni. Mentre la classe media esiste solo in teoria perchè si tratta di una classe costruita e preservata dall’indebitamento delle famiglie.

Al posto della classe media, i ricchi sono diventati rapidamente la classe consumista, e questo ha portato all’incessante crescita dell’economia dei prodotti di lusso.

In più, in seguito all’inaridimento dei mercati nei prodotti manifatturieri per la classe media, la struttura e la crescita economica hanno subito una svolta epocale decisiva.

Con il crollo dell’economia civile, lo sviluppo dell’economia di guerra degli Stati Uniti, sostenuta da un bilancio della Difesa mostruoso che si avvicina a bilioni di dollari, ha raggiunto nuovi picchi. Nel momento in cui i mercati sprofondano e la recessione si espande, gli appaltatori militari, le industrie di armi perfezionate, gli imprenditori per la sicurezza nazionale e le promettenti compagnie di mercenari, hanno conosciuto uno sviluppo fiorente delle loro differenti attività.

La guerra e la crisi economica.

La guerra è inestricabilmente legata all’impoverimento delle persone, nel paese in cui si effettua e in tutto il mondo. La militarizzazione e la crisi economica sono dunque intimamente legate.

Il rifornimento di prodotti e di servizi essenziali necessari al fabbisogno umano è stato sostituito da un”ordigno omicida” il cui scopo è solo il denaro che favorisce la”guerra mondiale al terrorismo”.

I poveri sono fatti/utilizzati per combattere i poveri.

Tuttavia, la guerra arricchisce la classe superiore che controlla l’industria, l’esercito, il petrolio e le banche.

In un’economia di guerra, la morte và bene per gli affari, la povertà và bene per la società e il potere và bene per la politica.

I paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti, spendono centinaia di miliardi di dollari all’anno per assassinare creature innocenti in paesi poveri e lontani mentre i loro cittadini soffrono le disparità derivate dalla povertà ,dal fatto di appartenere ad una certa classe disagiata, di far parte di un certo genere di persone e infine dalle divisioni razziali.

Una”guerra economica” assoluta viene condotta dal libero mercato e causa la disoccupazione, la povertà e le malattie. La vita delle persone è in caduta libera ed il loro potere d’acquisto non esiste più. Negli ultimi vent’anni di “ libero mercato” mondiale la vita di milioni di persone è stata stravolta in maniera decisiva, generando la povertà e lo scollamento sociale.

Piuttosto di affrontare la catastrofe sociale imminente, i governi occidentali che sono al servizio degli interessi delle élite economiche, hanno edificato uno stato di polizia stile ”Grande Fratello” il cui solo scopo è il confronto e la repressione di ogni forma di opposizione e di dissenso sociale.

La crisi economica e sociale è lungi dall’aver raggiunto il suo parossismo e interi paesi sono in pericolo, tra questi la Grecia e l’Islanda. Non resta che osservare la crescita dei conflitti nel Medio Oriente e in Asia centrale e le minacce degli Stati Uniti e della NATO verso la Cina , la Russia e l’Iran per affermare che la guerra e l’economia sono strettamente legate.

L’analisi di quest’opera.

I collaboratori di questo libro rivelano la complessità del sistema bancario mondiale e della sua relazione insidiosa con il complesso apparato militare-industriale e i conglomerati industriali petroliferi.

Quest’opera rappresenta un approccio interdisciplinare e polivalente, e trasmette una comprensione di dimensioni storiche e istituzionali. Sottolinea anche le relazioni tra la crisi economica e la guerra, l’impero e la povertà mondiale.

Questa crisi ha veramente una portata planetaria e le sue ripercussioni si stanno propagando in tutti i paesi e in tutte le società

Nella prima parte del libro viene esposto l’insieme delle cause della crisi economica con gli insuccessi delle scienze economiche della cultura dominante. Michel Chossudovsky focalizza l’attenzione sulla storia della deregulation finanziaria e sulla speculazione.

Tanya Cariina Hsu analizza il ruolo dell’impero americano e la sua relazione con la crisi economica. John Bellamy Foster e Fred Magdoff offrono una disamina dell’economia politica della crisi spiegando il ruolo chiave della politica monetaria. James Petras e Claudia von Werlhof presentano una dettagliata critica sul neoliberismo mettendo l’accento sulle ripercussioni economiche, politiche e sociali delle riforme nel “libero mercato”.

Infine Shamus Cooke prende in esame il ruolo centrale dell’indebitamento, sia esso pubblico o privato.

Nella seconda parte, che comprende i capitoli di Michel Chossudovsky e di Peter Phillis , analizza l’ondata crescente di povertà e di disuguaglianza sociale risultante dalla Grande Depressione.

Grazie ai contributi di Michel Chossudovsky, Peter Dale Scott, Michael Hudson, Bill Van Auken,Tom Burghardt e Andrei Gavin Marshall, la terza parte osserva la correlazione tra la crisi economica, la sicurezza nazionale, la guerra condotta dagli Stati Uniti e la NATO e il governo mondiale.

In questo contesto, come viene espresso da Peter Dale Scott, la crisi economica crea le condizioni che favoriscono l’instaurazione della legge marziale.

La quarta parte è imperniata sul sistema monetario internazionale, sulla sua evoluzione e sulla trasformazione del suo ruolo. Andrei Gavin Marshall prende in considerazione la storia delle banche centrali così come le differenti iniziative che mirano a creare dei sistemi monetari regionali e internazionali. Ellen Brown si concentra sulla creazione di una banca centrale mondiale e di una divisa internazionale attraverso la BRI.

Infine Richard C.Cook studia il sistema monetario basato sul debito come sistema di controllo e offre una struttura per la democratizzazione del sistema monetario.

La quinta parte è centrata sui meccanismi del sistema bancario parallelo che ha scaturito il fallimento dei mercati finanziari nel 2008.

I capitoli di Mike Whitney e di Ellen Brown descrivono nel dettaglio come il sistema Ponzi di Wall Street è stato utilizzato per manipolare il mercato e trasferire miliardi di dollari nelle tasche dei banksters.

Siamo in debito con gli autori per la loro ricerca attentamente documentata, la loro analisi incisiva e soprattutto , per il costante impegno nella ricerca della verità.

Essi ci hanno consegnato con straordinaria chiarezza la comprensione di sistemi economici , sociali e politici che condizionano la vita di milioni di persone in tutto il mondo.

Grazie a: Tom Burghardt, Ellen Brown, Richard C. Cook, Shamus Cooke, John Bellamy Foster, Michael Hudson, Tanya Cariina Hsu, Fred Magdoff, James Petras, Peter Phillips, Peter Dale Scott, Mike Whitney, Bill Van Auken et Claudia von Werlhof, ont livré, et ce avec une extraordinaire clareté, une compréhension des processus économiques, sociaux et politiques complexes qui affectent la vie de millions de personnes dans le monde. Cook, Shamus Cooke, John Bellamy Foster, Michael Hudson, Tanya Hsu cariin Fred Magdoff, James Petras, Peter Phillips, Peter Dale Scott, Mike Whitney, Bill Van Auken e Claudia von Werlhof.

Michel Chossudovsky et Andrew Gavin Marshall, Montréal et Vancouver, mai 2010 Michel Chossudovsky Gavin e Andrew Marshall, Montreal e Vancouver, maggio 2010

24 maggio 2010

A proposito della questione sull’autenticità dei «Protocolli» dei Savi Anziani di Sion



Da quando hanno fatto la loro comparsa nella storia d’Europa (la prima traduzione italiana apparve nel 1921 a cura di Giovanni Preziosi), i «Protocolli dei Savi Anziani di Sion» non hanno cessato di polarizzare l’attenzione degli storici, dei politologi e dell’opinione pubblica intorno alla controversia sulla loro autenticità.
Il libro, apparso nella Russia di Nicola II all’interno di un’opera più vasta del mistico russo Sergej Nilus, è scritto in prima persona da un “grande vecchio” che rivolge le sue parole a un’assemblea di anziani ebrei, esponendo le linee guida di un piano strategico dalla straordinaria vastità di concezione e mirante, addirittura, alla conquista e alla sottomissione del mondo da parte degli Ebrei, il “popolo eletto”.
Infiltrandosi come una prodigiosa, efficientissima e segretissima quinta colonna nelle società cristiane, e segnatamente nei centri del potere economico, finanziario, culturale e dell’informazione, gli Ebrei - stando a questo testo - si porrebbero l’obiettivo dichiarato di indebolire la fibra morale di tutte le società non ebree, sovvertendo gradualmente, ma inesorabilmente, tutti i valori, tutte le certezze, tutte le tradizioni, fino a creare le condizioni adatte perché il mondo intero cada, come un frutto maturo, in potere dell’ebraismo internazionale, che agisce per mezzo di banchieri, uomini politici, giornalisti ed esponenti del mondo della cultura.
Dal momento che i «Protocolli» si prestano ad una lettura in chiave antisemita e che, effettivamente, essi entrarono a far parte del bagaglio propagandistico antisemita del nazismo (e, in misura molto più blanda, del fascismo, ma solo all’epoca delle leggi razziali del 1938), con tutto quello che ne è derivato, gli storici della seconda metà del Novecento hanno liquidato l’intera questione della loro autenticità, dichiarandoli un falso confezionato dalla «Ochrana», il servizio segreto zarista, probabilmente a Parigi e con lo scopo di creare una sorta di giustificazione morale per i “pogrom” che infuriavano, di quando in quando, in Russia, in Ucraina, in Polonia.
Anche il saggista Sergio Romano, col suo libro del 1992 «I falsi protocolli», ha impostato così tutta la problematica ad essi relativa, come già il titolo suggerisce chiaramente: come se, una volta assodata la loro non autenticità, venisse a cadere interamente l’altra questione, ad essa collegata, ma che nessuno osa anche soltanto accennare, tanto forte è il timore di essere accusati di antisemitismo o addirittura di simpatie per il nazismo: se, cioè, le cose espresse in quel documento possano corrispondere a dei fatti reali e se, inoltre, siano o meno in linea con la Legge ebraica e con il sentire ebraico nei confronti dei “gojm”, dei Gentili.
Ma torniamo al legame fra l’«Ochrana» e i «Protocolli».
Ora, a parte il fatto che si potrebbe discutere se tutti i “pogrom” fossero voluti e organizzati dagli ambienti antisemiti della Russia e dai servizi segreti zaristi, o se non possano ricondursi anche, almeno in parte, ad una manovra delle potenti lobbies ebraiche dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti, proprio allo scopo di screditare il governo zarista (ne abbiamo già parlato nell’articolo «Possono darsi delle verità così tremende che nessuna voce umana riuscirebbe a pronunziarle», inserito sul sito di Arianna Editrice in data 28/02/10), forse sarebbe il caso di domandarsi se la questione della autenticità, affermata o negata che sia, costituisca davvero la questione centrale che ci si dovrebbe porre davanti a questo impressionante documento.
Infatti, posto e stabilito che nessuna seria società segreta lascia documenti scritti relativi ai suoi complotti (e, in questo senso, i «Protocolli», nella versione in cui li conosciamo, sono quasi certamente un falso), il punto è che non si dovrebbe guardare il dito che indica la Luna, ma la Luna in se stessa: si dovrebbe cioè vedere se, nello sviluppo della storia moderna e nelle prescrizioni e invocazioni della “Torah”, della “Mishna” e del “Talmud”, i concetti espressi nei «Protocolli» trovino corrispondenza, oppure no.
A proposito dell’intera questione, Julius Evola, autore della «Introduzione» all’edizione italiana del 1938 dei «Protocolli», curata dalla rivista di Giovanni Preziosi «La vita italiana», così si esprimeva (pp. 9-10):

«Due punti vengono particolarmente in risalto nei “Protocolli”. Il primo si riferisce direttamente alla questione ebraica. Il secondo ha una portata più generale e conduce ad affrontare il problema delle forze vere in atto nella storia. Perché il lettore si renda pienamente conto dell’uno e dell’altro punto, crediamo opportuno svolgere alcune considerazioni, indispensabili per un giusto orientamento.
Per un tale orientamento, occorre anzitutto affrontare il famoso problema della “autenticità” del documento, problema sul quale si è voluto tendenziosamente concentrare tutta l’attenzione e misurare la portata e la validità dello scritto. Cosa invero puerile. Si può infatti negare senz’altro l’esistenza di una qualunque direzione segreta degli avvenimenti storici. Ma ammettere, sia pure come semplice ipotesi, che qualcosa di simile possa darsi, non si può, senza dover riconoscere che, allora, s’impone un genere di ricerca ben diverso da quello basato sul “documento” nel senso più grossolano del termine. Qui sta precisamente – secondo la giusta osservazione del Guénon – il punto decisivo, che limita la portata della questione dell’”autenticità”: nel fatto, che NESSUNA ORGANIZZAZIONE VERAMENTE E SERIAMENTE SEGRETA, QUALE SI SIA LA SUA NATURA, LASCIA DIETRO DI SÉ DEI “DOCUMENTI” SCRITTI. Solo un procedimento “induttivo” può dunque precisare la portata di “testi”, come i “Protocolli”. IL CHE SIGNIFICA CHE IL PROBLEMA DELLA LORO “AUTENTICITÀ” È SECONDARIO E DA SOSTITUIRSI CON QUELLO, BEN PIÙ SERIO ED ESSENZIALE, DELLA LORO “VERIDICITÀ”. Giovanni Preziosi già sedici anni or sono, nel pubblicare per la prima volta il testo, aveva ben messo in rilievo questo punto. La conclusione seria e positiva di tutta la polemica, che nel frattempo si è sviluppata, è la seguente: CHE QUAND’ANCHE (cioè: dato e non concesso) I “PROTOCOLLI” NON FOSSERO AUTENTICI NEL SENSO PIÙ RISTRETTO, È COME SE ESSI LO FOSSERO, PER DUE RAGIONI CAPITALI E DECISIVE:
1) Perché i fatti ne dimostrano la verità;
2) Perché la loro corrispondenza con le idee-madre dell’Ebraismo tradizionale we moderno è incontestabile.»

Che l’antisemitismo di Evola non fosse di tipo biologico - e quindi razzista - è attestato, peraltro, dal seguente passaggio (che, ove ipotizza una strumentalizzazione degli stessi Ebrei da parte di poteri occulti corrispondenti ad un livello più alto, che potrebbe far capo a forze non interamente umane, ricorda, sia detto fra parentesi, la posizione sostenuta al presente da David Icke; op. cit., p. 21-22):

«Diciamo subito che noi personalmente non possiamo seguire, qui, un certo antisemitismo fanatico che, nel suo voler vedere dappertutto l’Ebreo come “deus ex machina”, finisce col cader esso stesso vittima di una specie di tranello. Infatti dal Guénon è stato rilevato che uno dei mezzi usati dalle forze mascherate per la loro difesa consiste spesso nel condurre tendenziosamente tutta l’attenzione dei loro avversari verso chi solo in parte è la causa reale di certi rivolgimenti: fattone così una specie di capro espiatorio, su cui si scarica ogni reazione, esse restano libere di continuare il loro giuoco. Ciò vale, in una certa misura, anche per la questione ebraica. La constatazione della parte deleteria che l’Ebreo ha avuto nella storia della civiltà non deve pregiudicare una indagine più profonda, atta a farci presentire forze di cui lo stesso Ebraismo potrebbe esser stato, in parte, solo lo strumento. Nei “Protocolli”, del resto, spesso si parla promiscuamente di Ebraismo e di Massoneria, si legge” cospirazione massonico-ebraica”, “la nostra divisa massonica, ecc., e in calce della loro prima edizione si legge: “firmato dai rappresentanti di Sion del 33 grado”. Poiché la tesi, secondo la quale la Massoneria sarebbe esclusivamente una creazione e uno strumento ebraico è, per varie ragioni, insostenibile, già da ciò appare la necessità di riferirsi ad una trama assai più vasta di forze occulte pervertitrici, che noi siamo perfino inclini a non esaurire in elementi puramente umani. Le principali ideologie consigliate dai “Protocolli” come strumenti di distruzione e effettivamente apparse con questo significato nella storia - liberalismo, individualismo, scientismo, razionalismo, ecc. - non sono, del resto, che gli ultimi anelli di una catena di cause, impensabili senza antecedenti, quali per esempio l’umanesimo, la Riforma, il cartesianismo: fenomeni dei quali però nessuno vorrà seriamente far responsabile una congiura ebraica, così come il Nilus, in appendice, mostra d credere, inquantoché fa retrocedere la congiura ebraica niente di meno che al 929 a. C. Bisogna invece restringere l’azione distruttrice positiva dell’internazionale ebraica ad un periodo assai più recente e pensare che gli Ebrei hanno trovato un terreno già minato da processi di decomposizione e d’involuzione, le cui origini risalgono a tempi assai remoti e che sui legano ad una catena assai complessa di cause: essi hanno utilizzato questo terreno, vi hanno, per così dire, innestato la loro azione, accelerando il ritmo di quei processi. La loro parte di esecutori del sovvertimento mondiale non può dunque essere assoluta. I “Savi Anziani” costituiscono invero un mistero assai più profondo di quanto lo possano supporre la gran parte degli antisemiti, e così pure, per un altro verso, coloro che invece fanno cominciare e finire ogni cosa nell’internazionale massonica, o simili.»

Per Evola, la questione dell’autenticità o meno è una falsa questione, perché quello che conta è la piena concordanza fra lo spirito della Legge ebraica e lo spirito che emerge dalle pagine dei «Protocolli; e, in particolare, l’idea della rivincita mondiale dell’ebraismo su tutto il resto dell’umanità, sui Gentili, considerati alla stregua di bestiame, se non di autentica spazzatura destinata, comunque, ad un ruolo totalmente subalterno nel “nuovo ordine mondiale” che verrà instaurato nel gran giorno (idem, pp. 24-26):

«Per ben inquadrare il problema ebraico e comprendere il vero pericolo dell’Ebraismo bisogna partire dalla premessa che alla base dell’Ebraismo non sta tabto la razza (in senso strettamente biologico), ma la Legge. La Legge è l’Antico Testamento, la “Torah”m, ma altresì, e soprattutto, i suoi ulteriori sviluppi, la “Mishna” e essenzialmente il “Talmud”. È stato giustamente detto che, come Adamo è stato plasmato da Jehova, così l’ebreo è stato plasmato dalla Legge: e la Legge, nella sua influenza millenaria attraverso le generazioni, ha destato speciali istinti, un particolar modo di sentire, di reagire, di comportarsi, è passata nel sangue, tanto da continuare ad agire anche prescindendo dalla coscienza diretta e dall’intenzione del singolo. È così che l’unità d’Israele permane attraverso la dispersione: in funzione di un’essenza, di un incoercibile modo d’essere. E insieme a tale unità sussiste e agisce sempre, fatalmente, o in modo atavico e inconscio, o in modo oculato e serpentino, il suo principio, la Legge ebraica, lo spirito talmudico.
È qui che interviene un’altra prova della veridicità dei “Protocolli” quale documento ebraico, inquantoché trarre da questa Legge tutte le sue logiche conseguenze nei termini di un piano d’azione significa – esattamente – venire più o meno a quanto di essenziale si trova nei “Protocolli”. Ed è essenziale questo punto, CHE MENTRE L’EBRAISMO INTERNAZIONALE HA IMPEGNATO TUTTE LE SUE FORZE PER DIMOSTRARE CHE I “PROTOCOLLI” SONO FALSI, ESSO HA SEMPRE E CON LA MASSIMA CURA EVITATO IL PROBLEMA DI VEDERE FINO A CHE PUNTO QUESTO DOCUMENTO, FALSO O VERO CHE SIA, CORRISPONDE ALLO SPIRITO EBRAICO. E proprio questo è il problema che ora vogliamo considerare. L’essenza della Legge ebraica è la distinzione radicale fra Ebreo e non-Ebreo più o meno negli stessi termini che fra uomo e bruto, fra eletti e schiavi; è la promessa, che il Regno universale d’Israele, prima o poi, verrà, e che tutti i popoli debbono soggiacere allo scettro di Giuda; è il dovere, per l’Ebreo, di non riconoscere in nessuna legge, che non sia la sua legge, altro che violenza e ingiustizia e accusare un tormento, una indegnità, dovunque il dominio, che egli ha, non sia l’assoluto dominio; è la dichiarazione di una doppia morale, che restringe la solidarietà alla razza ebraica, mentre ratifica ogni menzogna, ogni inganno, ogni tradimento nei rapporti fra Ebrei e non-Ebrei, facendo dei secondi una specie di fuori-legge; è, infine, la santificazione dell’oro e dell’interesse come strumenti della potenza dell’Ebreo, al quale soltanto, per promessa divina, appartiene ogni ricchezza della terra e che deve “divorare” iogni popolo che il Signore gli darà. Nel “Talmud” si arriva a dire: “Il migliore fra i non-Ebrei (“gojm”), uccidilo”. Nel “Shemoré Esré”, preghiera ebraica quotidiana, si legge: “Che gli apostati perdano ogni speranza, che i Nazzareni e i Minim (i Cristiani) periscano di colpo, siano cancellati dal libro della vita e non siano contati fra i giusti”. “ Ambizione senza limiti, ingordigia divoratrice, un desiderio spietato di vendetta e un odio intenso” si legge nei “Protocolli” (XI) e difficilmente si saprebbe dare una più adeguata espressione di ciò che risulta a chi penetri l’essenza ebraica. E mai è venuta meno, all’Ebreo, la speranza del Regno, è in essa che sta, anzi, in gran parte, il segreto della forza inaudita che ha tenuto in piedi ed ha conservato uguale a sé stesso Israele, tenace, caparbio, orgoglioso e vile ad un tempo, attraverso i secoli. Ancor oggi, annualmente, nella festa del Rosch Hassanah, tutte le comunità ebraiche evocano la promessa: “Innalzate le palme e acclamate, giubilando, Dio, poiché Jehova, l’altissimo, il terribile, sottometterà tutte le nazioni e le porrà sotto ai vostri piedi”.»

Le considerazioni di Evola ci sembrano non prive di un certo spessore concettuale e meritevoli, comunque, di essere prese seriamente in esame, piaccia o non piaccia la figura di colui che le ha formulate ed il ruolo da lui rivestito nella cultura antisemita dell’epoca.
La prima domanda che ci dovremmo porre è se una cospirazione globale sia possibile e verosimile e se sia dato di scorgerne non già le prove - abbiamo visto che nessuna società segreta ne lascerebbe alle proprie spalle -, ma almeno degli indizi abbastanza riconoscibili.
La seconda domanda è se sia possibile che non già gli Ebrei indiscriminatamente, ma alcuni gruppi ebraici potenti e sperimentati, facendo leva su una Legge che è stata loro inculcata per innumerevoli generazioni, non possano essersi prestati ad un disegno del genere, magari in collaborazione con altri centri di potere occulto.
Alla prima domanda ci sembra sia difficile rispondere in maniera assolutamente negativa.
Che i membri del “villaggio globale” si trovino in una condizione di vera e propria schiavitù psicologica e culturale, instupiditi da demenziali programmi radiofonici e televisivi, disinformati da una stampa asservita e fuorviati da sedicenti intellettuali che fanno a gara, ormai da lungo tempo, nel fare a pezzi ogni parvenza di valore tradizionale e nel descrivere la vita come decadenza, dolore, noia e disperazione: tutto questo è sotto gli occhi di tutti, se si possiedono ancora - beninteso - occhi per vedere e una mente per riflettere.
Ora, è difficile pensare che tutto questo sia frutto del caso o di una spontanea convergenza di circostanze; senza contare che l’esperienza ci insegna che i grandi gruppi finanziari e industriali non tralascerebbero alcuna strategia, alcuna manovra, alcuna bassezza, per quanto criminosa, nel perseguire i loro fini inconfessabili: che non consistono solamente nel vendere una quantità sempre crescente di prodotti inutili o addirittura nocivi, ma anche nel distruggere ogni residuo di spirito critico nel suddito-consumatore, in modo da renderlo il più simile possibile ad uno “zombie”: perché solo così si può essere certi che egli non prenderà consapevolezza della sua reale condizione e non tenterà di sottrarvisi.
Scatenare guerre e rivoluzioni, finanziare gruppi terroristici magari di opposta matrice ideologica, istigare colpi di stato, provocare crisi finanziarie, promuovere filosofie e movimenti artistici che inneggiano al nichilismo e alla distruzione della società: sono tutte azioni che un tale gruppo di potere occulto, attraverso le sue innumerevoli ramificazioni, non esiterebbe a mettere in atto e che non presentano, sotto il profilo tecnico, ostacoli insormontabili, specialmente se si dispone di possibilità finanziarie praticamente illimitate.
Alla seconda domanda ci sembra che si possa egualmente rispondere in maniera affermativa; o, quanto meno, che una risposta affermativa possa costituire una ragionevole ipotesi di lavoro sulla quale indagare.
Gruppi di potere occulto sappiamo che esistono, primo fra tutti la Massoneria, che affonda le proprie radici in una tradizione ormai plurisecolare e la cui regia nascosta è ormai accertata dietro fatti storici rilevanti, a cominciare da quelli riguardanti la nascita del nostro Stato nazionale, nel corso del Risorgimento.
Che, poi, esista una sorta di federazione tra tali gruppi, ciascuno dei quali persegue, in realtà, un proprio disegno egemonico e ciascuno dei quali spera di servirsi degli altri per realizzare i propri fini particolari: anche questo rientra nell’ambito del possibile e perfino del probabile; come suggerisce, ancora una volta, l’osservazione di fatti storici ormai noti, come la collaborazione che si instaura fra organizzazioni criminali internazionali, ciascuna delle quali particolarmente interessata ad un certo ambito delle attività illecite.
Che, infine, salendo di livello in livello, si giunga al vertice della piramide che nessuno ha mai potuto conoscere di persona, anche perché i suoi membri più importanti, i burattinai supremi del grande gioco, sono - forse - creature di origine non umana: ebbene, ciò può essere solo oggetto di speculazione teorica, mancando prove o anche indizi concreti tali, da poter dirimere la questione per via documentaria.
Chi studia il fenomeno della cospirazione mondiale non può servirsi dei normali metodi di ricerca dello storico professionista, perché la materia stessa è completamente diversa da quella della storia. Lo storico procede di documento in documento; ma lo studioso della cospirazione globale sa che non troverà mai dei “documenti” paragonabili a quelli di cui si servono i suoi colleghi della storia, chiamiamola così, profana.
Possiamo da ciò trarre la conclusione che non è cosa da persone serie mettersi a studiare la cospirazione globale, dato che, a rigore, non siamo affatto certi nemmeno del fatto che esista il soggetto di una tale ricerca?
Certamente no.
Il fatto che non esistano prove assolutamente certe e incontrovertibili di una costante presenza aliena sul nostro pianeta non è un argomento per squalificare gli studi che si possono fare in proposito o per denigrare quanti decidono di dedicarvisi; e la stessa osservazione può farsi per tutti quegli ambiti di studio che abbracciano materie prive di un riscontro materiale oggettivo, a cominciare dalle religioni.
Gli studiosi “seri”, però, temono il ridicolo: sono persone che ha molto amor proprio, anche se non esitano a mangiare nella greppia di istituzioni, giornali o televisioni che si aspettano da loro appunto quel tipo di “serietà” che consiste nel non fare mai, assolutamente mai, delle domande veramente scomode, ma nel blandire, al contrario, la pigrizia mentale del pubblico.
Ora, il ridicolo (o peggio) è quasi inevitabile per chiunque si addentri nel labirinto della cospirazione globale; e i più petulanti nel ridere alle spalle di un tale ricercatore sono, senza dubbio, proprio coloro i quali - ne siano consapevoli o no - hanno subito in dosi più massicce l’opera di omologazione e istupidimento perseguita dal Pensiero Unico dominante. Perché a quei signori pieni di sussiego e di serietà, magari baroni universitari con ampie gratificazioni professionali, non va molto a genio l’idea di prendere in esame la possibilità, anche solo teorica, di essere, né più né meno di chiunque altro, soltanto dei poveri burattini eterodiretti.
Come se non bastasse, fa parte, da sempre, della tecnica di tutti i gruppi di potere occulto, quella di operare una sistematica disinformazione, lasciando trapelare brandelli di verità, mescolati però a tali e tante inverosimiglianze, da confondere completamente le carte e da screditare anche il lavoro di quanti concentrano le proprie spassionate ricerche proprio su quei brandelli.
Certo, finché il conformismo intellettuale continuerà a dominare incontrastato, i signori dei poteri occulti potranno dormire sonni tranquilli ancora a lungo.
Finché qualcuno, un poco alla volta, comincerà a scuotersi dal torpore e a farsi delle domande scomode e politicamente scorrette: a farle a se stesso in primo luogo; e poi, in un secondo tempo, a farle anche agli altri.
Allora, i signori del Pensiero Unico cominceranno a non sentirsi più tanto tranquilli.
Avranno paura che la verità cominci a venir fuori: non quella mezza verità che essi stessi lasciano fuggire, di quando in quando, aprendo e chiudendo il rubinetto della disinformazione; ma la verità vera, quella che a loro non piace affatto, perché disturba i loro progetti e i loro affari.
Quel giorno, forse, si sta avvicinando.
Un principio di consapevolezza incomincia a soffiare, qua e là, nella stagnante palude in cui siamo sprofondati.
Speriamo che quella brezza si trasformi quanto prima in un vento impetuoso e che sia abbastanza forte da disturbare i piani e gli affari di chi ci vorrebbe eternamente schiavi, e sia pure schiavi di lusso, imprigionati mani e piedi con delle catene d’oro massiccio.

di Francesco Lamendola