23 luglio 2010

Appello ai divoratori di futuro



Durante il suo breve tempo sulla Terra, la specie umana ha mostrato una notevole capacità di auto-distruggersi. I Cro-Magnon hanno mandato al creatore i pacifici Neanderthal. I conquistadores, con l’aiuto del vaiolo, hanno decimato le popolazioni native delle Americhe. La moderna guerra industriale del 20° secolo ha tolto circa 100 milioni di vite, per lo più civili. Ed ora stiamo seduti passivi ed ottusi, mentre le società ed i leaders delle nazioni industrializzate garantiscono che il cambiamento climatico sarà così veloce da comportare l’estinzione della nostra specie. Come sottolineato dal biologo Tim Flannery, gli homo sapiens sono i “divoratori del futuro”. In passato, quando una civiltà andava a gambe all’aria per l’avidità, la cattiva amministrazione e l’esaurimento delle risorse naturali, gli esseri umani migravano da qualche altra parte per ricominciare il saccheggio. Ma stavolta i giochi sono finiti. Non c’è nessun altro posto dove andare.

Le nazioni industrializzate hanno passato l’ultimo secolo usurpando metà del pianeta e dominando la maggior parte dell’altra metà. Abbiamo esaurito il nostro patrimonio naturale in maniera vertiginosa, soprattutto i combustibili fossili, per prendere parte ad un’orgia di consumismo e spreco che ha avvelenato la Terra ed ha attaccato l’ecosistema dal quale dipende la vita umana. È stata quasi una festa per i membri dell’elite industrializzata. Ma è stata alquanto stupida.

Stavolta il collasso sarà globale. Ci disintegreremo insieme. E non c’è via di scampo. L’esperimento di vita sedentaria durato 10.000 anni sta per arrivare ad una tremenda fine. Ed il genere umano, convinto di avere il dominio sulla Terra e su tutti gli essere viventi, riceverà una dolorosa lezione sulla necessità di equilibrio, ritegno ed umiltà. Non esiste alcun monumento o rovina che risalga a più di 5.000 anni fa. Come nota Ronald Wright nel suo A Short History Of Progress [“Breve Storia del Progresso”, ndt], la civiltà “occupa un mero 0.2% dei 2 milioni e mezzo di anni da che il nostro primo avo ha affilato una pietra”. Addio Parigi. Addio New York. Addio Tokyo. Benvenuti alla nuova esperienza dell’esistenza umana, dove il prerequisito per la sopravvivenza è rovistare alla ricerca di cibo nelle isole delle latitudini del nord. Ci consideriamo creature razionali. Ma è razionale aspettare come pecore in un ovile mentre le compagnie del petrolio ed del gas naturale, le compagnie del carbone, le industrie chimiche, le fabbriche di plastica, l’industria automobilistica, le fabbriche di armi ed i leader del mondo industriale, come hanno fatto a Copenhagen, ci conducono verso l’estinzione di massa? È troppo tardi per prevenire un profondo cambiamento del clima. Ma perché aggiungere benzina sul fuoco? Perché permettere alla nostra élite regnante, guidata dalla brama del profitto, di accelerare questa spirale mortale? Perché continuare ad obbedire alle leggi ed alle regole dei nostri carnefici? Brutte notizie. La disintegrazione del ghiaccio del Mare Artico in accelerazione significa che probabilmente il ghiaccio estivo scomparirà nell’arco dei prossimi dieci anni. Gli oceani assorbiranno ancor più radiazioni solari, facendo aumentare in modo notevole il tasso di surriscaldamento globale. La terra di ghiaccio della Siberia scomparirà, provocando l’esalazione di fumi di metano dal sottosuolo. Lo strato di ghiaccio della Groenlandia ed i ghiacciai dell’Himalaya e del Tibet si scioglieranno. Nel dicembre 2007, Jay Zwally, scienziato climatico presso la NASA, ha dichiarato: “Spesso ci si riferisce all’Artide come al canarino nelle miniere di carbone per il cambiamento climatico. Ora, come segno di tale cambiamento, il canarino è morto. È il momento di cominciare ad uscire fuori dalle miniere di carbone”. Ma raramente la realtà costituisce un impedimento alla follia umana. I gas serra del mondo hanno continuato a crescere dopo la dichiarazione di Zwally. Dal 2000, le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) da combustibili fossili sono aumentate del 3% all’anno. A questo ritmo, le emissioni annuali si raddoppieranno ogni 25 anni. James Hansen, capo del Goddard Institute for Space Studies presso la NASA, nonché uno dei principali esperti sul clima, ha avvertito che continuare a surriscaldare il pianeta sarà “la ricetta per il disastro globale”. Come stimato da Hansen, il livello di sicurezza di CO2 nell’atmosfera deve essere inferiore alle 350 parti per milione (ppm). Il livello attuale di CO2 è di 385 ppm ed è in continua crescita. Già questo garantisce conseguenze terribili, anche se agissimo immediatamente sul taglio delle emissioni di CO2. Per 3 milioni di anni, il ciclo naturale del carbone ha assicurato che l’atmosfera contenesse meno di 300 ppm di CO2, dando sostentamento all’ampia varietà di forme di vita del pianeta. L’idea che oggi viene difesa dall’élite aziendale, o almeno la parte in contatto con la realtà del surriscaldamento globale, è quella di oltrepassare intenzionalmente i 350 ppm e poi tornare ad un clima più sicuro attraverso un taglio rapido e drammatico delle emissioni. Ovviamente, questa è una teoria pensata per assolvere l’élite dal loro attuale non agire. Ma come scrive Clive Hamilton nel suo libro Requiem for a Species: Why We Resist the Truth About Climate Change [“Requiem per una Specie: Perché Resistiamo alla Verità sul Cambiamento Climatico”, ndt], anche “se le concentrazioni di anidride carbonica raggiungessero i 550 ppm e dopo di che le emissioni scendessero a zero, le temperature globali continuerebbero comunque a crescere per almeno un altro secolo”. Copenhagen probabilmente è stata l’ultima occasione che avevamo per salvarci. Barack Obama e gli altri leader delle nazioni industrializzate l’hanno sprecata. Un cambiamento climatico radicale è sicuro. Ora si tratta solo di vedere quanto sarà negativo. I meccanismi del cambiamento del clima, avvertono gli scienziati, creeranno presto un effetto domino che potrebbe spingere la Terra in uno stato caotico per migliaia di anni prima di poter riacquistare il suo equilibrio. “Se gli esseri umani saranno ancora una forza del pianeta, o se riusciranno a sopravvivere, è una questione inutile”, scrive Hamilton. “Una cosa è certa: saremo molti di meno”. Siamo diventati preda dell’illusione che siamo in grado di controllare e modificare il nostro ambiente, che l’ingenuità umana garantisca l’inevitabilità del progresso umano e che il nostro dio secolare della scienza ci salverà. “L’intossicante convinzione che possiamo conquistare qualsiasi cosa si sta scontrando con una forza più grande, la Terra stessa”, scrive Hamilton. “La prospettiva di scampare il cambiamento climatico sfida la nostra insolenza tecnologica, la nostra fede illuminista nella ragione e l’intero progetto modernista. La Terra potrebbe presto dimostrare che, alla fine dei conti, non può essere domata e che la brama dell’uomo di controllare la natura ha solo fatto risvegliare una bestia assopita”. Siamo di fronte ad una terribile verità politica. Coloro che detengono il potere non agiranno con l’urgenza richiesta per proteggere la vita dell’uomo e dell’ecosistema. Le decisioni sul destino del pianeta e della civiltà umana sono in mano a dei troll etici ed intellettuali come Tony Haward della BP. Questi padroni della politica e delle aziende sono guidati da un codardo desiderio di accumulare ricchezza a spese della vita umana. Lo fanno nel Golfo del Messico. Lo fanno nella provincia meridionale cinese di Guangdong, dove l’industria dell’export sta prosperando. La trasformazione della Cina in un capitalismo totalitario, fatta in modo da inondare i mercati mondiali con merci a basso costo, sta contribuendo alla drammatica crescita delle emissioni di anidride carbonica, di cui si prevede un raddoppiamento del tasso in Cina entro il 2030, da poco più di 5 miliardi di tonnellate quadrate a poco meno di 12 miliardi. Questo degrado del pianeta da parte delle società è accompagnata da un degrado dell’essere umano. Nelle fabbriche di Guangdong vediamo il nostro avversario negli occhi. Il sociologo Ching Kwan ha trovato “fabbriche sataniche”, nella zona industriale a sud-est della Cina, che “vanno ad un ritmo talmente snervante che i limiti fisici e la forza corporea dei lavoratori vengono messi a dura prova ogni giorno”. Alcuni impiegati hanno giornate lavorative dalle 14 alle 16 ore, senza un momento di pausa durante il mese fino al giorno di paga. In queste fabbriche, per un impiegato è del tutto normale lavorare 400 ore o più al mese, soprattutto nell’industria tessile. La maggior parte dei lavoratori, osserva Lee, sopportano salari non pagati, deduzioni illegali e tassi salariali sotto la norma. Vengono spesso abusati fisicamente e non ricevono indennizzo se infortunati sul lavoro. Ogni anno una dozzina o più di lavoratori muore per il troppo lavoro solo nella zona di Shenzhen. Con le parole di Lee, le condizioni di lavoro “vanno oltre la nozione marxista di sfruttamento ed alienazione”. Un sondaggio pubblicato nel 2003 dall’agenzia di stampa ufficiale cinese, [Chine News Agency, ndt], citato nel libro di Lee Against the Law: Labor Protests in China’s Rustbelt and Sunbelt [“Contro la Legge: Proteste sul Lavoro nelle Rustbelt e Sunbelt della Cina”, ndt], osserva che 3 lavoratori immigrati su 4 hanno problemi a mettere insieme il salario. Ogni anno, scrive Lee, una ventina di lavoratori minaccia di commettere suicidio buttandosi di sotto o dandosi fuoco per i salari non pagati. “Se pagare il lavoro di un individuo è un assioma fondamentale dei rapporti di lavoro del capitalismo, molti impiegati cinesi non sono ancora lavoratori in senso stretto”, scrive Lee. I leader di queste società oggi determinano il nostro destino. Non sono dotati di decenza o compassione umane. Eppure, i loro lobbisti fanno le leggi. Le loro aziende di pubbliche relazioni modellano la propaganda e la banalità pompate attraverso sistemi di comunicazione di massa. Il loro denaro determina le elezioni. La loro avarizia trasforma i lavoratori in servi globali ed il nostro pianeta in una terra desolata. Con l’avanzamento del cambiamento climatico, ci ritroveremo di fronte ad un scelta tra l’obbedire alle regole imposte dalle aziende e la ribellione. I nemici sono coloro che fanno lavorare degli uomini fino alla morte in fabbriche sovraffollate in Cina e trasformano il Golfo del Messico in una zona morta. Non meritano riforma o fiducia. La crisi climatica è una crisi politica. O sconfiggeremo l’élite aziendale, il che significherebbe la disobbedienza civile, un rifiuto della politica tradizionale in favore di un neo-radicalismo e la sistematica violazione delle leggi, oppure ci vedremo consumarci. Il tempo non è dalla nostra parte. Più aspettiamo, più la nostra distruzione è garantita. Il futuro, se restiamo passivi, ci verrà strappato via dagli eventi. Il nostro obbligo morale non è verso le strutture di potere, ma verso la vita.
Fonte: www.truthdig.com
di Chris Hedges

22 luglio 2010

La “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche




Fra sdegno panico, nausea cosmica e pietas scientifica vanno ricercate le cause di un mio lungo silenzio circa lo stato di salute di quel “malato terminale” che è il capitalismo globalizzato. Ma d’altronde è ben dal 2005, in un saggio su “il Ponte” - raccolto poi tra il materiale con cui ho arricchito la seconda edizione del mio “Globalizzazione Scientificamente infondata” (2008) – che disegnavo lo scenario della implosione necessaria della globalizzazione insieme al lungo periodo di stagnazione che la avrebbe successivamente accompagnata. E tutto si va svolgendo secondo quella impietosa diagnosi.
Molti economisti(ci) reagendo scompostamente all’ennesimo sbugiardamento della loro “disciplina” indisciplinatamente tramutati in talent scout hanno giocato a scovare tra loro i pochi guru “formato Otelma” che avrebbero preconizzato i precisi tempi della crisi globale. Ciò costituirebbe poco scandalo qualora si trattasse di gazzettieri in cerca di scoop, per definizione alieni dalla conoscenza degli arcani della “scienza economica” che con fortunosa preveggenza Carlyle ebbe a definire “scienza triste”. In realtà quella definizione era fortunosa (emotivamente indotta dalla lettura del saggio sulla popolazione di Malthus che scontava inconsistenti e infondati esiti pessimistici circa il rapporto popolazione/ risorse per sfamare tutti), come dire “letteraria”. Infatti scientificamente parlando la “tristezza” di quella “scienza” è diventata praticamente infinita dovendola annoverare fra gli orrori della così detta “civiltà del capitalismo” e dei suoi supporter ed esegeti: gli economisti(ci).
All’interno di questa che può definirsi sicuramente come una cosca, in alcune sue celebratissime “logge” si pretende dalla economics la sua capacità di prevedere le crisi economiche così come è lecito chiedere a scienze di tipo deterministico tipo l’astronomia. Abbiamo a suo tempo indicato il professor Perotti - della Bocconi e dalle pagine del Sole24ore che non hanno mai visto una smentita a tale assurda presa di posizione - dopo tanto pellegrinaggio ed esperienze “amerikani” sposare un tale punto di vista: la scienza economica in quanto scienza dovrebbe poter prevedere giorno e modalità (dies certus an certus quando) delle crisi cicliche. A nulla valendo l’insegnamento di Schumpeter - per altro a ogni piè sospinto citato e osannato almeno quanto del tutto incompreso- che ha per sempre sancito “a futura memoria” il fatto che le crisi economiche nel capitalismo si presentano con irregular regularity , cioè in altri termini in modo “regolarmente irregolare” nel tempo, che è come dire in maniera imprevedibile smentendo Perotti, e l’intero codazzo dei suoi silenti colleghi in proposito.
Quando la calura e le molte angosce umane e sociali dei tempi che corrono ce lo permetteranno torneremo su questi aspetti che ben valgono maggiore insistenza di analisi e denuncia.
Al momento quel che vorremmo ricordare agli economisti(ci) è che la loro totale ignoranza sulla “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche si mostra nel fatto che, al di là della richiesta di rigorosa prevedibilità di queste ultime nel senso “perottiano”- che “non sta né in cielo né in terra”- il fatto che non se ne sappia venire minimamente a capo in termini terapeutici è il vero segnale della permanente crisi scientifica della “scienza triste” anzi tristissima in sé per il suo permanente stato abortivo contrabbandato come scienza.
Ebbene dalla mia personale impostazione del problema - di cui sarà prima o poi il caso di dare una versione accessibile a un pubblico attento e non condizionato dai “professori ufficiali” - ne deriva invece una precisa cura o exit strategy che evidentemente non è concepibile neanche lontanamente con i magrissimi strumenti del mestiere degli economisti(ci). Questo non può sfuggire a chi dovesse studiare con serietà le cose che ho scritto in materia nell’ultimo quarto di secolo comunicandole senza smentite ai massimi livelli internazionali.
Con molta modestia e con un briciolo di imperdonabile romanticismo ho creduto di poter notificare questi ultimi aspetti all’attuale ministro dell’Economia di quel che resta della Repubblica Italiana. Ritenendo che, se certamente non alla sua portata i titoli e la materia propostagli gli suggerissero almeno di sottoporla a più attenti e acculturati collaboratori. Ma una tale sensibilità da parte di “Chance the Gardner” è stata parte di una mia sopravalutazione di uomini e cose che è tra i vizi meno paganti e appaganti della mia vita. Purtroppo avere a suo tempo soprannominato Tremonti “Chance the Gardner” alludendo al capolavoro interpretato da Peter Sellers nel film “Oltre il Giardino” non era una butade o una licenza poetico-giornalistica, ma una denuncia che va rilanciata con un pizzico di autocritica: più che un giardiniere Tremonti è un “contadino” di quelli a cui i fitofarmaci e la passivizzante tecnologia delle multinazionali Usa (e getta) hanno espunto nel tempo “il cervello fino” lasciandogli solo le “scarpe grosse”. In un’intervista alla stampa di domenica 18 Luglio, esprimendosi a proposito dell’ennesima cloaca venuta alla luce intorno al potere berlusconiano, Tremonti ha fatto il verso al suo padrone traducendone in versione bucolica la sentenza da questi emessa circa “ i quattro sfigati pensionati” della così detta P3. Per Tremonti, Verdini, Dell’Utri, Lombardi, Carboni, Cosentino & company sarebbero “una cassetta di mele marce pur scaturendo da un albero sano”. L’eresia botanica è palese (reiterati raccolti marci nel tempo impongono la segatura del relativo albero) e le cassette di mele dove il marciume passa da una alle altre è mera “sapienza” da fruttivendoli.
P.S.
Nella stessa occasione la su ricordata “Chance” ha detto che non v’è alternativa al suo attuale padrone. E rivelando che senza padroni non sa immaginare il proprio ruolo - com’era tipico del contadiname tardo medievale - il tributarista di Sondrio sempre sollecitato a esprimere un giudizio su un eventuale mutamento del quadro di governo in Italia ha rivelato che la cosa non sarebbe peraltro gradita dalla Ue. Con il che è chiara la piramide dei poteri che hanno affossato ogni anelito di indipendenza della nostra nazione. Se l’Europa ritiene indispensabile il nostro “piccolo Cesare” allora v’è il fondato sospetto che al posto di statisti di alto profilo il nostro continente sia nelle mani della “banda Bassotti” che invidia alla sua branche italica di essersi fusa con “zio Paperone” in un unico sodalizio.
di Vittorangelo Orati

21 luglio 2010

È cominciata la partita finale

Sin dalla mia previsione del 1956 su una forte e improvvisa recessione che sarebbe scoppiata tra il febbraio e marzo 1957, non ho mai pubblicato una previsione sull'economia USA che non si sia avverata così come io l'avevo formulata. Il motivo di questa distinzione tra me e tutti i miei cosiddetti rivali in questa materia è che essi hanno fatto affidamento su linee di tendenza statistico/monetariste, che sono inerentemente incompetenti per la stessa natura del metodo adottato.

Così, il risultato della mia serie di previsioni per gli USA negli anni sessanta condusse alla previsione di un probabile crollo del sistema di Bretton Woods nell'intervallo tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta. Lo stesso si può dire per le mie varie previsioni nel corso degli anni '80, nel 1992, nel 1996-98, nel 2001, 2004 e della fine di luglio 2007.

Dunque, non ho mai fatto le previsioni che fanno i venali statistici; lascio tali sciocchezze ai giocatori di cavalli e di Wall Street; io prevedo intervalli di crisi che richiedono decisioni correttive, come faccio qui ed ora.

Spiego di che si tratta.


Già nel 1984, al tempo in cui il futuro presidente del Federal Reserve System Alan Greenspan stava ancora complottando per distruggere le protezioni assicurate all'economia americana dalla legge Glass-Steagall, quando il miserabile era funzionario della banca JP Morgan per conto dei mercati londinesi, il processo di bancarotta del mondo attraverso l'abrogazione di Glass-Steagall era già in corso.

La successiva abrogazione di Glass-Steagall, nel 1999, compiuta da infestazioni verminose come il complice di Greenspan Larry Summers, ha scatenato negli ultimi due decenni la più grande iperinflazione globale della storia mondiale.

Ora ci troviamo in un momento in cui l'economia della sezione transatlantica dell'economia mondiale sta inclinandosi in una crisi peggiore persino di quella iperinflazionistica di Weimar nell'autunno 1923, più modesta di quella odierna.

La forma di questa crisi è iperinflazionistica nello stesso senso della fase che la crisi di Weimar raggiunse dalla primavera all'autunno 1923; ma l'attuale caso è già, immediatamente, molto peggiore di quanto si conosca nella storia moderna dalla Pace di Westfalia del 1648. Infatti, l'intenzione britannica nel ruolo di punta che essa svolge come fattrice del collasso imminente, eseguita col concorso di rilevanti creduloni in Germania e altrove, è quella di "porre fine al sistema di Westfalia".

L'aspetto più critico degli sviluppi post-2001 incentrati sui mercati finanziari transatlantici è un collasso dell'economia reale allo stesso tempo che l'espansione di titoli puramente fittizi, nominali, come quelli associati ai mercati finanziari derivati, si è impennata oltre tutte le stime possibili fino a raggiungere la dimensione di oltre un quadrilione (un milione di miliardi, ndt.) di dollari USA nominali, in ciò che sono gli attuali titoli finanziari senza valore che inquinano i conti dei mercati di Wall Street e del Commonwealth britannico. Il tasso di aumento del rapporto tra il capitale finanziario puramente fittizio e il capitale produttivo definito da un metro Glass-Steagall per l'attivitá bancaria commerciale, è ora pienamente iperbolico.

Il mondo nel suo insieme, specialmente la regione transatlantica, è così attualmente sull'orlo di un collasso globale che trasformerà tutte le forme di denaro nominale di ogni nazione in uno stato di inutilità su tutti i mercati internazionali. In breve, una crisi generale da collasso globale, che sta colpendo il mondo transatlantico più direttamente ma che ben presto inghiottirà l'intero pianeta.

Per questa situazione c'è solo un rimedio; tutte le altre alternative vanno ritenute clinicamente folli. Tale rimedio è l'applicazione immediata dello standard rigoroso del 1933 per una legge Glass-Steagall condivisa da un concerto di grandi nazioni, che comprendano la nazione statunitense libera dalla marionetta britannica Obama, per stabilire una solida rete di sistemi bancari commerciali nazionali che operino secondo tali strette regole.

A questo scopo, ho prescritto un nucleo composto dall'alleanza tra USA senza Obama, Russia, Cina e India, una "iniziativa delle quattro potenze" mirante a coinvolgere numerose altre nazioni del mondo in una forma di sistema globale a tassi di cambio fissi.

Stiamo ora entrando in una fase della attuale situazione globale, in cui presto arriveremo al punto in cui ci sarà un collasso dell'intero pianeta, con effetti genocidi che dureranno alcune generazioni, a meno che non agiamo per imporre il repentino rimedio , ben prima del settembre 2010, di una riforma globale Glass-Steagall tra la maggior parte delle potenze mondiali tranne quei casi attualmente incurabili come il sistema del Commonwealth britannico (pur tuttavia, sarei lieto di accogliere un Regno Unito che opti per la più prudente alternativa di accettare il mio disegno).

Due generazioni sotto gli effetti di una tale crisi da collasso sarebbero sufficienti, si stima, per ridurre la popolazione mondiale dai circa 6,8 miliardi – specialmente la parte più povera della popolazione – all'obiettivo del principe Filippo d'Inghilterra e del suo World Wildlife Fund: meno di 2 miliardi, per la maggior parte esemplari di una specie rozza e miserabile.

La questione dei tempi

Non è affatto difficile presentare una stima credibile di quando sarà raggiunto il punto di non ritorno.

Stimate sia l'ordine di grandezza del rapporto definito dall'aumento di debito finanziario senza valore, associato ai derivati finanziari e simili (massa finanziaria "A") e la porzione attualmente crollante di flussi monetari che corrispondono alla caratteristica di uno standard Glass-Steagall (massa finanziaria "B"). Il rapporto è iperbolico (coloro che non ne riconoscono la natura iperbolica chiudano gentilmente il becco). Come mostrano i costi dei "salvataggi" USA dall'agosto 2007, se paragonati a simili tendenze in Europa occidentale, c'è un insieme di tendenze che mostra chiaramente perché il Gruppo bancario Inter-Alpha, che rappresenta a tutti gli effetti il 70% delle banche ufficiali del mondo, è già irrimediabilmente in bancarotta, se si considerano le due categorie di titoli finanziari nominali. La tendenza che abbiamo visto nello stesso periodo in cui la fantasia dell'Euro è stata imposta in tutta l'Europa centrale e occidentale, significa che attualmente ci troviamo già sul fronte di un'onda d'urto, un punto in cui non ci sono speranze per la continua esistenza civile dell'umanità su questo pianeta, a meno che lo standard Glass-Steagall non sia imposto in modo immediato ed efficace.

by Movisol

23 luglio 2010

Appello ai divoratori di futuro



Durante il suo breve tempo sulla Terra, la specie umana ha mostrato una notevole capacità di auto-distruggersi. I Cro-Magnon hanno mandato al creatore i pacifici Neanderthal. I conquistadores, con l’aiuto del vaiolo, hanno decimato le popolazioni native delle Americhe. La moderna guerra industriale del 20° secolo ha tolto circa 100 milioni di vite, per lo più civili. Ed ora stiamo seduti passivi ed ottusi, mentre le società ed i leaders delle nazioni industrializzate garantiscono che il cambiamento climatico sarà così veloce da comportare l’estinzione della nostra specie. Come sottolineato dal biologo Tim Flannery, gli homo sapiens sono i “divoratori del futuro”. In passato, quando una civiltà andava a gambe all’aria per l’avidità, la cattiva amministrazione e l’esaurimento delle risorse naturali, gli esseri umani migravano da qualche altra parte per ricominciare il saccheggio. Ma stavolta i giochi sono finiti. Non c’è nessun altro posto dove andare.

Le nazioni industrializzate hanno passato l’ultimo secolo usurpando metà del pianeta e dominando la maggior parte dell’altra metà. Abbiamo esaurito il nostro patrimonio naturale in maniera vertiginosa, soprattutto i combustibili fossili, per prendere parte ad un’orgia di consumismo e spreco che ha avvelenato la Terra ed ha attaccato l’ecosistema dal quale dipende la vita umana. È stata quasi una festa per i membri dell’elite industrializzata. Ma è stata alquanto stupida.

Stavolta il collasso sarà globale. Ci disintegreremo insieme. E non c’è via di scampo. L’esperimento di vita sedentaria durato 10.000 anni sta per arrivare ad una tremenda fine. Ed il genere umano, convinto di avere il dominio sulla Terra e su tutti gli essere viventi, riceverà una dolorosa lezione sulla necessità di equilibrio, ritegno ed umiltà. Non esiste alcun monumento o rovina che risalga a più di 5.000 anni fa. Come nota Ronald Wright nel suo A Short History Of Progress [“Breve Storia del Progresso”, ndt], la civiltà “occupa un mero 0.2% dei 2 milioni e mezzo di anni da che il nostro primo avo ha affilato una pietra”. Addio Parigi. Addio New York. Addio Tokyo. Benvenuti alla nuova esperienza dell’esistenza umana, dove il prerequisito per la sopravvivenza è rovistare alla ricerca di cibo nelle isole delle latitudini del nord. Ci consideriamo creature razionali. Ma è razionale aspettare come pecore in un ovile mentre le compagnie del petrolio ed del gas naturale, le compagnie del carbone, le industrie chimiche, le fabbriche di plastica, l’industria automobilistica, le fabbriche di armi ed i leader del mondo industriale, come hanno fatto a Copenhagen, ci conducono verso l’estinzione di massa? È troppo tardi per prevenire un profondo cambiamento del clima. Ma perché aggiungere benzina sul fuoco? Perché permettere alla nostra élite regnante, guidata dalla brama del profitto, di accelerare questa spirale mortale? Perché continuare ad obbedire alle leggi ed alle regole dei nostri carnefici? Brutte notizie. La disintegrazione del ghiaccio del Mare Artico in accelerazione significa che probabilmente il ghiaccio estivo scomparirà nell’arco dei prossimi dieci anni. Gli oceani assorbiranno ancor più radiazioni solari, facendo aumentare in modo notevole il tasso di surriscaldamento globale. La terra di ghiaccio della Siberia scomparirà, provocando l’esalazione di fumi di metano dal sottosuolo. Lo strato di ghiaccio della Groenlandia ed i ghiacciai dell’Himalaya e del Tibet si scioglieranno. Nel dicembre 2007, Jay Zwally, scienziato climatico presso la NASA, ha dichiarato: “Spesso ci si riferisce all’Artide come al canarino nelle miniere di carbone per il cambiamento climatico. Ora, come segno di tale cambiamento, il canarino è morto. È il momento di cominciare ad uscire fuori dalle miniere di carbone”. Ma raramente la realtà costituisce un impedimento alla follia umana. I gas serra del mondo hanno continuato a crescere dopo la dichiarazione di Zwally. Dal 2000, le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) da combustibili fossili sono aumentate del 3% all’anno. A questo ritmo, le emissioni annuali si raddoppieranno ogni 25 anni. James Hansen, capo del Goddard Institute for Space Studies presso la NASA, nonché uno dei principali esperti sul clima, ha avvertito che continuare a surriscaldare il pianeta sarà “la ricetta per il disastro globale”. Come stimato da Hansen, il livello di sicurezza di CO2 nell’atmosfera deve essere inferiore alle 350 parti per milione (ppm). Il livello attuale di CO2 è di 385 ppm ed è in continua crescita. Già questo garantisce conseguenze terribili, anche se agissimo immediatamente sul taglio delle emissioni di CO2. Per 3 milioni di anni, il ciclo naturale del carbone ha assicurato che l’atmosfera contenesse meno di 300 ppm di CO2, dando sostentamento all’ampia varietà di forme di vita del pianeta. L’idea che oggi viene difesa dall’élite aziendale, o almeno la parte in contatto con la realtà del surriscaldamento globale, è quella di oltrepassare intenzionalmente i 350 ppm e poi tornare ad un clima più sicuro attraverso un taglio rapido e drammatico delle emissioni. Ovviamente, questa è una teoria pensata per assolvere l’élite dal loro attuale non agire. Ma come scrive Clive Hamilton nel suo libro Requiem for a Species: Why We Resist the Truth About Climate Change [“Requiem per una Specie: Perché Resistiamo alla Verità sul Cambiamento Climatico”, ndt], anche “se le concentrazioni di anidride carbonica raggiungessero i 550 ppm e dopo di che le emissioni scendessero a zero, le temperature globali continuerebbero comunque a crescere per almeno un altro secolo”. Copenhagen probabilmente è stata l’ultima occasione che avevamo per salvarci. Barack Obama e gli altri leader delle nazioni industrializzate l’hanno sprecata. Un cambiamento climatico radicale è sicuro. Ora si tratta solo di vedere quanto sarà negativo. I meccanismi del cambiamento del clima, avvertono gli scienziati, creeranno presto un effetto domino che potrebbe spingere la Terra in uno stato caotico per migliaia di anni prima di poter riacquistare il suo equilibrio. “Se gli esseri umani saranno ancora una forza del pianeta, o se riusciranno a sopravvivere, è una questione inutile”, scrive Hamilton. “Una cosa è certa: saremo molti di meno”. Siamo diventati preda dell’illusione che siamo in grado di controllare e modificare il nostro ambiente, che l’ingenuità umana garantisca l’inevitabilità del progresso umano e che il nostro dio secolare della scienza ci salverà. “L’intossicante convinzione che possiamo conquistare qualsiasi cosa si sta scontrando con una forza più grande, la Terra stessa”, scrive Hamilton. “La prospettiva di scampare il cambiamento climatico sfida la nostra insolenza tecnologica, la nostra fede illuminista nella ragione e l’intero progetto modernista. La Terra potrebbe presto dimostrare che, alla fine dei conti, non può essere domata e che la brama dell’uomo di controllare la natura ha solo fatto risvegliare una bestia assopita”. Siamo di fronte ad una terribile verità politica. Coloro che detengono il potere non agiranno con l’urgenza richiesta per proteggere la vita dell’uomo e dell’ecosistema. Le decisioni sul destino del pianeta e della civiltà umana sono in mano a dei troll etici ed intellettuali come Tony Haward della BP. Questi padroni della politica e delle aziende sono guidati da un codardo desiderio di accumulare ricchezza a spese della vita umana. Lo fanno nel Golfo del Messico. Lo fanno nella provincia meridionale cinese di Guangdong, dove l’industria dell’export sta prosperando. La trasformazione della Cina in un capitalismo totalitario, fatta in modo da inondare i mercati mondiali con merci a basso costo, sta contribuendo alla drammatica crescita delle emissioni di anidride carbonica, di cui si prevede un raddoppiamento del tasso in Cina entro il 2030, da poco più di 5 miliardi di tonnellate quadrate a poco meno di 12 miliardi. Questo degrado del pianeta da parte delle società è accompagnata da un degrado dell’essere umano. Nelle fabbriche di Guangdong vediamo il nostro avversario negli occhi. Il sociologo Ching Kwan ha trovato “fabbriche sataniche”, nella zona industriale a sud-est della Cina, che “vanno ad un ritmo talmente snervante che i limiti fisici e la forza corporea dei lavoratori vengono messi a dura prova ogni giorno”. Alcuni impiegati hanno giornate lavorative dalle 14 alle 16 ore, senza un momento di pausa durante il mese fino al giorno di paga. In queste fabbriche, per un impiegato è del tutto normale lavorare 400 ore o più al mese, soprattutto nell’industria tessile. La maggior parte dei lavoratori, osserva Lee, sopportano salari non pagati, deduzioni illegali e tassi salariali sotto la norma. Vengono spesso abusati fisicamente e non ricevono indennizzo se infortunati sul lavoro. Ogni anno una dozzina o più di lavoratori muore per il troppo lavoro solo nella zona di Shenzhen. Con le parole di Lee, le condizioni di lavoro “vanno oltre la nozione marxista di sfruttamento ed alienazione”. Un sondaggio pubblicato nel 2003 dall’agenzia di stampa ufficiale cinese, [Chine News Agency, ndt], citato nel libro di Lee Against the Law: Labor Protests in China’s Rustbelt and Sunbelt [“Contro la Legge: Proteste sul Lavoro nelle Rustbelt e Sunbelt della Cina”, ndt], osserva che 3 lavoratori immigrati su 4 hanno problemi a mettere insieme il salario. Ogni anno, scrive Lee, una ventina di lavoratori minaccia di commettere suicidio buttandosi di sotto o dandosi fuoco per i salari non pagati. “Se pagare il lavoro di un individuo è un assioma fondamentale dei rapporti di lavoro del capitalismo, molti impiegati cinesi non sono ancora lavoratori in senso stretto”, scrive Lee. I leader di queste società oggi determinano il nostro destino. Non sono dotati di decenza o compassione umane. Eppure, i loro lobbisti fanno le leggi. Le loro aziende di pubbliche relazioni modellano la propaganda e la banalità pompate attraverso sistemi di comunicazione di massa. Il loro denaro determina le elezioni. La loro avarizia trasforma i lavoratori in servi globali ed il nostro pianeta in una terra desolata. Con l’avanzamento del cambiamento climatico, ci ritroveremo di fronte ad un scelta tra l’obbedire alle regole imposte dalle aziende e la ribellione. I nemici sono coloro che fanno lavorare degli uomini fino alla morte in fabbriche sovraffollate in Cina e trasformano il Golfo del Messico in una zona morta. Non meritano riforma o fiducia. La crisi climatica è una crisi politica. O sconfiggeremo l’élite aziendale, il che significherebbe la disobbedienza civile, un rifiuto della politica tradizionale in favore di un neo-radicalismo e la sistematica violazione delle leggi, oppure ci vedremo consumarci. Il tempo non è dalla nostra parte. Più aspettiamo, più la nostra distruzione è garantita. Il futuro, se restiamo passivi, ci verrà strappato via dagli eventi. Il nostro obbligo morale non è verso le strutture di potere, ma verso la vita.
Fonte: www.truthdig.com
di Chris Hedges

22 luglio 2010

La “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche




Fra sdegno panico, nausea cosmica e pietas scientifica vanno ricercate le cause di un mio lungo silenzio circa lo stato di salute di quel “malato terminale” che è il capitalismo globalizzato. Ma d’altronde è ben dal 2005, in un saggio su “il Ponte” - raccolto poi tra il materiale con cui ho arricchito la seconda edizione del mio “Globalizzazione Scientificamente infondata” (2008) – che disegnavo lo scenario della implosione necessaria della globalizzazione insieme al lungo periodo di stagnazione che la avrebbe successivamente accompagnata. E tutto si va svolgendo secondo quella impietosa diagnosi.
Molti economisti(ci) reagendo scompostamente all’ennesimo sbugiardamento della loro “disciplina” indisciplinatamente tramutati in talent scout hanno giocato a scovare tra loro i pochi guru “formato Otelma” che avrebbero preconizzato i precisi tempi della crisi globale. Ciò costituirebbe poco scandalo qualora si trattasse di gazzettieri in cerca di scoop, per definizione alieni dalla conoscenza degli arcani della “scienza economica” che con fortunosa preveggenza Carlyle ebbe a definire “scienza triste”. In realtà quella definizione era fortunosa (emotivamente indotta dalla lettura del saggio sulla popolazione di Malthus che scontava inconsistenti e infondati esiti pessimistici circa il rapporto popolazione/ risorse per sfamare tutti), come dire “letteraria”. Infatti scientificamente parlando la “tristezza” di quella “scienza” è diventata praticamente infinita dovendola annoverare fra gli orrori della così detta “civiltà del capitalismo” e dei suoi supporter ed esegeti: gli economisti(ci).
All’interno di questa che può definirsi sicuramente come una cosca, in alcune sue celebratissime “logge” si pretende dalla economics la sua capacità di prevedere le crisi economiche così come è lecito chiedere a scienze di tipo deterministico tipo l’astronomia. Abbiamo a suo tempo indicato il professor Perotti - della Bocconi e dalle pagine del Sole24ore che non hanno mai visto una smentita a tale assurda presa di posizione - dopo tanto pellegrinaggio ed esperienze “amerikani” sposare un tale punto di vista: la scienza economica in quanto scienza dovrebbe poter prevedere giorno e modalità (dies certus an certus quando) delle crisi cicliche. A nulla valendo l’insegnamento di Schumpeter - per altro a ogni piè sospinto citato e osannato almeno quanto del tutto incompreso- che ha per sempre sancito “a futura memoria” il fatto che le crisi economiche nel capitalismo si presentano con irregular regularity , cioè in altri termini in modo “regolarmente irregolare” nel tempo, che è come dire in maniera imprevedibile smentendo Perotti, e l’intero codazzo dei suoi silenti colleghi in proposito.
Quando la calura e le molte angosce umane e sociali dei tempi che corrono ce lo permetteranno torneremo su questi aspetti che ben valgono maggiore insistenza di analisi e denuncia.
Al momento quel che vorremmo ricordare agli economisti(ci) è che la loro totale ignoranza sulla “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche si mostra nel fatto che, al di là della richiesta di rigorosa prevedibilità di queste ultime nel senso “perottiano”- che “non sta né in cielo né in terra”- il fatto che non se ne sappia venire minimamente a capo in termini terapeutici è il vero segnale della permanente crisi scientifica della “scienza triste” anzi tristissima in sé per il suo permanente stato abortivo contrabbandato come scienza.
Ebbene dalla mia personale impostazione del problema - di cui sarà prima o poi il caso di dare una versione accessibile a un pubblico attento e non condizionato dai “professori ufficiali” - ne deriva invece una precisa cura o exit strategy che evidentemente non è concepibile neanche lontanamente con i magrissimi strumenti del mestiere degli economisti(ci). Questo non può sfuggire a chi dovesse studiare con serietà le cose che ho scritto in materia nell’ultimo quarto di secolo comunicandole senza smentite ai massimi livelli internazionali.
Con molta modestia e con un briciolo di imperdonabile romanticismo ho creduto di poter notificare questi ultimi aspetti all’attuale ministro dell’Economia di quel che resta della Repubblica Italiana. Ritenendo che, se certamente non alla sua portata i titoli e la materia propostagli gli suggerissero almeno di sottoporla a più attenti e acculturati collaboratori. Ma una tale sensibilità da parte di “Chance the Gardner” è stata parte di una mia sopravalutazione di uomini e cose che è tra i vizi meno paganti e appaganti della mia vita. Purtroppo avere a suo tempo soprannominato Tremonti “Chance the Gardner” alludendo al capolavoro interpretato da Peter Sellers nel film “Oltre il Giardino” non era una butade o una licenza poetico-giornalistica, ma una denuncia che va rilanciata con un pizzico di autocritica: più che un giardiniere Tremonti è un “contadino” di quelli a cui i fitofarmaci e la passivizzante tecnologia delle multinazionali Usa (e getta) hanno espunto nel tempo “il cervello fino” lasciandogli solo le “scarpe grosse”. In un’intervista alla stampa di domenica 18 Luglio, esprimendosi a proposito dell’ennesima cloaca venuta alla luce intorno al potere berlusconiano, Tremonti ha fatto il verso al suo padrone traducendone in versione bucolica la sentenza da questi emessa circa “ i quattro sfigati pensionati” della così detta P3. Per Tremonti, Verdini, Dell’Utri, Lombardi, Carboni, Cosentino & company sarebbero “una cassetta di mele marce pur scaturendo da un albero sano”. L’eresia botanica è palese (reiterati raccolti marci nel tempo impongono la segatura del relativo albero) e le cassette di mele dove il marciume passa da una alle altre è mera “sapienza” da fruttivendoli.
P.S.
Nella stessa occasione la su ricordata “Chance” ha detto che non v’è alternativa al suo attuale padrone. E rivelando che senza padroni non sa immaginare il proprio ruolo - com’era tipico del contadiname tardo medievale - il tributarista di Sondrio sempre sollecitato a esprimere un giudizio su un eventuale mutamento del quadro di governo in Italia ha rivelato che la cosa non sarebbe peraltro gradita dalla Ue. Con il che è chiara la piramide dei poteri che hanno affossato ogni anelito di indipendenza della nostra nazione. Se l’Europa ritiene indispensabile il nostro “piccolo Cesare” allora v’è il fondato sospetto che al posto di statisti di alto profilo il nostro continente sia nelle mani della “banda Bassotti” che invidia alla sua branche italica di essersi fusa con “zio Paperone” in un unico sodalizio.
di Vittorangelo Orati

21 luglio 2010

È cominciata la partita finale

Sin dalla mia previsione del 1956 su una forte e improvvisa recessione che sarebbe scoppiata tra il febbraio e marzo 1957, non ho mai pubblicato una previsione sull'economia USA che non si sia avverata così come io l'avevo formulata. Il motivo di questa distinzione tra me e tutti i miei cosiddetti rivali in questa materia è che essi hanno fatto affidamento su linee di tendenza statistico/monetariste, che sono inerentemente incompetenti per la stessa natura del metodo adottato.

Così, il risultato della mia serie di previsioni per gli USA negli anni sessanta condusse alla previsione di un probabile crollo del sistema di Bretton Woods nell'intervallo tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta. Lo stesso si può dire per le mie varie previsioni nel corso degli anni '80, nel 1992, nel 1996-98, nel 2001, 2004 e della fine di luglio 2007.

Dunque, non ho mai fatto le previsioni che fanno i venali statistici; lascio tali sciocchezze ai giocatori di cavalli e di Wall Street; io prevedo intervalli di crisi che richiedono decisioni correttive, come faccio qui ed ora.

Spiego di che si tratta.


Già nel 1984, al tempo in cui il futuro presidente del Federal Reserve System Alan Greenspan stava ancora complottando per distruggere le protezioni assicurate all'economia americana dalla legge Glass-Steagall, quando il miserabile era funzionario della banca JP Morgan per conto dei mercati londinesi, il processo di bancarotta del mondo attraverso l'abrogazione di Glass-Steagall era già in corso.

La successiva abrogazione di Glass-Steagall, nel 1999, compiuta da infestazioni verminose come il complice di Greenspan Larry Summers, ha scatenato negli ultimi due decenni la più grande iperinflazione globale della storia mondiale.

Ora ci troviamo in un momento in cui l'economia della sezione transatlantica dell'economia mondiale sta inclinandosi in una crisi peggiore persino di quella iperinflazionistica di Weimar nell'autunno 1923, più modesta di quella odierna.

La forma di questa crisi è iperinflazionistica nello stesso senso della fase che la crisi di Weimar raggiunse dalla primavera all'autunno 1923; ma l'attuale caso è già, immediatamente, molto peggiore di quanto si conosca nella storia moderna dalla Pace di Westfalia del 1648. Infatti, l'intenzione britannica nel ruolo di punta che essa svolge come fattrice del collasso imminente, eseguita col concorso di rilevanti creduloni in Germania e altrove, è quella di "porre fine al sistema di Westfalia".

L'aspetto più critico degli sviluppi post-2001 incentrati sui mercati finanziari transatlantici è un collasso dell'economia reale allo stesso tempo che l'espansione di titoli puramente fittizi, nominali, come quelli associati ai mercati finanziari derivati, si è impennata oltre tutte le stime possibili fino a raggiungere la dimensione di oltre un quadrilione (un milione di miliardi, ndt.) di dollari USA nominali, in ciò che sono gli attuali titoli finanziari senza valore che inquinano i conti dei mercati di Wall Street e del Commonwealth britannico. Il tasso di aumento del rapporto tra il capitale finanziario puramente fittizio e il capitale produttivo definito da un metro Glass-Steagall per l'attivitá bancaria commerciale, è ora pienamente iperbolico.

Il mondo nel suo insieme, specialmente la regione transatlantica, è così attualmente sull'orlo di un collasso globale che trasformerà tutte le forme di denaro nominale di ogni nazione in uno stato di inutilità su tutti i mercati internazionali. In breve, una crisi generale da collasso globale, che sta colpendo il mondo transatlantico più direttamente ma che ben presto inghiottirà l'intero pianeta.

Per questa situazione c'è solo un rimedio; tutte le altre alternative vanno ritenute clinicamente folli. Tale rimedio è l'applicazione immediata dello standard rigoroso del 1933 per una legge Glass-Steagall condivisa da un concerto di grandi nazioni, che comprendano la nazione statunitense libera dalla marionetta britannica Obama, per stabilire una solida rete di sistemi bancari commerciali nazionali che operino secondo tali strette regole.

A questo scopo, ho prescritto un nucleo composto dall'alleanza tra USA senza Obama, Russia, Cina e India, una "iniziativa delle quattro potenze" mirante a coinvolgere numerose altre nazioni del mondo in una forma di sistema globale a tassi di cambio fissi.

Stiamo ora entrando in una fase della attuale situazione globale, in cui presto arriveremo al punto in cui ci sarà un collasso dell'intero pianeta, con effetti genocidi che dureranno alcune generazioni, a meno che non agiamo per imporre il repentino rimedio , ben prima del settembre 2010, di una riforma globale Glass-Steagall tra la maggior parte delle potenze mondiali tranne quei casi attualmente incurabili come il sistema del Commonwealth britannico (pur tuttavia, sarei lieto di accogliere un Regno Unito che opti per la più prudente alternativa di accettare il mio disegno).

Due generazioni sotto gli effetti di una tale crisi da collasso sarebbero sufficienti, si stima, per ridurre la popolazione mondiale dai circa 6,8 miliardi – specialmente la parte più povera della popolazione – all'obiettivo del principe Filippo d'Inghilterra e del suo World Wildlife Fund: meno di 2 miliardi, per la maggior parte esemplari di una specie rozza e miserabile.

La questione dei tempi

Non è affatto difficile presentare una stima credibile di quando sarà raggiunto il punto di non ritorno.

Stimate sia l'ordine di grandezza del rapporto definito dall'aumento di debito finanziario senza valore, associato ai derivati finanziari e simili (massa finanziaria "A") e la porzione attualmente crollante di flussi monetari che corrispondono alla caratteristica di uno standard Glass-Steagall (massa finanziaria "B"). Il rapporto è iperbolico (coloro che non ne riconoscono la natura iperbolica chiudano gentilmente il becco). Come mostrano i costi dei "salvataggi" USA dall'agosto 2007, se paragonati a simili tendenze in Europa occidentale, c'è un insieme di tendenze che mostra chiaramente perché il Gruppo bancario Inter-Alpha, che rappresenta a tutti gli effetti il 70% delle banche ufficiali del mondo, è già irrimediabilmente in bancarotta, se si considerano le due categorie di titoli finanziari nominali. La tendenza che abbiamo visto nello stesso periodo in cui la fantasia dell'Euro è stata imposta in tutta l'Europa centrale e occidentale, significa che attualmente ci troviamo già sul fronte di un'onda d'urto, un punto in cui non ci sono speranze per la continua esistenza civile dell'umanità su questo pianeta, a meno che lo standard Glass-Steagall non sia imposto in modo immediato ed efficace.

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