08 agosto 2010

Crisi immobiliare: la bolla cinese terrorizza l’Occidente



Pechino ordina nuovi stress test. Il risultato sono ipotesi apocalittiche, capaci di minare seriamente la crescita del Paese. Usa e Europa temono una nuova recessione

Ormai è ufficiale. L’ipotesi di una nuova mostruosa crisi immobiliare, capace di sconvolgere l’economia, non è più materia esclusiva degli analisti più paranoici. E’ diventato uno scenario credibile, magari non troppo scontato, ma abbastanza concreto da condizionare i mercati e minare il timido processo di ripresa globale.

La notizia, rivelata oggi in esclusiva dall’agenzia Bloomberg, è che i cinesi si stanno preparando al peggio. Nel mese scorso, ha spiegato una fonte anonima di Pechino, le autorità di regolamentazione hanno ordinato una nuova serie di stress test, gli ormai celebri esami di solidità con i quali si verifica la capacità di tenuta delle banche di fronte a scenari virtuali negativi. La novità però è data dall’entità dell’allarme. I test dell’anno passato avevano preso in considerazione, quale peggiore scenario, un calo dei prezzi degli immobili pari al 30%. Ma negli esami di oggi tale percentuale è salita al 60%. Una visione molto pessimistica. Che però non induce a dare per scontato un simile collasso.
Questi numeri servono però a dare agli osservatori una notizia: anche la Cina teme la crisi economica. A terrorizzare i mercati c’è l’ipotesi di un più volte sussurrato “Big one”, lo scoppio della bolla speculativa immobiliare cinese. Un evento di questo genere sarebbe in grado di far ripiombare l’economia mondiale in una nuova recessione da affrontare, però, portandosi questa volta sulle spalle il peso di una crisi non ancora risolta oltre al macigno dello stato conti pubblici. I dati non sono certo incoraggianti. Nello scorso anno il mercato cinese è stato invaso da un’ondata record di nuovi prestiti per un valore complessivo di 1.400 miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2010 il prezzo medio delle abitazioni cinesi è aumentato del 68% rispetto al medesimo periodo dell’anno passato.

Le banche, nel frattempo, affrontano rischi crescenti. Nelle scorse settimane l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha lanciato l’allarme sulla crescita dei prestiti non performanti, ovvero dei crediti non remunerativi o, nella peggiore delle ipotesi, non recuperabili. Un fenomeno che avrebbe indotto Pechino ad abbassare per il 2010 il tetto massimo sul credito erogato. Qualcuno, a cominciare dall’ex capo economista del Fondo monetario internazionale (Fmi) Kenneth Rogoff non esita a parlare di scoppio imminente. Un simile collasso, ovviamente, determinerebbe un rallentamento della crescita di Pechino generando una contrazione della domanda capace di pesare sul comparto industriale delle economie più sviluppate. La famosa fase negativa della temuta ripresa “a W” cesserebbe così di essere una semplice ipotesi assumendo chiaramente un volto.

Per riportare un po’ di serenità servirebbero forse risultati incoraggianti dai temuti stress test di Pechino ma i dubbi recentemente espressi in Europa sull’utilità effettiva di questo tipo esami alimentano nuove paure. E il rischio è che alle previste rassicurazioni dei Cinesi, presto o tardi, non creda più nessuno.
di Matteo Cavallito

07 agosto 2010

L’inquinamento da azoto sta incrementando...in tutto il mondo




Gli studiosi che si occupano delle scienza del sistema Terra, sono sempre più preoccupati per il pesante intervento esercitato dalla nostra specie, sull'importante ciclo biogeochimico dell'azoto. Come più volte abbiamo ricordato nelle pagine di questa rubrica, la comunità scientifica internazionale ha iniziato ad indagare la possibilità di indicare quei limiti planetari su diverse problematiche delle relazioni tra specie umana e sistemi naturali, oltre i quali non dovremmo avventurarci.

Come ricorderete, avendone più volte discusso in queste pagine, nel settembre del 2009 è stato pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica "Nature" un documento di grandissimo valore non solo scientifico (Rockstrom J. et al, 2009, A Safe Operating Space for Humanity, Nature, vol,461; September 2009; 472-475) , frutto della collaborazione di 29 tra i maggiori scienziati delle scienze del sistema Terra e della scienza della sostenibilità, tra i quali il premio Nobel Paul Crutzen. Il lavoro sottolinea l'ennesima significativa e documentata preoccupazione della comunità scientifica rispetto al nostro crescente e pervasivo impatto sui sistemi naturali che sostengono la vita sul nostro straordinario pianeta e si avventura ad indicare i "confini planetari" (Planetary Boundaries) che l'intervento umano non dovrebbe sorpassare, pena effetti veramente negativi e drammatici per tutti i nostri sistemi sociali ed economici.

Gli studiosi ci ricordano che la specie umana ha potuto godere negli ultimi 10.000 anni (nel periodo geologico definito Olocene dell'era Quaternaria) di una situazione, pur nelle ovvie dinamiche evolutive che interessano tutti i sistemi naturali, che ha offerto una discreta stabilità delle condizioni che ci hanno consentito di incrementare il numero di esseri umani ed anche le nostre capacità di utilizzo e trasformazione delle risorse del pianeta.

Oggi invece, secondo la comunità scientifica (come abbiamo più volte ricordato in questa rubrica) ci troviamo in un nuovo periodo geologico, definito proprio dal premio Nobel Paul Crutzen, Antropocene, così chiamato a dimostrazione di come la pressione umana sui sistemi naturali del pianeta sia diventata talmente pesante da essere paragonabile alle grandi forze geologiche che hanno modificato la Terra durante l'arco di tutta la sua vita.

Nel lavoro si individuano nove problematiche che costituiscono altrettanti confini planetari e sono: il cambiamento climatico, l'acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell'azoto e del fosforo, l'utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell'utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l'inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.

Per tre di questi e cioè cambiamento climatico, perdita di biodiversità e ciclo dell'azoto, come dicevo, siamo già oltre il confine indicato dagli scienziati. E gli studiosi indicano per ognuno di questi tre grandi ambiti il confine proposto.

Per il ciclo dell'azoto si calcola l'ammontare di azoto rimosso dall'atmosfera per utilizzo umano (in milioni di tonnellate l'anno). A livello preindustriale si ritiene che tale ammontare fosse zero, oggi è calcolato in 121 milioni di tonnellate l'anno, (anche se altri dati forniscono cifre di circa 200 miliardi di tonnellate annue) mentre il confine accettabile, come obiettivo, viene indicato in 35 milioni di tonnellate annue.

L'azoto è un elemento chimico che si riscontra in natura come un gas biatomico nell'aria di cui costituisce in media il 78,09% in volume, quindi la componente più significativa della nostra atmosfera (che ricordiamo essere composta, per il resto, dal 20,95% di ossigeno, dall'argo con lo 0,95% e da altri gas in componenti minori, come il biossido di carbonio la cui presenza viene indicata in parti per milione di volume, oggi ha superato le 388, nonché dal vapore d'acqua, fino al 4% - con una concentrazione che dipende dalla quota e da altre condizioni -). L'azoto è un elemento chimico molto importante anche per la vita; è infatti presente nelle proteine, negli acidi nucleici e sotto forma di numerosi altri composti organici in tutti gli organismi viventi, mentre si trova sotto forma di sali inorganici (come nitrati, nitriti e sali di ammonio) nel suolo. Il principale minerale che lo contiene è il nitrato di sodio.

L'azoto è fondamentale per gli esseri viventi e, come abbiamo visto, la maggior parte di questo elemento si trova nell'atmosfera ed i processi con i quali gli esseri viventi lo utilizzano e lo riciclano costituiscono il ciclo dell'azoto. Sono solo pochi gli organismi capaci di utilizzare direttamente l'azoto molecolare e cioè i cosiddetti organismi azoto fissatori, come alcuni batteri aerobici ed anaerobici e alcune alghe azzurre, mentre piccole quantità di azoto ossidato, formatosi a causa di scariche elettriche nell'atmosfera, giungono al terreno per mezzo della pioggia, mentre la maggiore quantità di azoto presente nel terreno deriva dalla decomposizione di esseri viventi e dai prodotti di escrezione. Quindi per rendere disponibile l'azoto nel sistema naturale un gruppo di batteri azoto fissatori sono in grado di scindere il triplo legame esistente tra i due atomi della molecola biatomica di azoto presente nell'aria nel processo noto appunto, come fissazione dell'azoto. Questi batteri specializzati vivono in diversi ecosistemi, sia di acque dolci che salmastre e vivono anche in relazioni simbiotiche con le radici delle leguminose (che sono tra l'altro, tra le più importanti colture utilizzate dai nostri sistemi agricoli).

Nel delicato ciclo dell'azoto l'intervento umano è stato fortemente significativo. Grazie al metodo industriale di trasformazione dell'azoto gassoso in ammoniaca, definito metodo Haber-Bosch, dal nome dei due studiosi tedeschi, Fritz Haber dell'Università di Karlsruhe nel 1909 e, circa venti anni dopo, Carl Bosch che si dedicò in particolare a sviluppare il metodo industriale, abbiamo profondamente modificato il ciclo dell'azoto con conseguenze, anche nei confronti delle nostre stesse società, che vengono considerate con grande preoccupazione da parte di tutti gli studiosi.

Infatti nei decenni successivi all'avvio del metodo Haber-Bosch, un numero crescente di industrie ha iniziato a trasformare quantità ingenti di ammoniaca in fertilizzanti. I fertilizzanti sintetici hanno consentito di coltivare terreni infertili e di ottenere raccolti significativi dallo stesso suolo, senza aspettare i processi di normale rigenerazione dei nutrienti naturali del suolo. Attualmente l'umanità sta producendo azoto reattivo e lo sta disperdendo nell'ambiente ad un ritmo sempre più elevato, scatenando problematiche e feedback ecologici molto negativi, perché si può combinare con un'ampia gamma di composti e può diffondersi in modo capillare. Nelle acque dei laghi, dei fiumi e poi dei mari, l'azoto reattivo può innescare spropositate crescite di piante ed alghe microscopiche che, una volta giunte alla fase di decomposizione, consumano un enorme quantità di ossigeno creando, a lungo andare, delle vere e proprie "zone morte" che ormai gli studiosi hanno in numerose aree costiere del mondo. Inoltre il continuo eccesso di produzione antropica di azoto contribuisce al fenomeno del riscaldamento globale. Dal 1960 la produzione di azoto sintetico è incrementata dell'80% e oggi le attività umane producono circa 200 miliardi di tonnellate di azoto reattivo ogni anno, un valore che vale circa il doppio dell'azoto dovuto a tutti gli altri processi naturali.

E' evidente che non si può andare avanti così; abbiamo sorpassato il nostro confine planetario nella modificazione del ciclo dell'azoto. La comunità scientifica ha da tempo avviato un'International Nitrogen Initiative (vedasi il sito www.initrogen.org) dedicata all'analisi ed al monitoraggio degli effetti dell'azoto sulla salute umana e l'ambiente.

L'inquinamento da azoto sta incrementando in tutto il mondo ad una velocità che impone urgenti interventi regolatori quali, ad esempio, la riduzione della produzione di fertilizzanti artificiali o la loro applicazione con tecniche di precisione e la riduzione del consumo della carne che sta invece incrementando a livello mondiale.

di Gianfranco Bologna -

06 agosto 2010

Se si dice “mafia del fisco”…








Non è una locuzione ad effetto né un verbalismo emotivo: è la definizione precisa (forse scientificamente precisa) di un settore dello Stato capitalista – e quindi dello Stato capitalista senz’altro (c’è chi dice, ma a me non piace, tout court). Lo Stato capitalista definisce sé stesso con buona pace di coloro – e sono tanti ! – che si ostinano a considerare il capitalismo solo un’economia. Assolutamente no. Il capitalismo è anzitutto un costume, mutuato dalla giungla (dove l’uomo è nato), che consiste nella tendenza a rispondere alle pulsioni esistenziali attraverso la predazione, con oggetto la natura e lo stesso uomo. Il capitalismo è l’antropomorfizzazione della predazione: un’antropofagia bell’e buona certamente in versioni surrettizie.
Finché il rapporto sociale con i propri simili è improntato alla competitività ovvero alla possibilità di diventare forte e dominante, sempre attraverso la multiforme predazione, è ozioso – se non ridicolo – parlare di “amore del prossimo” (anche se la Chiesa, che ha indole capitalistica, lo fa) od anche di “sovranità” repubblicana del cittadino perché sovrani saranno solo i cittadini dominanti, cioè i predatori più forti. La costituzione repubblicana in vesta capitalistica è la caricatura di sé stessa.
Lo Stato capitalista non solo mette il cittadino contro il cittadino, anzi il fratello contro il fratello ma esso stesso si pone in posizione di ostilità nei riguardi del cittadino dal momento che lo considera anzitutto un soggetto da depredare (da prima che nasca) esattamente come le varie mafie considerano le loro vittime. Con la differenza che mentre le mafie devono ricorrere a forme di violenza ritenuta criminale e quindi perseguibile, lo Stato dispone di strumenti coercitivi da esso stesso ritenuti legali e se ne serve con rischio bassissimo o nullo di essere incriminato e condannato.
Si ha un bel parlare di crescita civile finché lo Stato, in quanto capitalista, resta, per il cittadino povero un “mostro divoratore”, che lo può cogliere perfino di sorpresa (come è il caso emblematico in questione). Essere colto di sorpresa significa cadere in un agguato, proprio come in una giungla. Questo non avverrebbe se lo Stato non fosse il cane da guardia degli affaristi e dei potenti, (cfr. Marx) ovvero se fosse Stato ovvero avesse la sovranità monetaria – che esclude qualsiasi debito pubblico, pretesto fiscale – cioè se fosse coniatore e padrone della moneta secondo fabbisogno e se, nel contempo, fosse il beneficiario del circuito produzione-vendita. In questo caso, lo Stato potrebbe fissare i prezzi – valori convenzionali – dei beni e dei servizi e, pertanto, potrebbe fare a meno del fisco – cioè del recupero della liquidità monetaria – diretto e indiretto – o ridurlo ad una voce simbolica. L’esperienza sovietica ha molto da insegnare a questo proposito.
Lo Stato capitalista in quanto tale rimane un “attentatore al passo” del cittadino qualsiasi, pericoloso in misura direttamente proporzionale alla povertà di questo. Non solo il prelievo fiscale si limita a scalfire la corazza del superfluo del cosiddetto ricco o benestante ma questo stesso è perfino in condizione di corrompere i predatori statali. La costituzione repubblicana prevede perfino - all’art. 53 – un “sistema tributario” – alias fiscale – “informato a criterio di progressività”. La giustizia fiscale è per sé stessa già in partenza una menzogna perché, mentre fa rifluire moneta nella casse dello Stato, dilata il divario che già separa ricchi e poveri. Giustizia ci può essere solo nel caso in cui il fisco prelevi solo dal superfluo.
La seconda mostruosità è data dalle imposte indirette che colpiscono i consumi, dagli essenziali ai voluttuari nella totale astrazione dei soggetti, che possono essere degli epuloni e dei poveri cristi. Imposta indiretta sta per “imposta alla cieca” e questo spiega tutto. Così l’enorme tassa (detta “accisa”), che grava sulla benzina, colpisce indifferentemente il consumatore di auto di lusso e il povero diavolo che si serve di una carretta per motivi di lavoro. La sola imposta indiretta cancella l’art. 53 della Costituzione repubblicana.
Non è tutto. Vi è una “predazione fiscale” vera e propria, che fa del fisco una mafia propriamente detta non soltanto in senso allegorico. Se nella denuncia dei redditi ci sono comunque parametri da rispettare e se, a proposito delle imposte indirette, il valore di riferimento rimane il consumo immediato, il terzo settore non ha alcun punto di riferimento se non la volontà del legislatore ovvero l’imperio della Legge che dice “devi pagare perché te lo ordino io”. E’ quello della carta bollata, alla quale si possono equiparare i crescenti ticket sanitari. Questi sono miserabili espedienti attraverso cui lo Stato capitalista fa mercato di frammenti di un servizio spacciato per gratuito.
L’immagine del Moloch fiscale, anche a proposito del terzo settore – o della carta bollata – è quello dello Stato, mostro nemico e senza pietà, che acconsente alla procedura barbarica di sfratto anche per povertà per salvare il principio sacrosanto della proprietà. Esattamente come una mafia deve salvare la parola sacra del boss! E ben a ragione possiamo parlare di “pizzi”. I quali sono numerosi, imprevedibili e indecifrabili. Paghiamo il pizzo solo per posteggiare un mezzo di locomozione usato per andare visitare un degente.
Al pedaggio medioevale è succeduto l’autaggio dell’èra tecnologica. Paghiamo il pizzo alla Rai, definito, non solo per ridere, “canone di abbonamento”. Dobbiamo rinnovare la patente: ci sono più pizzi da pagare. Dobbiamo rottamare la nostra carriola? Dobbiamo pagare un pizzo. Una qualunque operazione immobiliare comporta una serie di pizzi, tutti perentori e senza respiro. Abbiamo bisogno di farci ragione? Prepariamoci a sostenere una serie di pizzi, privati e pubblici. L’uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge – recitata dall’art. 3 della Costituzione – non può che essere un flatus vocis.
Chi scrive “vanta” esperienze didattiche. Avevo ragione di pretendere che il mio amministratore condominiale non conservasse molti milioni delle vecchie lire di pertinenza condominiale nel proprio conto corrente, ritenuto un ovvio e scontato grave illecito. La sentenza di prima istanza ammise la buona fede del processato ed io, da imperdonabile ingenuo, preferìi non procedere all’appello. Ma l’avvocato della parte resistente, in agguato come vuole lo spirito della giungla, con la complicità del sistema, procedette da solo, senza un antagonista, fino ad una vittoria completa, giunta anni dopo quando l’€uro era già succeduto alla lira, e quando nessuna sentenza avrebbe più avuto alcun significato. Dell’esito ho saputo solo quando ho dovuto far fronte alla liquidazione delle spese, computate in ben 9 mila €uro, cioè in 18 milioni delle vecchie lire. La sentenza, che si è fatto gioco del diritto, è stata solo una grossa predazione di un legale, che si è limitato a scrivere qualche rigo e a pronunciare qualche parola.
Non è tutto. C’è la sorpresa dopo tre anni: la ciliegina sulla torta. Mi si chiede di pagare 192 €uro per mancata registrazione della sentenza in questione. Poiché la sentenza è bene conservata e ben recuperabile da chi ne abbia bisogno, registrazione sta semplicemente per pizzo, pizzo di Stato, di una “mafia del fisco” ovvero di una “mafia di Stato”. O forse no?
di Carmelo R. Viola -

08 agosto 2010

Crisi immobiliare: la bolla cinese terrorizza l’Occidente



Pechino ordina nuovi stress test. Il risultato sono ipotesi apocalittiche, capaci di minare seriamente la crescita del Paese. Usa e Europa temono una nuova recessione

Ormai è ufficiale. L’ipotesi di una nuova mostruosa crisi immobiliare, capace di sconvolgere l’economia, non è più materia esclusiva degli analisti più paranoici. E’ diventato uno scenario credibile, magari non troppo scontato, ma abbastanza concreto da condizionare i mercati e minare il timido processo di ripresa globale.

La notizia, rivelata oggi in esclusiva dall’agenzia Bloomberg, è che i cinesi si stanno preparando al peggio. Nel mese scorso, ha spiegato una fonte anonima di Pechino, le autorità di regolamentazione hanno ordinato una nuova serie di stress test, gli ormai celebri esami di solidità con i quali si verifica la capacità di tenuta delle banche di fronte a scenari virtuali negativi. La novità però è data dall’entità dell’allarme. I test dell’anno passato avevano preso in considerazione, quale peggiore scenario, un calo dei prezzi degli immobili pari al 30%. Ma negli esami di oggi tale percentuale è salita al 60%. Una visione molto pessimistica. Che però non induce a dare per scontato un simile collasso.
Questi numeri servono però a dare agli osservatori una notizia: anche la Cina teme la crisi economica. A terrorizzare i mercati c’è l’ipotesi di un più volte sussurrato “Big one”, lo scoppio della bolla speculativa immobiliare cinese. Un evento di questo genere sarebbe in grado di far ripiombare l’economia mondiale in una nuova recessione da affrontare, però, portandosi questa volta sulle spalle il peso di una crisi non ancora risolta oltre al macigno dello stato conti pubblici. I dati non sono certo incoraggianti. Nello scorso anno il mercato cinese è stato invaso da un’ondata record di nuovi prestiti per un valore complessivo di 1.400 miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2010 il prezzo medio delle abitazioni cinesi è aumentato del 68% rispetto al medesimo periodo dell’anno passato.

Le banche, nel frattempo, affrontano rischi crescenti. Nelle scorse settimane l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha lanciato l’allarme sulla crescita dei prestiti non performanti, ovvero dei crediti non remunerativi o, nella peggiore delle ipotesi, non recuperabili. Un fenomeno che avrebbe indotto Pechino ad abbassare per il 2010 il tetto massimo sul credito erogato. Qualcuno, a cominciare dall’ex capo economista del Fondo monetario internazionale (Fmi) Kenneth Rogoff non esita a parlare di scoppio imminente. Un simile collasso, ovviamente, determinerebbe un rallentamento della crescita di Pechino generando una contrazione della domanda capace di pesare sul comparto industriale delle economie più sviluppate. La famosa fase negativa della temuta ripresa “a W” cesserebbe così di essere una semplice ipotesi assumendo chiaramente un volto.

Per riportare un po’ di serenità servirebbero forse risultati incoraggianti dai temuti stress test di Pechino ma i dubbi recentemente espressi in Europa sull’utilità effettiva di questo tipo esami alimentano nuove paure. E il rischio è che alle previste rassicurazioni dei Cinesi, presto o tardi, non creda più nessuno.
di Matteo Cavallito

07 agosto 2010

L’inquinamento da azoto sta incrementando...in tutto il mondo




Gli studiosi che si occupano delle scienza del sistema Terra, sono sempre più preoccupati per il pesante intervento esercitato dalla nostra specie, sull'importante ciclo biogeochimico dell'azoto. Come più volte abbiamo ricordato nelle pagine di questa rubrica, la comunità scientifica internazionale ha iniziato ad indagare la possibilità di indicare quei limiti planetari su diverse problematiche delle relazioni tra specie umana e sistemi naturali, oltre i quali non dovremmo avventurarci.

Come ricorderete, avendone più volte discusso in queste pagine, nel settembre del 2009 è stato pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica "Nature" un documento di grandissimo valore non solo scientifico (Rockstrom J. et al, 2009, A Safe Operating Space for Humanity, Nature, vol,461; September 2009; 472-475) , frutto della collaborazione di 29 tra i maggiori scienziati delle scienze del sistema Terra e della scienza della sostenibilità, tra i quali il premio Nobel Paul Crutzen. Il lavoro sottolinea l'ennesima significativa e documentata preoccupazione della comunità scientifica rispetto al nostro crescente e pervasivo impatto sui sistemi naturali che sostengono la vita sul nostro straordinario pianeta e si avventura ad indicare i "confini planetari" (Planetary Boundaries) che l'intervento umano non dovrebbe sorpassare, pena effetti veramente negativi e drammatici per tutti i nostri sistemi sociali ed economici.

Gli studiosi ci ricordano che la specie umana ha potuto godere negli ultimi 10.000 anni (nel periodo geologico definito Olocene dell'era Quaternaria) di una situazione, pur nelle ovvie dinamiche evolutive che interessano tutti i sistemi naturali, che ha offerto una discreta stabilità delle condizioni che ci hanno consentito di incrementare il numero di esseri umani ed anche le nostre capacità di utilizzo e trasformazione delle risorse del pianeta.

Oggi invece, secondo la comunità scientifica (come abbiamo più volte ricordato in questa rubrica) ci troviamo in un nuovo periodo geologico, definito proprio dal premio Nobel Paul Crutzen, Antropocene, così chiamato a dimostrazione di come la pressione umana sui sistemi naturali del pianeta sia diventata talmente pesante da essere paragonabile alle grandi forze geologiche che hanno modificato la Terra durante l'arco di tutta la sua vita.

Nel lavoro si individuano nove problematiche che costituiscono altrettanti confini planetari e sono: il cambiamento climatico, l'acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell'azoto e del fosforo, l'utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell'utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l'inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.

Per tre di questi e cioè cambiamento climatico, perdita di biodiversità e ciclo dell'azoto, come dicevo, siamo già oltre il confine indicato dagli scienziati. E gli studiosi indicano per ognuno di questi tre grandi ambiti il confine proposto.

Per il ciclo dell'azoto si calcola l'ammontare di azoto rimosso dall'atmosfera per utilizzo umano (in milioni di tonnellate l'anno). A livello preindustriale si ritiene che tale ammontare fosse zero, oggi è calcolato in 121 milioni di tonnellate l'anno, (anche se altri dati forniscono cifre di circa 200 miliardi di tonnellate annue) mentre il confine accettabile, come obiettivo, viene indicato in 35 milioni di tonnellate annue.

L'azoto è un elemento chimico che si riscontra in natura come un gas biatomico nell'aria di cui costituisce in media il 78,09% in volume, quindi la componente più significativa della nostra atmosfera (che ricordiamo essere composta, per il resto, dal 20,95% di ossigeno, dall'argo con lo 0,95% e da altri gas in componenti minori, come il biossido di carbonio la cui presenza viene indicata in parti per milione di volume, oggi ha superato le 388, nonché dal vapore d'acqua, fino al 4% - con una concentrazione che dipende dalla quota e da altre condizioni -). L'azoto è un elemento chimico molto importante anche per la vita; è infatti presente nelle proteine, negli acidi nucleici e sotto forma di numerosi altri composti organici in tutti gli organismi viventi, mentre si trova sotto forma di sali inorganici (come nitrati, nitriti e sali di ammonio) nel suolo. Il principale minerale che lo contiene è il nitrato di sodio.

L'azoto è fondamentale per gli esseri viventi e, come abbiamo visto, la maggior parte di questo elemento si trova nell'atmosfera ed i processi con i quali gli esseri viventi lo utilizzano e lo riciclano costituiscono il ciclo dell'azoto. Sono solo pochi gli organismi capaci di utilizzare direttamente l'azoto molecolare e cioè i cosiddetti organismi azoto fissatori, come alcuni batteri aerobici ed anaerobici e alcune alghe azzurre, mentre piccole quantità di azoto ossidato, formatosi a causa di scariche elettriche nell'atmosfera, giungono al terreno per mezzo della pioggia, mentre la maggiore quantità di azoto presente nel terreno deriva dalla decomposizione di esseri viventi e dai prodotti di escrezione. Quindi per rendere disponibile l'azoto nel sistema naturale un gruppo di batteri azoto fissatori sono in grado di scindere il triplo legame esistente tra i due atomi della molecola biatomica di azoto presente nell'aria nel processo noto appunto, come fissazione dell'azoto. Questi batteri specializzati vivono in diversi ecosistemi, sia di acque dolci che salmastre e vivono anche in relazioni simbiotiche con le radici delle leguminose (che sono tra l'altro, tra le più importanti colture utilizzate dai nostri sistemi agricoli).

Nel delicato ciclo dell'azoto l'intervento umano è stato fortemente significativo. Grazie al metodo industriale di trasformazione dell'azoto gassoso in ammoniaca, definito metodo Haber-Bosch, dal nome dei due studiosi tedeschi, Fritz Haber dell'Università di Karlsruhe nel 1909 e, circa venti anni dopo, Carl Bosch che si dedicò in particolare a sviluppare il metodo industriale, abbiamo profondamente modificato il ciclo dell'azoto con conseguenze, anche nei confronti delle nostre stesse società, che vengono considerate con grande preoccupazione da parte di tutti gli studiosi.

Infatti nei decenni successivi all'avvio del metodo Haber-Bosch, un numero crescente di industrie ha iniziato a trasformare quantità ingenti di ammoniaca in fertilizzanti. I fertilizzanti sintetici hanno consentito di coltivare terreni infertili e di ottenere raccolti significativi dallo stesso suolo, senza aspettare i processi di normale rigenerazione dei nutrienti naturali del suolo. Attualmente l'umanità sta producendo azoto reattivo e lo sta disperdendo nell'ambiente ad un ritmo sempre più elevato, scatenando problematiche e feedback ecologici molto negativi, perché si può combinare con un'ampia gamma di composti e può diffondersi in modo capillare. Nelle acque dei laghi, dei fiumi e poi dei mari, l'azoto reattivo può innescare spropositate crescite di piante ed alghe microscopiche che, una volta giunte alla fase di decomposizione, consumano un enorme quantità di ossigeno creando, a lungo andare, delle vere e proprie "zone morte" che ormai gli studiosi hanno in numerose aree costiere del mondo. Inoltre il continuo eccesso di produzione antropica di azoto contribuisce al fenomeno del riscaldamento globale. Dal 1960 la produzione di azoto sintetico è incrementata dell'80% e oggi le attività umane producono circa 200 miliardi di tonnellate di azoto reattivo ogni anno, un valore che vale circa il doppio dell'azoto dovuto a tutti gli altri processi naturali.

E' evidente che non si può andare avanti così; abbiamo sorpassato il nostro confine planetario nella modificazione del ciclo dell'azoto. La comunità scientifica ha da tempo avviato un'International Nitrogen Initiative (vedasi il sito www.initrogen.org) dedicata all'analisi ed al monitoraggio degli effetti dell'azoto sulla salute umana e l'ambiente.

L'inquinamento da azoto sta incrementando in tutto il mondo ad una velocità che impone urgenti interventi regolatori quali, ad esempio, la riduzione della produzione di fertilizzanti artificiali o la loro applicazione con tecniche di precisione e la riduzione del consumo della carne che sta invece incrementando a livello mondiale.

di Gianfranco Bologna -

06 agosto 2010

Se si dice “mafia del fisco”…








Non è una locuzione ad effetto né un verbalismo emotivo: è la definizione precisa (forse scientificamente precisa) di un settore dello Stato capitalista – e quindi dello Stato capitalista senz’altro (c’è chi dice, ma a me non piace, tout court). Lo Stato capitalista definisce sé stesso con buona pace di coloro – e sono tanti ! – che si ostinano a considerare il capitalismo solo un’economia. Assolutamente no. Il capitalismo è anzitutto un costume, mutuato dalla giungla (dove l’uomo è nato), che consiste nella tendenza a rispondere alle pulsioni esistenziali attraverso la predazione, con oggetto la natura e lo stesso uomo. Il capitalismo è l’antropomorfizzazione della predazione: un’antropofagia bell’e buona certamente in versioni surrettizie.
Finché il rapporto sociale con i propri simili è improntato alla competitività ovvero alla possibilità di diventare forte e dominante, sempre attraverso la multiforme predazione, è ozioso – se non ridicolo – parlare di “amore del prossimo” (anche se la Chiesa, che ha indole capitalistica, lo fa) od anche di “sovranità” repubblicana del cittadino perché sovrani saranno solo i cittadini dominanti, cioè i predatori più forti. La costituzione repubblicana in vesta capitalistica è la caricatura di sé stessa.
Lo Stato capitalista non solo mette il cittadino contro il cittadino, anzi il fratello contro il fratello ma esso stesso si pone in posizione di ostilità nei riguardi del cittadino dal momento che lo considera anzitutto un soggetto da depredare (da prima che nasca) esattamente come le varie mafie considerano le loro vittime. Con la differenza che mentre le mafie devono ricorrere a forme di violenza ritenuta criminale e quindi perseguibile, lo Stato dispone di strumenti coercitivi da esso stesso ritenuti legali e se ne serve con rischio bassissimo o nullo di essere incriminato e condannato.
Si ha un bel parlare di crescita civile finché lo Stato, in quanto capitalista, resta, per il cittadino povero un “mostro divoratore”, che lo può cogliere perfino di sorpresa (come è il caso emblematico in questione). Essere colto di sorpresa significa cadere in un agguato, proprio come in una giungla. Questo non avverrebbe se lo Stato non fosse il cane da guardia degli affaristi e dei potenti, (cfr. Marx) ovvero se fosse Stato ovvero avesse la sovranità monetaria – che esclude qualsiasi debito pubblico, pretesto fiscale – cioè se fosse coniatore e padrone della moneta secondo fabbisogno e se, nel contempo, fosse il beneficiario del circuito produzione-vendita. In questo caso, lo Stato potrebbe fissare i prezzi – valori convenzionali – dei beni e dei servizi e, pertanto, potrebbe fare a meno del fisco – cioè del recupero della liquidità monetaria – diretto e indiretto – o ridurlo ad una voce simbolica. L’esperienza sovietica ha molto da insegnare a questo proposito.
Lo Stato capitalista in quanto tale rimane un “attentatore al passo” del cittadino qualsiasi, pericoloso in misura direttamente proporzionale alla povertà di questo. Non solo il prelievo fiscale si limita a scalfire la corazza del superfluo del cosiddetto ricco o benestante ma questo stesso è perfino in condizione di corrompere i predatori statali. La costituzione repubblicana prevede perfino - all’art. 53 – un “sistema tributario” – alias fiscale – “informato a criterio di progressività”. La giustizia fiscale è per sé stessa già in partenza una menzogna perché, mentre fa rifluire moneta nella casse dello Stato, dilata il divario che già separa ricchi e poveri. Giustizia ci può essere solo nel caso in cui il fisco prelevi solo dal superfluo.
La seconda mostruosità è data dalle imposte indirette che colpiscono i consumi, dagli essenziali ai voluttuari nella totale astrazione dei soggetti, che possono essere degli epuloni e dei poveri cristi. Imposta indiretta sta per “imposta alla cieca” e questo spiega tutto. Così l’enorme tassa (detta “accisa”), che grava sulla benzina, colpisce indifferentemente il consumatore di auto di lusso e il povero diavolo che si serve di una carretta per motivi di lavoro. La sola imposta indiretta cancella l’art. 53 della Costituzione repubblicana.
Non è tutto. Vi è una “predazione fiscale” vera e propria, che fa del fisco una mafia propriamente detta non soltanto in senso allegorico. Se nella denuncia dei redditi ci sono comunque parametri da rispettare e se, a proposito delle imposte indirette, il valore di riferimento rimane il consumo immediato, il terzo settore non ha alcun punto di riferimento se non la volontà del legislatore ovvero l’imperio della Legge che dice “devi pagare perché te lo ordino io”. E’ quello della carta bollata, alla quale si possono equiparare i crescenti ticket sanitari. Questi sono miserabili espedienti attraverso cui lo Stato capitalista fa mercato di frammenti di un servizio spacciato per gratuito.
L’immagine del Moloch fiscale, anche a proposito del terzo settore – o della carta bollata – è quello dello Stato, mostro nemico e senza pietà, che acconsente alla procedura barbarica di sfratto anche per povertà per salvare il principio sacrosanto della proprietà. Esattamente come una mafia deve salvare la parola sacra del boss! E ben a ragione possiamo parlare di “pizzi”. I quali sono numerosi, imprevedibili e indecifrabili. Paghiamo il pizzo solo per posteggiare un mezzo di locomozione usato per andare visitare un degente.
Al pedaggio medioevale è succeduto l’autaggio dell’èra tecnologica. Paghiamo il pizzo alla Rai, definito, non solo per ridere, “canone di abbonamento”. Dobbiamo rinnovare la patente: ci sono più pizzi da pagare. Dobbiamo rottamare la nostra carriola? Dobbiamo pagare un pizzo. Una qualunque operazione immobiliare comporta una serie di pizzi, tutti perentori e senza respiro. Abbiamo bisogno di farci ragione? Prepariamoci a sostenere una serie di pizzi, privati e pubblici. L’uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge – recitata dall’art. 3 della Costituzione – non può che essere un flatus vocis.
Chi scrive “vanta” esperienze didattiche. Avevo ragione di pretendere che il mio amministratore condominiale non conservasse molti milioni delle vecchie lire di pertinenza condominiale nel proprio conto corrente, ritenuto un ovvio e scontato grave illecito. La sentenza di prima istanza ammise la buona fede del processato ed io, da imperdonabile ingenuo, preferìi non procedere all’appello. Ma l’avvocato della parte resistente, in agguato come vuole lo spirito della giungla, con la complicità del sistema, procedette da solo, senza un antagonista, fino ad una vittoria completa, giunta anni dopo quando l’€uro era già succeduto alla lira, e quando nessuna sentenza avrebbe più avuto alcun significato. Dell’esito ho saputo solo quando ho dovuto far fronte alla liquidazione delle spese, computate in ben 9 mila €uro, cioè in 18 milioni delle vecchie lire. La sentenza, che si è fatto gioco del diritto, è stata solo una grossa predazione di un legale, che si è limitato a scrivere qualche rigo e a pronunciare qualche parola.
Non è tutto. C’è la sorpresa dopo tre anni: la ciliegina sulla torta. Mi si chiede di pagare 192 €uro per mancata registrazione della sentenza in questione. Poiché la sentenza è bene conservata e ben recuperabile da chi ne abbia bisogno, registrazione sta semplicemente per pizzo, pizzo di Stato, di una “mafia del fisco” ovvero di una “mafia di Stato”. O forse no?
di Carmelo R. Viola -