25 settembre 2010

L'affitto d'oro della Camera da 150mila euro al giorno

La scoperta sa di acqua calda. Ma la cifra al dettaglio è una novità e soprattutto ha del clamoroso. I 630 deputati non costano solo i 14 mila e passa euro al mese tra indennità (ridotta di mille euro, sì, ma solo dal prossimo gennaio), diaria e rimborsi spese. Ma 22 mila euro. Non il doppio ma giù di lì. E se la denuncia, confermata da tabelle e dati ufficiali, non ha suscitato clamore, è perché avvenuta in una sala di Montecitorio deserta, lunedì pomeriggio, quando solo una manciata di parlamentari si sono presentati in aula per discutere il bilancio interno 2010 della Camera. Come sempre un affare tra intimi, come sempre quando l'anno in esame sta quasi per terminare. Che il re è nudo lo ha proclamato la radicale Rita Bernardini. E anche i deputati questori, guidati dal pidiellino Francesco Colucci, non hanno potuto fare altro che ammettere la debacle. «Vi rendete conto o no, colleghi, che tra palazzi e uffici, Montecitorio spende ormai in affitti 54 milioni di euro l'anno, ovvero 147mila euro al giorno? E sapete questo cosa vuol dire? Che ciascun onorevole, ciascuno di noi, costa 8 mila euro al mese. È evidente che qualsiasi italiano, con quella cifra in mano, si affitterebbe una stanza perfino più grande e comoda rispetto a quelle che concedono. E soprattutto si pagherebbe anche la segreteria».
Già, la segreteria. Perché invece ai deputati, come ai senatori, viene pagata a parte, con tanto di voce mensile da 4 mila euro. Soldi com'è noto affidati direttamente all'onorevole che poi li gestisce a proprio piacimento. Non l'ennesima trovata dei radicali, stavolta. Quando ieri pomeriggio il bilancio interno è stato approvato, è passato anche l'ordine del giorno del pidiellino napoletano Amedeo Labocetta che così lo ha commentato in aula: «Con l'approvazione dell'ordine del giorno si potrà finalmente porre fine allo scandalo che riguarda l'affitto degli immobili della Camera e che rende sempre più ricco l'imprenditore Sergio Scarpellini (titolare della società unica titolare della decina dei immobili affittati da Montecitorio, ndr). Che ha sin qui ricevuto negli anni, dalla presidenza Violante ad oggi, oltre trecento milioni di euro per immobili che valgono al massimo centocinquanta milioni senza che nessuno dei suoi successori, Casini, Bertinotti e Fini, intervenisse per porre fine a questo enorme sperpero di denaro pubblico». La sua tesi è che spendendo meno di un terzo di quanto oggi paga per l'affitto, la Camera potrebbe diventare proprietaria degli immobili. Ma che il vento fosse cambiato lo si è capito quando a prendere la parola è stato il questore (da più legislature) Colucci, anche lui espressione della maggioranza. «Può essere ancora valido il principio a suo tempo approvato secondo cui la Camera deve garantire un ufficio a ciascun deputato?» ha chiesto rivolto ai pochi colleghi in aula. Da qui, la rescissione dei contratti di affitto di palazzo Marini, tanto per cominciare. E a seguire gli altri. Ma per ottenere risparmi a sei zeri, bisognerà attendere anni. Mentre è stato bocciato ieri un altro ordine del giorno firmato Idv che prevedeva la cancellazione, tranchant, del vitalizio degli onorevoli. Per il momento, il bilancio comunque virtuoso 2010 certifica risparmi da 315 milioni di euro consolidati nel periodo 2006 2011, che aumenteranno fino al 2013, quando si sentiranno gli effetti della "sforbiciata" di 1.000 euro dalla busta paga dei deputati, e del 5% sulle retribuzioni dei dipendenti che guadagnano tra 90mila e 150mila euro, fino al 10% degli stipendi sopra i 150mila euro, oltre a un taglio delle spese non vincolate, per un totale di 60 milioni di euro. Nel 2010 la Camera costerà quasi un miliardo di euro, con un tasso di crescita della spesa dell' 1,3%0: il più basso negli ultimi 10 anni. Disco verde ieri anche ai conti di quest'anno del Senato, che il presidente Schifani ha definito "virtuosi". Tutto all'insegna dell'austerity anche lì. Scure sul ventre molle delle pensioni dei dipendenti. La pianta organica di Palazzo Madama sarà ridotta del 20% rispetto al limite massimo previsto, sarà bloccato il turnover per due anni e innalzato il limite per la pensione. Che finora consentiva, come alla Camera, scivoli shock già a 57 anni.
di Carmelo Lopapa

24 settembre 2010

"Sorpasso storico" Il fotovoltaico batte il nucleare in termini di costi

Quello che fino a qualche tempo fa poteva essere semplicemente un sospetto o un desiderio diventa oggi una consolidata realtà, almeno per quanto attiene uno studio proveniente dagli USA, della Duke University che, in base a tecniche di comparazione su costi e produzione, ha decretato che si è oramai sancito quello che gli addetti al settore hanno già definito un vero e proprio “sorpasso storico”.

La notizia difatti sembra essere la prova oggettiva tanto attesa da chi, come Fare Verde, ha sempre sostenuto la produzione di energia tramite l’ausilio di fonti energetiche rinnovabili.

Il dato è confermato quindi: l’energiasolare costa meno di quella nucleare!

Difatti se si conduce un’attenta analisi sui costi di produzione del fotovoltaico comparandoli con quelli derivanti dall’utilizzo delle centrali nucleari programmate nel paese, il dato emerge con netta chiarezza, Il solare fotovoltaico ha conquistato una vera e propria posizione di spicco tra le varie alternative, superando perfino il nucleare!

A divulgare la notizia John Blackburn,un docente di economia dell’università, che ha riportato i risultati raggiunti tramite la propria ricerca, all‘interno dell‘articolo “Solar and Nuclear Costs – The Historic Crossover”(http://www.ncwarn.org/?p=2290)

A quanto pare in termini monetari il solare ha raggiunto addirittura i 16 centesimi di dollaro akilowattora.

Una progressiva e costante riduzione dei costi in meno di otto anni a dispetto di quelli impiegati perportare avanti i reattori nucleari che, invece, hanno subito un incremento passando da 2 miliardi di dollari nel 2002 a 10 nel 2010.

Un vero e proprio smacco per l’Italia, che testardamente continua ad investire nella parte sbagliata.

Si segnala inoltre, un altro importantestudio che va a sottolineare l'inversione di tendenza e la fiduciadimostrata dai grandi e piccoli investimenti nel comparto delleenergie rinnovabili a discapito delle energie tradizionali.

A rilevare l’ottimo andamento del mercato delle energie pulite è lo Iefe, l’Istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente dell’Università Bocconi,che ieri, lunedì 20 settembre, ha presentato nell’ateneo milanese il rapporto "Investimenti all’estero in energie rinnovabili e ruolo delle politiche pubbliche", condotto in collaborazione con Ernst &Young. Secondo il report nel 2009, per il secondo anno consecutivo, i nuovi investimenti nel mondo (163 miliardi di dollari) hanno superato quelli nelle energie tradizionali portando le rinnovabili a coprire il 25% della generazione elettrica mondiale.

di Di Maio Massimo

23 settembre 2010

Profumo: puzza di bruciato e spartizione delle banche



L’antefatto è notissimo: le dimissioni del top manager bancario Alessandro Profumo dalla carica di Ad di Unicredit, carica che occupava se ben ricordo dal lontano 1998, frutto di un’affermazione personale progressiva, dopo la rapida scalata in Credito Italiano avvenuta negli anni novanta.
Alessandro Profumo sembra essere un self made man inserito non in un American Dream, ma in più modesto Italian Dream, che da giovanetto è partito come impiegato al Banco Lariano, in posizione umile, lavorando durante il giorno allo sportello e la sera “studiando alla candela” per una laurea alla prestigiosa Bocconi.

Poi è “cresciuto”, naturalmente in termini aziendalistici di affermazione personale e di scalata, entrando in McKinsey e successivamente in RAS.


Certo non è uno degli squali finanziari peggiori, ma è comunque un Top Manager, un Banchiere contemporaneo, uno che cura gli impietosi interessi degli Investitori, oltre che i suoi personali, e quindi per tutti noi non può che rappresentare un nemico.

Volendo fare un po’ di chiarezza nell’intricata vicenda del repentino “siluramento” di Profumo, senza troppe pretese di scoprire verità assolute o segreti inquietanti, è bene porsi alcune domande.

Normale avvicendamento al vertice di una delle due più grandi banche della penisola?


E’ l’ipotesi meno probabile, anche se Mercati ed Investitori talora esigono sacrifici umani fra gli stessi VIP che ne curano gli interessi, per spingere l’acceleratore sul valore creato e sul profitto.
Non dovrebbe essere questo il caso di Profumo, definibile come un banchiere con tendenze “globali”, ben attento al dividendo da distribuire alla Sovrana Proprietà ed ai Rentiers, orientato verso le grandi acquisizioni [l’HVB tedesca e Capitalia, ad esempio] e il superamento degli angusti confini nazionali.

Esito di una lotta ai coltelli per il controllo di pezzi importanti del sistema bancario nazionale?


Il Profumo di turno ha votato alle primarie del Pd e in qualche modo appartiene a questa trista fazione della politica sistemica, non potendo escludere, nonostante si sia parlato spesso di lui come di un manager “distante” dalla politica, una sua prossima “discesa in campo”
Alessandro come prossimo anti-Silvio?
C’è chi lo vede come il possibile, futuro, “Papa straniero” nel Pd, il quale dovrebbe risolvere i problemi di questo cartello elettorale che sembra molto vicino allo sfaldamento.
Ma i giochi sono complessi più di quanto può sembrare, e l’intricata jungla pidiina, infestata di nomenklature postcomuniste e postdemocristiane in reciproca lotta, prive di qualsivoglia programma ma affamate di posti di potere, è forse un po’ troppo anche per un “collaudato” manager come Profumo, per anni al vertice di un organismo finanziario sempre più multinazionale, che vanta oltre 10.000 filiali in 22 paesi [http://www.unicreditgroup.eu/it/About_us/About_us.htm].
Inoltre, una liquidazione di ben 40 milioni di euro – autentica buonuscita da manager globalista di media tacca – potrebbe suscitare qualche piccola discussione, anche se la cosa non dovrebbe avere troppo peso all’interno della cinica burocrazia pidiina, la quale ha da tempo [e volentieri] rinunciato alla battaglia per la giustizia sociale e la difesa dei subalterni impoveriti, schierandosi apertamente sul fronte opposto.
Dall’altra parte della politica sistemica, è fin troppo chiaro che l’interesse di un Berlusconi in difficoltà, in vistoso calo di consensi nei sondaggi – il quale si è finalmente accorto, seppur in ritardo, che la truffa del berlusconismo è ormai scoperta – è proprio quello di controllare quanti più organismi possibili [bancari e non] per mantenersi ancora in sella a qualsiasi costo, e di metterci ai vertici suoi burattini, o comunque personaggi non potenzialmente ostili al suo gruppo di potere e alle politiche, talora feudali, localistiche e regionaliste, che questo esprime, complici le pressioni [e i molti casi i diktat] di una Lega sempre più determinante.
Da più parti si ricorda che Alessandro Profumo intendeva fare di Unicredit una vera e propria “banca globale”, confliggendo con tutta una serie di interessi consolidati proprio all’interno del gruppo, non di rado di natura localistica/ regionalista.

C’è di mezzo il solito Gheddafi con i cospicui capitali libici da investire in “paesi amici”?


Anche, ma forse non è la ragione principale del “siluramento” di Profumo, pur potendo avere qualche peso nella complessa vicenda che ha indotto il consiglio di amministrazione della banca a sfiduciare il brillante manager, dando mandato al presidente Dieter Rampl di “trattare la resa” con il manager e attribuendogli temporaneamente le deleghe dell’Ad.
In effetti, la banca centrale libica ha un suo alto rappresentate in Unicredit ed una cospicua partecipazione nell’istituto, tendenzialmente in crescita. E’ possibile che nel contrasto fra l’Ad “storico” di Unicredit e i soci, più della controversa questione della “penetrazione libica”, pesi la questione delle Fondazioni, principali azioniste della banca, ormai nemiche giurate del Profumo con aspirazioni “globali”, tendente alla banca unitaria che parla fluentemente inglese e che non dovrebbe piacere molto alle Fondazioni stesse.

Quanto conta in questa vicenda la Lega, che preme da buon parvenu per un suo feudo bancario?


La Lega si è finalmente integrata in “Roma ladrona” – non più tanto sputtanata, se non per tener buoni i bruti nelle sagre padane – ed aspira ad avere un suo peso nelle banche, anzi, vorrebbe una banca importante e “tutta sua”, come la volevano non troppo tempo fa [2005] i capi diessini Fassino, i D’Alema, i La Torre intercettati telefonicamente, che facevano il tifo per l’intraprendente Unipol di Gianni Consorte [al quale D’Alema disse telefonicamente “facci sognare”].

Come i politici diessini di allora[non c’era ancora il Pd], che in pieno 2005 volevano una banca tutta loro a costo di andare a braccetto con i “furbetti del quartierino”, anche i leghisti che ormai fanno parte a tutti gli effetti del sistema della piccola politica corrotta e cialtrona, aspirano ad entrare nei salotti buoni finanziari, pur a livello locale, non potendo puntare più in alto, ad esempio a JP Morgan Chase/ Chase Manhattan Bank, alle guglie più alte del capitalismo contemporaneo finanziarizzato, come farebbero i tutti gli strateghi globalisti che si rispettano …
E’ chiaro che la Lega deve accontentarsi di ciò “che passa il convento”, essendo il sistema bancario italiano piuttosto provinciale, ancora in parte protetto e “riserva di caccia” per cordate indigene politico-economiche, nonché giudicato un po’ “asfittico” e arretrato rispetto ai brillanti attori finanziari occidentali del collasso “sub-prime” e della più folle finanza creativa.

La Lega giustifica i suoi appetiti in campo bancario, le sue pulsioni acquisitive, con la necessità di concedere credito alla PMI del nord in agonia, soffocata dal credit crunch e bisognosa di supporto finanziario per poter sperare di sopravvivere ancora un po’, ed in effetti è in parte vero, perché si tratta di una fetta importante del suo elettorato tipico, che deve essere preservata per poter continuare la scalata al potere.
La Lega, inoltre, oltre alla naturale avversione per la penetrazione dei capitali libici nel sistema bancario italiano, ha mostrato di essere contraria alla visione politico-strategica di Profumo, un po’ troppo globalista/ mondialista per gli xenofobi-regionalisti padani, ben arroccati nei loro feudi, influenti nella Fondazione Cariverona che partecipa al capitale del gruppo, nonché pilastro principale del IV esecutivo Berlusconi.
In conclusione, tanti sono gli attori della partita per il controllo di Unicredit, dalle Fondazioni ai libici [i cui interessi sembrano divergenti], dalla Lega a Berlusconi [i cui interessi non sempre sono coincidenti], trattandosi di almeno tre o quattro parti in lizza per determinare il futuro della banca, ma ciò che emerge è che sia le Fondazioni sia la Lega, incatenando il gruppo bancario ai feudi sul territorio, respingendo la visione un po’ ”globalista” dell’estromesso Profumo, oggettivamente ed occasionalmente incarnano la resistenza locale/ regionale all’avanzare inesorabile della globalizzazione finanziaria, che prima o poi dovrà investire in pieno anche il sistema bancario italiano, per ora ancora soggetto ai giochi di potere interni.

Più che Profumo, c’è un po’ di puzza di bruciato nella complessa vicenda, che è tuttora in sviluppo non essendoci ancora il successore dell’Ad costretto alle dimissioni, il quale dovrà essere formalmente nominato dal presidente Rampl scegliendo in una ristretta rosa di nomi. La partita è quindi aperta, e se provvisoriamente la vittoria può essere assegnata alle Fondazioni bancarie e alla Lega bossiana, alleati nei fatti contro Profumo, nessuno può escludere colpi di scena futuri.

Ad infima!


di Eugenio Orso




25 settembre 2010

L'affitto d'oro della Camera da 150mila euro al giorno

La scoperta sa di acqua calda. Ma la cifra al dettaglio è una novità e soprattutto ha del clamoroso. I 630 deputati non costano solo i 14 mila e passa euro al mese tra indennità (ridotta di mille euro, sì, ma solo dal prossimo gennaio), diaria e rimborsi spese. Ma 22 mila euro. Non il doppio ma giù di lì. E se la denuncia, confermata da tabelle e dati ufficiali, non ha suscitato clamore, è perché avvenuta in una sala di Montecitorio deserta, lunedì pomeriggio, quando solo una manciata di parlamentari si sono presentati in aula per discutere il bilancio interno 2010 della Camera. Come sempre un affare tra intimi, come sempre quando l'anno in esame sta quasi per terminare. Che il re è nudo lo ha proclamato la radicale Rita Bernardini. E anche i deputati questori, guidati dal pidiellino Francesco Colucci, non hanno potuto fare altro che ammettere la debacle. «Vi rendete conto o no, colleghi, che tra palazzi e uffici, Montecitorio spende ormai in affitti 54 milioni di euro l'anno, ovvero 147mila euro al giorno? E sapete questo cosa vuol dire? Che ciascun onorevole, ciascuno di noi, costa 8 mila euro al mese. È evidente che qualsiasi italiano, con quella cifra in mano, si affitterebbe una stanza perfino più grande e comoda rispetto a quelle che concedono. E soprattutto si pagherebbe anche la segreteria».
Già, la segreteria. Perché invece ai deputati, come ai senatori, viene pagata a parte, con tanto di voce mensile da 4 mila euro. Soldi com'è noto affidati direttamente all'onorevole che poi li gestisce a proprio piacimento. Non l'ennesima trovata dei radicali, stavolta. Quando ieri pomeriggio il bilancio interno è stato approvato, è passato anche l'ordine del giorno del pidiellino napoletano Amedeo Labocetta che così lo ha commentato in aula: «Con l'approvazione dell'ordine del giorno si potrà finalmente porre fine allo scandalo che riguarda l'affitto degli immobili della Camera e che rende sempre più ricco l'imprenditore Sergio Scarpellini (titolare della società unica titolare della decina dei immobili affittati da Montecitorio, ndr). Che ha sin qui ricevuto negli anni, dalla presidenza Violante ad oggi, oltre trecento milioni di euro per immobili che valgono al massimo centocinquanta milioni senza che nessuno dei suoi successori, Casini, Bertinotti e Fini, intervenisse per porre fine a questo enorme sperpero di denaro pubblico». La sua tesi è che spendendo meno di un terzo di quanto oggi paga per l'affitto, la Camera potrebbe diventare proprietaria degli immobili. Ma che il vento fosse cambiato lo si è capito quando a prendere la parola è stato il questore (da più legislature) Colucci, anche lui espressione della maggioranza. «Può essere ancora valido il principio a suo tempo approvato secondo cui la Camera deve garantire un ufficio a ciascun deputato?» ha chiesto rivolto ai pochi colleghi in aula. Da qui, la rescissione dei contratti di affitto di palazzo Marini, tanto per cominciare. E a seguire gli altri. Ma per ottenere risparmi a sei zeri, bisognerà attendere anni. Mentre è stato bocciato ieri un altro ordine del giorno firmato Idv che prevedeva la cancellazione, tranchant, del vitalizio degli onorevoli. Per il momento, il bilancio comunque virtuoso 2010 certifica risparmi da 315 milioni di euro consolidati nel periodo 2006 2011, che aumenteranno fino al 2013, quando si sentiranno gli effetti della "sforbiciata" di 1.000 euro dalla busta paga dei deputati, e del 5% sulle retribuzioni dei dipendenti che guadagnano tra 90mila e 150mila euro, fino al 10% degli stipendi sopra i 150mila euro, oltre a un taglio delle spese non vincolate, per un totale di 60 milioni di euro. Nel 2010 la Camera costerà quasi un miliardo di euro, con un tasso di crescita della spesa dell' 1,3%0: il più basso negli ultimi 10 anni. Disco verde ieri anche ai conti di quest'anno del Senato, che il presidente Schifani ha definito "virtuosi". Tutto all'insegna dell'austerity anche lì. Scure sul ventre molle delle pensioni dei dipendenti. La pianta organica di Palazzo Madama sarà ridotta del 20% rispetto al limite massimo previsto, sarà bloccato il turnover per due anni e innalzato il limite per la pensione. Che finora consentiva, come alla Camera, scivoli shock già a 57 anni.
di Carmelo Lopapa

24 settembre 2010

"Sorpasso storico" Il fotovoltaico batte il nucleare in termini di costi

Quello che fino a qualche tempo fa poteva essere semplicemente un sospetto o un desiderio diventa oggi una consolidata realtà, almeno per quanto attiene uno studio proveniente dagli USA, della Duke University che, in base a tecniche di comparazione su costi e produzione, ha decretato che si è oramai sancito quello che gli addetti al settore hanno già definito un vero e proprio “sorpasso storico”.

La notizia difatti sembra essere la prova oggettiva tanto attesa da chi, come Fare Verde, ha sempre sostenuto la produzione di energia tramite l’ausilio di fonti energetiche rinnovabili.

Il dato è confermato quindi: l’energiasolare costa meno di quella nucleare!

Difatti se si conduce un’attenta analisi sui costi di produzione del fotovoltaico comparandoli con quelli derivanti dall’utilizzo delle centrali nucleari programmate nel paese, il dato emerge con netta chiarezza, Il solare fotovoltaico ha conquistato una vera e propria posizione di spicco tra le varie alternative, superando perfino il nucleare!

A divulgare la notizia John Blackburn,un docente di economia dell’università, che ha riportato i risultati raggiunti tramite la propria ricerca, all‘interno dell‘articolo “Solar and Nuclear Costs – The Historic Crossover”(http://www.ncwarn.org/?p=2290)

A quanto pare in termini monetari il solare ha raggiunto addirittura i 16 centesimi di dollaro akilowattora.

Una progressiva e costante riduzione dei costi in meno di otto anni a dispetto di quelli impiegati perportare avanti i reattori nucleari che, invece, hanno subito un incremento passando da 2 miliardi di dollari nel 2002 a 10 nel 2010.

Un vero e proprio smacco per l’Italia, che testardamente continua ad investire nella parte sbagliata.

Si segnala inoltre, un altro importantestudio che va a sottolineare l'inversione di tendenza e la fiduciadimostrata dai grandi e piccoli investimenti nel comparto delleenergie rinnovabili a discapito delle energie tradizionali.

A rilevare l’ottimo andamento del mercato delle energie pulite è lo Iefe, l’Istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente dell’Università Bocconi,che ieri, lunedì 20 settembre, ha presentato nell’ateneo milanese il rapporto "Investimenti all’estero in energie rinnovabili e ruolo delle politiche pubbliche", condotto in collaborazione con Ernst &Young. Secondo il report nel 2009, per il secondo anno consecutivo, i nuovi investimenti nel mondo (163 miliardi di dollari) hanno superato quelli nelle energie tradizionali portando le rinnovabili a coprire il 25% della generazione elettrica mondiale.

di Di Maio Massimo

23 settembre 2010

Profumo: puzza di bruciato e spartizione delle banche



L’antefatto è notissimo: le dimissioni del top manager bancario Alessandro Profumo dalla carica di Ad di Unicredit, carica che occupava se ben ricordo dal lontano 1998, frutto di un’affermazione personale progressiva, dopo la rapida scalata in Credito Italiano avvenuta negli anni novanta.
Alessandro Profumo sembra essere un self made man inserito non in un American Dream, ma in più modesto Italian Dream, che da giovanetto è partito come impiegato al Banco Lariano, in posizione umile, lavorando durante il giorno allo sportello e la sera “studiando alla candela” per una laurea alla prestigiosa Bocconi.

Poi è “cresciuto”, naturalmente in termini aziendalistici di affermazione personale e di scalata, entrando in McKinsey e successivamente in RAS.


Certo non è uno degli squali finanziari peggiori, ma è comunque un Top Manager, un Banchiere contemporaneo, uno che cura gli impietosi interessi degli Investitori, oltre che i suoi personali, e quindi per tutti noi non può che rappresentare un nemico.

Volendo fare un po’ di chiarezza nell’intricata vicenda del repentino “siluramento” di Profumo, senza troppe pretese di scoprire verità assolute o segreti inquietanti, è bene porsi alcune domande.

Normale avvicendamento al vertice di una delle due più grandi banche della penisola?


E’ l’ipotesi meno probabile, anche se Mercati ed Investitori talora esigono sacrifici umani fra gli stessi VIP che ne curano gli interessi, per spingere l’acceleratore sul valore creato e sul profitto.
Non dovrebbe essere questo il caso di Profumo, definibile come un banchiere con tendenze “globali”, ben attento al dividendo da distribuire alla Sovrana Proprietà ed ai Rentiers, orientato verso le grandi acquisizioni [l’HVB tedesca e Capitalia, ad esempio] e il superamento degli angusti confini nazionali.

Esito di una lotta ai coltelli per il controllo di pezzi importanti del sistema bancario nazionale?


Il Profumo di turno ha votato alle primarie del Pd e in qualche modo appartiene a questa trista fazione della politica sistemica, non potendo escludere, nonostante si sia parlato spesso di lui come di un manager “distante” dalla politica, una sua prossima “discesa in campo”
Alessandro come prossimo anti-Silvio?
C’è chi lo vede come il possibile, futuro, “Papa straniero” nel Pd, il quale dovrebbe risolvere i problemi di questo cartello elettorale che sembra molto vicino allo sfaldamento.
Ma i giochi sono complessi più di quanto può sembrare, e l’intricata jungla pidiina, infestata di nomenklature postcomuniste e postdemocristiane in reciproca lotta, prive di qualsivoglia programma ma affamate di posti di potere, è forse un po’ troppo anche per un “collaudato” manager come Profumo, per anni al vertice di un organismo finanziario sempre più multinazionale, che vanta oltre 10.000 filiali in 22 paesi [http://www.unicreditgroup.eu/it/About_us/About_us.htm].
Inoltre, una liquidazione di ben 40 milioni di euro – autentica buonuscita da manager globalista di media tacca – potrebbe suscitare qualche piccola discussione, anche se la cosa non dovrebbe avere troppo peso all’interno della cinica burocrazia pidiina, la quale ha da tempo [e volentieri] rinunciato alla battaglia per la giustizia sociale e la difesa dei subalterni impoveriti, schierandosi apertamente sul fronte opposto.
Dall’altra parte della politica sistemica, è fin troppo chiaro che l’interesse di un Berlusconi in difficoltà, in vistoso calo di consensi nei sondaggi – il quale si è finalmente accorto, seppur in ritardo, che la truffa del berlusconismo è ormai scoperta – è proprio quello di controllare quanti più organismi possibili [bancari e non] per mantenersi ancora in sella a qualsiasi costo, e di metterci ai vertici suoi burattini, o comunque personaggi non potenzialmente ostili al suo gruppo di potere e alle politiche, talora feudali, localistiche e regionaliste, che questo esprime, complici le pressioni [e i molti casi i diktat] di una Lega sempre più determinante.
Da più parti si ricorda che Alessandro Profumo intendeva fare di Unicredit una vera e propria “banca globale”, confliggendo con tutta una serie di interessi consolidati proprio all’interno del gruppo, non di rado di natura localistica/ regionalista.

C’è di mezzo il solito Gheddafi con i cospicui capitali libici da investire in “paesi amici”?


Anche, ma forse non è la ragione principale del “siluramento” di Profumo, pur potendo avere qualche peso nella complessa vicenda che ha indotto il consiglio di amministrazione della banca a sfiduciare il brillante manager, dando mandato al presidente Dieter Rampl di “trattare la resa” con il manager e attribuendogli temporaneamente le deleghe dell’Ad.
In effetti, la banca centrale libica ha un suo alto rappresentate in Unicredit ed una cospicua partecipazione nell’istituto, tendenzialmente in crescita. E’ possibile che nel contrasto fra l’Ad “storico” di Unicredit e i soci, più della controversa questione della “penetrazione libica”, pesi la questione delle Fondazioni, principali azioniste della banca, ormai nemiche giurate del Profumo con aspirazioni “globali”, tendente alla banca unitaria che parla fluentemente inglese e che non dovrebbe piacere molto alle Fondazioni stesse.

Quanto conta in questa vicenda la Lega, che preme da buon parvenu per un suo feudo bancario?


La Lega si è finalmente integrata in “Roma ladrona” – non più tanto sputtanata, se non per tener buoni i bruti nelle sagre padane – ed aspira ad avere un suo peso nelle banche, anzi, vorrebbe una banca importante e “tutta sua”, come la volevano non troppo tempo fa [2005] i capi diessini Fassino, i D’Alema, i La Torre intercettati telefonicamente, che facevano il tifo per l’intraprendente Unipol di Gianni Consorte [al quale D’Alema disse telefonicamente “facci sognare”].

Come i politici diessini di allora[non c’era ancora il Pd], che in pieno 2005 volevano una banca tutta loro a costo di andare a braccetto con i “furbetti del quartierino”, anche i leghisti che ormai fanno parte a tutti gli effetti del sistema della piccola politica corrotta e cialtrona, aspirano ad entrare nei salotti buoni finanziari, pur a livello locale, non potendo puntare più in alto, ad esempio a JP Morgan Chase/ Chase Manhattan Bank, alle guglie più alte del capitalismo contemporaneo finanziarizzato, come farebbero i tutti gli strateghi globalisti che si rispettano …
E’ chiaro che la Lega deve accontentarsi di ciò “che passa il convento”, essendo il sistema bancario italiano piuttosto provinciale, ancora in parte protetto e “riserva di caccia” per cordate indigene politico-economiche, nonché giudicato un po’ “asfittico” e arretrato rispetto ai brillanti attori finanziari occidentali del collasso “sub-prime” e della più folle finanza creativa.

La Lega giustifica i suoi appetiti in campo bancario, le sue pulsioni acquisitive, con la necessità di concedere credito alla PMI del nord in agonia, soffocata dal credit crunch e bisognosa di supporto finanziario per poter sperare di sopravvivere ancora un po’, ed in effetti è in parte vero, perché si tratta di una fetta importante del suo elettorato tipico, che deve essere preservata per poter continuare la scalata al potere.
La Lega, inoltre, oltre alla naturale avversione per la penetrazione dei capitali libici nel sistema bancario italiano, ha mostrato di essere contraria alla visione politico-strategica di Profumo, un po’ troppo globalista/ mondialista per gli xenofobi-regionalisti padani, ben arroccati nei loro feudi, influenti nella Fondazione Cariverona che partecipa al capitale del gruppo, nonché pilastro principale del IV esecutivo Berlusconi.
In conclusione, tanti sono gli attori della partita per il controllo di Unicredit, dalle Fondazioni ai libici [i cui interessi sembrano divergenti], dalla Lega a Berlusconi [i cui interessi non sempre sono coincidenti], trattandosi di almeno tre o quattro parti in lizza per determinare il futuro della banca, ma ciò che emerge è che sia le Fondazioni sia la Lega, incatenando il gruppo bancario ai feudi sul territorio, respingendo la visione un po’ ”globalista” dell’estromesso Profumo, oggettivamente ed occasionalmente incarnano la resistenza locale/ regionale all’avanzare inesorabile della globalizzazione finanziaria, che prima o poi dovrà investire in pieno anche il sistema bancario italiano, per ora ancora soggetto ai giochi di potere interni.

Più che Profumo, c’è un po’ di puzza di bruciato nella complessa vicenda, che è tuttora in sviluppo non essendoci ancora il successore dell’Ad costretto alle dimissioni, il quale dovrà essere formalmente nominato dal presidente Rampl scegliendo in una ristretta rosa di nomi. La partita è quindi aperta, e se provvisoriamente la vittoria può essere assegnata alle Fondazioni bancarie e alla Lega bossiana, alleati nei fatti contro Profumo, nessuno può escludere colpi di scena futuri.

Ad infima!


di Eugenio Orso