26 ottobre 2010

Le banche. Queste usuraie


Forum Nazionale Antiusura Bancaria. Per tutti e di tutti. «Siamo piccoli imprenditori, professionisti, avvocati, deputati, giornalisti, cittadini, molti dei quali stanno vivendo sulla loro pelle un sistema legislativo che ha concesso lo strapotere alle banche e alle società finanziarie di emanazione bancaria». Con un simile biglietto da visita, il tutto mi ha così da subito interessato.

Sin dalle prime sue email ricevute (non so come, chi e perché) l’ho seguito in lungo e largo lo stivale. E si muove, eccome si muove. A settembre a Cinisello Balsamo. Ad ottobre in Abruzzo e Marche. Nel prossimo dicembre a Frosinone. Ma nei mesi passati, dalla Toscana alla Sicilia, camper compreso. A parlare della piaga del vile dio denaro: l’usura.

Senza stare a scomodare di nuovo Ezra Pound, l’usura è uno dei peggiori mali mondiali e, nello specifico, italiani. Dalle ultime cifre ufficiali alla mano di Bankitalia, ma il sottobosco è certamente ancor più sovraffollato, risulterebbero, a settembre 2009, ben 33 miliardi di euro di nostrano strozzinaggio e non solo. Mica pochi!

Nel maggio scorso il presidente del qui Forum, l’on. dell’IDV, Domenico Scilipoti, ha incontrato il Commissario di Governo per la lotta all’usura e racket, il famoso pref. Giosuè Marino, per cercare, tutti insieme, di contenere lo sfacelo e salvare il salvabile. Soprattutto per evitare che le vittime del diabolico abominio vengano completamente abbandonate a sé stesse. Con conseguenze ed atti estremi. Già quella piccolezza che si chiama suicidio che da anni colpisce soprattutto i titolari di piccole imprese che si ritrovano ad essere vessati dalle banche e dai loschi “usurai fai da te”, con tragedia finale, beffa e colpa sua inclusa perché il morto non ha capito e percepito l’andamento del famoso, supremo e famigerato «Mercato».

Tutti possono essere interessati dal fenomeno ma i soggetti più colpiti da tutta questa faccenda sono le giovani coppie con bambini, lavori precari e carte di credito, piccoli imprenditori ed imprese a carattere familiare, i titolari di mutui non più fronteggiabili né rinegoziabili, persone con redditi medio bassi e con situazioni sociali insostenibili quali anche malattia ed handicap. Destinati così ed inevitabilmente al duro lastrico.

C’è chi cerca un pur sollievo nelle istituzioni sociali, chi alla Caritas, chi finisce letteralmente in mezzo alla strada e chi s’ammazza. Gli strozzini la fanno da padroni, facendo leva sulla vergogna e con il miraggio di una facile soluzione del problema economico tramite il famigerato «prestito» a tasso stellare. Ma, attenzione, gli istituti bancari e le finanziarie non sono da meno. Ed infatti alla voce “cosa vogliamo” del Forum leggiamo, tra l’altro: «Vogliamo cambiare alcune leggi che consentono a Banche e Società Finanziarie di emanazione bancaria di esercitare l’arbitrio su imprese e cittadini, depredandoli dei loro beni, risparmi e stipendi su semplice “dichiarazione” di funzionari di banca… Vogliamo che la Banca d’Italia ritorni ad essere di proprietà pubblica, perché adesso è di proprietà di quelli che dovrebbe controllare e sanzionare».

Una vera e propria dichiarazione di guerra che si conclude con : «…Vogliamo agire con proposte di legge, interventi sui media, contatti diretti coi cittadini, le associazioni di categoria delle imprese. E quindi diventare una lobby di pressione forte, perché solo la forza può contrapporsi ad altra forza». Parole dure queste che devono dunque andare a scuotere le coscienze dello Stato ed incrementare in tale direzione le attività del Ministero dell’Economia, della Regione, Provincia ed a cascata ogni singolo Comune. Non vorrei disturbarti e per questo perdonami, Ezra Pound, ma come tu, mirabilia, scrivesti: «usura appesantisce il tratto, falsa i confini… usura soffoca il figlio nel ventre arresta il giovane amante cede il letto a vecchi decrepiti, si frappone tra giovani sposi… Ad Eleusi han portato puttane carogne crapulano ospiti d’usura». Basta sostituire Italia ad Eleusi ed il gioco è fatto ed è il marciume è sempre lo stesso….

di Susanna Dolci

24 ottobre 2010

Bce vs Ecofin, fratelli-coltelli

Trichet storce il naso, di fronte all’accordo Ecofin sul nuovo patto di stabilità, ed esige che il suo dissenso venga registrato con una nota a margine: nella quale si attesti chiaramente, a futura memoria, che la Bce è«preoccupata» e che, perciò, non sottoscrive tutti gli elementi del documento. Formalizzazioni a parte, si tratta di un distinguo che non sorprende nessuno. Come ha ricordato lo stesso Trichet poche settimane fa, «È da tempo che chiediamo a tutti i governi della Ue, con grande insistenza, misure appropriate di consolidamento dei conti».

La domanda successiva è ovvia: perché mai, allora, i governi Ue non accolgono le raccomandazioni ripetute, e persino pressanti, del capo della Banca centrale europea? La risposta sarebbe altrettanto ovvia, solo che di regola si evita di esprimerla a chiare lettere. La risposta è che in questo momento le esigenze dei governi e quelle della Bce, pur essendo inscritte nella medesima visione generale dell’economia e della società, sono contrapposte. La Bce fa analisi di tipo meramente finanziario, allarmata dalla possibilità che gli Stati sprofondino nella voragine dei propri debiti, innescando una reazione a catena che si espanderebbe rapidamente e che non risparmierebbe nessuno, ivi incluse le banche che su quei debiti hanno costruito buona parte dei loro profitti. I governi nazionali sono invece costretti, quand’anche a malincuore, a porsi il problema della sostenibilità sociale, e quindi politica, di interventi ancora più drastici sulla spesa pubblica, sul duplice versante del welfare e degli incentivi alla ripresa.

Il fattore decisivo, rispetto a queste divergenze, è quello del tempo. I governi avvertono con maggiore urgenza il rischio di turbolenze interne, vedi ad esempio le persistenti proteste di massa che si stanno svolgendo in Francia contro la riforma delle pensioni voluta da Sarkozy, e pensano di trarsi d’impaccio dilazionando l’aggiustamento dei conti erariali. La strategia è elementare e a suo modo rassicurante, anche se non è detto che funzioni: ricondurre i problemi dei singoli, per quanto gravi, nel quadro di una gestione complessiva di tutte le economie continentali, in modo che il mosaico risulti talmente vasto da rendere pressoché impossibile la sua distruzione. Si potrebbe dire, per sintetizzare, che è il ribaltamento concettuale dell’idea di contagio paventata dal sistema bancario e, in primis, dal Gran Guardiano Trichet. Una volta che la si sia estesa a tutti, l’instabilità si cristallizza perché diventa inconcepibile far crollare l’intera costruzione. Analogamente a ciò che avviene per gli Usa, che a rigor di termini dovrebbero essere in pieno default, più la mole del debito aumenta e più diventa impossibile esigerne la riscossione. Per cui si rinvia ulteriormente la resa dei conti e si spera, o si finge di sperare, che in seguito le cose miglioreranno e che tutto andrà a posto.

In buona sostanza, è un problema di credito. Che l’Occidente non esiterebbe ad affrontare come ha fatto finora, dilatando a dismisura la ricchezza reale a colpi di finanziamenti pubblici e privati, ma che oggi va a cozzare contro due limitazioni strutturali: la prima è che per quanto il denaro sia un’entità convenzionale, non lo si può comunque moltiplicare all’infinito senza mettere in crisi i bilanci e senza finire per svelarne l’assoluta vacuità; la seconda è che l’Occidente non è più l’unico artefice della finanza mondiale e, pertanto, non può più ignorare che i propri conti pubblici sono allo sfascio e che il proprio assetto economico, dalla produzione al consumo e al welfare, non è più sostenibile.

Infatti: il denaro di cui avremmo bisogno per tenere in piedi l’attuale baraccone non c’è. Anzi, non c’è mai stato. E l’unica vera via d’uscita, impensabile tanto per Trichet che per i suoi fratelli-coltelli dei governi nazionali europei, è l’abbandono di questo modello di sviluppo e l’avvio di una totale redistribuzione delle proprietà e dei redditi.

di Federico Zamboni

23 ottobre 2010

Rischio idrogeologico e sismico, il ritratto di un'Italia 'fragile'


Frane, smottamenti, alluvioni e terremoti. 6 milioni di italiani vivono in zone ad alto rischio idrogeologico, il 50% del nostro territorio è ad elevato rischio sismico, 1 milione e 260 mila sono gli edifici, tra cui scuole e ospedali, costruiti in zone non sicure. Dal Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi, in collaborazione con il Cresme, ecco il ritratto di un'Italia 'fragile'.


rischio idrogeologico
Italia territorio fragile: 6 milioni di persone che vivono in zone ad alto rischio idrogeologico e 3 milioni in quelle ad alto rischio sismico

L’Italia è un territorio fragile. Sono 6 milioni le persone che vivono in zone ad alto rischio idrogeologico e 3 milioni in quelle ad alto rischio sismico. Arrivano a 22 milioni, invece, i cittadini che abitano in zone a rischio medio.

Sono questi i dati dello studio 'Terra e sviluppo, decalogo della terra 2010 – Rapporto sullo stato del territorio italiano', realizzato dal Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi in collaborazione con il Cresme.

Il 10% del territorio e l’89% dei comuni italiani sono colpiti da elevate criticità idrogeologiche. L’elevato rischio sismico, invece, interessa quasi il 50% dell’intero territorio nazionale e il 38% dei comuni.

La forza di questi numeri restituisce uno spaccato della fragilità ambientale e territoriale del Paese che non ha bisogno di metafore o giri di parole per essere spiegata in tutta la sua inequivocabile drammaticità, e anche per individuarne le azioni che possano arginare nuovi disastri.

"Nel nostro Paese – si legge nel Rapporto – vi sono 1 milione e 260 mila edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi oltre 6 mila sono scuole, mentre gli ospedali sono 531. Della popolazione a rischio il 19%, ovvero oltre un milione di persone, vivono in Campania, 825 mila in Emilia Romagna e oltre mezzo milione in ognuna delle tre grandi regioni del Nord, Piemonte, Lombardia e Veneto. È in queste Regioni, insieme alla Toscana, dove persone e cose sono maggiormente esposte a pericoli, per l’elevata densità abitativa e per l’ampiezza dei territori che si registrano situazioni di rischio".

Ad inquietare sono anche i dati sul rischio sismico. Basti considerare che ben il 40% dei cittadini vive in zone ad elevato rischio terremoti e che, come ricorda lo studio, gli edifici a prevalente uso residenziale sono stati realizzati prima dell’entrata in vigore della legge antisismica per le costruzioni.

Nella classifica delle regioni con le maggiori superfici a elevato rischio sismico, svetta la Sicilia con 22.874 kmq e quasi 1 milione e mezzo di edifici, di cui circa 5 mila scuole e 400 ospedali, segue la Calabria con 15 mila kmq e oltre 7 mila edifici, di cui 3.130 scuole e 189 ospedali, al terzo posto c’è la Toscana con quasi 14.500 kmq, oltre 560 mila edifici di cui quasi 3 mila scuole e 250 ospedali.

rischio sismico italia
L’elevato rischio sismico interessa quasi il 50% dell’intero territorio nazionale e il 38% dei comuni

Sono proprio i numeri degli edifici in 'bilico', le scuole e gli ospedali, che fanno più paura, forse perché è ancora vivo il ricordo del terremoto di San Giuliano di Puglia, in Molise, dove un’intera scuola elementare si è ripiegata su se stessa provocando la morte di 27 bambini e di un’insegnante, ma anche l'immagine della casa dello studente dell'Aquila crollata con il sisma del 6 aprile 2009.

Si calcola che lungo le superfici ad alto rischio sismico (il 50% del territorio italiano) sono stati costruiti circa 6 milioni e 300 mila edifici, di cui 28 mila sono scuole e 2.188 gli ospedali. A vacillare sono anche 1 milione e 200 mila edifici, per uso residenziale e non, che sono stati costruiti lungo i 29.500 kmq di territorio a elevato rischio di frane, smottamenti, alluvioni, di cui oltre 6 mila sono scuole e 531 gli ospedali.

"I temi della manutenzione ordinaria del territorio, della prevenzione del rischio, della responsabilità dei sindaci nelle scelte di localizzazione degli edifici, del ruolo centrale di pianificazione territoriale di qualità, insieme a quello delle risorse emergono con forza dall’analisi". Così ha sottolineato Pietro Antonio De Paola, Presidente del Consiglio Nazionale dei geologi italiani, nel presentare questo studio.

"La messa in sicurezza del territorio è la vera grande opera pubblica del fare del Paese". Così Legambiente è intervenuta in occasione della presentazione di questi dati. "Da Giampilieri (Messina) alle alluvioni in Provincia di Savona e Genova del 4 ottobre scorso, passando per Atrani (Sa), basta un nubifragio per trasformare esondazioni in tragedie – ha ricordato Vittorio Cogliati Dezza Presidente di Legambiente – e dall’ottobre dello scorso anno ad oggi sono stati stanziati 237.570 milioni di euro. Si tratta di denaro che serve solo a tamponare il disastro, a riparare i danni, ma che mai migliora la situazione. Per mettere in sicurezza il territorio – ha sottolineato Legambiente – serve una grande opera di manutenzione pluriennale a partire dai piccoli corsi d’acqua, un piano di prevenzione, in grado di coniugare la sicurezza dei cittadini con il rilancio delle economie locali, che vada a contrastare l’abusivismo e l’urbanizzazione selvaggia".

di Daniela Sciarra

26 ottobre 2010

Le banche. Queste usuraie


Forum Nazionale Antiusura Bancaria. Per tutti e di tutti. «Siamo piccoli imprenditori, professionisti, avvocati, deputati, giornalisti, cittadini, molti dei quali stanno vivendo sulla loro pelle un sistema legislativo che ha concesso lo strapotere alle banche e alle società finanziarie di emanazione bancaria». Con un simile biglietto da visita, il tutto mi ha così da subito interessato.

Sin dalle prime sue email ricevute (non so come, chi e perché) l’ho seguito in lungo e largo lo stivale. E si muove, eccome si muove. A settembre a Cinisello Balsamo. Ad ottobre in Abruzzo e Marche. Nel prossimo dicembre a Frosinone. Ma nei mesi passati, dalla Toscana alla Sicilia, camper compreso. A parlare della piaga del vile dio denaro: l’usura.

Senza stare a scomodare di nuovo Ezra Pound, l’usura è uno dei peggiori mali mondiali e, nello specifico, italiani. Dalle ultime cifre ufficiali alla mano di Bankitalia, ma il sottobosco è certamente ancor più sovraffollato, risulterebbero, a settembre 2009, ben 33 miliardi di euro di nostrano strozzinaggio e non solo. Mica pochi!

Nel maggio scorso il presidente del qui Forum, l’on. dell’IDV, Domenico Scilipoti, ha incontrato il Commissario di Governo per la lotta all’usura e racket, il famoso pref. Giosuè Marino, per cercare, tutti insieme, di contenere lo sfacelo e salvare il salvabile. Soprattutto per evitare che le vittime del diabolico abominio vengano completamente abbandonate a sé stesse. Con conseguenze ed atti estremi. Già quella piccolezza che si chiama suicidio che da anni colpisce soprattutto i titolari di piccole imprese che si ritrovano ad essere vessati dalle banche e dai loschi “usurai fai da te”, con tragedia finale, beffa e colpa sua inclusa perché il morto non ha capito e percepito l’andamento del famoso, supremo e famigerato «Mercato».

Tutti possono essere interessati dal fenomeno ma i soggetti più colpiti da tutta questa faccenda sono le giovani coppie con bambini, lavori precari e carte di credito, piccoli imprenditori ed imprese a carattere familiare, i titolari di mutui non più fronteggiabili né rinegoziabili, persone con redditi medio bassi e con situazioni sociali insostenibili quali anche malattia ed handicap. Destinati così ed inevitabilmente al duro lastrico.

C’è chi cerca un pur sollievo nelle istituzioni sociali, chi alla Caritas, chi finisce letteralmente in mezzo alla strada e chi s’ammazza. Gli strozzini la fanno da padroni, facendo leva sulla vergogna e con il miraggio di una facile soluzione del problema economico tramite il famigerato «prestito» a tasso stellare. Ma, attenzione, gli istituti bancari e le finanziarie non sono da meno. Ed infatti alla voce “cosa vogliamo” del Forum leggiamo, tra l’altro: «Vogliamo cambiare alcune leggi che consentono a Banche e Società Finanziarie di emanazione bancaria di esercitare l’arbitrio su imprese e cittadini, depredandoli dei loro beni, risparmi e stipendi su semplice “dichiarazione” di funzionari di banca… Vogliamo che la Banca d’Italia ritorni ad essere di proprietà pubblica, perché adesso è di proprietà di quelli che dovrebbe controllare e sanzionare».

Una vera e propria dichiarazione di guerra che si conclude con : «…Vogliamo agire con proposte di legge, interventi sui media, contatti diretti coi cittadini, le associazioni di categoria delle imprese. E quindi diventare una lobby di pressione forte, perché solo la forza può contrapporsi ad altra forza». Parole dure queste che devono dunque andare a scuotere le coscienze dello Stato ed incrementare in tale direzione le attività del Ministero dell’Economia, della Regione, Provincia ed a cascata ogni singolo Comune. Non vorrei disturbarti e per questo perdonami, Ezra Pound, ma come tu, mirabilia, scrivesti: «usura appesantisce il tratto, falsa i confini… usura soffoca il figlio nel ventre arresta il giovane amante cede il letto a vecchi decrepiti, si frappone tra giovani sposi… Ad Eleusi han portato puttane carogne crapulano ospiti d’usura». Basta sostituire Italia ad Eleusi ed il gioco è fatto ed è il marciume è sempre lo stesso….

di Susanna Dolci

24 ottobre 2010

Bce vs Ecofin, fratelli-coltelli

Trichet storce il naso, di fronte all’accordo Ecofin sul nuovo patto di stabilità, ed esige che il suo dissenso venga registrato con una nota a margine: nella quale si attesti chiaramente, a futura memoria, che la Bce è«preoccupata» e che, perciò, non sottoscrive tutti gli elementi del documento. Formalizzazioni a parte, si tratta di un distinguo che non sorprende nessuno. Come ha ricordato lo stesso Trichet poche settimane fa, «È da tempo che chiediamo a tutti i governi della Ue, con grande insistenza, misure appropriate di consolidamento dei conti».

La domanda successiva è ovvia: perché mai, allora, i governi Ue non accolgono le raccomandazioni ripetute, e persino pressanti, del capo della Banca centrale europea? La risposta sarebbe altrettanto ovvia, solo che di regola si evita di esprimerla a chiare lettere. La risposta è che in questo momento le esigenze dei governi e quelle della Bce, pur essendo inscritte nella medesima visione generale dell’economia e della società, sono contrapposte. La Bce fa analisi di tipo meramente finanziario, allarmata dalla possibilità che gli Stati sprofondino nella voragine dei propri debiti, innescando una reazione a catena che si espanderebbe rapidamente e che non risparmierebbe nessuno, ivi incluse le banche che su quei debiti hanno costruito buona parte dei loro profitti. I governi nazionali sono invece costretti, quand’anche a malincuore, a porsi il problema della sostenibilità sociale, e quindi politica, di interventi ancora più drastici sulla spesa pubblica, sul duplice versante del welfare e degli incentivi alla ripresa.

Il fattore decisivo, rispetto a queste divergenze, è quello del tempo. I governi avvertono con maggiore urgenza il rischio di turbolenze interne, vedi ad esempio le persistenti proteste di massa che si stanno svolgendo in Francia contro la riforma delle pensioni voluta da Sarkozy, e pensano di trarsi d’impaccio dilazionando l’aggiustamento dei conti erariali. La strategia è elementare e a suo modo rassicurante, anche se non è detto che funzioni: ricondurre i problemi dei singoli, per quanto gravi, nel quadro di una gestione complessiva di tutte le economie continentali, in modo che il mosaico risulti talmente vasto da rendere pressoché impossibile la sua distruzione. Si potrebbe dire, per sintetizzare, che è il ribaltamento concettuale dell’idea di contagio paventata dal sistema bancario e, in primis, dal Gran Guardiano Trichet. Una volta che la si sia estesa a tutti, l’instabilità si cristallizza perché diventa inconcepibile far crollare l’intera costruzione. Analogamente a ciò che avviene per gli Usa, che a rigor di termini dovrebbero essere in pieno default, più la mole del debito aumenta e più diventa impossibile esigerne la riscossione. Per cui si rinvia ulteriormente la resa dei conti e si spera, o si finge di sperare, che in seguito le cose miglioreranno e che tutto andrà a posto.

In buona sostanza, è un problema di credito. Che l’Occidente non esiterebbe ad affrontare come ha fatto finora, dilatando a dismisura la ricchezza reale a colpi di finanziamenti pubblici e privati, ma che oggi va a cozzare contro due limitazioni strutturali: la prima è che per quanto il denaro sia un’entità convenzionale, non lo si può comunque moltiplicare all’infinito senza mettere in crisi i bilanci e senza finire per svelarne l’assoluta vacuità; la seconda è che l’Occidente non è più l’unico artefice della finanza mondiale e, pertanto, non può più ignorare che i propri conti pubblici sono allo sfascio e che il proprio assetto economico, dalla produzione al consumo e al welfare, non è più sostenibile.

Infatti: il denaro di cui avremmo bisogno per tenere in piedi l’attuale baraccone non c’è. Anzi, non c’è mai stato. E l’unica vera via d’uscita, impensabile tanto per Trichet che per i suoi fratelli-coltelli dei governi nazionali europei, è l’abbandono di questo modello di sviluppo e l’avvio di una totale redistribuzione delle proprietà e dei redditi.

di Federico Zamboni

23 ottobre 2010

Rischio idrogeologico e sismico, il ritratto di un'Italia 'fragile'


Frane, smottamenti, alluvioni e terremoti. 6 milioni di italiani vivono in zone ad alto rischio idrogeologico, il 50% del nostro territorio è ad elevato rischio sismico, 1 milione e 260 mila sono gli edifici, tra cui scuole e ospedali, costruiti in zone non sicure. Dal Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi, in collaborazione con il Cresme, ecco il ritratto di un'Italia 'fragile'.


rischio idrogeologico
Italia territorio fragile: 6 milioni di persone che vivono in zone ad alto rischio idrogeologico e 3 milioni in quelle ad alto rischio sismico

L’Italia è un territorio fragile. Sono 6 milioni le persone che vivono in zone ad alto rischio idrogeologico e 3 milioni in quelle ad alto rischio sismico. Arrivano a 22 milioni, invece, i cittadini che abitano in zone a rischio medio.

Sono questi i dati dello studio 'Terra e sviluppo, decalogo della terra 2010 – Rapporto sullo stato del territorio italiano', realizzato dal Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi in collaborazione con il Cresme.

Il 10% del territorio e l’89% dei comuni italiani sono colpiti da elevate criticità idrogeologiche. L’elevato rischio sismico, invece, interessa quasi il 50% dell’intero territorio nazionale e il 38% dei comuni.

La forza di questi numeri restituisce uno spaccato della fragilità ambientale e territoriale del Paese che non ha bisogno di metafore o giri di parole per essere spiegata in tutta la sua inequivocabile drammaticità, e anche per individuarne le azioni che possano arginare nuovi disastri.

"Nel nostro Paese – si legge nel Rapporto – vi sono 1 milione e 260 mila edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi oltre 6 mila sono scuole, mentre gli ospedali sono 531. Della popolazione a rischio il 19%, ovvero oltre un milione di persone, vivono in Campania, 825 mila in Emilia Romagna e oltre mezzo milione in ognuna delle tre grandi regioni del Nord, Piemonte, Lombardia e Veneto. È in queste Regioni, insieme alla Toscana, dove persone e cose sono maggiormente esposte a pericoli, per l’elevata densità abitativa e per l’ampiezza dei territori che si registrano situazioni di rischio".

Ad inquietare sono anche i dati sul rischio sismico. Basti considerare che ben il 40% dei cittadini vive in zone ad elevato rischio terremoti e che, come ricorda lo studio, gli edifici a prevalente uso residenziale sono stati realizzati prima dell’entrata in vigore della legge antisismica per le costruzioni.

Nella classifica delle regioni con le maggiori superfici a elevato rischio sismico, svetta la Sicilia con 22.874 kmq e quasi 1 milione e mezzo di edifici, di cui circa 5 mila scuole e 400 ospedali, segue la Calabria con 15 mila kmq e oltre 7 mila edifici, di cui 3.130 scuole e 189 ospedali, al terzo posto c’è la Toscana con quasi 14.500 kmq, oltre 560 mila edifici di cui quasi 3 mila scuole e 250 ospedali.

rischio sismico italia
L’elevato rischio sismico interessa quasi il 50% dell’intero territorio nazionale e il 38% dei comuni

Sono proprio i numeri degli edifici in 'bilico', le scuole e gli ospedali, che fanno più paura, forse perché è ancora vivo il ricordo del terremoto di San Giuliano di Puglia, in Molise, dove un’intera scuola elementare si è ripiegata su se stessa provocando la morte di 27 bambini e di un’insegnante, ma anche l'immagine della casa dello studente dell'Aquila crollata con il sisma del 6 aprile 2009.

Si calcola che lungo le superfici ad alto rischio sismico (il 50% del territorio italiano) sono stati costruiti circa 6 milioni e 300 mila edifici, di cui 28 mila sono scuole e 2.188 gli ospedali. A vacillare sono anche 1 milione e 200 mila edifici, per uso residenziale e non, che sono stati costruiti lungo i 29.500 kmq di territorio a elevato rischio di frane, smottamenti, alluvioni, di cui oltre 6 mila sono scuole e 531 gli ospedali.

"I temi della manutenzione ordinaria del territorio, della prevenzione del rischio, della responsabilità dei sindaci nelle scelte di localizzazione degli edifici, del ruolo centrale di pianificazione territoriale di qualità, insieme a quello delle risorse emergono con forza dall’analisi". Così ha sottolineato Pietro Antonio De Paola, Presidente del Consiglio Nazionale dei geologi italiani, nel presentare questo studio.

"La messa in sicurezza del territorio è la vera grande opera pubblica del fare del Paese". Così Legambiente è intervenuta in occasione della presentazione di questi dati. "Da Giampilieri (Messina) alle alluvioni in Provincia di Savona e Genova del 4 ottobre scorso, passando per Atrani (Sa), basta un nubifragio per trasformare esondazioni in tragedie – ha ricordato Vittorio Cogliati Dezza Presidente di Legambiente – e dall’ottobre dello scorso anno ad oggi sono stati stanziati 237.570 milioni di euro. Si tratta di denaro che serve solo a tamponare il disastro, a riparare i danni, ma che mai migliora la situazione. Per mettere in sicurezza il territorio – ha sottolineato Legambiente – serve una grande opera di manutenzione pluriennale a partire dai piccoli corsi d’acqua, un piano di prevenzione, in grado di coniugare la sicurezza dei cittadini con il rilancio delle economie locali, che vada a contrastare l’abusivismo e l’urbanizzazione selvaggia".

di Daniela Sciarra