24 novembre 2010

Il capo del FMI: le nazioni europee devono cedere maggiore sovranità

Sono contrario a questo articolo ed ad il suo contenuto. La penso diametralmente opposto, ma non per questo, va messo in guardia da questi articoli così ...






Il capo del FMI ha detto che le nazioni europee devono cedere maggiore sovranità e dare maggiori poteri al centro al fine di evitare future crisi.

All’interno di quelle che possono risultare delle proposte controverse, il direttore generale del FMI Dominique Strauss-Kahn, ha invitato l’Unione Europea a spostare la responsabilità della disciplina fiscale e della riforma strutturale verso un corpo centrale che sia libero dalle influenze degli stati membri. In un discorso a Francoforte che affrontava la crisi del debito sovrano che sta inghiottendo l’Europa ancora una volta, egli ha detto:”Le ruote della cooperazione si spostano troppo lentamente. Il centro deve prendere l’iniziativa in tutte le aree chiave per raggiungere l’obiettivo comune dell’unione, specialmente nella politica finanziaria, economica e sociale. I paesi devono essere disposti a cedere maggiore autorità al centro.”

L’Europa è afflitta dalla crisi anche perché gli Stati membri ripongono troppa fiducia nelle banche e lasciano che le loro finanze pubbliche vadano fuori controllo. La Grecia è già stata salvata e l’Irlanda prevede di concordare un salvataggio di 100 miliardi di euro entro pochi giorni. E’ a rischio anche il Portogallo. Strauss-Kahn non ha nominato nessun singolo membro della zona euro, ma ha avvertito:”la crisi sovrana non è finita.” La riforma è di vitale importanza, ma, ha detto:”Le istituzioni dell’area non erano semplicemente all’altezza nel compito di gestire una crisi – anche la creazione di una soluzione temporanea si è rivelata un processo prolungato.” “Una soluzione è quella di spostare lontano dal Consiglio la principale responsabilità per l’applicazione della disciplina di bilancio e per le riforme strutturali principali. Ciò dovrebbe ridurre al minimo il rischio che i ristretti interessi nazionali interferiscano con l’effettiva attuazione delle norme comuni.”La consegna di maggiori poteri al centro porterebbe ad una maggiore perdita di sovranità per ciascuno degli Stati membri della zona euro.

La politica monetaria è già sotto controllo della Banca Centrale Europea, con i governi nazionali che mantengono il ruolo di autorità fiscali. Nelle proposte che probabilmente verranno drammatizzate nelle mani degli euroscettici nel Regno Unito e altrove, il Sig. Strauss Kahn ha raccomandato una maggiore armonizzazione fiscale e un più grande budget centrale. Ribadendo un nuovo tema comune, ha aggiunto che l’area euro ha bisogno di riequilibrarsi – con la riduzione della dipendenza dalle esportazioni da parte della Germania e la contrazione del disavanzo corrente nelle altre nazioni.Per gestire e monitorare i cambiamenti, egli ha sostenuto un più ampio budget centrale – finanziato da “strumenti più trasparenti a livello UE – come l’IVA europea o la tassazione del carbonio e dei prezzi.” Accanto a severi controlli fiscali, ha affermato che devono essere centralizzate le riforme del mercato del lavoro.

“L’area euro non può raggiungere il suo vero potenziale con un mosaico sconcertante e frammentato di mercati del lavoro”, ha detto. “Queste barriere aggravano la situazione delle divergenti fortune economiche che minacciano ad oggi l’area euro. E’ il momento di creare condizioni di parità per i lavoratori europei, in particolare nel settore della fiscalità del lavoro, nei benefici sociali e di portabilità e nella legislazione di tutela dell’occupazione.” Ha aggiunto:”L’unica risposta è una maggiore cooperazione e una maggiore integrazione.
di Philip Aldrick -

22 novembre 2010

Argentina: sfidare i creditori e farla franca







La recente morte di Néstor Kirchner è stata percepita come una grande perdita, non solo per l’Argentina, ma per la regione e per il mondo. Nel maggio 2003, Kirchner ha preso le redini di un Paese schiacciato dalla sua più grave crisi economica e crivellato dalla massa dei debiti. Il suo audace e riuscito faccia a faccia con il Fondo Monetario Internazionale ha mostrato al mondo come un paese possa sfidare il FMI e vivere per raccontarlo.

La morte improvvisa di Nestor Kirchner il 27 ottobre 2010, ha non solo privato l'Argentina di un notevole, anche se controverso leader, ma si è anche portata via una figura esemplare del Sud del mondo da quando ha cominciato a trattare con le istituzioni finanziarie internazionali.

Kirchner ha sfidato i creditori. Ancora più importante, li ha vinti.

Il crollo

Il significato completo delle mosse di Kirchner deve essere visto nel contesto dell'economia che ha ereditato con la sua elezione a presidente dell’Argentina nel 2003. Il paese era in bancarotta, con poco meno di 100 miliardi di dollari di debito. L'economia era in una fase di depressione, il suo prodotto interno lordo era diminuito di oltre il 16 per cento l'anno. La disoccupazione era pari al 21,5 per cento della forza lavoro, e il 53 per cento degli argentini era stato spinto al di sotto della soglia di povertà. Quello che, in termini di reddito pro capite, era stato il paese più ricco dell'America Latina era precipitato al di sotto del Perù e degli stati del Centro America.

La crisi dell’Argentina era causata dalla sua fideistica adesione al modello neoliberista. La liberalizzazione finanziaria, che è stata la causa immediata del crollo, era parte integrante di un più ampio programma di radicale ristrutturazione economica. L’Argentina era stata il coccolo, in stile latino, del manifesto della globalizzazione. Ha distrutto le sue barriere commerciali più rapidamente tra tutti gli altri paesi dell'America Latina e liberalizzato il proprio conto capitale più radicalmente. Ha poi fatto seguito con un ampio programma di privatizzazioni che ha comportato la vendita di 400 imprese statali – comprese compagnie aeree, compagnie petrolifere, dell’acciaio, assicurazioni, telecomunicazioni, servizi postali, prodotti petrolchimici – un complesso responsabile per circa il sette per cento annuo del prodotto interno nazionale.

Col gesto più toccante della fede neoliberista, Buenos Aires aveva adottato la parità di cambio (col dollaro USA, ndt) e ha quindi volontariamente rinunciato a qualsiasi controllo significativo sull’impatto interno causato da un’economia globale volatile. Un sistema che legava i pesos alla quantità del subentrante di dollari in circolazione. Questa politica, come ha osservato lo scrittore del Washington Post Paul Blustein, ha consegnato il controllo della politica monetaria dell'Argentina ad Alan Greenspan, il capo della Federal Reserve in cima al mondo della fornitura dei dollari. Questa è stata, a tutti gli effetti, una dollarizzazione della moneta del Paese. Il dipartimento del Tesoro statunitense e il suo surrogato, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), hanno sia sollecitato che approvato tutte queste misure. Infatti, anche con la liberalizzazione finanziaria in discussione a seguito della crisi finanziaria asiatica del 1997-98, l'allora Segretario del Tesoro Larry Summers esaltava la svendita del settore bancario argentino come un modello per il mondo in via di sviluppo: "Oggi, in Argentina, il 50 per cento del settore bancario, il 70 per cento delle banche private, è completamente sotto controllo estero in confronto al 30 per cento del 1994. Il risultato è un mercato più ampio ed efficiente con investitori esteri che offrono maggiore sostegno alla solidità".

Mentre il dollaro saliva di valore, altrettanto faceva il peso e quindi la produzione di beni argentini non risultava più competitiva sia a livello globale che locale. D'altronde, alzare le barriere tariffarie sulle importazioni non era una scelta possibile a causa degli impegni che i tecnocrati avevano assunto per seguire il principio neoliberista del libero scambio. È in questo modo che, prendendo pesantemente a prestito per finanziare il disavanzo commerciale che si stava pericolosamente allargando, l’Argentina è entrata nella spirale del debito. E più aumentavano i prestiti, maggiori diventavano i tassi di interesse che dovevano crescere sempre più di pari passo all’allarme dei creditori internazionali. Il denaro ha quindi iniziato a fuggire dal paese. Il controllo straniero sul sistema bancario ha facilitato il deflusso dei tanto necessari capitali al punto che le banche sono diventate sempre più riluttanti a concedere prestiti, sia al governo che alle imprese locali.

Sostenuto dal FMI, il governo neoliberale ha tuttavia continuato a mantenere il paese nella camicia di forza che era diventata la convenzione monetaria tra dollaro e peso. Come ha osservato George Soros, l’Argentina "ha sacrificato praticamente tutto sull'altare del mantenimento della parità di cambio e degli obblighi internazionali".

La crisi si è aperta ad una velocità spaventosa alla fine del 2001, costringendo l'Argentina a correre dal FMI a chiedere fondi per onorare gli interessi sui debiti. Dopo aver fornito in precedenza dei prestiti al suo pargolo, questa volta il FMI glieli ha rifiutati, portando in tal modo al default il debito di 100 miliardi dollari del governo. Sono crollate aziende, le persone hanno perso i loro posti di lavoro, il capitale ha lasciato il paese, e le rivolte e le altre forme di protesta dei cittadini hanno rovesciato un governo dopo l'altro.

Entra in gioco Kirchner

Quando Kirchner vinse le elezioni per la presidenza nel 2003, ereditò un paese devastato. Dovendo mettere come primi gli interessi dei creditori o dare la priorità alla ripresa economica, la sua scelta era tra debito o rinascita. Kirchner offrì di saldare i debiti dell’Argentina, ma con un forte sconto: ne avrebbe cancellato il 70-75 per cento ripagando solo 25-30 centesimi per dollaro. Gli obbligazionisti alzarono le loro strida e pretesero che il FMI mettesse in riga Kirchner. Kirchner ribadì la sua offerta avvertendo gli obbligazionisti che questa era valida una sola volta e che o accettavano, o perdevano il diritto a qualsiasi rimborso. Disse ai creditori che per pagare i debiti non avrebbe tassato gli argentini in stato di povertà e li invitò a visitare i quartieri poveri del suo paese per "fare per primi l'esperienza della miseria". Di fronte alla sua determinazione, al FMI non rimase che assistere impotente mentre la maggioranza degli obbligazionisti dovettero rabbiosamente accettare le sue condizioni.

Kirchner aveva fatto sul serio non solo con i creditori, ma con lo stesso FMI. Agli inizi del 2004 disse al Fondo che l'Argentina non avrebbe rimborsato una rata di 3,3 miliardi dollari a meno che il FMI non avesse approvato un prestito a Buenos Aires di analogo importo. Il FMI sbatté le palpebre e dette quel denaro. Kirchner, nel dicembre 2005, aveva pagato del tutto il debito del Paese verso il FMI e cacciato fuori dell'Argentina il Fondo.

Per oltre due decenni, sin dall’inizio della crisi del debito del Terzo Mondo nei primi anni ‘80, i governi dei paesi in via di sviluppo avevano pensato di sfidare i loro creditori. C'erano stati un paio di tranquilli default nei pagamenti, ma Kirchner è stato il primo a minacciare pubblicamente i creditori di una sforbiciata unilaterale e ad ottenere qualcosa da quella promessa. Stratfor, la società di analisi del rischio politico, ha sottolineato le conseguenze del sua mossa da alta acrobazia: "Se l'Argentina è riuscita a sfuggire con successo dai suoi debiti privati e multilaterali – senza collassare economicamente mentre era esclusa dai mercati internazionali per aver ripudiato il suo debito – allora altri paesi potrebbe presto prendere quella stessa via. Questo potrebbe far finire la scarsa rilevanza istituzionale e geopolitica che ha il FMI".
E infatti, l’azione di Kirchner ha contribuito all'erosione della credibilità e del potere del Fondo nel bel mezzo di questo decennio.

Il riscatto

L'Argentina non è collassata. Al contrario, è cresciuta di un notevole 10 per cento all'anno per i successivi quattro anni. Questo non rappresenta un mistero. Una causa fondamentale dell'alto tasso di crescita è dovuto alle risorse finanziarie che il governo ha reinvestito nell'economia invece di inviarle fuori dal Paese per ripagare il debito. La storica iniziativa sul debito di Kirchner è stata accompagnata da altre mosse per liberarsi dalle catene del neoliberismo: l'adozione di un flottante gestito per il peso argentino, il controllo interno sui prezzi, le tasse sulle importazioni, il forte aumento della spesa pubblica e limiti sui tassi pubblici.

Kirchner non ha limitato le sue riforme all’ambito del Paese. Ha intrapreso iniziative di alto profilo con gli altri leader progressisti dell’America Latina, quali l'affossamento del Libero Commercio delle Americhe sponsorizzato da Washington e gli sforzi per realizzare una maggiore cooperazione economica e politica. Emblematico di questa alleanza è stato l’acquisto da parte del Venezuela di 2,4 miliardi dollari di bond argentini, cosa che ha permesso all'Argentina di pagare al FMI tutto il debito del paese.

Assieme a Hugo Chavez del Venezuela, a Lula del Brasile, a Evo Morales della Bolivia e a Rafael Correa dell'Ecuador, Kirchner è stato uno dei vari leader degni di nota che la crisi del neoliberismo abbia prodotto in America Latina. Mark Weisbrot, uno che ha afferrato la sua importanza per quel continente, scrive che ciò che Kirchner ha fatto "non gli ha in genere fatto guadagnare molto favore a Washington e negli ambienti economici internazionali, ma la storia lo ricorderà non solo come un grande presidente, ma anche come un eroe dell'indipendenza dell'America Latina".
di Walden Bello

21 novembre 2010

Memorie della ghigliottina



Gira voce che quella del 2 giugno 1992 a bordo del Panfilo Britannia di "Sua Maestà Regina d’Inghilterra” non sia stata altro che una mera "crociera" organizzata dai magnanimi finanzieri della City di Londra, notoriamente animati da cristiano spirito di solidarietà, e finalizzata a distogliere gli esausti "tecnici" (Draghi in primis) italiani dai gravosi compiti di governo e di fornir loro qualche piacevole momento di ristoro.

A questa idilliaca visione del recente passato italiano, le inguaribili, paradisiache "anime belle" (molti delle quali si definiscono anticapitaliste, antimperialiste, pacifiste e chi più ne ha più ne metta) all'amatriciana, vuoi per gonfiare ulteriormente il portafogli, vuoi perché non hanno potuto far altro che portare il cervello all'ammasso, sono solite affiancare una speculare demonizzazione nei riguardi di chiunque non accetti di bersi queste ignobili idiozie e perseveri nel puntare il dito contro il colossale progetto eversivo enfaticamente denominato “Mani pulite”, architettato e pianificato dai ben noti centri di potere d'oltreoceano e messo in pratica da uno sparuto manipolo di contractors nostrani; una congrega di burocrati bramosi di denaro e potere in combutta con una "sinistra" fresca di nietzschiana conversione al più buio nichilismo proprio di chi prende atto della "Morte di Dio", da costoro identificata con il fallimento del “comunismo reale” appena sepolto sotto le macerie del Muro di Berlino. E' si, perché il collasso dell'Unione Sovietica aveva in un batter d'occhio reso obsoleta ed inadeguata un'intera classe politica nata, cresciuta ed invecchiata all'ombra del Muro e della logica bipolare che aveva regolato gli equilibri dei cinquant'anni precedenti. Quel che ci voleva era un radicale cambio della guardia, che investisse non solo e non tanto la spina dorsale italiana DC - PSI, ma soprattutto l'intera struttura assistenziale dello stato italiano, che deteneva un ingente patrimonio di aziende strategiche, istituti di credito, vie di comunicazione. La campagna giudiziaria denominata "Tangentopoli" nacque in risposta a questa specifica esigenza di "rinnovamento", e si badi bene che non si trattò semplicemente di un mero insieme di operazioni di giustizia, bensì di un preciso progetto eversivo in cui Borrelli, Di Pietro e compagnia ottennero "luce verde" ed ebbero buon gioco per innescare il devastante effetto domino che coinvolse quasi tutta la classe politica italiana (con l'eloquente eccezione del PC, guarda caso), attorno alla quale l'intera editoria italiana ("La Stampa" di Agnelli, "La Repubblica" di De Benedetti, il "Corriere della Sera" dei soliti poteri forti) aveva già da tempo iniziato a stringere una morsa mediatica di altrettanto impressionante vigore. Dal canto suo, l'opinione pubblica, distolta dalle personalissime vicende giudiziarie di questi ladri di polli, scoprì di colpo l'esistenza di uno stato clientelare regolato da un sistema endemicamente tangentizio, e preferì non interrogarsi troppo su ciò che stava accadendo, fermandosi al vacuo pettegolezzo. Così, nell'indifferenza più totale, i vari "tecnici" senza macchia né peccato ebbero vita facile quando, ad un solo mese dalla fatidica "crociera" sul Britannia, trovarono calda accoglienza nell'esecutivo ipertecnico guidato da Giuliano Amato, che si affrettò a varare un decreto (decreto numero 333) che disponeva che le compagnie fino a quel momento pubbliche ENI, ENEL, IRI (qui il signor Prodi fece la parte del leone) ed INA si trasformassero in società per azioni (SPA) e ad ingaggiare, per mezzo dell'indiscutibile cavaliere errante Carlo Azeglio Ciampi, uno strenuo braccio di ferro con il "filantropo" George Soros, il quale si stava attivando per mettere le proprie zampe speculatrici sulla lira, che dopo l'onerosissima ma (ci mancherebbe...) "accanita" difesa portata avanti da Ciampi subì puntualmente una svalutazione del 25% nei confronti del dollaro, nel tripudio generale degli scaltri burattinai di tutto il teatrino, che videro così concretizzarsi tra le proprie mani la possibilità di fare pieno bottino a prezzi di liquidazione. Il governo tecnico guidato da Lamberto Dini si distinse invece per aver ridotto al silenzio con metodi a dir poco farseschi quella pericolosissima Cassandra di Filippo Mancuso, che si era permesso di puntare il dito contro le superstar del pool milanese, accusandole di aver reiteratamente fatto strame delle più elementari garanzie costituzionali. Emblematico, in questo senso, fu il caso che vide come oggetto delle “attenzioni” del pool milanese il direttore dell'IRI Franco Nobili (successore di Romano Prodi), incarcerato in via preliminare per due mesi senza che gli venisse contestato alcun capo d'accusa. Le "anime belle" ovviamente invocheranno scandalizzate la becera dietrologia qualora ci si azzardi ad evidenziare il fatto che Nobili aveva dato incarico alla "Merrill Lynch" di esprimere una stima del valore della banca "Credito Italiano", in procinto di essere privatizzata, e che tale incarico fu revocato durante la sua detenzione e concesso ai famigerati e ben noti angioletti di "Goldman Sachs", che espressero a loro volta una stima di tre volte inferiore a quella data da "Merrill Lynch" (circa 10.000 miliardi di lire). In questi giorni si sta profilando la concreta possibilità che sarà un altro esecutivo tecnico a "salvare il salvabile", un governo, cioè, pieno zeppo dei vari Draghi, Padoa Schioppa, Monti e compagnia bella, gentaglia che ha fatto la spola tra FMI, BCE ed altre banche del sangue sempre a completa disposizione degli insaziabili vampiri che già a inizio anni Novanta avevano messo gli occhi, e non solo, sull'Italia. Riflettere per un attimo su tutto il "buono" che i tecnici avrebbero fatto per questo paese, è un’operazione psicologica particolare, in grado di instillare anche negli individui caratterizzati dal temperamento più tollerante e mansueto la speranza di un ritorno ai metodi tanto cari a quel gran rivoluzionario di Robespierre. Con una "Gioiosa macchina da guerra" consimile i risultati di certo non mancherebbero.


di Giacomo Gabellini

24 novembre 2010

Il capo del FMI: le nazioni europee devono cedere maggiore sovranità

Sono contrario a questo articolo ed ad il suo contenuto. La penso diametralmente opposto, ma non per questo, va messo in guardia da questi articoli così ...






Il capo del FMI ha detto che le nazioni europee devono cedere maggiore sovranità e dare maggiori poteri al centro al fine di evitare future crisi.

All’interno di quelle che possono risultare delle proposte controverse, il direttore generale del FMI Dominique Strauss-Kahn, ha invitato l’Unione Europea a spostare la responsabilità della disciplina fiscale e della riforma strutturale verso un corpo centrale che sia libero dalle influenze degli stati membri. In un discorso a Francoforte che affrontava la crisi del debito sovrano che sta inghiottendo l’Europa ancora una volta, egli ha detto:”Le ruote della cooperazione si spostano troppo lentamente. Il centro deve prendere l’iniziativa in tutte le aree chiave per raggiungere l’obiettivo comune dell’unione, specialmente nella politica finanziaria, economica e sociale. I paesi devono essere disposti a cedere maggiore autorità al centro.”

L’Europa è afflitta dalla crisi anche perché gli Stati membri ripongono troppa fiducia nelle banche e lasciano che le loro finanze pubbliche vadano fuori controllo. La Grecia è già stata salvata e l’Irlanda prevede di concordare un salvataggio di 100 miliardi di euro entro pochi giorni. E’ a rischio anche il Portogallo. Strauss-Kahn non ha nominato nessun singolo membro della zona euro, ma ha avvertito:”la crisi sovrana non è finita.” La riforma è di vitale importanza, ma, ha detto:”Le istituzioni dell’area non erano semplicemente all’altezza nel compito di gestire una crisi – anche la creazione di una soluzione temporanea si è rivelata un processo prolungato.” “Una soluzione è quella di spostare lontano dal Consiglio la principale responsabilità per l’applicazione della disciplina di bilancio e per le riforme strutturali principali. Ciò dovrebbe ridurre al minimo il rischio che i ristretti interessi nazionali interferiscano con l’effettiva attuazione delle norme comuni.”La consegna di maggiori poteri al centro porterebbe ad una maggiore perdita di sovranità per ciascuno degli Stati membri della zona euro.

La politica monetaria è già sotto controllo della Banca Centrale Europea, con i governi nazionali che mantengono il ruolo di autorità fiscali. Nelle proposte che probabilmente verranno drammatizzate nelle mani degli euroscettici nel Regno Unito e altrove, il Sig. Strauss Kahn ha raccomandato una maggiore armonizzazione fiscale e un più grande budget centrale. Ribadendo un nuovo tema comune, ha aggiunto che l’area euro ha bisogno di riequilibrarsi – con la riduzione della dipendenza dalle esportazioni da parte della Germania e la contrazione del disavanzo corrente nelle altre nazioni.Per gestire e monitorare i cambiamenti, egli ha sostenuto un più ampio budget centrale – finanziato da “strumenti più trasparenti a livello UE – come l’IVA europea o la tassazione del carbonio e dei prezzi.” Accanto a severi controlli fiscali, ha affermato che devono essere centralizzate le riforme del mercato del lavoro.

“L’area euro non può raggiungere il suo vero potenziale con un mosaico sconcertante e frammentato di mercati del lavoro”, ha detto. “Queste barriere aggravano la situazione delle divergenti fortune economiche che minacciano ad oggi l’area euro. E’ il momento di creare condizioni di parità per i lavoratori europei, in particolare nel settore della fiscalità del lavoro, nei benefici sociali e di portabilità e nella legislazione di tutela dell’occupazione.” Ha aggiunto:”L’unica risposta è una maggiore cooperazione e una maggiore integrazione.
di Philip Aldrick -

22 novembre 2010

Argentina: sfidare i creditori e farla franca







La recente morte di Néstor Kirchner è stata percepita come una grande perdita, non solo per l’Argentina, ma per la regione e per il mondo. Nel maggio 2003, Kirchner ha preso le redini di un Paese schiacciato dalla sua più grave crisi economica e crivellato dalla massa dei debiti. Il suo audace e riuscito faccia a faccia con il Fondo Monetario Internazionale ha mostrato al mondo come un paese possa sfidare il FMI e vivere per raccontarlo.

La morte improvvisa di Nestor Kirchner il 27 ottobre 2010, ha non solo privato l'Argentina di un notevole, anche se controverso leader, ma si è anche portata via una figura esemplare del Sud del mondo da quando ha cominciato a trattare con le istituzioni finanziarie internazionali.

Kirchner ha sfidato i creditori. Ancora più importante, li ha vinti.

Il crollo

Il significato completo delle mosse di Kirchner deve essere visto nel contesto dell'economia che ha ereditato con la sua elezione a presidente dell’Argentina nel 2003. Il paese era in bancarotta, con poco meno di 100 miliardi di dollari di debito. L'economia era in una fase di depressione, il suo prodotto interno lordo era diminuito di oltre il 16 per cento l'anno. La disoccupazione era pari al 21,5 per cento della forza lavoro, e il 53 per cento degli argentini era stato spinto al di sotto della soglia di povertà. Quello che, in termini di reddito pro capite, era stato il paese più ricco dell'America Latina era precipitato al di sotto del Perù e degli stati del Centro America.

La crisi dell’Argentina era causata dalla sua fideistica adesione al modello neoliberista. La liberalizzazione finanziaria, che è stata la causa immediata del crollo, era parte integrante di un più ampio programma di radicale ristrutturazione economica. L’Argentina era stata il coccolo, in stile latino, del manifesto della globalizzazione. Ha distrutto le sue barriere commerciali più rapidamente tra tutti gli altri paesi dell'America Latina e liberalizzato il proprio conto capitale più radicalmente. Ha poi fatto seguito con un ampio programma di privatizzazioni che ha comportato la vendita di 400 imprese statali – comprese compagnie aeree, compagnie petrolifere, dell’acciaio, assicurazioni, telecomunicazioni, servizi postali, prodotti petrolchimici – un complesso responsabile per circa il sette per cento annuo del prodotto interno nazionale.

Col gesto più toccante della fede neoliberista, Buenos Aires aveva adottato la parità di cambio (col dollaro USA, ndt) e ha quindi volontariamente rinunciato a qualsiasi controllo significativo sull’impatto interno causato da un’economia globale volatile. Un sistema che legava i pesos alla quantità del subentrante di dollari in circolazione. Questa politica, come ha osservato lo scrittore del Washington Post Paul Blustein, ha consegnato il controllo della politica monetaria dell'Argentina ad Alan Greenspan, il capo della Federal Reserve in cima al mondo della fornitura dei dollari. Questa è stata, a tutti gli effetti, una dollarizzazione della moneta del Paese. Il dipartimento del Tesoro statunitense e il suo surrogato, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), hanno sia sollecitato che approvato tutte queste misure. Infatti, anche con la liberalizzazione finanziaria in discussione a seguito della crisi finanziaria asiatica del 1997-98, l'allora Segretario del Tesoro Larry Summers esaltava la svendita del settore bancario argentino come un modello per il mondo in via di sviluppo: "Oggi, in Argentina, il 50 per cento del settore bancario, il 70 per cento delle banche private, è completamente sotto controllo estero in confronto al 30 per cento del 1994. Il risultato è un mercato più ampio ed efficiente con investitori esteri che offrono maggiore sostegno alla solidità".

Mentre il dollaro saliva di valore, altrettanto faceva il peso e quindi la produzione di beni argentini non risultava più competitiva sia a livello globale che locale. D'altronde, alzare le barriere tariffarie sulle importazioni non era una scelta possibile a causa degli impegni che i tecnocrati avevano assunto per seguire il principio neoliberista del libero scambio. È in questo modo che, prendendo pesantemente a prestito per finanziare il disavanzo commerciale che si stava pericolosamente allargando, l’Argentina è entrata nella spirale del debito. E più aumentavano i prestiti, maggiori diventavano i tassi di interesse che dovevano crescere sempre più di pari passo all’allarme dei creditori internazionali. Il denaro ha quindi iniziato a fuggire dal paese. Il controllo straniero sul sistema bancario ha facilitato il deflusso dei tanto necessari capitali al punto che le banche sono diventate sempre più riluttanti a concedere prestiti, sia al governo che alle imprese locali.

Sostenuto dal FMI, il governo neoliberale ha tuttavia continuato a mantenere il paese nella camicia di forza che era diventata la convenzione monetaria tra dollaro e peso. Come ha osservato George Soros, l’Argentina "ha sacrificato praticamente tutto sull'altare del mantenimento della parità di cambio e degli obblighi internazionali".

La crisi si è aperta ad una velocità spaventosa alla fine del 2001, costringendo l'Argentina a correre dal FMI a chiedere fondi per onorare gli interessi sui debiti. Dopo aver fornito in precedenza dei prestiti al suo pargolo, questa volta il FMI glieli ha rifiutati, portando in tal modo al default il debito di 100 miliardi dollari del governo. Sono crollate aziende, le persone hanno perso i loro posti di lavoro, il capitale ha lasciato il paese, e le rivolte e le altre forme di protesta dei cittadini hanno rovesciato un governo dopo l'altro.

Entra in gioco Kirchner

Quando Kirchner vinse le elezioni per la presidenza nel 2003, ereditò un paese devastato. Dovendo mettere come primi gli interessi dei creditori o dare la priorità alla ripresa economica, la sua scelta era tra debito o rinascita. Kirchner offrì di saldare i debiti dell’Argentina, ma con un forte sconto: ne avrebbe cancellato il 70-75 per cento ripagando solo 25-30 centesimi per dollaro. Gli obbligazionisti alzarono le loro strida e pretesero che il FMI mettesse in riga Kirchner. Kirchner ribadì la sua offerta avvertendo gli obbligazionisti che questa era valida una sola volta e che o accettavano, o perdevano il diritto a qualsiasi rimborso. Disse ai creditori che per pagare i debiti non avrebbe tassato gli argentini in stato di povertà e li invitò a visitare i quartieri poveri del suo paese per "fare per primi l'esperienza della miseria". Di fronte alla sua determinazione, al FMI non rimase che assistere impotente mentre la maggioranza degli obbligazionisti dovettero rabbiosamente accettare le sue condizioni.

Kirchner aveva fatto sul serio non solo con i creditori, ma con lo stesso FMI. Agli inizi del 2004 disse al Fondo che l'Argentina non avrebbe rimborsato una rata di 3,3 miliardi dollari a meno che il FMI non avesse approvato un prestito a Buenos Aires di analogo importo. Il FMI sbatté le palpebre e dette quel denaro. Kirchner, nel dicembre 2005, aveva pagato del tutto il debito del Paese verso il FMI e cacciato fuori dell'Argentina il Fondo.

Per oltre due decenni, sin dall’inizio della crisi del debito del Terzo Mondo nei primi anni ‘80, i governi dei paesi in via di sviluppo avevano pensato di sfidare i loro creditori. C'erano stati un paio di tranquilli default nei pagamenti, ma Kirchner è stato il primo a minacciare pubblicamente i creditori di una sforbiciata unilaterale e ad ottenere qualcosa da quella promessa. Stratfor, la società di analisi del rischio politico, ha sottolineato le conseguenze del sua mossa da alta acrobazia: "Se l'Argentina è riuscita a sfuggire con successo dai suoi debiti privati e multilaterali – senza collassare economicamente mentre era esclusa dai mercati internazionali per aver ripudiato il suo debito – allora altri paesi potrebbe presto prendere quella stessa via. Questo potrebbe far finire la scarsa rilevanza istituzionale e geopolitica che ha il FMI".
E infatti, l’azione di Kirchner ha contribuito all'erosione della credibilità e del potere del Fondo nel bel mezzo di questo decennio.

Il riscatto

L'Argentina non è collassata. Al contrario, è cresciuta di un notevole 10 per cento all'anno per i successivi quattro anni. Questo non rappresenta un mistero. Una causa fondamentale dell'alto tasso di crescita è dovuto alle risorse finanziarie che il governo ha reinvestito nell'economia invece di inviarle fuori dal Paese per ripagare il debito. La storica iniziativa sul debito di Kirchner è stata accompagnata da altre mosse per liberarsi dalle catene del neoliberismo: l'adozione di un flottante gestito per il peso argentino, il controllo interno sui prezzi, le tasse sulle importazioni, il forte aumento della spesa pubblica e limiti sui tassi pubblici.

Kirchner non ha limitato le sue riforme all’ambito del Paese. Ha intrapreso iniziative di alto profilo con gli altri leader progressisti dell’America Latina, quali l'affossamento del Libero Commercio delle Americhe sponsorizzato da Washington e gli sforzi per realizzare una maggiore cooperazione economica e politica. Emblematico di questa alleanza è stato l’acquisto da parte del Venezuela di 2,4 miliardi dollari di bond argentini, cosa che ha permesso all'Argentina di pagare al FMI tutto il debito del paese.

Assieme a Hugo Chavez del Venezuela, a Lula del Brasile, a Evo Morales della Bolivia e a Rafael Correa dell'Ecuador, Kirchner è stato uno dei vari leader degni di nota che la crisi del neoliberismo abbia prodotto in America Latina. Mark Weisbrot, uno che ha afferrato la sua importanza per quel continente, scrive che ciò che Kirchner ha fatto "non gli ha in genere fatto guadagnare molto favore a Washington e negli ambienti economici internazionali, ma la storia lo ricorderà non solo come un grande presidente, ma anche come un eroe dell'indipendenza dell'America Latina".
di Walden Bello

21 novembre 2010

Memorie della ghigliottina



Gira voce che quella del 2 giugno 1992 a bordo del Panfilo Britannia di "Sua Maestà Regina d’Inghilterra” non sia stata altro che una mera "crociera" organizzata dai magnanimi finanzieri della City di Londra, notoriamente animati da cristiano spirito di solidarietà, e finalizzata a distogliere gli esausti "tecnici" (Draghi in primis) italiani dai gravosi compiti di governo e di fornir loro qualche piacevole momento di ristoro.

A questa idilliaca visione del recente passato italiano, le inguaribili, paradisiache "anime belle" (molti delle quali si definiscono anticapitaliste, antimperialiste, pacifiste e chi più ne ha più ne metta) all'amatriciana, vuoi per gonfiare ulteriormente il portafogli, vuoi perché non hanno potuto far altro che portare il cervello all'ammasso, sono solite affiancare una speculare demonizzazione nei riguardi di chiunque non accetti di bersi queste ignobili idiozie e perseveri nel puntare il dito contro il colossale progetto eversivo enfaticamente denominato “Mani pulite”, architettato e pianificato dai ben noti centri di potere d'oltreoceano e messo in pratica da uno sparuto manipolo di contractors nostrani; una congrega di burocrati bramosi di denaro e potere in combutta con una "sinistra" fresca di nietzschiana conversione al più buio nichilismo proprio di chi prende atto della "Morte di Dio", da costoro identificata con il fallimento del “comunismo reale” appena sepolto sotto le macerie del Muro di Berlino. E' si, perché il collasso dell'Unione Sovietica aveva in un batter d'occhio reso obsoleta ed inadeguata un'intera classe politica nata, cresciuta ed invecchiata all'ombra del Muro e della logica bipolare che aveva regolato gli equilibri dei cinquant'anni precedenti. Quel che ci voleva era un radicale cambio della guardia, che investisse non solo e non tanto la spina dorsale italiana DC - PSI, ma soprattutto l'intera struttura assistenziale dello stato italiano, che deteneva un ingente patrimonio di aziende strategiche, istituti di credito, vie di comunicazione. La campagna giudiziaria denominata "Tangentopoli" nacque in risposta a questa specifica esigenza di "rinnovamento", e si badi bene che non si trattò semplicemente di un mero insieme di operazioni di giustizia, bensì di un preciso progetto eversivo in cui Borrelli, Di Pietro e compagnia ottennero "luce verde" ed ebbero buon gioco per innescare il devastante effetto domino che coinvolse quasi tutta la classe politica italiana (con l'eloquente eccezione del PC, guarda caso), attorno alla quale l'intera editoria italiana ("La Stampa" di Agnelli, "La Repubblica" di De Benedetti, il "Corriere della Sera" dei soliti poteri forti) aveva già da tempo iniziato a stringere una morsa mediatica di altrettanto impressionante vigore. Dal canto suo, l'opinione pubblica, distolta dalle personalissime vicende giudiziarie di questi ladri di polli, scoprì di colpo l'esistenza di uno stato clientelare regolato da un sistema endemicamente tangentizio, e preferì non interrogarsi troppo su ciò che stava accadendo, fermandosi al vacuo pettegolezzo. Così, nell'indifferenza più totale, i vari "tecnici" senza macchia né peccato ebbero vita facile quando, ad un solo mese dalla fatidica "crociera" sul Britannia, trovarono calda accoglienza nell'esecutivo ipertecnico guidato da Giuliano Amato, che si affrettò a varare un decreto (decreto numero 333) che disponeva che le compagnie fino a quel momento pubbliche ENI, ENEL, IRI (qui il signor Prodi fece la parte del leone) ed INA si trasformassero in società per azioni (SPA) e ad ingaggiare, per mezzo dell'indiscutibile cavaliere errante Carlo Azeglio Ciampi, uno strenuo braccio di ferro con il "filantropo" George Soros, il quale si stava attivando per mettere le proprie zampe speculatrici sulla lira, che dopo l'onerosissima ma (ci mancherebbe...) "accanita" difesa portata avanti da Ciampi subì puntualmente una svalutazione del 25% nei confronti del dollaro, nel tripudio generale degli scaltri burattinai di tutto il teatrino, che videro così concretizzarsi tra le proprie mani la possibilità di fare pieno bottino a prezzi di liquidazione. Il governo tecnico guidato da Lamberto Dini si distinse invece per aver ridotto al silenzio con metodi a dir poco farseschi quella pericolosissima Cassandra di Filippo Mancuso, che si era permesso di puntare il dito contro le superstar del pool milanese, accusandole di aver reiteratamente fatto strame delle più elementari garanzie costituzionali. Emblematico, in questo senso, fu il caso che vide come oggetto delle “attenzioni” del pool milanese il direttore dell'IRI Franco Nobili (successore di Romano Prodi), incarcerato in via preliminare per due mesi senza che gli venisse contestato alcun capo d'accusa. Le "anime belle" ovviamente invocheranno scandalizzate la becera dietrologia qualora ci si azzardi ad evidenziare il fatto che Nobili aveva dato incarico alla "Merrill Lynch" di esprimere una stima del valore della banca "Credito Italiano", in procinto di essere privatizzata, e che tale incarico fu revocato durante la sua detenzione e concesso ai famigerati e ben noti angioletti di "Goldman Sachs", che espressero a loro volta una stima di tre volte inferiore a quella data da "Merrill Lynch" (circa 10.000 miliardi di lire). In questi giorni si sta profilando la concreta possibilità che sarà un altro esecutivo tecnico a "salvare il salvabile", un governo, cioè, pieno zeppo dei vari Draghi, Padoa Schioppa, Monti e compagnia bella, gentaglia che ha fatto la spola tra FMI, BCE ed altre banche del sangue sempre a completa disposizione degli insaziabili vampiri che già a inizio anni Novanta avevano messo gli occhi, e non solo, sull'Italia. Riflettere per un attimo su tutto il "buono" che i tecnici avrebbero fatto per questo paese, è un’operazione psicologica particolare, in grado di instillare anche negli individui caratterizzati dal temperamento più tollerante e mansueto la speranza di un ritorno ai metodi tanto cari a quel gran rivoluzionario di Robespierre. Con una "Gioiosa macchina da guerra" consimile i risultati di certo non mancherebbero.


di Giacomo Gabellini