28 febbraio 2011

Un film già visto! La Libia come l'Iran...


http://blog.panorama.it/foto/files/2011/02/gheddafi-22-large.jpg


A scorrere oggi le immagini delle televisioni, a leggere i giornali compresi quelli di "sinistra" si rivede lo stesso film dei dittatori cattivissimi che opprimono i loro popoli e si dedicano a sadici spargimenti di sangue. Questo film l'abbiamo visto prima e durante la prima guerra dell'Irak (Desert Storm), della guerra per il Kossovo e per la disintegrazione della Jugoslavia, della seconda guerra contro l'Irak alla ricerca di armi di distruzione di massa che non si trovarono mai, della guerra contro l'Afghanistan alla ricerca di Bin Laden e dei terroristi che avrebbero fatto crollare le Torri gemelle, delle manifestazioni in Iran contro Ahmadinjed. C'è una novità importante: alla batteria massmediatica occidentale si sono unite le due emittenti televisive arabe AlJazeera e Al Arabia che hanno assunto il monopolio della informazione di quanto avviene da quelle parti tutto rigorosamente nello interesse dei plurimiliardari feudatari dell'Arabia Saudita e della nuova borghesia "liberista" che in tutto il Nord Africa e nella penisola arabica vorrebbe fare affari con gli occidentali, arricchirsi e che è sempre più insofferente per le quote di reddito che in Iran ed in Libia sono assorbite dal welfare, dai salari e dagli investimenti sociali.
Altre informazioni non possiamo averne. Abbiamo già visto nel 2003 le cannonate del carro armato americano contro le finestre del decimo piano dell'Hotel Palestine Ginevra abitato da giornalisti. Abbiamo visto il terrore sul viso di Giuliana Sgrena ferita e salvata dalla morte dall'eroico Calipari. Ad oggi 400 giornalisti sono stati uccisi nelle zone di guerra. I pochi che riescono a seguire il fronte o lavorano nelle zone occupate debbono essere autorizzati dai Comandi Militari USA ed i loro servizi vengono rigorosamente censurati.-
Tutto quello che abbiamo saputo o che sappiamo delle zone "calde" del pianeta dove gli americani portano la loro "pace" assieme a pacchetti di "diritti umani" viene filtrato dai servizi di informazione. I servizi ammettono soltanto giornalismo "embedded", militante anzi....militarizzato.
Oggi la Stampa di Torino portava a grandissimi titoli questa dichiarazione di Gheddafi: "Chi non è con me deve morire!" frase smentita ieri sera da un giornalista di rai new24 attribuendola ad un errore di traduzione. In effetti Gheddafi ha detto: " Se il popolo non mi vuole, merito di morire!. Nonostante la correzione la frase manomessa è stata riportata da tutta la stampa italiana e credo mondiale e l'intervento di correzione è stato ignorato. Montagna di menzogne si sommano a montagne di menzogne. Alcune di queste sono anche grossolane e ridicole come quella delle fosse comuni che non erano altro che immagini vecchie di un anno del cimitero di Tripoli. Ma la scienza della disinformazione non bada a queste quisquilie. Anche se la notizie è falsa in modo strepitoso viene messa in circolo lo stesso sulla base di un principio di sedimentazione di un linguaggio, di una cultura dell'avvenimento che qui sarebbe troppo lungo discutere. Insomma anche se falsa si incide nella memoria del pubblico.
La rivolta popolare o meglio il golpe contro il despota Gheddavi, è mossa dalle stesse forze che si agitano contro Ahmadinjed e ne reclamano la morte; è la borghesia che vorrebbe fare affari con l'Occidente, arricchirsi e che non sopporta il monopolio statale
sul petrolio e sul metano e vorrebbe che i proventi non fossero tutti investiti in sanità, pensioni, opere pubbliche, salari, scuola...La Libia ha dato sicurezza e benessere a tutti i suoi abitanti e per quaranta anni ha assorbito per quasi la metà della sua popolazione immigrati dai paesi poveri dell'africa. Anche centinaia di migliaia di egiziani lavorano in Libia. E' stato ricordato che il reddito procapite è il più alto dell'Africa, la vita media è di 77 anni pari a tre volte quella africana ed il livello di scolarizzazione assai alto.
Alla insofferenza della borghesia che vorrebbe arricchirsi subito bisogna sommare un dato
regionale e tribale. La Libia è l'unione di tre regioni. La Cirenaica, la Tripolitania ed il Fezzan. La Cirenaica è luogo in cui era radicata la monarchia e non ha mai accettato del tutto di essere governata da Tripoli. Sul risentimento dei cirenaici e sulle pretese della borghesia si è costruito il blocco di forze, sostenuto dagli USA, che forse sta per abbattere Gheddafi.
Purtroppo il regime non ha tenuto conto che 42 anni sono tanti, tantissimi e che il potere si corrompe ed invecchia. Lo stesso Gheddafi è molto invecchiato. Fa impressione vedere che il secondo uomo della Libia è uno dei figli di Gheddafi e che non si vede non emerge un gruppo dirigente che pure c'è stato se ha fatto moderna e forte la Nazione. Oggi il regime non ha una classe dirigente in grado di proporsi e di cimentarsi con il futuro. Questo pesa, pesa l'idea di Gheddafi di sentirsi eterno ed insostituibile se non con qualcuno del suo stesso sangue. Ma i suoi oppositori sono una pure e semplice riedizione del colonialismo e dei suoi ascari che Gheddafi scacciò con la rivoluzione indolore di quaranta anni fa. La libia peggiorerebbe se passasse dalla gestione arcaica del potere di Gheddafi a quella del principe ereditario di re idris e dei petrolieri e generali USA che gli stanno dietro.
Può darsi che diventi un protettorato USA come l'Irak.

di Pietro Ancona

27 febbraio 2011

Il Re dei cachi come Re sciaboletta


Gli italiani, proprio come gli imbecilli, non si smentiscono mai: a loro modo, quindi, sono coerenti. Meno di due anni fa, abbiamo firmato con mano ferma dell’attuale capo di Governo, Silvio Berlusconi, un trattato di amicizia con la Libia. Tale era la forza di questo vincolante accordo che è stato consentito a Gheddafi di venire a far visita per due volte a Roma, accettando i suoi sputi in faccia all’Italia e agli italiani. Peggio: riservandogli gli onori che il nostro premier ha inteso suggellare con un fervido baciamano.

Sono passati pochi mesi e l’inossidabile patto d’acciaio Roma-Tripoli va in frantumi. Leggiamo le dichiarazioni di Silvio Berlusconi pronunciate oggi: «Se tutti siamo d’accordo possiamo mettere fine al bagno di sangue e sostenere il popolo libico. Gli sviluppi della situazione del Nord Africa sono molto incerti perché quei popoli potrebbero avvicinarsi alla democrazia ma potremmo anche trovarci di fronte a centri pericolosi di integralismo islamico. C’è il rischio di un’emergenza umanitaria con decine di migliaia di persone da soccorrere». Se tutti siamo d’accordo? Tutti, chi? Ha forse chiesto l’accordo di “tutti” quando ha firmato il patto d’acciaio con l’amico Gheddafi?

E l’accordo di amicizia fra Italia e Libia? Lui, Re Silvio, non ne fa parola, ma ci pensa l’autorevolissimo Ministro della difesa Ignazio La Russa a liquidarlo: «Di fatto il trattato Italia-Libia non c’è già più, è inoperante, è sospeso. Per esempio gli uomini della Guardia di Finanza, che erano sulle motovedette per fare da controllo a quello che facevano i libici, sono nella nostra ambasciata. Consideriamo probabile che siano moltissimi gli extracomunitari che possano via Libia arrivare in Italia, molto più di quanto avveniva prima del trattato».

Ora, noi non siamo e non siamo mai stati forsennati sostenitori del governo libico del Colonnello Gheddafi. Anche se, a dirvela tutta, quel regime non ci sembrava tra i più infami apparsi sotto la volta celeste della storia. Certo, non ci strapperemo i capelli per la sua deposizione. Ma come giustificare l’inopinato voltafaccia che il nostro Governo, per voce e decisione dei suoi massimi esponenti, sta compiendo?

Non vi sembra qualcosa di già visto nelle pagine più nere della nostra storia? Quelle, per esempio che, di fronte «alla forze soverchianti del nemico», spingevano un re ed imperatore a liquidare l’alleato tedesco, siglare un accordo di pace con gli ex nemici e ad invertire la direzione del fronte nel corso della Seconda guerra mondiale?

Il Re dei Cachi si comporta come il Re Sciaboletta, insomma… Del resto la statura, anche quella fisica, è più o meno la stessa. L’Italia non cambia. La sua vocazione al tradimento resta intatta: fedele nei secoli.


di Miro Renzaglia

26 febbraio 2011

Egitto: i movimenti sociali, la CIA e il Mossad

I limiti dei movimenti sociali.
I movimenti sociali di massa che hanno obbligato Mubarak a ritirarsi rivelano nello stesso tempo la forza e la debolezza dei sollevamenti spontanei.
Da una parte, i movimenti sociali hanno dimostrato la propria capacità di mobilitare centinaia di migliaia di persone, forse milioni, per una lotta vincente che è culminata con la caduta del dittatore che i partiti di opposizione e le personalità preesistenti non hanno voluto o potuto far cadere.
D'altra parte, a causa della leadership politica nazionale, i movimenti non sono stati capaci di prendere il potere politico e trasformare in realtà le loro richieste. Ciò ha permesso alle alte cariche militari di Mubarak di prendere il potere e definire il post mubarakismo, garantendo la continuità e la subordinazione dell'Egitto agli Stati Uniti, la protezione della ricchezza illecita del clan Mubarak (70 miliardi di dollari), il mantenimento delle numerose imprese di propretà dell'élite militare e la protezione dei ceti alti.

I milioni di persone mobilitate dai movimenti sociali per far cadere la dittatura sono state praticamente escluse dalla giunta militare, autoproclamatasi “rivoluzionaria”, al momento di definire le istituzioni e la politica, per non parlare delle riforme socioeconomiche necessarie ai bisogni basilari della popolazione (il 40% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e la disoccupazione giovanile supera il 30%). L'Egitto, come nel caso dei movimenti sociali e studenteschi popolari contro le dittature di Corea del Sud, Taiwan, Filippine e Indonesia, dimostra che la mancanza di un'organizzazione politica in ambito statale permette a personaggi neoliberali e conservatori “d'opposizione” di rimpiazzare il regime. Tali personaggi, stabiliscono un regime elettorale che continua a servire gli interessi imperialisti e difende l'apparato statale esistente. In alcuni casi, vengono sostituiti i vecchi complici capitalisti per altri di nuovo conio. Non è casuale che i media lodino la natura “spontanea” della lotta (e non la domanda socioeconomica) e presentino sotto una luce favorevole il ruolo dei militari (senza tenere conto dei 30 anni nei quali sono stati il baluardo della dittatura). La massa è lodata per il suo “eroismo” e i giovani per il loro “idealismo”, ma in nessun caso li si riconosce come attori politici centrali nel nuovo regime. Una volta caduta la dittatura, i militari e l'opposizione elettorale “hanno celebrato” il successo della rivoluzione e si sono mossi rapidamente per smobilitare e smantellare il movimento spontaneo, al fine di dare spazio alle negoziazioni fra politici liberali, Washington e l'élite militare al potere.

Mentre la Casa Bianca può tollerare o persino fomentare movimenti sociali che conducano alla caduta (“sacrificio”) delle dittature, essa ha tutto l'interesse a preservare lo Stato. Nel caso dell'Egitto, il principale alleato strategico dell'imperialismo degli Stati Uniti non è Mubarak, è l'esercito, con il quale Washington è stata in costante collaborazione prima, durante e dopo la caduta di Mubarak, assicurandosi che la “transizione” alla democrazia (sic) garantisca la permanente subordinazione dell'Egitto agli interessi e alla politica per il Medio Oriente degli Stati Uniti e di Israele.


La ribellione del popolo; le sconfitte della CIA e del Mossad

La rivolta araba dimostra, ancora una volta, le varie falle strategiche in istituzioni come i servizi segreti, le forze speciali e le intelligence degli Stati Uniti, così come nell'apparato israeliano, nessuno dei quali è stato capace di prevedere, non diciamo di intervenire, per evitare la vincente mobilitazione e influire nella politica dei governi e governanti che erano in pericolo.
L'immagine che proiettavano la maggior parte di scrittori, accademici e giornalisti dell'imbattibilità del Mossad israeliano e dell'onnipotente CIA è stata sottoposta a dura prova, con il suo fallimento nel riconoscere la portata, la profondità e l'intensità del movimento di milioni di persone che ha sconfitto la dittatura di Mubarak. Il Mossad, orgoglio e allegria dei produttori di Hollywood, presentato come un “modello di efficienza” dai suoi ben organizzati compagni sionisti, non è stato capace di intercettare il crescere di un movimento di massa in un paese vicino. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si è mostrato sorpreso (e costernato) per la precaria situazione di Mubarak e il collasso dei suoi clienti arabi più vicini, proprio a causa di errori dell'intelligence del Mossad. Ugualmente, Washington, con i suoi 27 organismi di intelligence oltre al Pentagono, è stata colta di sopresa dalle massicce rivolte popolari e dai movimenti emergenti, malgrado le sue centinaia di migliaia di agenti pagati migliaia di milioni di dollari.

Varie osservazioni teoriche si impongono. S'è dimostrato che l'idea di alcuni governanti forzatamente repressivi, che ricevono migliaia di milioni di dollari di aiuti militari dagli Stati Uniti e possono contare con all'incirca un milione di poliziotti, militari e paramilitari per garantire l'egemonia imperiale, non è infallibile. La supposizione che mantenere vincoli a larga scala e per lungo tempo con tali governanti dittatoriali salvaguardi gli interessi USA è stata smentita.
L'arroganza di Israele e la sua presunzione di superiorità in materia di organizzazione strategia e politica rispetto agli “arabi”, è stata seriamente danneggiata. Lo Stato d'Israele, i suoi esperti, gli agenti segreti e gli accademici delle migliori università statunitensi, rimangono ciechi di fronte alle realtà emergenti, ignoranti circa la profondità dello scontento e impotenti ad evitare l'opposizione di massa ai propri clienti più importanti. I propagandisti di Israele negli Stati Uniti, che non resistono a qualsivoglia opportunità per mettere in luce la “brillantezza” delle forze di sicurezza d'Israele, sia che si tratti di assassinare un leader arabo in Libano o a Dubai o che si tratti di bombardare un'istallazione militare in Siria, sono rimasti temporaneamente senza parole.

La caduta di Mubarak e il possibile insediamento di un governo indipendente e democratico significherebbe che Israele potrebbe perdere il suo principale alleato poliziesco. Un'opinione pubblica democratica non coopererebbe con Israele per il mantenimento dell'embargo a Gaza, né condannerebbe i palestinesi a morire di fame per piegare la loro volontà di resistere. Israele non potrà contare su un governo democratico per spalleggiare le violente occupazioni di terre in Cisgiordania e il suo regime fantoccio palestinese. Se ci sarà un'Egitto democratico, gli Stati Uniti non potranno più contarci per spalleggiare i loro intrighi in Libano, le loro guerre in Irak e Afganistan o le sanzioni contro l'Iran. D'altra parte, il sollevamento dell'Egitto è servito d'esempio ad altri movimenti popolari contrari ad altre dittature clienti degli Usa. In Giordania, Yemen e Arabia Saudita. Per tutte queste ragioni, Washington ha appoggiato il golpe militare con il fine di dare forma ad una transizione politica in accordo con i propri gusti e interessi imperiali.

L'indebolimento del principale pilastro del potere imperiale degli USA e del potere coloniale di Israele in Nord Africa e in Medio Oriente pongono in evidenza il ruolo essenziale dei regimi collaboratori dell'Impero. Il carattere dittatoriale di questi regimi è il risultato diretto del ruolo che svolgono in difesa degli interessi imperiali. E i grandi pacchetti di aiuti militari che corrompono e arricchiscono le élite dominanti sono la ricompensa per la sua buona disposizione a collaborare con gli Stati imperialisti e coloniali. Data l'importanza strategica della dittatura egiziana, come spiegare il fallimento delle agenzie di intelligence degli USA e Israele nell'anticipare le rivolte?

Tanto la CIA quanto il Mossad, hanno collaborato strettamente con i servizi segreti dell'Egitto e da essi hanno tratto le loro informazioni, secondo le quali tutto sembrava sotto controllo. I partiti dell'opposizione sono deboli, decimati dalle infiltrazioni e dalla repressione, i suoi militanti languiscono nelle prigioni e soffrono di fatali “attacchi al cuore” a causa di severe “tecniche di interrogatorio”, affermavano. Le elezioni sono state manipolate per eleggere i clienti degli USA e Israele, in modo che non ci fossero sorprese democratiche nell'orizzonte immediato o a medio termine.
I servizi segreti egiziani sono istruiti e finanziati da agenti israeliani e statunitensi, ed hanno una naturale tendenza a compiacere la volontà dei loro padroni. Erano tanto obbedienti a produrre informazioni che compiacessero i loro mentori, che ignoravano qualsivoglia informazione di un crescente malessere popolare o la agitazione in Internet. La CIA e il Mossad erano tanto incrostati nel vasto apparato di sicurezza di Mubarak che sono stati incapaci di ottenere qualsiasi informazione sui movimenti indipendenti dell'opposizione elettorale tradizionale che controllavano.

Quando i movimenti di massa extraparlamentari sono scoppiati, il Mossad e la CIA hanno continuato a confidare nell'apparato statale di Mubarak per mantenere il controllo attraverso la tipica operazione della carota e il bastone: fare concessioni simboliche transitorie e riversare nelle strade l'esercito, la polizia e gli squadroni della morte. Mano a mano che il movimento cresceva da dozzine di migliaia a centinaia di migliaia a milioni di persone, il Mossad e i principali congressisti statunitensi sostenitori di Israele chiedevano a Mubarak di “sopportare”. La CIA si è limitata a presentare alla Casa Bianca il profilo politico di funzionari militari affidabili e di personaggi politici flessibili, “di transizione”, disposti a seguire i passi di Mubarak. Una volta ancora, la CIA e il Mossad hanno dimostrato la loro dipendenza dall'apparato statale egiziano per ottenere informazioni su ciò che poteva rappresentare un'alternativa possibile pro statunitense e israeliana, omettendo le più elementari esigenze del popolo. Il tentativo di cooptare la vecchia guardia elettoralista dei Fratelli Musulmani attraverso negoziazioni con il vicepresidente generale Omar Suleiman è fallita, in parte perché i Fratelli Musulmani non avevano il controllo del movimento e in parte perché Israele e i loro seguitori statunitensi si sono opposti. D'altra parte, l'ala giovanile dei Fratelli ha fatto pressioni affinché l'organizzazione si ritirasse dalle trattative.

Le lacune in materia di intelligence hanno complicato gli sforzi di Washington e Tel Aviv per sacrificare il regime dittatoriale e salvare lo Stato: né la CIA né il Mossad avevano vincoli con nessuno dei leader emergenti. Gli israeliani non sono riusciti a trovare nessun “volto nuovo” che avesse consenso popolare e fosse disposto a svolgere il poco decoroso ruolo di collaboratore dell'oppressione coloniale. La CIA era totalmente coinvolta nell'uso dei servizi segreti egiziani per torturare sospettati di terrorismo (…) e nella vigilanza dei paesi arabi vicini. Come risultato, sia Washington che Israele hanno cercato e promosso il golpe militare al fine di anticipare una maggiore radicalizzazione della situazione.

In ultima analisi, l'insuccesso della CIA e del Mossad di prevedere e prevenire il sorgere del movimento democratico popolare, mette in rilievo la precarietà della base del potere imperiale e coloniale. Alla lunga, non sono le armi, le migliaia di milioni di dollari, i servizi segreti, né le camere della tortura ciò che decide la storia. Le rivoluzioni democratiche avvengono quando la maggior parte di un popolo si solleva e dice “basta”, occupa le strade, paralizza l'economia, smantella lo Stato autoritario ed esige libertà e istituzioni democratiche senza tutela imperiale o sottomissione coloniale.

di James Petras


Traduzione di Marina Minicuci

28 febbraio 2011

Un film già visto! La Libia come l'Iran...


http://blog.panorama.it/foto/files/2011/02/gheddafi-22-large.jpg


A scorrere oggi le immagini delle televisioni, a leggere i giornali compresi quelli di "sinistra" si rivede lo stesso film dei dittatori cattivissimi che opprimono i loro popoli e si dedicano a sadici spargimenti di sangue. Questo film l'abbiamo visto prima e durante la prima guerra dell'Irak (Desert Storm), della guerra per il Kossovo e per la disintegrazione della Jugoslavia, della seconda guerra contro l'Irak alla ricerca di armi di distruzione di massa che non si trovarono mai, della guerra contro l'Afghanistan alla ricerca di Bin Laden e dei terroristi che avrebbero fatto crollare le Torri gemelle, delle manifestazioni in Iran contro Ahmadinjed. C'è una novità importante: alla batteria massmediatica occidentale si sono unite le due emittenti televisive arabe AlJazeera e Al Arabia che hanno assunto il monopolio della informazione di quanto avviene da quelle parti tutto rigorosamente nello interesse dei plurimiliardari feudatari dell'Arabia Saudita e della nuova borghesia "liberista" che in tutto il Nord Africa e nella penisola arabica vorrebbe fare affari con gli occidentali, arricchirsi e che è sempre più insofferente per le quote di reddito che in Iran ed in Libia sono assorbite dal welfare, dai salari e dagli investimenti sociali.
Altre informazioni non possiamo averne. Abbiamo già visto nel 2003 le cannonate del carro armato americano contro le finestre del decimo piano dell'Hotel Palestine Ginevra abitato da giornalisti. Abbiamo visto il terrore sul viso di Giuliana Sgrena ferita e salvata dalla morte dall'eroico Calipari. Ad oggi 400 giornalisti sono stati uccisi nelle zone di guerra. I pochi che riescono a seguire il fronte o lavorano nelle zone occupate debbono essere autorizzati dai Comandi Militari USA ed i loro servizi vengono rigorosamente censurati.-
Tutto quello che abbiamo saputo o che sappiamo delle zone "calde" del pianeta dove gli americani portano la loro "pace" assieme a pacchetti di "diritti umani" viene filtrato dai servizi di informazione. I servizi ammettono soltanto giornalismo "embedded", militante anzi....militarizzato.
Oggi la Stampa di Torino portava a grandissimi titoli questa dichiarazione di Gheddafi: "Chi non è con me deve morire!" frase smentita ieri sera da un giornalista di rai new24 attribuendola ad un errore di traduzione. In effetti Gheddafi ha detto: " Se il popolo non mi vuole, merito di morire!. Nonostante la correzione la frase manomessa è stata riportata da tutta la stampa italiana e credo mondiale e l'intervento di correzione è stato ignorato. Montagna di menzogne si sommano a montagne di menzogne. Alcune di queste sono anche grossolane e ridicole come quella delle fosse comuni che non erano altro che immagini vecchie di un anno del cimitero di Tripoli. Ma la scienza della disinformazione non bada a queste quisquilie. Anche se la notizie è falsa in modo strepitoso viene messa in circolo lo stesso sulla base di un principio di sedimentazione di un linguaggio, di una cultura dell'avvenimento che qui sarebbe troppo lungo discutere. Insomma anche se falsa si incide nella memoria del pubblico.
La rivolta popolare o meglio il golpe contro il despota Gheddavi, è mossa dalle stesse forze che si agitano contro Ahmadinjed e ne reclamano la morte; è la borghesia che vorrebbe fare affari con l'Occidente, arricchirsi e che non sopporta il monopolio statale
sul petrolio e sul metano e vorrebbe che i proventi non fossero tutti investiti in sanità, pensioni, opere pubbliche, salari, scuola...La Libia ha dato sicurezza e benessere a tutti i suoi abitanti e per quaranta anni ha assorbito per quasi la metà della sua popolazione immigrati dai paesi poveri dell'africa. Anche centinaia di migliaia di egiziani lavorano in Libia. E' stato ricordato che il reddito procapite è il più alto dell'Africa, la vita media è di 77 anni pari a tre volte quella africana ed il livello di scolarizzazione assai alto.
Alla insofferenza della borghesia che vorrebbe arricchirsi subito bisogna sommare un dato
regionale e tribale. La Libia è l'unione di tre regioni. La Cirenaica, la Tripolitania ed il Fezzan. La Cirenaica è luogo in cui era radicata la monarchia e non ha mai accettato del tutto di essere governata da Tripoli. Sul risentimento dei cirenaici e sulle pretese della borghesia si è costruito il blocco di forze, sostenuto dagli USA, che forse sta per abbattere Gheddafi.
Purtroppo il regime non ha tenuto conto che 42 anni sono tanti, tantissimi e che il potere si corrompe ed invecchia. Lo stesso Gheddafi è molto invecchiato. Fa impressione vedere che il secondo uomo della Libia è uno dei figli di Gheddafi e che non si vede non emerge un gruppo dirigente che pure c'è stato se ha fatto moderna e forte la Nazione. Oggi il regime non ha una classe dirigente in grado di proporsi e di cimentarsi con il futuro. Questo pesa, pesa l'idea di Gheddafi di sentirsi eterno ed insostituibile se non con qualcuno del suo stesso sangue. Ma i suoi oppositori sono una pure e semplice riedizione del colonialismo e dei suoi ascari che Gheddafi scacciò con la rivoluzione indolore di quaranta anni fa. La libia peggiorerebbe se passasse dalla gestione arcaica del potere di Gheddafi a quella del principe ereditario di re idris e dei petrolieri e generali USA che gli stanno dietro.
Può darsi che diventi un protettorato USA come l'Irak.

di Pietro Ancona

27 febbraio 2011

Il Re dei cachi come Re sciaboletta


Gli italiani, proprio come gli imbecilli, non si smentiscono mai: a loro modo, quindi, sono coerenti. Meno di due anni fa, abbiamo firmato con mano ferma dell’attuale capo di Governo, Silvio Berlusconi, un trattato di amicizia con la Libia. Tale era la forza di questo vincolante accordo che è stato consentito a Gheddafi di venire a far visita per due volte a Roma, accettando i suoi sputi in faccia all’Italia e agli italiani. Peggio: riservandogli gli onori che il nostro premier ha inteso suggellare con un fervido baciamano.

Sono passati pochi mesi e l’inossidabile patto d’acciaio Roma-Tripoli va in frantumi. Leggiamo le dichiarazioni di Silvio Berlusconi pronunciate oggi: «Se tutti siamo d’accordo possiamo mettere fine al bagno di sangue e sostenere il popolo libico. Gli sviluppi della situazione del Nord Africa sono molto incerti perché quei popoli potrebbero avvicinarsi alla democrazia ma potremmo anche trovarci di fronte a centri pericolosi di integralismo islamico. C’è il rischio di un’emergenza umanitaria con decine di migliaia di persone da soccorrere». Se tutti siamo d’accordo? Tutti, chi? Ha forse chiesto l’accordo di “tutti” quando ha firmato il patto d’acciaio con l’amico Gheddafi?

E l’accordo di amicizia fra Italia e Libia? Lui, Re Silvio, non ne fa parola, ma ci pensa l’autorevolissimo Ministro della difesa Ignazio La Russa a liquidarlo: «Di fatto il trattato Italia-Libia non c’è già più, è inoperante, è sospeso. Per esempio gli uomini della Guardia di Finanza, che erano sulle motovedette per fare da controllo a quello che facevano i libici, sono nella nostra ambasciata. Consideriamo probabile che siano moltissimi gli extracomunitari che possano via Libia arrivare in Italia, molto più di quanto avveniva prima del trattato».

Ora, noi non siamo e non siamo mai stati forsennati sostenitori del governo libico del Colonnello Gheddafi. Anche se, a dirvela tutta, quel regime non ci sembrava tra i più infami apparsi sotto la volta celeste della storia. Certo, non ci strapperemo i capelli per la sua deposizione. Ma come giustificare l’inopinato voltafaccia che il nostro Governo, per voce e decisione dei suoi massimi esponenti, sta compiendo?

Non vi sembra qualcosa di già visto nelle pagine più nere della nostra storia? Quelle, per esempio che, di fronte «alla forze soverchianti del nemico», spingevano un re ed imperatore a liquidare l’alleato tedesco, siglare un accordo di pace con gli ex nemici e ad invertire la direzione del fronte nel corso della Seconda guerra mondiale?

Il Re dei Cachi si comporta come il Re Sciaboletta, insomma… Del resto la statura, anche quella fisica, è più o meno la stessa. L’Italia non cambia. La sua vocazione al tradimento resta intatta: fedele nei secoli.


di Miro Renzaglia

26 febbraio 2011

Egitto: i movimenti sociali, la CIA e il Mossad

I limiti dei movimenti sociali.
I movimenti sociali di massa che hanno obbligato Mubarak a ritirarsi rivelano nello stesso tempo la forza e la debolezza dei sollevamenti spontanei.
Da una parte, i movimenti sociali hanno dimostrato la propria capacità di mobilitare centinaia di migliaia di persone, forse milioni, per una lotta vincente che è culminata con la caduta del dittatore che i partiti di opposizione e le personalità preesistenti non hanno voluto o potuto far cadere.
D'altra parte, a causa della leadership politica nazionale, i movimenti non sono stati capaci di prendere il potere politico e trasformare in realtà le loro richieste. Ciò ha permesso alle alte cariche militari di Mubarak di prendere il potere e definire il post mubarakismo, garantendo la continuità e la subordinazione dell'Egitto agli Stati Uniti, la protezione della ricchezza illecita del clan Mubarak (70 miliardi di dollari), il mantenimento delle numerose imprese di propretà dell'élite militare e la protezione dei ceti alti.

I milioni di persone mobilitate dai movimenti sociali per far cadere la dittatura sono state praticamente escluse dalla giunta militare, autoproclamatasi “rivoluzionaria”, al momento di definire le istituzioni e la politica, per non parlare delle riforme socioeconomiche necessarie ai bisogni basilari della popolazione (il 40% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e la disoccupazione giovanile supera il 30%). L'Egitto, come nel caso dei movimenti sociali e studenteschi popolari contro le dittature di Corea del Sud, Taiwan, Filippine e Indonesia, dimostra che la mancanza di un'organizzazione politica in ambito statale permette a personaggi neoliberali e conservatori “d'opposizione” di rimpiazzare il regime. Tali personaggi, stabiliscono un regime elettorale che continua a servire gli interessi imperialisti e difende l'apparato statale esistente. In alcuni casi, vengono sostituiti i vecchi complici capitalisti per altri di nuovo conio. Non è casuale che i media lodino la natura “spontanea” della lotta (e non la domanda socioeconomica) e presentino sotto una luce favorevole il ruolo dei militari (senza tenere conto dei 30 anni nei quali sono stati il baluardo della dittatura). La massa è lodata per il suo “eroismo” e i giovani per il loro “idealismo”, ma in nessun caso li si riconosce come attori politici centrali nel nuovo regime. Una volta caduta la dittatura, i militari e l'opposizione elettorale “hanno celebrato” il successo della rivoluzione e si sono mossi rapidamente per smobilitare e smantellare il movimento spontaneo, al fine di dare spazio alle negoziazioni fra politici liberali, Washington e l'élite militare al potere.

Mentre la Casa Bianca può tollerare o persino fomentare movimenti sociali che conducano alla caduta (“sacrificio”) delle dittature, essa ha tutto l'interesse a preservare lo Stato. Nel caso dell'Egitto, il principale alleato strategico dell'imperialismo degli Stati Uniti non è Mubarak, è l'esercito, con il quale Washington è stata in costante collaborazione prima, durante e dopo la caduta di Mubarak, assicurandosi che la “transizione” alla democrazia (sic) garantisca la permanente subordinazione dell'Egitto agli interessi e alla politica per il Medio Oriente degli Stati Uniti e di Israele.


La ribellione del popolo; le sconfitte della CIA e del Mossad

La rivolta araba dimostra, ancora una volta, le varie falle strategiche in istituzioni come i servizi segreti, le forze speciali e le intelligence degli Stati Uniti, così come nell'apparato israeliano, nessuno dei quali è stato capace di prevedere, non diciamo di intervenire, per evitare la vincente mobilitazione e influire nella politica dei governi e governanti che erano in pericolo.
L'immagine che proiettavano la maggior parte di scrittori, accademici e giornalisti dell'imbattibilità del Mossad israeliano e dell'onnipotente CIA è stata sottoposta a dura prova, con il suo fallimento nel riconoscere la portata, la profondità e l'intensità del movimento di milioni di persone che ha sconfitto la dittatura di Mubarak. Il Mossad, orgoglio e allegria dei produttori di Hollywood, presentato come un “modello di efficienza” dai suoi ben organizzati compagni sionisti, non è stato capace di intercettare il crescere di un movimento di massa in un paese vicino. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si è mostrato sorpreso (e costernato) per la precaria situazione di Mubarak e il collasso dei suoi clienti arabi più vicini, proprio a causa di errori dell'intelligence del Mossad. Ugualmente, Washington, con i suoi 27 organismi di intelligence oltre al Pentagono, è stata colta di sopresa dalle massicce rivolte popolari e dai movimenti emergenti, malgrado le sue centinaia di migliaia di agenti pagati migliaia di milioni di dollari.

Varie osservazioni teoriche si impongono. S'è dimostrato che l'idea di alcuni governanti forzatamente repressivi, che ricevono migliaia di milioni di dollari di aiuti militari dagli Stati Uniti e possono contare con all'incirca un milione di poliziotti, militari e paramilitari per garantire l'egemonia imperiale, non è infallibile. La supposizione che mantenere vincoli a larga scala e per lungo tempo con tali governanti dittatoriali salvaguardi gli interessi USA è stata smentita.
L'arroganza di Israele e la sua presunzione di superiorità in materia di organizzazione strategia e politica rispetto agli “arabi”, è stata seriamente danneggiata. Lo Stato d'Israele, i suoi esperti, gli agenti segreti e gli accademici delle migliori università statunitensi, rimangono ciechi di fronte alle realtà emergenti, ignoranti circa la profondità dello scontento e impotenti ad evitare l'opposizione di massa ai propri clienti più importanti. I propagandisti di Israele negli Stati Uniti, che non resistono a qualsivoglia opportunità per mettere in luce la “brillantezza” delle forze di sicurezza d'Israele, sia che si tratti di assassinare un leader arabo in Libano o a Dubai o che si tratti di bombardare un'istallazione militare in Siria, sono rimasti temporaneamente senza parole.

La caduta di Mubarak e il possibile insediamento di un governo indipendente e democratico significherebbe che Israele potrebbe perdere il suo principale alleato poliziesco. Un'opinione pubblica democratica non coopererebbe con Israele per il mantenimento dell'embargo a Gaza, né condannerebbe i palestinesi a morire di fame per piegare la loro volontà di resistere. Israele non potrà contare su un governo democratico per spalleggiare le violente occupazioni di terre in Cisgiordania e il suo regime fantoccio palestinese. Se ci sarà un'Egitto democratico, gli Stati Uniti non potranno più contarci per spalleggiare i loro intrighi in Libano, le loro guerre in Irak e Afganistan o le sanzioni contro l'Iran. D'altra parte, il sollevamento dell'Egitto è servito d'esempio ad altri movimenti popolari contrari ad altre dittature clienti degli Usa. In Giordania, Yemen e Arabia Saudita. Per tutte queste ragioni, Washington ha appoggiato il golpe militare con il fine di dare forma ad una transizione politica in accordo con i propri gusti e interessi imperiali.

L'indebolimento del principale pilastro del potere imperiale degli USA e del potere coloniale di Israele in Nord Africa e in Medio Oriente pongono in evidenza il ruolo essenziale dei regimi collaboratori dell'Impero. Il carattere dittatoriale di questi regimi è il risultato diretto del ruolo che svolgono in difesa degli interessi imperiali. E i grandi pacchetti di aiuti militari che corrompono e arricchiscono le élite dominanti sono la ricompensa per la sua buona disposizione a collaborare con gli Stati imperialisti e coloniali. Data l'importanza strategica della dittatura egiziana, come spiegare il fallimento delle agenzie di intelligence degli USA e Israele nell'anticipare le rivolte?

Tanto la CIA quanto il Mossad, hanno collaborato strettamente con i servizi segreti dell'Egitto e da essi hanno tratto le loro informazioni, secondo le quali tutto sembrava sotto controllo. I partiti dell'opposizione sono deboli, decimati dalle infiltrazioni e dalla repressione, i suoi militanti languiscono nelle prigioni e soffrono di fatali “attacchi al cuore” a causa di severe “tecniche di interrogatorio”, affermavano. Le elezioni sono state manipolate per eleggere i clienti degli USA e Israele, in modo che non ci fossero sorprese democratiche nell'orizzonte immediato o a medio termine.
I servizi segreti egiziani sono istruiti e finanziati da agenti israeliani e statunitensi, ed hanno una naturale tendenza a compiacere la volontà dei loro padroni. Erano tanto obbedienti a produrre informazioni che compiacessero i loro mentori, che ignoravano qualsivoglia informazione di un crescente malessere popolare o la agitazione in Internet. La CIA e il Mossad erano tanto incrostati nel vasto apparato di sicurezza di Mubarak che sono stati incapaci di ottenere qualsiasi informazione sui movimenti indipendenti dell'opposizione elettorale tradizionale che controllavano.

Quando i movimenti di massa extraparlamentari sono scoppiati, il Mossad e la CIA hanno continuato a confidare nell'apparato statale di Mubarak per mantenere il controllo attraverso la tipica operazione della carota e il bastone: fare concessioni simboliche transitorie e riversare nelle strade l'esercito, la polizia e gli squadroni della morte. Mano a mano che il movimento cresceva da dozzine di migliaia a centinaia di migliaia a milioni di persone, il Mossad e i principali congressisti statunitensi sostenitori di Israele chiedevano a Mubarak di “sopportare”. La CIA si è limitata a presentare alla Casa Bianca il profilo politico di funzionari militari affidabili e di personaggi politici flessibili, “di transizione”, disposti a seguire i passi di Mubarak. Una volta ancora, la CIA e il Mossad hanno dimostrato la loro dipendenza dall'apparato statale egiziano per ottenere informazioni su ciò che poteva rappresentare un'alternativa possibile pro statunitense e israeliana, omettendo le più elementari esigenze del popolo. Il tentativo di cooptare la vecchia guardia elettoralista dei Fratelli Musulmani attraverso negoziazioni con il vicepresidente generale Omar Suleiman è fallita, in parte perché i Fratelli Musulmani non avevano il controllo del movimento e in parte perché Israele e i loro seguitori statunitensi si sono opposti. D'altra parte, l'ala giovanile dei Fratelli ha fatto pressioni affinché l'organizzazione si ritirasse dalle trattative.

Le lacune in materia di intelligence hanno complicato gli sforzi di Washington e Tel Aviv per sacrificare il regime dittatoriale e salvare lo Stato: né la CIA né il Mossad avevano vincoli con nessuno dei leader emergenti. Gli israeliani non sono riusciti a trovare nessun “volto nuovo” che avesse consenso popolare e fosse disposto a svolgere il poco decoroso ruolo di collaboratore dell'oppressione coloniale. La CIA era totalmente coinvolta nell'uso dei servizi segreti egiziani per torturare sospettati di terrorismo (…) e nella vigilanza dei paesi arabi vicini. Come risultato, sia Washington che Israele hanno cercato e promosso il golpe militare al fine di anticipare una maggiore radicalizzazione della situazione.

In ultima analisi, l'insuccesso della CIA e del Mossad di prevedere e prevenire il sorgere del movimento democratico popolare, mette in rilievo la precarietà della base del potere imperiale e coloniale. Alla lunga, non sono le armi, le migliaia di milioni di dollari, i servizi segreti, né le camere della tortura ciò che decide la storia. Le rivoluzioni democratiche avvengono quando la maggior parte di un popolo si solleva e dice “basta”, occupa le strade, paralizza l'economia, smantella lo Stato autoritario ed esige libertà e istituzioni democratiche senza tutela imperiale o sottomissione coloniale.

di James Petras


Traduzione di Marina Minicuci