07 marzo 2011

Così la Spagna a rischio default è diventata un paradiso fiscale


Secondo El País la filiale spagnola di ExxonMobil, la più grande corporation del Pianeta, non paga un solo centesimo di tasse. Ed è solo un esempio tra i tanti. Mentre i cittadini sostengono le manovre post crisi le multinazionali evadono legalmente il fisco. Due anni fa il Guardian aveva denunciato il fisco creativo delle corporation britanniche

Lieve sforzo di immaginazione. Provate a pensare per un attimo di essere cittadini spagnoli. Per anni vi hanno convinto che l’economia andava bene, che la crescita era sostenibile e che tutto sarebbe filato perfettamente liscio per moltissimo tempo ancora. Siete stati caldamente invitati a indebitarvi per consumare di più e già che c’eravate avete scelto di dare retta a quelle banche che erano disposte a concedervi un mutuo a fronte di garanzie pressoché nulle. Avevate un lavoro e una casa di proprietà, il sole splendeva e le vostre squadre di calcio (le più indebitate dell’area euro, ma ancora non lo sapevate) giocavano il miglior fútbol del Continente. Poi un giorno tutto è andato a rotoli. Avete perso la casa (ora in mano alle banche ma con un valore reale magari dimezzato), il lavoro (che manca ormai al 20,3% della popolazione attiva) e ovviamente il credito facile. Come se non bastasse avete anche scoperto che la maggior parte delle vostre tasse non servirà a finanziare i servizi sociali che dovrebbero esservi garantiti andando, al contrario, a sostenere le politiche anti default messe in atto dal governo.

Ora, come reagireste se vi dicessero che il soggetto privato spagnolo che ha guadagnato più di chiunque altro negli ultimi due anni non ha pagato e non pagherà un centesimo di tasse e che, piccolo particolare, tutto ciò avviene in modo perfettamente legale?

La risposta non è nota ma in questi giorni forse qualcuno proverà a trovarla. Visto che tutto questo, incredibile ma vero, è realmente accaduto. La denuncia l’ha presentata El País, il più diffuso e prestigioso quotidiano di Spagna. ExxonMobil Spain, filiale madrilena della più grande corporation del Pianeta (383 miliardi di dollari di ricavi annuali), ha accumulato negli ultimi due anni 9.907 milioni di euro di profitto lordo. Ed altrettanti di profitto netto. Tradotto: ha versato esattamente zero euro di tasse. Ma la storia non si conclude qui. Perché, a quanto pare, per una serie di complicate ragioni, nel corso del 2009 la filiale iberica della multinazionale Usa sarebbe riuscita nell’impresa di registrare un imponibile negativo di un milione e mezzo. In altri termini, il fisco spagnolo le deve ancora dei soldi. E non manca ovviamente l’aspetto comico: sapete quante persone lavorano per Exxon Spain? Una. Che scuce alla compagnia appena 44 mila euro all’anno.

Sembra folle eppure, come si diceva, è tutto logico quanto legale. Colpa di un regime fiscale favorevole capace di trascinare in Spagna le multinazionali di mezzo mondo ma anche di trasformare il Paese in vero e proprio paradiso fiscale. Il principio della legge è chiaro: impedire che una corporation paghi le tasse contemporaneamente sia sui profitti della casa madre sia su quelli della filiale. E poco importa che la struttura proprietaria distribuisca le società della catena nei paradisi veri e propri, magari appena dietro casa.

Un esempio su tutti: nel 2009 la ExxonMobil Luxembourg, che ovviamente ha sede nel Granducato, ha versato alla sua azionista ExxonMobil Spain un dividendo di 3,65 miliardi. Grazie alla normativa contro la doppia tassazione tale cifra non è stata sottoposta al prelievo. La stessa holding spagnola ha successivamente girato due tranches di 2,26 e 1,38 miliardi rispettivamente alla casa madre statunitense ottenendo a rigor di legge la completa esenzione fiscale. Quello di Exxon, ricorda El País, non è certo un esempio isolato. Multinazionali come Google (che ha holding sparse tra l’Olanda, l’Irlanda e il resto del mondo che le permettono di subire negli Usa un’imposizione reale del 2,4%) ma anche Vodafone, Hewlett Packard, American Express e General Mills si avvalgono delle medesime strategie contabili. Pare inoltre che Facebook che stia tuttora studiando una soluzione simile.

L’ingiustizia ai danni dei contribuenti spagnoli non è diversa da quella che si accanisce da anni sui taxpayers britannici. Un’inchiesta condotta due anni fa dal Guardian rivelò ad esempio che il colosso delle bevande Diageo aveva trasferito la proprietà di celebri marchi miliardari come Johnnie Walker, J&B e Gilbey’s gin a una propria filiale olandese ottenendo, de facto, una pressoché totale esenzione fiscale con un ammontare delle imposte pagate pari ad appena 43 milioni di sterline a fronte di profitti annuali di circa 2 miliardi. La pressione fiscale effettiva “patita” dall’azienda, in altre parole, era stata del 2%.

Esempi analoghi erano regolarmente forniti da altri giganti come Glaxo, Astra e Shell e non stupiva che, secondo i dati dell’agenzia delle entrate del Regno Unito, nel 2006 quasi i due terzi delle 700 principali compagnie britanniche avessero pagato imposte inferiori ai 10 milioni di sterline e che il 30% non avesse sborsato nemmeno un penny. A raggiungere la vetta della finanza creativa era stata però la major del settore pubblicitario WPP Group. Attraverso un’impressionante serie di operazioni contabili, regolarmente bloccate e altrettanto regolarmente sostituite da contromosse ancor più spericolate, la compagnia riuscì a versare nelle casse dell’erario meno di 5 milioni di sterline in sei anni. Nel 2008 non pagò di fatto alcuna tassa in Gran Bretagna.
di Matteo Cavallito

L’immunità: un pasticcio bipartisan






Ennesima contraddizione del Pd. Da un lato promuove l’inutile raccolta di firme per cacciare Berlusconi. Dall’altro sottoscrive una proposta di legge per reintrodurre il vecchio articolo 68 della Costituzione. In una versione ancora più favorevole ai parlamentari inquisiti


Chi può arrivare a pensare di garantire l’impunità non solo al plurinquisito capo del governo, ma all’intera casta parlamentare? Ma il Partito Democratico, naturalmente. La sedicente opposizione raccoglie dieci milioni di firme (gulp!) contro l’odiato Berlusconi, e a Roma presenta una proposta di legge assieme al Pdl per ripristinare l’immunità parlamentare. Anzi, precisiamo: confezionandone una aggiornata ai tempi, estrema, l’ultima frontiera del privilegio. In cui, cioè, non si torna allo scudo voluto dai padri costituenti onde evitare il fumus persecutionis, ma si cancella la possibilità di indagare a prescindere, salvando coloro che dovrebbero essere chiamati col loro nome: delinquenti comuni. Ancorché eletti dal popolo.

La pensata porta la firma bipartisan di Franca Chiaromonte (Pd) e Luigi Compagna (Pdl), appoggiati dai democratici Sircana e Morando e dall’Udc D’Alia. Prevede che al termine delle indagini, per rinviare a giudizio un parlamentare, il giudice dovrebbe chiedere il permesso alla Camera di appartenenza, che avrebbe 90 giorni per bloccare il processo. Per qualsiasi tipo di reato contestato, senza eccezioni. Nella vecchia immunità modificata nel 1993 sull’onda di Tangentopoli, invece, le Camere potevano negare l’autorizzazione a procedere solo in casi eccezionali, là dove non ci fosse notizia di reato e l’ostilità del magistrato inquirente fosse acclarata (il “fumus persecutionis”, appunto). Nel 1948 quando venne promulgata la Carta costituzionale, infatti, si veniva da vent’anni di fascismo e l’urgenza unanimemente sentita era quella di mettere al riparo la politica da eventuali attacchi giudiziari che volessero colpire l’espressione, magari troppo forte e al limite del lecito, delle opinioni. Ripeto: opinioni, ossia tutto ciò che aveva a che fare con l’attività politica legata alla funzione di deputato o senatore. Non intendevano certo, i padri costituenti oggi fin troppo citati, assicurare un colpo di spugna preventivo per i crimini.

Nel momento in cui, sotto il diluvio di inchieste di Mani Pulite, ci si arrese all’evidenza che la “persecuzione politica” era un argomento pretestuoso che lorsignori agitavano sistematicamente per giustificare l’abuso dell’istituto immunitario, si eliminò la necessità dell’autorizzazione a procedere che di fatto era stata snaturata. Senza fare gli esterofili obbligati, si noti che nelle altre democrazie occidentali un tale sistema di autodifesa corporativa non c’è. In Inghilterra non esiste alcuna immunità parlamentare. In Germania, seppur prevista, viene di fatto annullata in quanto all’inizio di ogni legislatura il parlamento autorizza automaticamente eventuali indagini a carico dei suoi membri. Lo stesso in Spagna, dove, eccetto in un caso, mai in trent’anni le Cortes hanno negato un’autorizzazione a procedere.

Ma la Chiaromonte del Pd vive in un mondo tutto suo e dichiara con sommo sprezzo del pericolo: «Punto chiave della proposta di legge 1942 è quello di ripristinare i principi ed i valori della Carta Costituzionale secondo lo spirito dei padri costituenti, gli stessi contenuti nell'abrogato articolo 68 della Costituzione, laddove infatti si proponeva l'immunità parlamentare dei membri delle due camere, previo autorizzazione a procedere del Parlamento nei casi gravi. In questa maniera si garantiva, e si garantirebbe nel caso passasse la mia proposta, non l'impunità dei membri del Parlamento, ma la necessaria separazione dei compiti tra organi politici ed organi della magistratura».

Domanda: quali sarebbero questi rispettivi compiti? Costituzione alla mano, la magistratura dovrebbe indagare i cittadini, parlamentari compresi, se accusati di aver compiuto un reato (potere giudiziario), e i politici dal canto loro dovrebbero legiferare (potere legislativo) e, se al governo, governare (potere esecutivo). È il buon vecchio Montesquieu. La dottrina Chiaromonte, invece, segue la vulgata Berlusconi-Alfano, come noto due insigni giuristi e filosofi della politica, secondo i quali la divisione dei poteri contempla l’ingiudicabilità di chi siede in parlamento e la corrispettiva genuflessione dei pm. Un diritto speciale per i rappresentanti del popolo, che per il fatto di essere tali sono superiori ai normali cittadini anche se corrotti, malversatori e mafiosi.

I mandarini del Pd, naturalmente, non si sono esposti nell’operazione di soccorso alla maggioranza. Nessun Bersani, D’Alema o Veltroni c’ha messo la faccia. Hanno lasciato che andasse avanti una peone, la Chiaromonte, in modo da poterla scaricare se la mossa dovesse rivelarsi non più utile. Perché è palese che un principio di dignità basilare come l’uguaglianza di fronte alla legge è maneggiata dagli “oppositori” di Silvio come merce di scambio e di trattativa: tu dai l’immunità a me, io concedo qualcos’altro a te. E se così non fosse, l’escamotage può sempre tornar buono per mostrarsi all’opinione pubblica come disponibili al dialogo, il famigerato e becero dialogo. Di riffa o di raffa, la suprema Carta che tutti hanno in bocca viene usata come uno straccio per quello sporco lavoro di inciucio che corre parallelo alle roboanti campagne di protesta anti-berlusconiana. E la chiamano opposizione.

di Alessio Mannino

06 marzo 2011

I risparmi, le banche e l’attuale regime monetario


Nino Galloni, economista, ha recentemente pubblicato un libro provocatorio dal titolo che è tutto un programma: “Prendi i tuoi soldi e scappa?” ci ha rilasciato una interessante intervista, dove ci dice che, molto probabilmente è l’euro a scappare via da noi

Prendi i tuoi soldi e scappa: fa veramente tanta paura questa crisi economica?
Più che una crisi che perdura preferirei parlare di “sindrome” per significare che questo tipo di modello unico dell’economia internazionale sta semplicemente collassando.

Nascondiamo i nostri soldi sotto il materasso come dice l’economista Eugenio Benetazzo, oppure “scappiamo” dall’euro?
Credo più probabile che sia l’euro a scappare da noi: perché la politica monetaria europea è gestita in modo di trattare l’euro come se fosse oro, rendendolo esageratamente ed artificiosamente troppo scarso nelle nostre tasche; perché non si fa abbastanza per separare le attività speculative delle banche da una sana gestione del credito finalizzato allo sviluppo.

Perché l’economista Paolo Savona propone il contrario?
Anzi Savona ha lanciato una provocazione sensata dicendo che sarebbe meglio uscirne
credo che la finalità sia stata quella di sondare e contare il “partito” dei non-euro!

Cosa fanno i governi europei per uscire dalla crisi?
Niente.
Più che parlare di crisi assistiamo ad un sistema produttivo che non regge più, infatti, l’economia ci costringe a produrre più ‘oggetti’ di quelli che in effetti abbiamo bisogno per le nostre esigenze?
Si tratta di due problematiche diverse. Oggi le tecnologie disponibili, se ben utilizzate, consentirebbero a tutta l’umanità di campare benone, ma ci sono interessi dei poteri finanziari che temono i cambiamenti nei rapporti di forza e la crescita della consapevolezza degli esseri umani. Per questo si
inventano analisi e teorie che servono solo a giustificare la penuria di mezzi destinabili allo sviluppo, lo spauracchio delle crisi ambientali (che si aggravano proprio per la mancanza e non per l’eccesso di sviluppo e progresso) e quello della sovrappopolazione, un concetto che ha senso solo in riferimento alle capacità produttive, non in astratto: senza tecnologie, ad esempio, su dieci km quadrati potrà sopravvivere solo una ventina di individui, viceversa con le attuali tecnologie tutto appare diverso e più governabile…

Agli inizi degli anni ‘70 e ‘80 l’Italia aveva una valenza per quando riguarda la tecnologia politica industriale e produzione manifatturiera per cui sarebbe stata meglio una scelta diversa da quella che ci ha portato all’euro?
Certo! Negli anni ’50, ’60, ’70 si credeva in un modello “misto” dove il massimo sostenibile di libertà di impresa non impediva allo Stato di possedere partecipazioni industriali all’avanguardia; poi si è deciso di svendere tutto con danno strategico, occupazionale e sociale e grandi vantaggi solo per pochi.

In Sudamerica come è ripartita l’economia?
Con la sinergia tra ripresa dello Stato Nazionale e monete complementari che consentissero di controllare la recuperata sovranità monetaria senza sacrificare lo sviluppo interno/locale

La moneta complementare che ruolo potrebbe avere in questa crisi economica?
Notevole, soprattutto per l’economia tradizionale che andrebbe ri-territorializzata; ma per il resto –comparti innovativi, nicchie e prodotti di avanguardia – occorrerebbero un euro moneta e non oro, un dollaro per lo sviluppo e non per le guerre, un accordo internazionale – soprattutto con la Cina – per una valuta creditizia internazionale che sterilizzi e neutralizzi l’ingente presenza di titoli tossici e speculativi pericolosamente sospesi.
di Giovanna Canzano

07 marzo 2011

Così la Spagna a rischio default è diventata un paradiso fiscale


Secondo El País la filiale spagnola di ExxonMobil, la più grande corporation del Pianeta, non paga un solo centesimo di tasse. Ed è solo un esempio tra i tanti. Mentre i cittadini sostengono le manovre post crisi le multinazionali evadono legalmente il fisco. Due anni fa il Guardian aveva denunciato il fisco creativo delle corporation britanniche

Lieve sforzo di immaginazione. Provate a pensare per un attimo di essere cittadini spagnoli. Per anni vi hanno convinto che l’economia andava bene, che la crescita era sostenibile e che tutto sarebbe filato perfettamente liscio per moltissimo tempo ancora. Siete stati caldamente invitati a indebitarvi per consumare di più e già che c’eravate avete scelto di dare retta a quelle banche che erano disposte a concedervi un mutuo a fronte di garanzie pressoché nulle. Avevate un lavoro e una casa di proprietà, il sole splendeva e le vostre squadre di calcio (le più indebitate dell’area euro, ma ancora non lo sapevate) giocavano il miglior fútbol del Continente. Poi un giorno tutto è andato a rotoli. Avete perso la casa (ora in mano alle banche ma con un valore reale magari dimezzato), il lavoro (che manca ormai al 20,3% della popolazione attiva) e ovviamente il credito facile. Come se non bastasse avete anche scoperto che la maggior parte delle vostre tasse non servirà a finanziare i servizi sociali che dovrebbero esservi garantiti andando, al contrario, a sostenere le politiche anti default messe in atto dal governo.

Ora, come reagireste se vi dicessero che il soggetto privato spagnolo che ha guadagnato più di chiunque altro negli ultimi due anni non ha pagato e non pagherà un centesimo di tasse e che, piccolo particolare, tutto ciò avviene in modo perfettamente legale?

La risposta non è nota ma in questi giorni forse qualcuno proverà a trovarla. Visto che tutto questo, incredibile ma vero, è realmente accaduto. La denuncia l’ha presentata El País, il più diffuso e prestigioso quotidiano di Spagna. ExxonMobil Spain, filiale madrilena della più grande corporation del Pianeta (383 miliardi di dollari di ricavi annuali), ha accumulato negli ultimi due anni 9.907 milioni di euro di profitto lordo. Ed altrettanti di profitto netto. Tradotto: ha versato esattamente zero euro di tasse. Ma la storia non si conclude qui. Perché, a quanto pare, per una serie di complicate ragioni, nel corso del 2009 la filiale iberica della multinazionale Usa sarebbe riuscita nell’impresa di registrare un imponibile negativo di un milione e mezzo. In altri termini, il fisco spagnolo le deve ancora dei soldi. E non manca ovviamente l’aspetto comico: sapete quante persone lavorano per Exxon Spain? Una. Che scuce alla compagnia appena 44 mila euro all’anno.

Sembra folle eppure, come si diceva, è tutto logico quanto legale. Colpa di un regime fiscale favorevole capace di trascinare in Spagna le multinazionali di mezzo mondo ma anche di trasformare il Paese in vero e proprio paradiso fiscale. Il principio della legge è chiaro: impedire che una corporation paghi le tasse contemporaneamente sia sui profitti della casa madre sia su quelli della filiale. E poco importa che la struttura proprietaria distribuisca le società della catena nei paradisi veri e propri, magari appena dietro casa.

Un esempio su tutti: nel 2009 la ExxonMobil Luxembourg, che ovviamente ha sede nel Granducato, ha versato alla sua azionista ExxonMobil Spain un dividendo di 3,65 miliardi. Grazie alla normativa contro la doppia tassazione tale cifra non è stata sottoposta al prelievo. La stessa holding spagnola ha successivamente girato due tranches di 2,26 e 1,38 miliardi rispettivamente alla casa madre statunitense ottenendo a rigor di legge la completa esenzione fiscale. Quello di Exxon, ricorda El País, non è certo un esempio isolato. Multinazionali come Google (che ha holding sparse tra l’Olanda, l’Irlanda e il resto del mondo che le permettono di subire negli Usa un’imposizione reale del 2,4%) ma anche Vodafone, Hewlett Packard, American Express e General Mills si avvalgono delle medesime strategie contabili. Pare inoltre che Facebook che stia tuttora studiando una soluzione simile.

L’ingiustizia ai danni dei contribuenti spagnoli non è diversa da quella che si accanisce da anni sui taxpayers britannici. Un’inchiesta condotta due anni fa dal Guardian rivelò ad esempio che il colosso delle bevande Diageo aveva trasferito la proprietà di celebri marchi miliardari come Johnnie Walker, J&B e Gilbey’s gin a una propria filiale olandese ottenendo, de facto, una pressoché totale esenzione fiscale con un ammontare delle imposte pagate pari ad appena 43 milioni di sterline a fronte di profitti annuali di circa 2 miliardi. La pressione fiscale effettiva “patita” dall’azienda, in altre parole, era stata del 2%.

Esempi analoghi erano regolarmente forniti da altri giganti come Glaxo, Astra e Shell e non stupiva che, secondo i dati dell’agenzia delle entrate del Regno Unito, nel 2006 quasi i due terzi delle 700 principali compagnie britanniche avessero pagato imposte inferiori ai 10 milioni di sterline e che il 30% non avesse sborsato nemmeno un penny. A raggiungere la vetta della finanza creativa era stata però la major del settore pubblicitario WPP Group. Attraverso un’impressionante serie di operazioni contabili, regolarmente bloccate e altrettanto regolarmente sostituite da contromosse ancor più spericolate, la compagnia riuscì a versare nelle casse dell’erario meno di 5 milioni di sterline in sei anni. Nel 2008 non pagò di fatto alcuna tassa in Gran Bretagna.
di Matteo Cavallito

L’immunità: un pasticcio bipartisan






Ennesima contraddizione del Pd. Da un lato promuove l’inutile raccolta di firme per cacciare Berlusconi. Dall’altro sottoscrive una proposta di legge per reintrodurre il vecchio articolo 68 della Costituzione. In una versione ancora più favorevole ai parlamentari inquisiti


Chi può arrivare a pensare di garantire l’impunità non solo al plurinquisito capo del governo, ma all’intera casta parlamentare? Ma il Partito Democratico, naturalmente. La sedicente opposizione raccoglie dieci milioni di firme (gulp!) contro l’odiato Berlusconi, e a Roma presenta una proposta di legge assieme al Pdl per ripristinare l’immunità parlamentare. Anzi, precisiamo: confezionandone una aggiornata ai tempi, estrema, l’ultima frontiera del privilegio. In cui, cioè, non si torna allo scudo voluto dai padri costituenti onde evitare il fumus persecutionis, ma si cancella la possibilità di indagare a prescindere, salvando coloro che dovrebbero essere chiamati col loro nome: delinquenti comuni. Ancorché eletti dal popolo.

La pensata porta la firma bipartisan di Franca Chiaromonte (Pd) e Luigi Compagna (Pdl), appoggiati dai democratici Sircana e Morando e dall’Udc D’Alia. Prevede che al termine delle indagini, per rinviare a giudizio un parlamentare, il giudice dovrebbe chiedere il permesso alla Camera di appartenenza, che avrebbe 90 giorni per bloccare il processo. Per qualsiasi tipo di reato contestato, senza eccezioni. Nella vecchia immunità modificata nel 1993 sull’onda di Tangentopoli, invece, le Camere potevano negare l’autorizzazione a procedere solo in casi eccezionali, là dove non ci fosse notizia di reato e l’ostilità del magistrato inquirente fosse acclarata (il “fumus persecutionis”, appunto). Nel 1948 quando venne promulgata la Carta costituzionale, infatti, si veniva da vent’anni di fascismo e l’urgenza unanimemente sentita era quella di mettere al riparo la politica da eventuali attacchi giudiziari che volessero colpire l’espressione, magari troppo forte e al limite del lecito, delle opinioni. Ripeto: opinioni, ossia tutto ciò che aveva a che fare con l’attività politica legata alla funzione di deputato o senatore. Non intendevano certo, i padri costituenti oggi fin troppo citati, assicurare un colpo di spugna preventivo per i crimini.

Nel momento in cui, sotto il diluvio di inchieste di Mani Pulite, ci si arrese all’evidenza che la “persecuzione politica” era un argomento pretestuoso che lorsignori agitavano sistematicamente per giustificare l’abuso dell’istituto immunitario, si eliminò la necessità dell’autorizzazione a procedere che di fatto era stata snaturata. Senza fare gli esterofili obbligati, si noti che nelle altre democrazie occidentali un tale sistema di autodifesa corporativa non c’è. In Inghilterra non esiste alcuna immunità parlamentare. In Germania, seppur prevista, viene di fatto annullata in quanto all’inizio di ogni legislatura il parlamento autorizza automaticamente eventuali indagini a carico dei suoi membri. Lo stesso in Spagna, dove, eccetto in un caso, mai in trent’anni le Cortes hanno negato un’autorizzazione a procedere.

Ma la Chiaromonte del Pd vive in un mondo tutto suo e dichiara con sommo sprezzo del pericolo: «Punto chiave della proposta di legge 1942 è quello di ripristinare i principi ed i valori della Carta Costituzionale secondo lo spirito dei padri costituenti, gli stessi contenuti nell'abrogato articolo 68 della Costituzione, laddove infatti si proponeva l'immunità parlamentare dei membri delle due camere, previo autorizzazione a procedere del Parlamento nei casi gravi. In questa maniera si garantiva, e si garantirebbe nel caso passasse la mia proposta, non l'impunità dei membri del Parlamento, ma la necessaria separazione dei compiti tra organi politici ed organi della magistratura».

Domanda: quali sarebbero questi rispettivi compiti? Costituzione alla mano, la magistratura dovrebbe indagare i cittadini, parlamentari compresi, se accusati di aver compiuto un reato (potere giudiziario), e i politici dal canto loro dovrebbero legiferare (potere legislativo) e, se al governo, governare (potere esecutivo). È il buon vecchio Montesquieu. La dottrina Chiaromonte, invece, segue la vulgata Berlusconi-Alfano, come noto due insigni giuristi e filosofi della politica, secondo i quali la divisione dei poteri contempla l’ingiudicabilità di chi siede in parlamento e la corrispettiva genuflessione dei pm. Un diritto speciale per i rappresentanti del popolo, che per il fatto di essere tali sono superiori ai normali cittadini anche se corrotti, malversatori e mafiosi.

I mandarini del Pd, naturalmente, non si sono esposti nell’operazione di soccorso alla maggioranza. Nessun Bersani, D’Alema o Veltroni c’ha messo la faccia. Hanno lasciato che andasse avanti una peone, la Chiaromonte, in modo da poterla scaricare se la mossa dovesse rivelarsi non più utile. Perché è palese che un principio di dignità basilare come l’uguaglianza di fronte alla legge è maneggiata dagli “oppositori” di Silvio come merce di scambio e di trattativa: tu dai l’immunità a me, io concedo qualcos’altro a te. E se così non fosse, l’escamotage può sempre tornar buono per mostrarsi all’opinione pubblica come disponibili al dialogo, il famigerato e becero dialogo. Di riffa o di raffa, la suprema Carta che tutti hanno in bocca viene usata come uno straccio per quello sporco lavoro di inciucio che corre parallelo alle roboanti campagne di protesta anti-berlusconiana. E la chiamano opposizione.

di Alessio Mannino

06 marzo 2011

I risparmi, le banche e l’attuale regime monetario


Nino Galloni, economista, ha recentemente pubblicato un libro provocatorio dal titolo che è tutto un programma: “Prendi i tuoi soldi e scappa?” ci ha rilasciato una interessante intervista, dove ci dice che, molto probabilmente è l’euro a scappare via da noi

Prendi i tuoi soldi e scappa: fa veramente tanta paura questa crisi economica?
Più che una crisi che perdura preferirei parlare di “sindrome” per significare che questo tipo di modello unico dell’economia internazionale sta semplicemente collassando.

Nascondiamo i nostri soldi sotto il materasso come dice l’economista Eugenio Benetazzo, oppure “scappiamo” dall’euro?
Credo più probabile che sia l’euro a scappare da noi: perché la politica monetaria europea è gestita in modo di trattare l’euro come se fosse oro, rendendolo esageratamente ed artificiosamente troppo scarso nelle nostre tasche; perché non si fa abbastanza per separare le attività speculative delle banche da una sana gestione del credito finalizzato allo sviluppo.

Perché l’economista Paolo Savona propone il contrario?
Anzi Savona ha lanciato una provocazione sensata dicendo che sarebbe meglio uscirne
credo che la finalità sia stata quella di sondare e contare il “partito” dei non-euro!

Cosa fanno i governi europei per uscire dalla crisi?
Niente.
Più che parlare di crisi assistiamo ad un sistema produttivo che non regge più, infatti, l’economia ci costringe a produrre più ‘oggetti’ di quelli che in effetti abbiamo bisogno per le nostre esigenze?
Si tratta di due problematiche diverse. Oggi le tecnologie disponibili, se ben utilizzate, consentirebbero a tutta l’umanità di campare benone, ma ci sono interessi dei poteri finanziari che temono i cambiamenti nei rapporti di forza e la crescita della consapevolezza degli esseri umani. Per questo si
inventano analisi e teorie che servono solo a giustificare la penuria di mezzi destinabili allo sviluppo, lo spauracchio delle crisi ambientali (che si aggravano proprio per la mancanza e non per l’eccesso di sviluppo e progresso) e quello della sovrappopolazione, un concetto che ha senso solo in riferimento alle capacità produttive, non in astratto: senza tecnologie, ad esempio, su dieci km quadrati potrà sopravvivere solo una ventina di individui, viceversa con le attuali tecnologie tutto appare diverso e più governabile…

Agli inizi degli anni ‘70 e ‘80 l’Italia aveva una valenza per quando riguarda la tecnologia politica industriale e produzione manifatturiera per cui sarebbe stata meglio una scelta diversa da quella che ci ha portato all’euro?
Certo! Negli anni ’50, ’60, ’70 si credeva in un modello “misto” dove il massimo sostenibile di libertà di impresa non impediva allo Stato di possedere partecipazioni industriali all’avanguardia; poi si è deciso di svendere tutto con danno strategico, occupazionale e sociale e grandi vantaggi solo per pochi.

In Sudamerica come è ripartita l’economia?
Con la sinergia tra ripresa dello Stato Nazionale e monete complementari che consentissero di controllare la recuperata sovranità monetaria senza sacrificare lo sviluppo interno/locale

La moneta complementare che ruolo potrebbe avere in questa crisi economica?
Notevole, soprattutto per l’economia tradizionale che andrebbe ri-territorializzata; ma per il resto –comparti innovativi, nicchie e prodotti di avanguardia – occorrerebbero un euro moneta e non oro, un dollaro per lo sviluppo e non per le guerre, un accordo internazionale – soprattutto con la Cina – per una valuta creditizia internazionale che sterilizzi e neutralizzi l’ingente presenza di titoli tossici e speculativi pericolosamente sospesi.
di Giovanna Canzano