03 luglio 2011

Il recupero dell'onore







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Il lamento sulla perdita dei valori è ormai un luogo comune che rimbalza dai negozi dei parrucchieri ai mercati ortofrutticoli, passando per i salotti quando il sonoro della TV è abbassato per consentire il chiacchiericcio. Quando si tenta di precisare quali siano questi famosi valori, si parla sempre di mancanza di rispetto, di maleducazione, di perdita di sensibilità per il bene comune, e altri bla bla. Propongo un valore che è andato completamente perduto e di cui nessuno parla più: il senso dell’Onore. Chi ne parlasse oggi passerebbe per un fascista ritardato o per un siciliano geloso, figure vagamente bizzarre e demodé.
L’onore era un valore fondamentale, la colonna portante di una civiltà che fu. Onore individuale, onore familiare e del clan, onore della nazione. Era la fedeltà alla parola data, era la lealtà verso il proprio superiore gerarchico, era l’assunzione piena della propria responsabilità, fino al sacrificio della vita se necessario. Venir meno a questi obblighi significava essere disonorati, diventare dei reietti, la peggiore delle sanzioni. Era un ideale aristocratico, che si trasmise anche ai borghesi, quando la borghesia era una classe di mercanti, imprenditori e liberi professionisti che avevano il culto del risparmio, dell’oculata amministrazione del patrimonio, del rischio calcolato nell’investire il proprio. In àmbito borghese il valore dell’onore si identificò con quello dell’onestà. Nelle transazioni commerciali, negli affari, fra chi aveva fama di onestà bastava una stretta di mano. Questa civiltà di valori si trasmise ai proletari. C’era un profondo senso dell’onore e dell’onestà anche fra le famiglie più umili. Anche fra loro, come fra i borghesi, era impegno d’onore non fare debiti, e, qualora le ristrettezze obbligassero a indebitarsi, onorarli nel più breve tempo possibile. Meravigliosa civiltà quella dei genitori proletari che orgogliosamente potevano dire: “abbiamo allevato i nostri figli e li abbiamo fatti studiare senza fare debiti”.
C’era orgoglio, quell’orgoglio che non va confuso con la superbia, essendo invece il fondamento di ogni vita retta, di ogni schiena dritta. Tutto ciò viveva nella coscienza collettiva, era un Centro, un Asse spirituale che informava di sé una società, un mondo. Non esigeva norma scritta, era inciso nei cuori. Era il complesso di ideali che dava significato all’esistenza. Nessuno pensava che il senso dell’esistere fosse “godersi la vita”, quell’imperativo che domina la scena della nostra decadenza e si traduce nel suo contrario, secondo la legge implacabile dell’eterogenesi dei fini. Considerazioni inattuali, in un’epoca che basa la propria prosperità sul debito. Debiti degli individui, delle famiglie, degli enti locali, degli Stati, denaro che genera denaro in un abracadabra demoniaco, debiti appianati con altri debiti in una vertiginosa spirale di follia.
Onore, onestà, orgoglio, orrore dell’indebitamento, ideali di comportamento che costituivano una spiritualità capace di trascorrere in tutte le membra della comunità, di trasmettersi a tutti i ceti. Era una linfa che dalle radici saliva al tronco e si diffondeva nei rami. La nostra antimodernità prova nostalgia per quel mondo di valori. Non rimpiangiamo i viaggi a dorso di mulo nè le pastorellerie dei paeselli. Vorremmo una rigenerazione in cui il senso dell’onore, con tutti i suoi corollari, venisse ripristinato nelle coscienze, prima che nelle leggi.
Dobbiamo essere consapevoli che non si recupera una spiritualità perduta con gli appelli moralistici e con le belle parole. Occorre prima un rivolgimento politico, nelle istituzioni e nelle strutture economiche, che sarà reso possibile solo dall’insostenibilità degli equilibri attuali. Occorre che nella nuova società emerga un’élite capace di guadagnarsi un tale prestigio da infondere i suoi valori all’intero corpo sociale. Occorre che generazioni siano educate agli ideali veri. Un’educazione che scaturisca dall’intero tessuto sociale, non solo dalla scuola in senso stretto, una scuola oggi talmente screditata che si può dubitare dell’opportunità di mantenerla in vita. Una tale opera gigantesca, di costruzione di una nuova spiritualità dopo il passaggio attraverso il nichilismo della distruzione dell’esistente, è qualcosa che va oltre le risorse puramente umane. Bisogna confidare anche nell’azione misteriosa di una legge ciclica della storia che ci trascende.

di Luciano Fuschini

02 luglio 2011

La movida dei ragazzi in corsa verso lo sballo





http://www.lenovae.it/wp-content/uploads/2011/04/alcool.jpg


Da tre giorni tutti si chiedono perché e come mai. Perché a Milano un giovane di 21 anni, descritto da vicini e custodi di casa come gentile e corretto, ha ucciso e buttato nella spazzatura il suo migliore amico, di vent’anni, per poi violentare e uccidere l’ex fidanzata, sorella dell’amico.
Si ricorda la “socialità” dell’assassino, che aveva, come testimoniano i genitori, “tantissimi amici, e una vita sempre in mezzo alle gente”. È spesso così. Ma sarebbe meglio preoccuparsene.
L’essere sempre “con gli altri” dei nostri adolescenti, e il correre su Facebook per ritrovarli se per caso restano un momento da soli, segnala una preoccupante incapacità di rimanere anche per poco con se stessi, di riflettere.
L’ascolto interiore, la scoperta e coltivazione di sé è indispensabile nell’adolescenza per la costruzione della personalità.
La formazione dell’Io, e lo sviluppo di autentiche relazioni con gli altri richiedono uno spazio personale, nutrito dai momenti affettivi nati nell’incontro con gli altri, poi confrontati con le prime manifestazioni del proprio sé. Tutto ciò non ha nulla di intellettuale. Si tratta invece di un’attività molto istintiva, riconoscibile anche negli animali, nel loro andare e venire dagli incontri coi loro simili a momenti in cui preferiscono rimanere per conto loro.
Per restare da soli, però, occorre sottrarsi, anche per poco, a quella “spinta verso fuori di sé” fortemente richiesta dal nostro modello di cultura e di comunicazione. Che a volte sostiene esplicitamente: “dentro (di noi) non c’è niente”; è quindi fuori, agli altri, alle mode, ai luoghi di aggregazione, reali o virtuali, che occorre guardare, è lì che dobbiamo correre.
Per questo le notti dei ragazzi diventano sempre più lunghe, come quella, lunghissima, al termine della quale Riccardo uccide prima il migliore amico e dopo la sorella sua ex fidanzata. E’ sempre per questo “andar fuori” da sé da questo guscio presunto vuoto e mai frequentato, che questi ragazzi bevono tantissimo e “si fanno”. Prendono frettolosamente qualsiasi cosa serva a “sballare”, a far saltare l’imballaggio del loro cervello: un contenitore che diventa così sempre più precario ed incerto, con perdite e crepe ormai vistose.
Gli adulti attorno a loro non sembrano però prestare molta attenzione a cosa davvero stia loro accadendo. Si stupiscono, protestano.
Ma come potrebbero i ragazzi studiare, essere promossi, lavorare stabilmente, se dormono poco, bevono tantissimo, e “comunicano” in continuazione contenuti gergali e stereotipati, più o meno uguali per tutti? Come possono evitare un collasso o una crisi psichica più o meno grave se negli anni in cui il cervello completa il suo primo sviluppo, non gli forniscono il sonno, tempo di rigenerazione naturale, e lo alterano in continuazione con sostanze eccitanti e intossicanti senza risparmiare nessuna zona della preziosa mente in formazione?
La memoria viene alterata, a volte sospesa per molte ore, come potrebbe essere davvero accaduto a Riccardo, l’orientamento perduto, i freni inibitori allentati, il riconoscimento della realtà frantumato da una molteplicità di spinte e paure, contraddittorie e caotiche.
L’Io, la coscienza con la sua capacità di direzione, non c’è più. Ci sono, appunto, solo gli altri, oggetti d’amore, e quindi, fatalmente, anche di odio (negli sfoghi su Facebook su professori e nemici da bruciare o far morire lentamente, tra sofferenze).
Gli altri sono ormai tutta la loro disperata e vuota esistenza. Per questo, anche, a volte, li sopprimono, li buttano via, e dimenticano dove, come ha raccontato Riccardo.
di Claudio Risé

01 luglio 2011

Ora si salvi il M.P.S.





Nel settore bancario italiano si moltiplicano i segni di illiquidità. Alcuni primari istituti hanno sospeso le erogazioni di credito. I corsi azionari vanno male o malissimo. Corrono voci che in ottobre o novembre sia probabile un credit crunch tale da precipitare l’economia in una recessione nera e da minacciare i depositi. E’ in corso uno sforzo di ricapitalizzazione. Particolarmente inquietante, per la contraddittorietà esplosiva dei dati, è la situazione di MPS: + 348% dei profitti (dichiarati), ma per contro: sospensione delle erogazioni creditizie, picchiata delle azioni, tagli radicali in tutte le spese, tagli dal 20 all’80% della componente variabile dei premi di produttività per impiegati e quadri dirigenti, ma prima aumento fino a circa del 30% dello stipendio fisso dei dirigenti centrali (in modo da compensare per sè soli la successiva riduzione del premio variabile), assunzioni di giovani impiegati impreparati a tempo e con salari di fame, ...

un miliardo di debiti verso Esatri per trading elusivo (Sole24Ore del 21.06.11), altissimo tasso di contenzioso con la clientela (contenzioso prevalentemente incorporato con Antonveneta, che fu pagata 9 mld (con un prestito obbligazionario subordinato e con un aumento di capitale quando le quotazioni azionarie erano ben più alte delle attuali) e ne valeva forse la metà. E il peso dell’interrogazione parlamentare sul discutibilissimo collocamento di Casaforte; e l’incremento ad un anno del CDS pari al 67,2% ; e le facilitazioni proposte ai dipendenti per l’adesione al prossimo aumento di capitale… ma come si fa a chiedere l’adesione di chi hai bistrattato tagliandogli lo stipendio mentre membri del CDA della Banca vendono i diritti ( Il Sole 24 Ore 25-06-2011 )? E voci (non verificabili) di trenta tecnici informatici di Intesa-San Paolo all’opera nella sede centrale senese, mentre la Fondazione MPS, per far cassa e poter così aderire all’aumento di capitale del M.P.S., ha venduto 2,2 mld di azioni privilegiate (che, vendute, per statuto, sono divenute ordinarie, facendo crollare il prezzo in borsa), e ciò tramite una molto discussa banca speculativa americana accusata di operazioni antisociali su larga scala e di specifiche colpe nel disastro greco, ed a cui sono state assegnate proprio quelle azioni MPS - ma le fondazioni, ontologicamente aventi scopo benefico, non dovrebbero evitare dipendenze o cointeressenze con…?

Insomma, fatti e dati incoerenti, contraddittori, suggerenti dubbi e sospetti anche su quel + 348%, che, congiunti all’emissione privilegiata, il mercato ha tradotto in un crollo dell’azione MPS ai minimi storici con perdita del 90% sui massimi. Guai se MPS dovesse cedere, se si avviasse un bank rush, o una discesa del rating con una ascesa dei tassi di rifinanziamento. Dato il peso strategico di MPS, avremmo un effetto valanga. Un tale rischio va prevenuto dal potere pubblico e semipubblico, anche a costo di un’ispezione e, al limite, di un commissariamento, che però sicuramente non sarà necessario, come non sarà necessario – ma, se lo fosse, il governo dovrebbe intervenire – un sostegno della mano pubblica. E’ prioritario prevenire che, in autunno, in una crisi accentuata di liquidità bancaria che potrebbe partire dagli istituti in parola, il blocco del credito si congiunga a una campagna di rientri dei crediti aperti, in una tenaglia mortale per l’economia di questo già malmesso e demonetizzato paese, soprattutto se non interviene un terzo quantitative easing a differire la crisi.

Date la gloriosa antichità, la dimensione, l’importanza di MPS per il sistema-paese, e dato che dubbi e segni di illiquidità attraversano gran parte del sistema bancario nazionale, ma si concentrano sull’istituto toscano, è in favore di esso che bisogna concentrare gli sforzi. Quindi è impellente, è di primario interesse nazionale, che BCE, BDI e CONSOB intervengano, nelle rispettive competenze, per dissipare quei dubbi, per fare le verifiche del caso e, all’esito, dichiarare che quel + 348% è reale, che nell’attivo sono stati contabilizzati i crediti effettivi e non voci di cartolarizzazioni appoggiate a società veicolo non cedute in quanto utilizzabili come garanzia per emissioni obbligazionarie, che non si è registrato come liquidità gli anticipi sul portafoglio (fatture, ri.ba.) , ossia che la banca non ha fatto e non intende fare creazione di mezzi monetari a livello di filiali; che non sono spostate ad esercizi futuri spese competenti a questo esercizio; che non esiste contenzioso sommerso (sofferenze non dichiarate) dannoso per il bilancio. E anche che la scelta dei dirigenti centrali di finanziare gli aumenti dei propri stipendi con tagli a quelli di quadri e impiegati (cui spettava invece un aumento, sempre se è vero il + 348% di utile ) sia una normale scelta di sfruttamento dei subordinati da parte di chi detiene il potere, e non esprima, piuttosto, la valutazione che il gioco stia per saltare e che pertanto convenga raschiare il raschiabile finché è possibile. Durante questo intervento di controllo, per ovvie ragioni, è opportuno che Mussari stia fuori da Bankitalia.

A un livello più profondo, sociologico, le strategie in atto impongono ulteriori elementi di riflessione.

I tagli dei premi di produttività mentre la produttività è aumentata hanno costituito uno shock per il personale bancario, abituato a rapporti non apertamente iniqui e violenti coi propri vertici. Quei tagli tagliano quindi anche il legame di appartenenza, il senso di essere tutti colleghi, di formare un organico. E’ una rottura psicologica. Ora c’è il vertice, che si è nettamente separato dalla base (inclusi in questa i quadri) con un atto, appunto, iniquo, tale da far percepire a livello viscerale, dai dipendenti, che non vi è solidarietà o giustizia a guidare i rapporti, e che essi sono oramai assets impersonali, beni strumentali, nella logica del capitalismo assoluto (Mussari stesso aveva detto che, senza Dio, non vi è etica). I grandi sindacati generalisti non si sono opposti, e anche quelli dei bancari hanno fatto poco e concluso zero. La base non si è ribellata. Ha subito. Ora dunque è chiaro e accettato che i rapporti, se devono continuare, continueranno su quella nuova base.

Primarie banche italiane, come lo stesso MPS, hanno in atto una campagna di sostituzione del personale esperto, formato, maturo (incoraggiato ad andarsene mediante scivoli e accompagnamenti) con personale giovanissimo, sottopagato (intorno agli 800 Euro al mese), con contratti brevi senza adeguata formazione, o meglio con formazione sommaria fatta di pochi slogan e tecnicismi da venditore, focalizzata al collocamento dei “prodotti” voluti dai vertici, ossia, innanzitutto, a)contratti con alto upfront per la banca; b)assets tossici di cui la banca vuole liberarsi. Per non perdere il lavoro, il dipendente si sforza di vendere a tutti i costi senza curarsi della onestà del “prodotto” e della sua corrispondenza al profilo del cliente, e viene frequentemente trasferito per evitare che si incontri con i clienti che si sono fidati di lui e che sono rimasti delusi.

Tale campagna procede in parallelo con una campagna di centralizzazione e proceduralizzazione informatiche: oramai i titolari di filiali non decidono più erogazioni di mutui o condizioni di rapporto, in quanto tali richieste di affidamento sono valutate dalla Direzione Generale tramite processo informatico (Pef) elaborato nelle Filiali e qualsiasi condizione in deroga a contratti standard è sottoposta ad un iter di valutazione da parte degli organi esterni competenti in modo da esautorare la figura del Titolare, storicamente strategica nella fidelizzazione della clientela . I funzionari sono così livellati al basso, in linea con quanto detto sopra. E in generale è livellato al basso l’elemento umano, mentre viene elevato quello della rete informatica e delle procedure standardizzate. Quindi, il senso della ristrutturazione sembra essere quello di avere dipendenti di basso costo e bassa competenza, quel poco che sanno tutto rivolto alla vendita, gestiti e coordinati centralmente da una rete informatica mediante programmi guidati, una sorta d’intelligenza artificiale autonoma operante su input specifici ben predefiniti che sembra proprio andare a sostituire la professionalità, la mente pensante di funzionari qualificati.

A che pro sostituire il personale qualificato con quello non qualificato? I vantaggi sono plurimi: costa meno, è meno tutelato, è più ricattabile (con minacce di non rinnovo del contratto o di demansionamento o di trasferimento), ha meno scrupoli morali nel vendere i prodotti più lucrativi per la banca. Gli svantaggi, in termini di qualità e concorrenza del servizio, sono annullati dal fatto che, tra le banche, non c’è competizione, ma coordinamento, cartello, spartizione del mercato. Se peggiorano il servizio tutte o quasi di concerto, nessuna perde in termini concorrenziali, perché la clientela non ha praticamente scelta. E nessuna perde in termini di quota di mercato, per la medesima ragione. Il conflitto di interessi delle banche che sono anche socie della banca centrale, non è soltanto per il fatto che sono al contempo controllate e controllanti, ma anche per il fatto che le banche centrali da loro partecipate tendono a essere usate come strumento di lottizzazione del mercato.

Considerazione finale: se il sistema bancario si sta ristrutturando nel modo sopra descritto, vuole dire che si prepara ad operare in un mercato e in una società molto più grami e degradati di quelli attuali, anche in termini di livello di legalità e di funzione giudiziaria. Avremo una banca fatta di un Olimpo dirigente che dirige telematicamente un’orda amorale, mutevole e aggreessiva di venditori esasperati di “prodotti” equivoci, sempre alla corda per farsi rinnovare il contratto a termine.

di Marco Della Luna

03 luglio 2011

Il recupero dell'onore







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Il lamento sulla perdita dei valori è ormai un luogo comune che rimbalza dai negozi dei parrucchieri ai mercati ortofrutticoli, passando per i salotti quando il sonoro della TV è abbassato per consentire il chiacchiericcio. Quando si tenta di precisare quali siano questi famosi valori, si parla sempre di mancanza di rispetto, di maleducazione, di perdita di sensibilità per il bene comune, e altri bla bla. Propongo un valore che è andato completamente perduto e di cui nessuno parla più: il senso dell’Onore. Chi ne parlasse oggi passerebbe per un fascista ritardato o per un siciliano geloso, figure vagamente bizzarre e demodé.
L’onore era un valore fondamentale, la colonna portante di una civiltà che fu. Onore individuale, onore familiare e del clan, onore della nazione. Era la fedeltà alla parola data, era la lealtà verso il proprio superiore gerarchico, era l’assunzione piena della propria responsabilità, fino al sacrificio della vita se necessario. Venir meno a questi obblighi significava essere disonorati, diventare dei reietti, la peggiore delle sanzioni. Era un ideale aristocratico, che si trasmise anche ai borghesi, quando la borghesia era una classe di mercanti, imprenditori e liberi professionisti che avevano il culto del risparmio, dell’oculata amministrazione del patrimonio, del rischio calcolato nell’investire il proprio. In àmbito borghese il valore dell’onore si identificò con quello dell’onestà. Nelle transazioni commerciali, negli affari, fra chi aveva fama di onestà bastava una stretta di mano. Questa civiltà di valori si trasmise ai proletari. C’era un profondo senso dell’onore e dell’onestà anche fra le famiglie più umili. Anche fra loro, come fra i borghesi, era impegno d’onore non fare debiti, e, qualora le ristrettezze obbligassero a indebitarsi, onorarli nel più breve tempo possibile. Meravigliosa civiltà quella dei genitori proletari che orgogliosamente potevano dire: “abbiamo allevato i nostri figli e li abbiamo fatti studiare senza fare debiti”.
C’era orgoglio, quell’orgoglio che non va confuso con la superbia, essendo invece il fondamento di ogni vita retta, di ogni schiena dritta. Tutto ciò viveva nella coscienza collettiva, era un Centro, un Asse spirituale che informava di sé una società, un mondo. Non esigeva norma scritta, era inciso nei cuori. Era il complesso di ideali che dava significato all’esistenza. Nessuno pensava che il senso dell’esistere fosse “godersi la vita”, quell’imperativo che domina la scena della nostra decadenza e si traduce nel suo contrario, secondo la legge implacabile dell’eterogenesi dei fini. Considerazioni inattuali, in un’epoca che basa la propria prosperità sul debito. Debiti degli individui, delle famiglie, degli enti locali, degli Stati, denaro che genera denaro in un abracadabra demoniaco, debiti appianati con altri debiti in una vertiginosa spirale di follia.
Onore, onestà, orgoglio, orrore dell’indebitamento, ideali di comportamento che costituivano una spiritualità capace di trascorrere in tutte le membra della comunità, di trasmettersi a tutti i ceti. Era una linfa che dalle radici saliva al tronco e si diffondeva nei rami. La nostra antimodernità prova nostalgia per quel mondo di valori. Non rimpiangiamo i viaggi a dorso di mulo nè le pastorellerie dei paeselli. Vorremmo una rigenerazione in cui il senso dell’onore, con tutti i suoi corollari, venisse ripristinato nelle coscienze, prima che nelle leggi.
Dobbiamo essere consapevoli che non si recupera una spiritualità perduta con gli appelli moralistici e con le belle parole. Occorre prima un rivolgimento politico, nelle istituzioni e nelle strutture economiche, che sarà reso possibile solo dall’insostenibilità degli equilibri attuali. Occorre che nella nuova società emerga un’élite capace di guadagnarsi un tale prestigio da infondere i suoi valori all’intero corpo sociale. Occorre che generazioni siano educate agli ideali veri. Un’educazione che scaturisca dall’intero tessuto sociale, non solo dalla scuola in senso stretto, una scuola oggi talmente screditata che si può dubitare dell’opportunità di mantenerla in vita. Una tale opera gigantesca, di costruzione di una nuova spiritualità dopo il passaggio attraverso il nichilismo della distruzione dell’esistente, è qualcosa che va oltre le risorse puramente umane. Bisogna confidare anche nell’azione misteriosa di una legge ciclica della storia che ci trascende.

di Luciano Fuschini

02 luglio 2011

La movida dei ragazzi in corsa verso lo sballo





http://www.lenovae.it/wp-content/uploads/2011/04/alcool.jpg


Da tre giorni tutti si chiedono perché e come mai. Perché a Milano un giovane di 21 anni, descritto da vicini e custodi di casa come gentile e corretto, ha ucciso e buttato nella spazzatura il suo migliore amico, di vent’anni, per poi violentare e uccidere l’ex fidanzata, sorella dell’amico.
Si ricorda la “socialità” dell’assassino, che aveva, come testimoniano i genitori, “tantissimi amici, e una vita sempre in mezzo alle gente”. È spesso così. Ma sarebbe meglio preoccuparsene.
L’essere sempre “con gli altri” dei nostri adolescenti, e il correre su Facebook per ritrovarli se per caso restano un momento da soli, segnala una preoccupante incapacità di rimanere anche per poco con se stessi, di riflettere.
L’ascolto interiore, la scoperta e coltivazione di sé è indispensabile nell’adolescenza per la costruzione della personalità.
La formazione dell’Io, e lo sviluppo di autentiche relazioni con gli altri richiedono uno spazio personale, nutrito dai momenti affettivi nati nell’incontro con gli altri, poi confrontati con le prime manifestazioni del proprio sé. Tutto ciò non ha nulla di intellettuale. Si tratta invece di un’attività molto istintiva, riconoscibile anche negli animali, nel loro andare e venire dagli incontri coi loro simili a momenti in cui preferiscono rimanere per conto loro.
Per restare da soli, però, occorre sottrarsi, anche per poco, a quella “spinta verso fuori di sé” fortemente richiesta dal nostro modello di cultura e di comunicazione. Che a volte sostiene esplicitamente: “dentro (di noi) non c’è niente”; è quindi fuori, agli altri, alle mode, ai luoghi di aggregazione, reali o virtuali, che occorre guardare, è lì che dobbiamo correre.
Per questo le notti dei ragazzi diventano sempre più lunghe, come quella, lunghissima, al termine della quale Riccardo uccide prima il migliore amico e dopo la sorella sua ex fidanzata. E’ sempre per questo “andar fuori” da sé da questo guscio presunto vuoto e mai frequentato, che questi ragazzi bevono tantissimo e “si fanno”. Prendono frettolosamente qualsiasi cosa serva a “sballare”, a far saltare l’imballaggio del loro cervello: un contenitore che diventa così sempre più precario ed incerto, con perdite e crepe ormai vistose.
Gli adulti attorno a loro non sembrano però prestare molta attenzione a cosa davvero stia loro accadendo. Si stupiscono, protestano.
Ma come potrebbero i ragazzi studiare, essere promossi, lavorare stabilmente, se dormono poco, bevono tantissimo, e “comunicano” in continuazione contenuti gergali e stereotipati, più o meno uguali per tutti? Come possono evitare un collasso o una crisi psichica più o meno grave se negli anni in cui il cervello completa il suo primo sviluppo, non gli forniscono il sonno, tempo di rigenerazione naturale, e lo alterano in continuazione con sostanze eccitanti e intossicanti senza risparmiare nessuna zona della preziosa mente in formazione?
La memoria viene alterata, a volte sospesa per molte ore, come potrebbe essere davvero accaduto a Riccardo, l’orientamento perduto, i freni inibitori allentati, il riconoscimento della realtà frantumato da una molteplicità di spinte e paure, contraddittorie e caotiche.
L’Io, la coscienza con la sua capacità di direzione, non c’è più. Ci sono, appunto, solo gli altri, oggetti d’amore, e quindi, fatalmente, anche di odio (negli sfoghi su Facebook su professori e nemici da bruciare o far morire lentamente, tra sofferenze).
Gli altri sono ormai tutta la loro disperata e vuota esistenza. Per questo, anche, a volte, li sopprimono, li buttano via, e dimenticano dove, come ha raccontato Riccardo.
di Claudio Risé

01 luglio 2011

Ora si salvi il M.P.S.





Nel settore bancario italiano si moltiplicano i segni di illiquidità. Alcuni primari istituti hanno sospeso le erogazioni di credito. I corsi azionari vanno male o malissimo. Corrono voci che in ottobre o novembre sia probabile un credit crunch tale da precipitare l’economia in una recessione nera e da minacciare i depositi. E’ in corso uno sforzo di ricapitalizzazione. Particolarmente inquietante, per la contraddittorietà esplosiva dei dati, è la situazione di MPS: + 348% dei profitti (dichiarati), ma per contro: sospensione delle erogazioni creditizie, picchiata delle azioni, tagli radicali in tutte le spese, tagli dal 20 all’80% della componente variabile dei premi di produttività per impiegati e quadri dirigenti, ma prima aumento fino a circa del 30% dello stipendio fisso dei dirigenti centrali (in modo da compensare per sè soli la successiva riduzione del premio variabile), assunzioni di giovani impiegati impreparati a tempo e con salari di fame, ...

un miliardo di debiti verso Esatri per trading elusivo (Sole24Ore del 21.06.11), altissimo tasso di contenzioso con la clientela (contenzioso prevalentemente incorporato con Antonveneta, che fu pagata 9 mld (con un prestito obbligazionario subordinato e con un aumento di capitale quando le quotazioni azionarie erano ben più alte delle attuali) e ne valeva forse la metà. E il peso dell’interrogazione parlamentare sul discutibilissimo collocamento di Casaforte; e l’incremento ad un anno del CDS pari al 67,2% ; e le facilitazioni proposte ai dipendenti per l’adesione al prossimo aumento di capitale… ma come si fa a chiedere l’adesione di chi hai bistrattato tagliandogli lo stipendio mentre membri del CDA della Banca vendono i diritti ( Il Sole 24 Ore 25-06-2011 )? E voci (non verificabili) di trenta tecnici informatici di Intesa-San Paolo all’opera nella sede centrale senese, mentre la Fondazione MPS, per far cassa e poter così aderire all’aumento di capitale del M.P.S., ha venduto 2,2 mld di azioni privilegiate (che, vendute, per statuto, sono divenute ordinarie, facendo crollare il prezzo in borsa), e ciò tramite una molto discussa banca speculativa americana accusata di operazioni antisociali su larga scala e di specifiche colpe nel disastro greco, ed a cui sono state assegnate proprio quelle azioni MPS - ma le fondazioni, ontologicamente aventi scopo benefico, non dovrebbero evitare dipendenze o cointeressenze con…?

Insomma, fatti e dati incoerenti, contraddittori, suggerenti dubbi e sospetti anche su quel + 348%, che, congiunti all’emissione privilegiata, il mercato ha tradotto in un crollo dell’azione MPS ai minimi storici con perdita del 90% sui massimi. Guai se MPS dovesse cedere, se si avviasse un bank rush, o una discesa del rating con una ascesa dei tassi di rifinanziamento. Dato il peso strategico di MPS, avremmo un effetto valanga. Un tale rischio va prevenuto dal potere pubblico e semipubblico, anche a costo di un’ispezione e, al limite, di un commissariamento, che però sicuramente non sarà necessario, come non sarà necessario – ma, se lo fosse, il governo dovrebbe intervenire – un sostegno della mano pubblica. E’ prioritario prevenire che, in autunno, in una crisi accentuata di liquidità bancaria che potrebbe partire dagli istituti in parola, il blocco del credito si congiunga a una campagna di rientri dei crediti aperti, in una tenaglia mortale per l’economia di questo già malmesso e demonetizzato paese, soprattutto se non interviene un terzo quantitative easing a differire la crisi.

Date la gloriosa antichità, la dimensione, l’importanza di MPS per il sistema-paese, e dato che dubbi e segni di illiquidità attraversano gran parte del sistema bancario nazionale, ma si concentrano sull’istituto toscano, è in favore di esso che bisogna concentrare gli sforzi. Quindi è impellente, è di primario interesse nazionale, che BCE, BDI e CONSOB intervengano, nelle rispettive competenze, per dissipare quei dubbi, per fare le verifiche del caso e, all’esito, dichiarare che quel + 348% è reale, che nell’attivo sono stati contabilizzati i crediti effettivi e non voci di cartolarizzazioni appoggiate a società veicolo non cedute in quanto utilizzabili come garanzia per emissioni obbligazionarie, che non si è registrato come liquidità gli anticipi sul portafoglio (fatture, ri.ba.) , ossia che la banca non ha fatto e non intende fare creazione di mezzi monetari a livello di filiali; che non sono spostate ad esercizi futuri spese competenti a questo esercizio; che non esiste contenzioso sommerso (sofferenze non dichiarate) dannoso per il bilancio. E anche che la scelta dei dirigenti centrali di finanziare gli aumenti dei propri stipendi con tagli a quelli di quadri e impiegati (cui spettava invece un aumento, sempre se è vero il + 348% di utile ) sia una normale scelta di sfruttamento dei subordinati da parte di chi detiene il potere, e non esprima, piuttosto, la valutazione che il gioco stia per saltare e che pertanto convenga raschiare il raschiabile finché è possibile. Durante questo intervento di controllo, per ovvie ragioni, è opportuno che Mussari stia fuori da Bankitalia.

A un livello più profondo, sociologico, le strategie in atto impongono ulteriori elementi di riflessione.

I tagli dei premi di produttività mentre la produttività è aumentata hanno costituito uno shock per il personale bancario, abituato a rapporti non apertamente iniqui e violenti coi propri vertici. Quei tagli tagliano quindi anche il legame di appartenenza, il senso di essere tutti colleghi, di formare un organico. E’ una rottura psicologica. Ora c’è il vertice, che si è nettamente separato dalla base (inclusi in questa i quadri) con un atto, appunto, iniquo, tale da far percepire a livello viscerale, dai dipendenti, che non vi è solidarietà o giustizia a guidare i rapporti, e che essi sono oramai assets impersonali, beni strumentali, nella logica del capitalismo assoluto (Mussari stesso aveva detto che, senza Dio, non vi è etica). I grandi sindacati generalisti non si sono opposti, e anche quelli dei bancari hanno fatto poco e concluso zero. La base non si è ribellata. Ha subito. Ora dunque è chiaro e accettato che i rapporti, se devono continuare, continueranno su quella nuova base.

Primarie banche italiane, come lo stesso MPS, hanno in atto una campagna di sostituzione del personale esperto, formato, maturo (incoraggiato ad andarsene mediante scivoli e accompagnamenti) con personale giovanissimo, sottopagato (intorno agli 800 Euro al mese), con contratti brevi senza adeguata formazione, o meglio con formazione sommaria fatta di pochi slogan e tecnicismi da venditore, focalizzata al collocamento dei “prodotti” voluti dai vertici, ossia, innanzitutto, a)contratti con alto upfront per la banca; b)assets tossici di cui la banca vuole liberarsi. Per non perdere il lavoro, il dipendente si sforza di vendere a tutti i costi senza curarsi della onestà del “prodotto” e della sua corrispondenza al profilo del cliente, e viene frequentemente trasferito per evitare che si incontri con i clienti che si sono fidati di lui e che sono rimasti delusi.

Tale campagna procede in parallelo con una campagna di centralizzazione e proceduralizzazione informatiche: oramai i titolari di filiali non decidono più erogazioni di mutui o condizioni di rapporto, in quanto tali richieste di affidamento sono valutate dalla Direzione Generale tramite processo informatico (Pef) elaborato nelle Filiali e qualsiasi condizione in deroga a contratti standard è sottoposta ad un iter di valutazione da parte degli organi esterni competenti in modo da esautorare la figura del Titolare, storicamente strategica nella fidelizzazione della clientela . I funzionari sono così livellati al basso, in linea con quanto detto sopra. E in generale è livellato al basso l’elemento umano, mentre viene elevato quello della rete informatica e delle procedure standardizzate. Quindi, il senso della ristrutturazione sembra essere quello di avere dipendenti di basso costo e bassa competenza, quel poco che sanno tutto rivolto alla vendita, gestiti e coordinati centralmente da una rete informatica mediante programmi guidati, una sorta d’intelligenza artificiale autonoma operante su input specifici ben predefiniti che sembra proprio andare a sostituire la professionalità, la mente pensante di funzionari qualificati.

A che pro sostituire il personale qualificato con quello non qualificato? I vantaggi sono plurimi: costa meno, è meno tutelato, è più ricattabile (con minacce di non rinnovo del contratto o di demansionamento o di trasferimento), ha meno scrupoli morali nel vendere i prodotti più lucrativi per la banca. Gli svantaggi, in termini di qualità e concorrenza del servizio, sono annullati dal fatto che, tra le banche, non c’è competizione, ma coordinamento, cartello, spartizione del mercato. Se peggiorano il servizio tutte o quasi di concerto, nessuna perde in termini concorrenziali, perché la clientela non ha praticamente scelta. E nessuna perde in termini di quota di mercato, per la medesima ragione. Il conflitto di interessi delle banche che sono anche socie della banca centrale, non è soltanto per il fatto che sono al contempo controllate e controllanti, ma anche per il fatto che le banche centrali da loro partecipate tendono a essere usate come strumento di lottizzazione del mercato.

Considerazione finale: se il sistema bancario si sta ristrutturando nel modo sopra descritto, vuole dire che si prepara ad operare in un mercato e in una società molto più grami e degradati di quelli attuali, anche in termini di livello di legalità e di funzione giudiziaria. Avremo una banca fatta di un Olimpo dirigente che dirige telematicamente un’orda amorale, mutevole e aggreessiva di venditori esasperati di “prodotti” equivoci, sempre alla corda per farsi rinnovare il contratto a termine.

di Marco Della Luna