03 luglio 2011

Il recupero dell'onore







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Il lamento sulla perdita dei valori è ormai un luogo comune che rimbalza dai negozi dei parrucchieri ai mercati ortofrutticoli, passando per i salotti quando il sonoro della TV è abbassato per consentire il chiacchiericcio. Quando si tenta di precisare quali siano questi famosi valori, si parla sempre di mancanza di rispetto, di maleducazione, di perdita di sensibilità per il bene comune, e altri bla bla. Propongo un valore che è andato completamente perduto e di cui nessuno parla più: il senso dell’Onore. Chi ne parlasse oggi passerebbe per un fascista ritardato o per un siciliano geloso, figure vagamente bizzarre e demodé.
L’onore era un valore fondamentale, la colonna portante di una civiltà che fu. Onore individuale, onore familiare e del clan, onore della nazione. Era la fedeltà alla parola data, era la lealtà verso il proprio superiore gerarchico, era l’assunzione piena della propria responsabilità, fino al sacrificio della vita se necessario. Venir meno a questi obblighi significava essere disonorati, diventare dei reietti, la peggiore delle sanzioni. Era un ideale aristocratico, che si trasmise anche ai borghesi, quando la borghesia era una classe di mercanti, imprenditori e liberi professionisti che avevano il culto del risparmio, dell’oculata amministrazione del patrimonio, del rischio calcolato nell’investire il proprio. In àmbito borghese il valore dell’onore si identificò con quello dell’onestà. Nelle transazioni commerciali, negli affari, fra chi aveva fama di onestà bastava una stretta di mano. Questa civiltà di valori si trasmise ai proletari. C’era un profondo senso dell’onore e dell’onestà anche fra le famiglie più umili. Anche fra loro, come fra i borghesi, era impegno d’onore non fare debiti, e, qualora le ristrettezze obbligassero a indebitarsi, onorarli nel più breve tempo possibile. Meravigliosa civiltà quella dei genitori proletari che orgogliosamente potevano dire: “abbiamo allevato i nostri figli e li abbiamo fatti studiare senza fare debiti”.
C’era orgoglio, quell’orgoglio che non va confuso con la superbia, essendo invece il fondamento di ogni vita retta, di ogni schiena dritta. Tutto ciò viveva nella coscienza collettiva, era un Centro, un Asse spirituale che informava di sé una società, un mondo. Non esigeva norma scritta, era inciso nei cuori. Era il complesso di ideali che dava significato all’esistenza. Nessuno pensava che il senso dell’esistere fosse “godersi la vita”, quell’imperativo che domina la scena della nostra decadenza e si traduce nel suo contrario, secondo la legge implacabile dell’eterogenesi dei fini. Considerazioni inattuali, in un’epoca che basa la propria prosperità sul debito. Debiti degli individui, delle famiglie, degli enti locali, degli Stati, denaro che genera denaro in un abracadabra demoniaco, debiti appianati con altri debiti in una vertiginosa spirale di follia.
Onore, onestà, orgoglio, orrore dell’indebitamento, ideali di comportamento che costituivano una spiritualità capace di trascorrere in tutte le membra della comunità, di trasmettersi a tutti i ceti. Era una linfa che dalle radici saliva al tronco e si diffondeva nei rami. La nostra antimodernità prova nostalgia per quel mondo di valori. Non rimpiangiamo i viaggi a dorso di mulo nè le pastorellerie dei paeselli. Vorremmo una rigenerazione in cui il senso dell’onore, con tutti i suoi corollari, venisse ripristinato nelle coscienze, prima che nelle leggi.
Dobbiamo essere consapevoli che non si recupera una spiritualità perduta con gli appelli moralistici e con le belle parole. Occorre prima un rivolgimento politico, nelle istituzioni e nelle strutture economiche, che sarà reso possibile solo dall’insostenibilità degli equilibri attuali. Occorre che nella nuova società emerga un’élite capace di guadagnarsi un tale prestigio da infondere i suoi valori all’intero corpo sociale. Occorre che generazioni siano educate agli ideali veri. Un’educazione che scaturisca dall’intero tessuto sociale, non solo dalla scuola in senso stretto, una scuola oggi talmente screditata che si può dubitare dell’opportunità di mantenerla in vita. Una tale opera gigantesca, di costruzione di una nuova spiritualità dopo il passaggio attraverso il nichilismo della distruzione dell’esistente, è qualcosa che va oltre le risorse puramente umane. Bisogna confidare anche nell’azione misteriosa di una legge ciclica della storia che ci trascende.

di Luciano Fuschini

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03 luglio 2011

Il recupero dell'onore







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Il lamento sulla perdita dei valori è ormai un luogo comune che rimbalza dai negozi dei parrucchieri ai mercati ortofrutticoli, passando per i salotti quando il sonoro della TV è abbassato per consentire il chiacchiericcio. Quando si tenta di precisare quali siano questi famosi valori, si parla sempre di mancanza di rispetto, di maleducazione, di perdita di sensibilità per il bene comune, e altri bla bla. Propongo un valore che è andato completamente perduto e di cui nessuno parla più: il senso dell’Onore. Chi ne parlasse oggi passerebbe per un fascista ritardato o per un siciliano geloso, figure vagamente bizzarre e demodé.
L’onore era un valore fondamentale, la colonna portante di una civiltà che fu. Onore individuale, onore familiare e del clan, onore della nazione. Era la fedeltà alla parola data, era la lealtà verso il proprio superiore gerarchico, era l’assunzione piena della propria responsabilità, fino al sacrificio della vita se necessario. Venir meno a questi obblighi significava essere disonorati, diventare dei reietti, la peggiore delle sanzioni. Era un ideale aristocratico, che si trasmise anche ai borghesi, quando la borghesia era una classe di mercanti, imprenditori e liberi professionisti che avevano il culto del risparmio, dell’oculata amministrazione del patrimonio, del rischio calcolato nell’investire il proprio. In àmbito borghese il valore dell’onore si identificò con quello dell’onestà. Nelle transazioni commerciali, negli affari, fra chi aveva fama di onestà bastava una stretta di mano. Questa civiltà di valori si trasmise ai proletari. C’era un profondo senso dell’onore e dell’onestà anche fra le famiglie più umili. Anche fra loro, come fra i borghesi, era impegno d’onore non fare debiti, e, qualora le ristrettezze obbligassero a indebitarsi, onorarli nel più breve tempo possibile. Meravigliosa civiltà quella dei genitori proletari che orgogliosamente potevano dire: “abbiamo allevato i nostri figli e li abbiamo fatti studiare senza fare debiti”.
C’era orgoglio, quell’orgoglio che non va confuso con la superbia, essendo invece il fondamento di ogni vita retta, di ogni schiena dritta. Tutto ciò viveva nella coscienza collettiva, era un Centro, un Asse spirituale che informava di sé una società, un mondo. Non esigeva norma scritta, era inciso nei cuori. Era il complesso di ideali che dava significato all’esistenza. Nessuno pensava che il senso dell’esistere fosse “godersi la vita”, quell’imperativo che domina la scena della nostra decadenza e si traduce nel suo contrario, secondo la legge implacabile dell’eterogenesi dei fini. Considerazioni inattuali, in un’epoca che basa la propria prosperità sul debito. Debiti degli individui, delle famiglie, degli enti locali, degli Stati, denaro che genera denaro in un abracadabra demoniaco, debiti appianati con altri debiti in una vertiginosa spirale di follia.
Onore, onestà, orgoglio, orrore dell’indebitamento, ideali di comportamento che costituivano una spiritualità capace di trascorrere in tutte le membra della comunità, di trasmettersi a tutti i ceti. Era una linfa che dalle radici saliva al tronco e si diffondeva nei rami. La nostra antimodernità prova nostalgia per quel mondo di valori. Non rimpiangiamo i viaggi a dorso di mulo nè le pastorellerie dei paeselli. Vorremmo una rigenerazione in cui il senso dell’onore, con tutti i suoi corollari, venisse ripristinato nelle coscienze, prima che nelle leggi.
Dobbiamo essere consapevoli che non si recupera una spiritualità perduta con gli appelli moralistici e con le belle parole. Occorre prima un rivolgimento politico, nelle istituzioni e nelle strutture economiche, che sarà reso possibile solo dall’insostenibilità degli equilibri attuali. Occorre che nella nuova società emerga un’élite capace di guadagnarsi un tale prestigio da infondere i suoi valori all’intero corpo sociale. Occorre che generazioni siano educate agli ideali veri. Un’educazione che scaturisca dall’intero tessuto sociale, non solo dalla scuola in senso stretto, una scuola oggi talmente screditata che si può dubitare dell’opportunità di mantenerla in vita. Una tale opera gigantesca, di costruzione di una nuova spiritualità dopo il passaggio attraverso il nichilismo della distruzione dell’esistente, è qualcosa che va oltre le risorse puramente umane. Bisogna confidare anche nell’azione misteriosa di una legge ciclica della storia che ci trascende.

di Luciano Fuschini

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