22 ottobre 2011

Ma la Casta non si indigna di se stessa

http://static.fanpage.it/socialmediafanpage/wp-content/uploads/2011/05/Parlamento-230x155.jpg

Il ministero dell’Economia, sempre così lento quando si tratta di trovare fondi per lo sviluppo, ha deliberato con lestezza da furetto che il taglio degli stipendi si applica a tutti i dirigenti pubblici tranne che a ministri e sottosegretari. Non solo a lorsignori non verrà più trattenuto neppure un euro, ma con la busta paga di novembre si vedranno restituire con tante scuse le decurtazioni dei mesi scorsi.

Da tempo attendiamo dalla Casta un segnale di rinsavimento, un gesto minimo di coerenza che inauguri qualche cambio d’abitudini. Per far digerire i sacrifici di Ferragosto ci avevano promesso la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle Province e altre prelibatezze. Ma che fine ha riservato l’autunno alle parole fiorite davanti ai microfoni estivi? La riduzione dei parlamentari è appassita all’interno dell’ennesimo progetto di riforma universale delle istituzioni, il Calderolone, che come tutti i suoi predecessori non verrà mai approvato.

L’ abolizione di alcune Province, già annunciata in pompa magna dal governo, è attualmente stipata nell’ultimo ripiano del freezer, in attesa che qualcuno si ricordi di scongelarla, ma vedrete che resterà lì. E il ridimensionamento delle retribuzioni? Per essere sicuri che non si facesse, è stata istituita una commissione apposita che avrebbe dovuto decidere entro il 31 dicembre, se non fosse già nata con la deroga incorporata: fino al 31 marzo, quando si andrà a votare oppure si ricomincerà a prorogare. Ah, ma almeno per i vitalizi nessuna pietà. A-bo-li-ti. Dalla prossima legislatura, naturalmente. E solo dopo la creazione di un nuovo sistema previdenziale. Chi lo indicherà? Ma una commissione. Prorogabile. Prorogabilissima.

Il sondaggio mostrato l’altra sera a Ballarò da Pagnoncelli era piuttosto sconvolgente: il 61% dei cittadini italiani ritiene seriamente che l’intervento prioritario contro la crisi non sia la detassazione del lavoro, la patrimoniale o un piano robusto di lavori pubblici, ma la riduzione del numero dei parlamentari. Con il collega Carlo Bertini, nostro esperto in Casta e dintorni, abbiamo fatto i conti della serva. Gli stipendi e i rimborsi spese di senatori e deputati ci costano 200 milioni di euro l’anno. Dimezzandoli ne risparmieremmo 100. Una benedizione, ma pur sempre una goccia nell’oceano del debito pubblico, ormai prossimo alla soglia psicologica dei duemila miliardi.

Eppure, nell’esprimere la loro opinione economicamente assurda, gli italiani non sono stati affatto stupidi o qualunquisti. Hanno mandato un messaggio politico. Dai loro rappresentanti pretendono qualcosa di cui sentono d’avere terribilmente bisogno: il buon esempio. Provate a immaginare se domattina i leader di destra e di sinistra, smettendo per un giorno di delegittimarsi a vicenda, si presentassero insieme in conferenza stampa per annunciare la volontà di lavorare gratis fino al termine della legislatura. Sarebbe un gesto populista? Può darsi. Ma li renderebbe più autorevoli nel momento in cui si accingessero a chiedere sforzi ulteriori ai contribuenti. Durante la tempesta i capitani che vogliono essere obbediti non si barricano nei propri appartamenti con le scorte di caviale, ma stanno in mezzo alla ciurma condividendone i rischi e i disagi.

Qualcuno mi ha suggerito di scrivere questo stesso articolo tutti i giorni, «finché non si arrendono», ma temo che i lettori si stuferebbero molto prima degli onorevoli. La Casta è totalmente sganciata dal mondo reale. Altrimenti si sarebbe accorta che nel disprezzo che gli italiani manifestano per i suoi stipendi si cela un giudizio più profondo: il disprezzo per l’inutilità del suo lavoro e per l’incompetenza di una parte consistente dei suoi esponenti. Il problema vero non è che guadagnano troppo. E’ che fanno ben poco per meritarsi quel che guadagnano.

Rusconi e Galli della Loggia hanno scritto che l’unica via di uscita dalla sterilità dell’indignazione è il ritorno alla politica. Non però alla delega politica. Se intende sopravvivere, la democrazia non potrà più esaurirsi in una crocetta da apporre su una scheda ogni cinque anni. Quel 61% che considera i politici la rovina del nostro Paese trovi qualche ora del proprio tempo da dedicare alla comunità. Solo ripartendo dal basso si potrà selezionare una classe dirigente nuova, alla quale auguro di guadagnare tantissimo, ma soltanto sulla base dei risultati.

di Massimo Gramellini

21 ottobre 2011

Il modello argentino funziona: c'è vita dopo il default e dopo il FMI


L'esempio argentino di dire no al Fondo Monetario ed ai suoi creditori viene discusso nei paesi europei, in particolare in Grecia, Portogallo e Irlanda, come alternativa alla brutale austerità dettata da Bruxelles e dal Fondo Monetario. Per tutta risposta, l'FMI e l'amministrazione Obama hanno rinnovato i loro attacchi contro l'Argentina, annunciando che avrebbero votato contro nuovi prestiti al paese da parte della Banca Mondiale. Poco prima, a metà settembre, la direttrice dell'FMI Christine Lagarde ha dichiarato che il Fondo non avrebbe usato i dati dell'ente di statistica ufficiale argentino per valutare il PIL ed il tasso di inflazione del paese, perché tali dati sarebbero "troppo inattendibili". Invece, l'FMI raccoglierà dati tramite "consulenti privati".

Le ha risposto la Presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, in un discorso nella provincia di Mendoza il 26 settembre. Non solo fu il FMI a causare la crisi del 2001 e l'insolvenza dell'Argentina, ha accusato la Fernandez, ma oggi "nel mezzo del più grave fallimento nella storia recente…coloro che furono direttamente responsabili del fallimento dell'Argentina nel 2001, e di quello dell'Europa e degli Stati Uniti oggi, stanno ancora cercando di costringere il mondo ad inghiottire la stessa medicina che diedero a noi per dieci anni e che ci portò alla rovina! Tanta idiozia, tanta testardaggine è inconcepibile. Come possono dire che l'economia verrà riattivata e crescerà con l'austerità? Non ha alcun senso!"

Si sappia, prosegue la Presidente argentina, che "da noi le decisioni sulla politica economica vengono prese nella Casa Rosada (il palazzo presidenziale) ed al Congresso nazionale, all'interno delle nostre istituzioni nazionali" e non in enti di consulenza privata o dettati da enti finanziari stranieri. Negli anni Ottanta e negli anni Novanta, ha ricordato la Presidente, il Congresso argentino si fece in quattro per attuare il diktat straniero "eppure il mondo continuò a crollare, e l'Argentina continuò a crollarci addosso".

La Kirchner era a Mendoza per inaugurare l'espansione della rete elettrica, e nel farlo ha ricordato che il suo defunto marito, il Presidente Nestor Kirchner, amava costruire infrastrutture "perché sosteneva che questo era il progresso". Quando si porta l'energia e l'elettricità a regioni che non ce l'hanno "si porta l'eguaglianza, la sovranità e il federalismo in posti che erano stati ignorati storicamente". Ha ricordato il primo discorso di Nestor all'Assemblea Generale dell'ONU nel 2003, in cui disse che all'Argentina bisogna permettere di crescere, perché non aveva mai sentito di morti che possono pagare i loro debiti.

Ha citato quello stesso discorso all'Assemblea Generale dell'ONU il 21 settembre scorso. Allora, quasi un quarto della popolazione argentina era senza lavoro, e i livelli di indigenza e povertà superavano il 50%, dopo il default del paese nel 2001. Negli 8 anni successivi, ha detto la Kirchner, "l'Argentina ristrutturò il suo debito, riducendolo dal 160% a meno del 30% del PIL. I livelli di povertà e indigenza scesero a una cifra, e stiamo ancora continuando questa battaglia. Abbiamo un tasso di disoccupazione che è il più basso mai avuto".

"Nel 2003 destinavamo il 2% del PIL all'istruzione ed il 5% a pagare il debito. Oggi l'Argentina destina il 6,47% del PIL all'istruzione e il 2% del PIL a pagare il debito...

A Mendoza la Presidente argentina ha sottolineato il fatto che tutto ciò che hanno fatto lei e suo marito mirava a "liberare" il popolo argentino, e particolarmente i giovani, lasciando loro "un paese migliore, liberandoli dalla miseria, dal fallimento, dalla frustrazione e dalla povertà".

by MoviSol

20 ottobre 2011

Italia: un Paese di cittadini ipnotizzati





http://www.bafan.it/wp-content/uploads/2011/01/bafan-3.jpg


Il Presidente del Consiglio dichiara che "non ci sono soldi per lo sviluppo" - e gli imprenditori gli rispondono che "il tempo è scaduto. Ora bisogna fare", come se si potesse davvero fare qualcosa nel senso che vorrebbero, in una crisi "di crescita" dalla quale si pretende di uscire con ulteriore crescita. La Fiat perde quasi un altro 8% nelle vendite rispetto a un anno addietro, Standard & Poor's taglia il rating a ventiquattro Banche italiane e il nostro spread con i Titoli di Stato tedeschi ritorna alla soglia dei 380 punti.
Nel frattempo l'inflazione torna a salire grazie ai prezzi al consumo dei prodotti che, nel nostro mondo, non è possibile evitare di comperare: carburanti in primo luogo, e presto, vedremo, gas e combustibile per il riscaldamento, dunque energia elettrica e insomma ciò che, in un Paese come il nostro, che insieme a tanti altri dipende fortemente dalle energie non rinnovabili, serve semplicemente per vivere. Ovvero per non rimanere al buio e al freddo, oltre che per mangiare, visto che la maggior parte della nostra merce, cibo in primo luogo, viaggia ancora migliaia di kilometri prima di raggiungere le nostre tavole.
Siamo un Paese che - salvo rarissime sacche di resistenza, anzi di rinascita, ovvero decrescita - non consuma cibo locale, non usa mezzi alternativi di trasporto (complice il sistema fatiscente del nostro servizio pubblico e la pigrizia, in molti casi) e non ha in larghissima maggioranza neanche il pensiero culturale per decidersi a investire, anche in proprio, in fonti di energia alternativa.
Un esempio su tutti: Luca Mercalli, autore di un semplice e rapido libro edito da Chiarelettere, "Prepariamoci" (in vendita anche nella nostra Biblioteca Ribelle) scrive senza mezzi termini che la maggior parte degli italiani sono pronti a trovare mille giustificazioni per non tentare l'investimento di un impianto fotovoltaico ma sono pronti senza battere ciglio (anche se non è più come prima) a sottoscrivere cambiali per 60 mesi investendo in una nuova autovettura.
Ma la cosa più imbarazzante è un'altra: non si tratta di Berlusconi e delle sue dichiarazioni senili, non si tratta dei media di massa che vanno dietro al teatrino e non si tratta neanche di una opposizione che non è affatto alternativa al governo in carica. Cioè, più precisamente, non si tratta della situazione in sé che è evidentemente disastrosa e senza via di ripresa: si tratta della assoluta ipnosi della maggior parte dei cittadini di fronte alla realtà.
I dati oramai ci sono, e con un minimo di curiosità, consapevolezza e voglia - soprattutto grazie a internet, bisogna pur dirlo - sono a disposizione di tutti. Di tutti quelli che vogliano prendere coscienza delle situazione e iniziare sul serio a pensare a "come cavarsela" in questo mondo in disfacimento. Ecco, di questi nel nostro Paese vi è rara traccia.
Il discorso non è ovviamente rivolto agli abbonati a questo giornale - che sono in aumento giorno per giorno: grazie! - e che sanno da anni, ormai, visto che lo scriviamo da tanto tempo, dove saremmo arrivati e con molta probabilità a dove fatalmente arriveremo. Il discorso è diretto agli altri, a quelli che vanno in piazza senza capire chi è il vero nemico, a quelli che continuano a votare da una parte o dall'altra (ma il partito degli astensionisti diventa sempre più quello maggioritario in Italia) a chi sul serio pensa che il problema sia malgoverno & affini.
A chi, insomma, non ha voglia di prendere di petto la situazione, capire che si è vissuto in un modo sbagliato, in un sistema di sviluppo destinato alla fine, e che dunque è davvero il caso di caricarsi il peso che ci spetta: il nostro tempo, che è un tempo di transizione verso un nuovo paradigma, per quello che questo voglia dire - ed è tutto da scrivere e da vedere - ma non abbiamo scelta. Insomma a chi abbia il coraggio di voler vivere la propria storia sino in fondo.

di Valerio Lo Monaco

22 ottobre 2011

Ma la Casta non si indigna di se stessa

http://static.fanpage.it/socialmediafanpage/wp-content/uploads/2011/05/Parlamento-230x155.jpg

Il ministero dell’Economia, sempre così lento quando si tratta di trovare fondi per lo sviluppo, ha deliberato con lestezza da furetto che il taglio degli stipendi si applica a tutti i dirigenti pubblici tranne che a ministri e sottosegretari. Non solo a lorsignori non verrà più trattenuto neppure un euro, ma con la busta paga di novembre si vedranno restituire con tante scuse le decurtazioni dei mesi scorsi.

Da tempo attendiamo dalla Casta un segnale di rinsavimento, un gesto minimo di coerenza che inauguri qualche cambio d’abitudini. Per far digerire i sacrifici di Ferragosto ci avevano promesso la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle Province e altre prelibatezze. Ma che fine ha riservato l’autunno alle parole fiorite davanti ai microfoni estivi? La riduzione dei parlamentari è appassita all’interno dell’ennesimo progetto di riforma universale delle istituzioni, il Calderolone, che come tutti i suoi predecessori non verrà mai approvato.

L’ abolizione di alcune Province, già annunciata in pompa magna dal governo, è attualmente stipata nell’ultimo ripiano del freezer, in attesa che qualcuno si ricordi di scongelarla, ma vedrete che resterà lì. E il ridimensionamento delle retribuzioni? Per essere sicuri che non si facesse, è stata istituita una commissione apposita che avrebbe dovuto decidere entro il 31 dicembre, se non fosse già nata con la deroga incorporata: fino al 31 marzo, quando si andrà a votare oppure si ricomincerà a prorogare. Ah, ma almeno per i vitalizi nessuna pietà. A-bo-li-ti. Dalla prossima legislatura, naturalmente. E solo dopo la creazione di un nuovo sistema previdenziale. Chi lo indicherà? Ma una commissione. Prorogabile. Prorogabilissima.

Il sondaggio mostrato l’altra sera a Ballarò da Pagnoncelli era piuttosto sconvolgente: il 61% dei cittadini italiani ritiene seriamente che l’intervento prioritario contro la crisi non sia la detassazione del lavoro, la patrimoniale o un piano robusto di lavori pubblici, ma la riduzione del numero dei parlamentari. Con il collega Carlo Bertini, nostro esperto in Casta e dintorni, abbiamo fatto i conti della serva. Gli stipendi e i rimborsi spese di senatori e deputati ci costano 200 milioni di euro l’anno. Dimezzandoli ne risparmieremmo 100. Una benedizione, ma pur sempre una goccia nell’oceano del debito pubblico, ormai prossimo alla soglia psicologica dei duemila miliardi.

Eppure, nell’esprimere la loro opinione economicamente assurda, gli italiani non sono stati affatto stupidi o qualunquisti. Hanno mandato un messaggio politico. Dai loro rappresentanti pretendono qualcosa di cui sentono d’avere terribilmente bisogno: il buon esempio. Provate a immaginare se domattina i leader di destra e di sinistra, smettendo per un giorno di delegittimarsi a vicenda, si presentassero insieme in conferenza stampa per annunciare la volontà di lavorare gratis fino al termine della legislatura. Sarebbe un gesto populista? Può darsi. Ma li renderebbe più autorevoli nel momento in cui si accingessero a chiedere sforzi ulteriori ai contribuenti. Durante la tempesta i capitani che vogliono essere obbediti non si barricano nei propri appartamenti con le scorte di caviale, ma stanno in mezzo alla ciurma condividendone i rischi e i disagi.

Qualcuno mi ha suggerito di scrivere questo stesso articolo tutti i giorni, «finché non si arrendono», ma temo che i lettori si stuferebbero molto prima degli onorevoli. La Casta è totalmente sganciata dal mondo reale. Altrimenti si sarebbe accorta che nel disprezzo che gli italiani manifestano per i suoi stipendi si cela un giudizio più profondo: il disprezzo per l’inutilità del suo lavoro e per l’incompetenza di una parte consistente dei suoi esponenti. Il problema vero non è che guadagnano troppo. E’ che fanno ben poco per meritarsi quel che guadagnano.

Rusconi e Galli della Loggia hanno scritto che l’unica via di uscita dalla sterilità dell’indignazione è il ritorno alla politica. Non però alla delega politica. Se intende sopravvivere, la democrazia non potrà più esaurirsi in una crocetta da apporre su una scheda ogni cinque anni. Quel 61% che considera i politici la rovina del nostro Paese trovi qualche ora del proprio tempo da dedicare alla comunità. Solo ripartendo dal basso si potrà selezionare una classe dirigente nuova, alla quale auguro di guadagnare tantissimo, ma soltanto sulla base dei risultati.

di Massimo Gramellini

21 ottobre 2011

Il modello argentino funziona: c'è vita dopo il default e dopo il FMI


L'esempio argentino di dire no al Fondo Monetario ed ai suoi creditori viene discusso nei paesi europei, in particolare in Grecia, Portogallo e Irlanda, come alternativa alla brutale austerità dettata da Bruxelles e dal Fondo Monetario. Per tutta risposta, l'FMI e l'amministrazione Obama hanno rinnovato i loro attacchi contro l'Argentina, annunciando che avrebbero votato contro nuovi prestiti al paese da parte della Banca Mondiale. Poco prima, a metà settembre, la direttrice dell'FMI Christine Lagarde ha dichiarato che il Fondo non avrebbe usato i dati dell'ente di statistica ufficiale argentino per valutare il PIL ed il tasso di inflazione del paese, perché tali dati sarebbero "troppo inattendibili". Invece, l'FMI raccoglierà dati tramite "consulenti privati".

Le ha risposto la Presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, in un discorso nella provincia di Mendoza il 26 settembre. Non solo fu il FMI a causare la crisi del 2001 e l'insolvenza dell'Argentina, ha accusato la Fernandez, ma oggi "nel mezzo del più grave fallimento nella storia recente…coloro che furono direttamente responsabili del fallimento dell'Argentina nel 2001, e di quello dell'Europa e degli Stati Uniti oggi, stanno ancora cercando di costringere il mondo ad inghiottire la stessa medicina che diedero a noi per dieci anni e che ci portò alla rovina! Tanta idiozia, tanta testardaggine è inconcepibile. Come possono dire che l'economia verrà riattivata e crescerà con l'austerità? Non ha alcun senso!"

Si sappia, prosegue la Presidente argentina, che "da noi le decisioni sulla politica economica vengono prese nella Casa Rosada (il palazzo presidenziale) ed al Congresso nazionale, all'interno delle nostre istituzioni nazionali" e non in enti di consulenza privata o dettati da enti finanziari stranieri. Negli anni Ottanta e negli anni Novanta, ha ricordato la Presidente, il Congresso argentino si fece in quattro per attuare il diktat straniero "eppure il mondo continuò a crollare, e l'Argentina continuò a crollarci addosso".

La Kirchner era a Mendoza per inaugurare l'espansione della rete elettrica, e nel farlo ha ricordato che il suo defunto marito, il Presidente Nestor Kirchner, amava costruire infrastrutture "perché sosteneva che questo era il progresso". Quando si porta l'energia e l'elettricità a regioni che non ce l'hanno "si porta l'eguaglianza, la sovranità e il federalismo in posti che erano stati ignorati storicamente". Ha ricordato il primo discorso di Nestor all'Assemblea Generale dell'ONU nel 2003, in cui disse che all'Argentina bisogna permettere di crescere, perché non aveva mai sentito di morti che possono pagare i loro debiti.

Ha citato quello stesso discorso all'Assemblea Generale dell'ONU il 21 settembre scorso. Allora, quasi un quarto della popolazione argentina era senza lavoro, e i livelli di indigenza e povertà superavano il 50%, dopo il default del paese nel 2001. Negli 8 anni successivi, ha detto la Kirchner, "l'Argentina ristrutturò il suo debito, riducendolo dal 160% a meno del 30% del PIL. I livelli di povertà e indigenza scesero a una cifra, e stiamo ancora continuando questa battaglia. Abbiamo un tasso di disoccupazione che è il più basso mai avuto".

"Nel 2003 destinavamo il 2% del PIL all'istruzione ed il 5% a pagare il debito. Oggi l'Argentina destina il 6,47% del PIL all'istruzione e il 2% del PIL a pagare il debito...

A Mendoza la Presidente argentina ha sottolineato il fatto che tutto ciò che hanno fatto lei e suo marito mirava a "liberare" il popolo argentino, e particolarmente i giovani, lasciando loro "un paese migliore, liberandoli dalla miseria, dal fallimento, dalla frustrazione e dalla povertà".

by MoviSol

20 ottobre 2011

Italia: un Paese di cittadini ipnotizzati





http://www.bafan.it/wp-content/uploads/2011/01/bafan-3.jpg


Il Presidente del Consiglio dichiara che "non ci sono soldi per lo sviluppo" - e gli imprenditori gli rispondono che "il tempo è scaduto. Ora bisogna fare", come se si potesse davvero fare qualcosa nel senso che vorrebbero, in una crisi "di crescita" dalla quale si pretende di uscire con ulteriore crescita. La Fiat perde quasi un altro 8% nelle vendite rispetto a un anno addietro, Standard & Poor's taglia il rating a ventiquattro Banche italiane e il nostro spread con i Titoli di Stato tedeschi ritorna alla soglia dei 380 punti.
Nel frattempo l'inflazione torna a salire grazie ai prezzi al consumo dei prodotti che, nel nostro mondo, non è possibile evitare di comperare: carburanti in primo luogo, e presto, vedremo, gas e combustibile per il riscaldamento, dunque energia elettrica e insomma ciò che, in un Paese come il nostro, che insieme a tanti altri dipende fortemente dalle energie non rinnovabili, serve semplicemente per vivere. Ovvero per non rimanere al buio e al freddo, oltre che per mangiare, visto che la maggior parte della nostra merce, cibo in primo luogo, viaggia ancora migliaia di kilometri prima di raggiungere le nostre tavole.
Siamo un Paese che - salvo rarissime sacche di resistenza, anzi di rinascita, ovvero decrescita - non consuma cibo locale, non usa mezzi alternativi di trasporto (complice il sistema fatiscente del nostro servizio pubblico e la pigrizia, in molti casi) e non ha in larghissima maggioranza neanche il pensiero culturale per decidersi a investire, anche in proprio, in fonti di energia alternativa.
Un esempio su tutti: Luca Mercalli, autore di un semplice e rapido libro edito da Chiarelettere, "Prepariamoci" (in vendita anche nella nostra Biblioteca Ribelle) scrive senza mezzi termini che la maggior parte degli italiani sono pronti a trovare mille giustificazioni per non tentare l'investimento di un impianto fotovoltaico ma sono pronti senza battere ciglio (anche se non è più come prima) a sottoscrivere cambiali per 60 mesi investendo in una nuova autovettura.
Ma la cosa più imbarazzante è un'altra: non si tratta di Berlusconi e delle sue dichiarazioni senili, non si tratta dei media di massa che vanno dietro al teatrino e non si tratta neanche di una opposizione che non è affatto alternativa al governo in carica. Cioè, più precisamente, non si tratta della situazione in sé che è evidentemente disastrosa e senza via di ripresa: si tratta della assoluta ipnosi della maggior parte dei cittadini di fronte alla realtà.
I dati oramai ci sono, e con un minimo di curiosità, consapevolezza e voglia - soprattutto grazie a internet, bisogna pur dirlo - sono a disposizione di tutti. Di tutti quelli che vogliano prendere coscienza delle situazione e iniziare sul serio a pensare a "come cavarsela" in questo mondo in disfacimento. Ecco, di questi nel nostro Paese vi è rara traccia.
Il discorso non è ovviamente rivolto agli abbonati a questo giornale - che sono in aumento giorno per giorno: grazie! - e che sanno da anni, ormai, visto che lo scriviamo da tanto tempo, dove saremmo arrivati e con molta probabilità a dove fatalmente arriveremo. Il discorso è diretto agli altri, a quelli che vanno in piazza senza capire chi è il vero nemico, a quelli che continuano a votare da una parte o dall'altra (ma il partito degli astensionisti diventa sempre più quello maggioritario in Italia) a chi sul serio pensa che il problema sia malgoverno & affini.
A chi, insomma, non ha voglia di prendere di petto la situazione, capire che si è vissuto in un modo sbagliato, in un sistema di sviluppo destinato alla fine, e che dunque è davvero il caso di caricarsi il peso che ci spetta: il nostro tempo, che è un tempo di transizione verso un nuovo paradigma, per quello che questo voglia dire - ed è tutto da scrivere e da vedere - ma non abbiamo scelta. Insomma a chi abbia il coraggio di voler vivere la propria storia sino in fondo.

di Valerio Lo Monaco