16 dicembre 2011

Europa sentinella del debito




Una crisi economica, soprattutto come quella che negli ultimi tre anni ha investito l’intero pianeta, non è mai solo una crisi monetaria. Nel migliore dei casi, vanno in crisi i governi politici degli stati, nel peggiore si scatenano le guerre mondiali, nella media tragicità, a crollare sono le strutture inter e sovra-nazionali. È quello che sta accedendo in Europa. Investita dal crack del sistema finanziario americano del 2008, sono cominciati a saltare i governi delle nazioni più esposte (Spagna, Grecia, Italia in primis). Se per le guerre mondiali forse ci vorrà del tempo (ma gli spifferi iraniani stanno già soffiando forte) quello scaduto sembra essere il tempo dell’euro-moneta come collante e propulsione degli assetti politici del Vecchio Continente. Già la settimana scorsa la Gran Bretagna, che pure all’euro aveva rinunciato in partenza, tenendosi la sterlina, ha rifiutato di entrare nella Ue dei cosiddetti 27 (ora, 26) e adesso non appare del tutto campata in aria l’ipotesi che la stessa Germania possa tornare al marco. Accadesse questo, tutta l’architettura europea fin qui concepita, e più o meno bene (anzi: male) realizzata, crollerebbe lasciando spazio a scenari ben poco prevedibili.

In questo contesto di assoluta incertezza, tutto ciò che rimane fermo e indiscutibile sono le misure che si ritengono imprescindibili per far fronte ai debiti degli stati in crisi (economica ma non solo) e che vanno sotto il nome generico di quei cosiddetti “sacrifici” che sono la ricerca di nuove entrate fiscali e di tagli alla spesa pubblica. Ora, perfino se il quadro europeo, compreso quello che riguarda strettamente la sorte della moneta unica, fosse chiaro e solido sarebbe da dubitare dell’efficacia della formula dei “sacrifici”, ma siccome così non è, il sospetto che il “taglia e prendi” proposto e imposto per l’ennesima volta come soluzione unica per evitare il default, sia un viatico alla salvezza dal fallimento è doveroso. Soprattutto, quando il sistema che regge in piedi lo stato liberista è fondato sul principio del produrre consumo per aumentare la produzione e incrementare nuovamente il consumo. Non ci vuole un genio per capire che congelando i contratti salariali e le pensioni, introducendo nuove tasse, aumentando l’Iva e le accise su generi di prima necessità come la benzina, la liquidità da destinare al consumo non può che flettere in basso (deflazione) con conseguente recessione della produzione.

È un percorso talmente noto e matematico che a stupire è solo il fatto che venga puntualmente riproposto. O meglio: stupirebbe se ci attardassimo ancora a considerare chi adotta e impone queste misure interessato alla sorte degli stati sociali e non, come ormai dovrebbe essere palese, a mantenerne in vita un altro: quello del sistema finanziario che impera. Perché, se si leggono in questa ottica, le misure di “austerità” (il “taglia e prendi” di cui si dice sopra) hanno un senso logico e coerente: quello di cristallizzare stato ed individui nella condizione di debitori. Lo ha spiegato benissimo il prof. Christian Marrazzi, in un’intervista del 3 dicembre a Ida Dominijanni del Manifesto: «Il neo-liberalismo si invera nella sua essenza di fabbrica dell’uomo indebitato. L’imprenditore di se stesso produce il suo debito che ora lo disciplina attraverso un dispositivo di colpevolizzazione. Del resto, qui c’è anche un inveramento, o uno svelamento, dell’essenza del denaro: il denaro è debito, la finanziarizzazione del capitale ci ha trasformati tutti in soggetti debitori, e il valore viene prodotto in negativo, da una macchina depressiva».

La “macchina depressiva” della finanziarizzazione del debito è potente e i segnali di un suo possibile arresto tardano ad arrivare. A meno che non si vogliano leggere come segni di sua debolezza la discesa in campo in prima persona dei banchieri alla guida degli stati e la sospensione della politica, se non proprio della democrazia, come avvenuto in Grecia e Italia negli ultimi mesi. Ovvero: vi è da chiedersi se la esposizione politica di uomini già legati alla Goldman Sachs (Mario Monti) e alla Bce (Lucas Papademos), istituti con grossissime responsabilità nella crisi in corso, non sia il tentativo di mettere pezze a un tessuto che tende a lacerarsi. Lo stesso Marrazzi sostiene che «La de-finanziarizzazione la sta approntando il capitalismo stesso nella forma recessiva della riduzione del debito» a causa della riduzione forzosa della liquidità del consumatore. È, in fondo, ancora un atto di fede nell’antica profezia marxiana del capitalismo che perirà per via delle sue contraddizioni.

Nel frattempo, però, persino alcune correzioni come la socializzazione dei debiti pubblici degli stati, l’introduzione della tobin-tax planetaria, l’istituzione del reddito minimo garantito di cittadinanza sembrano più un’aspirazione utopica che la ragionevole proposta di mediazione fra agenti della crisi e vittime della stessa. Se è così, figuriamoci quale accoglienza potrebbe avere una proposta che sostenesse di uscire da questo sistema dichiarando la moratoria del debito, pubblico e privato, la nazionalizzazione delle banche e l’integrazione del lavoratore nella gestione delle imprese produttive, in un quadro politico generale di democrazia diretta e partecipata.

di Miro Renzaglia

15 dicembre 2011

Professori ben venduti






http://www.lospaziodellapolitica.com/wp-content/uploads/2011/11/monti-napolitano-284x300.jpg

“L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, [Professori] e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare [a noi, generazione più imbelle ed imbecille che sfortunata, invece, sì], perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, [forse all'epoca di chi scrive, mentre da vent’anni a questa parte l’eccezione si è fatta regola] ha per breve tempo fatto salire al potere in quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati[aspettiamo impazientemente quel momento], aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine”. (Benedetto Croce).

Gli italiani, un tempo, indipendentemente dalle appartenenze politiche e dalle convinzioni ideologiche erano semplicemente uomini intelligenti, come dimostra il paragrafo citato e ripreso da un articolo di Benedetto Croce, intitolato “L’onestà politica”. Sapevano pensare con la propria testa e non si preoccupavano dei prezzi e delle oscillazioni della domanda sul mercato dei concetti. Offrivano al mondo quello che avevano e non quello che quest’ultimo si aspettava da loro per applaudirli, riverirli e neutralizzarli. Niente svendite, e pochi sconti nelle botteghe autonome del pensiero. Nessun mercimonio di idee per la fama ed il denaro che quando arrivavano (senza suscitare finto sdegno ma nemmeno ostentazione senza ritegno) era quasi sempre per coerenza, bravura e rigorosità scientifica. Allora i supermercati dei pennivendoli e i discount delle puttane che elucubravano a gettone non erano così affollati, scarseggiavano persino o, almeno, non mettevano insegne così iridescenti e spudorate come quelle odierne. Sono passati ottant’anni dalle parole del filosofo napoletano e smarrita la sua filosofia c’è rimasto soltanto Napolitano il quale, contraddicendo ogni singola locuzione della speculazione crociana, ha innalzato l’imbecillità a ragione sovrana e l’inettitudine con la laurea a formula di gabinetto perfetto. La tecnica, foderata di imparzialità, ha svestito la politica e si è santificata indossando non il saio ma un loden. Poi respingendo quello spiritello di uno spread ha stretto un patto col demonio obamiano ricevendo l’immeritata beatificazione internazionale anzichè un urgente esorcismo nazionale. Tali intelligentoni, che fino a qualche mese fa non vedevano né le piaghe della crisi né i presagi del default, si sono fatti Stato e, già che c’erano, si sono fatti pure lo Stato con tutte le sue istituzioni, chiamando la loro orgia professionale fisiologia della salvezza nazionale. Sulle nostre teste annaspanti a causa della dappocaggine di chi ci governava innanzi è piovuto un salvagente di pietra, lanciatoci proprio da questi illustri professori, i quali sono stati talmente servizievoli verso la patria da averle fatto il servizio completo. L’unica speme che ci resta è quella sentenziata da Croce, e cioè che la Storia li rovesci in poco tempo con disonore ed infamia . Tuttavia, non basta il desiderio e lo scongiuro per liberarsi di questi usurpatori eleganti e calcolatori, spalleggiati da troppi signori forestieri fedelmente seguiti da autoctoni arcieri. Bisogna buttarli giù dalla torre eburnea prima che facciano danni oltre ogni aspettativa. In ogni caso, è proprio il principio ad essere errato. Ci vogliono gli eserciti per respingere gli assalti dei nemici. Con i professori, fino a prova contraria, si tengono lezioni ma non si danno sonore lezioni a nessuno. Dunque gli imbecilli, di stato, di partito e di aula universitaria, vanno messi da parte che così facendo si assolve la loro parte e la nostra. Scavando loro la fossa.

di Gianni Petrosillo

Restano solo le tasse






http://static.tuttogratis.it/628X0/attualita/tuttogratis/it/wp-content/uploads/2011/12/Finanziaria-Monti.jpg


Niente tagli alla casta, le Province e i tassisti resistono qualche sconto ai pensionati, gli evasori restano tranquilli


Più equa, non certo più leggera, probabilmente altrettanto inutile, visto che sono rimaste solo le tasse. Dopo una lunga giornata di emendamenti, parlamentari e governativi, di vertici e tensioni, la manovra del governo Monti assume quella che dovrebbe essere la sua forma definitiva. E il Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio ha deciso che, se necessario, il testo sarà blindato da un voto di fiducia.
Taxi no, farmacie sì
I mercati, che ieri hanno punito l’Italia spingendo ancora più su lo spread a quota 466, non avranno apprezzato le incertezze sulle poche misure per la crescita rimaste nella manovra. Prima un emendamento dei relatori, in commissione alla Camera, rinvia tutto al 2013. Poi in serata, su pressione del deputato di Fli Benedetto Della Vedova, il governo riporta la scadenza al 31 dicembre 2012: entro quella data devono esserci nuovi regolamenti che prevedano meno barriere di quelle attuali all’esercizio delle professioni, altrimenti cade ogni protezione. Si salvano solo i taxisti (solo per ora, promette il governo), e si infuria la lobby della NCC, il noleggio con conducente, che da anni aspetta che cadano le barriere sul lucroso settore del trasporto urbano in auto. Ma i più arrabbiati sono i farmacisti: “Le farmacie sono costrette a chiudere contro un governo capace solo di tagliare e smantellare i servizi che funzionano”, protesta Federfarma annunciando una “serrata” di protesta per lunedì. Il ministro della Salute Re-nato Balduzzi si è impuntato: i farmaci di fascia C, con obbligo di ricetta ma pagai per intero dal cliente, si potranno vendere nelle parafarmacie (tipo quelle dentro i super-mercati) nei Comuni sopra i 15 mila abitanti.
Pensionati a metà
Il Pd esulta perché anche le pensioni tra 1.000 e 1.400 euro saranno rivalutate per l’inflazione. Almeno nel 2012, per il 2013 la copertura al momento c’è solo per quelle fino a 1.000 euro. Come ci tiene a sottolineare Vieri Ceriani, sottosegretario all’Economia, c’è stato un intervento a favore dei redditi bassi anche per quanto riguarda i conti correnti: oggi tutti pagano un’imposta di bollo di 34,2 euro, nella nuova versione della manovra ne saranno esentati tutti quelli che in un anno tengono sul conto in media meno di 5 mila euro. E sono in tanti. Le imprese pagheranno 100 euro invece dei 73 attuali. E sempre il Pd ha incassato un minimo correttivo sullo “scalone” che alzava di botto l’età contributiva da 40 a 42 anni per gli assegni di anzianità (vedi pezzo qui sotto). La copertura per questi interventi a tutela dei più colpiti dalla riforma Fornero dovrebbe arrivare almeno in parte da un prelievo extra sulle pensioni più alte: all’aliquota extra del 10 per cento sugli assegni superiori ai 150 mila euro l’anno si aggiunge un ulteriore 15 per cento sulla parte che eccede i 200 mila. Le conquiste del centrosinistra si fermano qua, c’è un emendamento a cui i democratici tengono molto ma ha ancora un esito incerto: il tetto dei 290 mila euro all’anno agli stipendi dei super manager pubblici. Ci si prova da un decennio, senza risultati apprezzabili.
Cose di casta
Come prevedibile, gli interventi sulla casta passano nella versione più edulcorata. Il governo non potrà adottare un “provvedimento d’urgenza” (cioè un decreto) per imporre a deputati e senatori un taglio dei loro stipendi, ma i presidenti di Camera e Senato Gian-franco Fini e Renato Schifani assicurano che “entro gennaio studieremo un sistema di adeguamento delle indennità parlamentari”. Chissà se per allora la commissione guidata dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini avrà finito di calcolare qual è la media europea a cui uniformarsi. O se ci sarà modo di fare un altro rinvio come quello dell’abolizione delle province: mettere una data di scadenza entro cui far decadere gli organi giudicati inutili (come la giunta e i maxi-consigli) sembra proprio impossibile, quindi ora si parla di esaurimento “naturale”. Semplicemente non saranno rieletti, poi nella fase transitoria ci sarà un commissario. Si prevedono tempi lunghi quindi, gli enti simbolo dell’ipertrofia della politica sembrano averla sfangata anche stavolta.
Tasse, ma non per tutti
Il Pdl di Silvio Berlusconi aveva di fatto ottenuto che nella manovra non fossero violati i suoi tabù. E Monti non ha certo interesse a irritare il suo azionista di maggioranza: la tassa sui capitali scudati cambia, come chiedeva la gran parte dell’opinione pubblica, ma non di molto: chi ha rimpatriato dall’estero capitali sottratti al fisco invece di una tantum dell’1,5 per cento pagherà lo 0,4 nel 2011, l’1 nel 2012 e altrettanto nel 2013. L’Imu viene alleggerita, secondo la formula richiesta dal Terzo polo di Pier Ferdinando Casini: 50 euro in meno per ogni figlio. C’è una piccola patrimoniale sui capitali detenuti all’estero, ma è giusto per pareggiare i conti con il bollo titoli in Italia altrimenti si incentivava la fuga verso la Svizzera anche dei soldi puliti, oltre che di quelli in nero (1 per mille nel 2012 e 1,5 nel 2013).
L’unica novità sostanziosa riguarda gli incentivi per l’assunzione a tempo indeterminato di giovani e donne: nel testo della manovra erano 200 milioni nel 2012 e 300 all’anno dal 2013 in poi. Ora sono 200 nel 2012 e 300 per l’intero periodo 2013-2015. Una delle poche cose di cui Monti si era vantato a Porta a Porta viene parecchio ridimensionata. Nella notte sono proseguiti i lavori in commissione e oggi il decreto arriva in aula, alla Camera.

di Stefano Feltri

16 dicembre 2011

Europa sentinella del debito




Una crisi economica, soprattutto come quella che negli ultimi tre anni ha investito l’intero pianeta, non è mai solo una crisi monetaria. Nel migliore dei casi, vanno in crisi i governi politici degli stati, nel peggiore si scatenano le guerre mondiali, nella media tragicità, a crollare sono le strutture inter e sovra-nazionali. È quello che sta accedendo in Europa. Investita dal crack del sistema finanziario americano del 2008, sono cominciati a saltare i governi delle nazioni più esposte (Spagna, Grecia, Italia in primis). Se per le guerre mondiali forse ci vorrà del tempo (ma gli spifferi iraniani stanno già soffiando forte) quello scaduto sembra essere il tempo dell’euro-moneta come collante e propulsione degli assetti politici del Vecchio Continente. Già la settimana scorsa la Gran Bretagna, che pure all’euro aveva rinunciato in partenza, tenendosi la sterlina, ha rifiutato di entrare nella Ue dei cosiddetti 27 (ora, 26) e adesso non appare del tutto campata in aria l’ipotesi che la stessa Germania possa tornare al marco. Accadesse questo, tutta l’architettura europea fin qui concepita, e più o meno bene (anzi: male) realizzata, crollerebbe lasciando spazio a scenari ben poco prevedibili.

In questo contesto di assoluta incertezza, tutto ciò che rimane fermo e indiscutibile sono le misure che si ritengono imprescindibili per far fronte ai debiti degli stati in crisi (economica ma non solo) e che vanno sotto il nome generico di quei cosiddetti “sacrifici” che sono la ricerca di nuove entrate fiscali e di tagli alla spesa pubblica. Ora, perfino se il quadro europeo, compreso quello che riguarda strettamente la sorte della moneta unica, fosse chiaro e solido sarebbe da dubitare dell’efficacia della formula dei “sacrifici”, ma siccome così non è, il sospetto che il “taglia e prendi” proposto e imposto per l’ennesima volta come soluzione unica per evitare il default, sia un viatico alla salvezza dal fallimento è doveroso. Soprattutto, quando il sistema che regge in piedi lo stato liberista è fondato sul principio del produrre consumo per aumentare la produzione e incrementare nuovamente il consumo. Non ci vuole un genio per capire che congelando i contratti salariali e le pensioni, introducendo nuove tasse, aumentando l’Iva e le accise su generi di prima necessità come la benzina, la liquidità da destinare al consumo non può che flettere in basso (deflazione) con conseguente recessione della produzione.

È un percorso talmente noto e matematico che a stupire è solo il fatto che venga puntualmente riproposto. O meglio: stupirebbe se ci attardassimo ancora a considerare chi adotta e impone queste misure interessato alla sorte degli stati sociali e non, come ormai dovrebbe essere palese, a mantenerne in vita un altro: quello del sistema finanziario che impera. Perché, se si leggono in questa ottica, le misure di “austerità” (il “taglia e prendi” di cui si dice sopra) hanno un senso logico e coerente: quello di cristallizzare stato ed individui nella condizione di debitori. Lo ha spiegato benissimo il prof. Christian Marrazzi, in un’intervista del 3 dicembre a Ida Dominijanni del Manifesto: «Il neo-liberalismo si invera nella sua essenza di fabbrica dell’uomo indebitato. L’imprenditore di se stesso produce il suo debito che ora lo disciplina attraverso un dispositivo di colpevolizzazione. Del resto, qui c’è anche un inveramento, o uno svelamento, dell’essenza del denaro: il denaro è debito, la finanziarizzazione del capitale ci ha trasformati tutti in soggetti debitori, e il valore viene prodotto in negativo, da una macchina depressiva».

La “macchina depressiva” della finanziarizzazione del debito è potente e i segnali di un suo possibile arresto tardano ad arrivare. A meno che non si vogliano leggere come segni di sua debolezza la discesa in campo in prima persona dei banchieri alla guida degli stati e la sospensione della politica, se non proprio della democrazia, come avvenuto in Grecia e Italia negli ultimi mesi. Ovvero: vi è da chiedersi se la esposizione politica di uomini già legati alla Goldman Sachs (Mario Monti) e alla Bce (Lucas Papademos), istituti con grossissime responsabilità nella crisi in corso, non sia il tentativo di mettere pezze a un tessuto che tende a lacerarsi. Lo stesso Marrazzi sostiene che «La de-finanziarizzazione la sta approntando il capitalismo stesso nella forma recessiva della riduzione del debito» a causa della riduzione forzosa della liquidità del consumatore. È, in fondo, ancora un atto di fede nell’antica profezia marxiana del capitalismo che perirà per via delle sue contraddizioni.

Nel frattempo, però, persino alcune correzioni come la socializzazione dei debiti pubblici degli stati, l’introduzione della tobin-tax planetaria, l’istituzione del reddito minimo garantito di cittadinanza sembrano più un’aspirazione utopica che la ragionevole proposta di mediazione fra agenti della crisi e vittime della stessa. Se è così, figuriamoci quale accoglienza potrebbe avere una proposta che sostenesse di uscire da questo sistema dichiarando la moratoria del debito, pubblico e privato, la nazionalizzazione delle banche e l’integrazione del lavoratore nella gestione delle imprese produttive, in un quadro politico generale di democrazia diretta e partecipata.

di Miro Renzaglia

15 dicembre 2011

Professori ben venduti






http://www.lospaziodellapolitica.com/wp-content/uploads/2011/11/monti-napolitano-284x300.jpg

“L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, [Professori] e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare [a noi, generazione più imbelle ed imbecille che sfortunata, invece, sì], perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, [forse all'epoca di chi scrive, mentre da vent’anni a questa parte l’eccezione si è fatta regola] ha per breve tempo fatto salire al potere in quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati[aspettiamo impazientemente quel momento], aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine”. (Benedetto Croce).

Gli italiani, un tempo, indipendentemente dalle appartenenze politiche e dalle convinzioni ideologiche erano semplicemente uomini intelligenti, come dimostra il paragrafo citato e ripreso da un articolo di Benedetto Croce, intitolato “L’onestà politica”. Sapevano pensare con la propria testa e non si preoccupavano dei prezzi e delle oscillazioni della domanda sul mercato dei concetti. Offrivano al mondo quello che avevano e non quello che quest’ultimo si aspettava da loro per applaudirli, riverirli e neutralizzarli. Niente svendite, e pochi sconti nelle botteghe autonome del pensiero. Nessun mercimonio di idee per la fama ed il denaro che quando arrivavano (senza suscitare finto sdegno ma nemmeno ostentazione senza ritegno) era quasi sempre per coerenza, bravura e rigorosità scientifica. Allora i supermercati dei pennivendoli e i discount delle puttane che elucubravano a gettone non erano così affollati, scarseggiavano persino o, almeno, non mettevano insegne così iridescenti e spudorate come quelle odierne. Sono passati ottant’anni dalle parole del filosofo napoletano e smarrita la sua filosofia c’è rimasto soltanto Napolitano il quale, contraddicendo ogni singola locuzione della speculazione crociana, ha innalzato l’imbecillità a ragione sovrana e l’inettitudine con la laurea a formula di gabinetto perfetto. La tecnica, foderata di imparzialità, ha svestito la politica e si è santificata indossando non il saio ma un loden. Poi respingendo quello spiritello di uno spread ha stretto un patto col demonio obamiano ricevendo l’immeritata beatificazione internazionale anzichè un urgente esorcismo nazionale. Tali intelligentoni, che fino a qualche mese fa non vedevano né le piaghe della crisi né i presagi del default, si sono fatti Stato e, già che c’erano, si sono fatti pure lo Stato con tutte le sue istituzioni, chiamando la loro orgia professionale fisiologia della salvezza nazionale. Sulle nostre teste annaspanti a causa della dappocaggine di chi ci governava innanzi è piovuto un salvagente di pietra, lanciatoci proprio da questi illustri professori, i quali sono stati talmente servizievoli verso la patria da averle fatto il servizio completo. L’unica speme che ci resta è quella sentenziata da Croce, e cioè che la Storia li rovesci in poco tempo con disonore ed infamia . Tuttavia, non basta il desiderio e lo scongiuro per liberarsi di questi usurpatori eleganti e calcolatori, spalleggiati da troppi signori forestieri fedelmente seguiti da autoctoni arcieri. Bisogna buttarli giù dalla torre eburnea prima che facciano danni oltre ogni aspettativa. In ogni caso, è proprio il principio ad essere errato. Ci vogliono gli eserciti per respingere gli assalti dei nemici. Con i professori, fino a prova contraria, si tengono lezioni ma non si danno sonore lezioni a nessuno. Dunque gli imbecilli, di stato, di partito e di aula universitaria, vanno messi da parte che così facendo si assolve la loro parte e la nostra. Scavando loro la fossa.

di Gianni Petrosillo

Restano solo le tasse






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Niente tagli alla casta, le Province e i tassisti resistono qualche sconto ai pensionati, gli evasori restano tranquilli


Più equa, non certo più leggera, probabilmente altrettanto inutile, visto che sono rimaste solo le tasse. Dopo una lunga giornata di emendamenti, parlamentari e governativi, di vertici e tensioni, la manovra del governo Monti assume quella che dovrebbe essere la sua forma definitiva. E il Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio ha deciso che, se necessario, il testo sarà blindato da un voto di fiducia.
Taxi no, farmacie sì
I mercati, che ieri hanno punito l’Italia spingendo ancora più su lo spread a quota 466, non avranno apprezzato le incertezze sulle poche misure per la crescita rimaste nella manovra. Prima un emendamento dei relatori, in commissione alla Camera, rinvia tutto al 2013. Poi in serata, su pressione del deputato di Fli Benedetto Della Vedova, il governo riporta la scadenza al 31 dicembre 2012: entro quella data devono esserci nuovi regolamenti che prevedano meno barriere di quelle attuali all’esercizio delle professioni, altrimenti cade ogni protezione. Si salvano solo i taxisti (solo per ora, promette il governo), e si infuria la lobby della NCC, il noleggio con conducente, che da anni aspetta che cadano le barriere sul lucroso settore del trasporto urbano in auto. Ma i più arrabbiati sono i farmacisti: “Le farmacie sono costrette a chiudere contro un governo capace solo di tagliare e smantellare i servizi che funzionano”, protesta Federfarma annunciando una “serrata” di protesta per lunedì. Il ministro della Salute Re-nato Balduzzi si è impuntato: i farmaci di fascia C, con obbligo di ricetta ma pagai per intero dal cliente, si potranno vendere nelle parafarmacie (tipo quelle dentro i super-mercati) nei Comuni sopra i 15 mila abitanti.
Pensionati a metà
Il Pd esulta perché anche le pensioni tra 1.000 e 1.400 euro saranno rivalutate per l’inflazione. Almeno nel 2012, per il 2013 la copertura al momento c’è solo per quelle fino a 1.000 euro. Come ci tiene a sottolineare Vieri Ceriani, sottosegretario all’Economia, c’è stato un intervento a favore dei redditi bassi anche per quanto riguarda i conti correnti: oggi tutti pagano un’imposta di bollo di 34,2 euro, nella nuova versione della manovra ne saranno esentati tutti quelli che in un anno tengono sul conto in media meno di 5 mila euro. E sono in tanti. Le imprese pagheranno 100 euro invece dei 73 attuali. E sempre il Pd ha incassato un minimo correttivo sullo “scalone” che alzava di botto l’età contributiva da 40 a 42 anni per gli assegni di anzianità (vedi pezzo qui sotto). La copertura per questi interventi a tutela dei più colpiti dalla riforma Fornero dovrebbe arrivare almeno in parte da un prelievo extra sulle pensioni più alte: all’aliquota extra del 10 per cento sugli assegni superiori ai 150 mila euro l’anno si aggiunge un ulteriore 15 per cento sulla parte che eccede i 200 mila. Le conquiste del centrosinistra si fermano qua, c’è un emendamento a cui i democratici tengono molto ma ha ancora un esito incerto: il tetto dei 290 mila euro all’anno agli stipendi dei super manager pubblici. Ci si prova da un decennio, senza risultati apprezzabili.
Cose di casta
Come prevedibile, gli interventi sulla casta passano nella versione più edulcorata. Il governo non potrà adottare un “provvedimento d’urgenza” (cioè un decreto) per imporre a deputati e senatori un taglio dei loro stipendi, ma i presidenti di Camera e Senato Gian-franco Fini e Renato Schifani assicurano che “entro gennaio studieremo un sistema di adeguamento delle indennità parlamentari”. Chissà se per allora la commissione guidata dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini avrà finito di calcolare qual è la media europea a cui uniformarsi. O se ci sarà modo di fare un altro rinvio come quello dell’abolizione delle province: mettere una data di scadenza entro cui far decadere gli organi giudicati inutili (come la giunta e i maxi-consigli) sembra proprio impossibile, quindi ora si parla di esaurimento “naturale”. Semplicemente non saranno rieletti, poi nella fase transitoria ci sarà un commissario. Si prevedono tempi lunghi quindi, gli enti simbolo dell’ipertrofia della politica sembrano averla sfangata anche stavolta.
Tasse, ma non per tutti
Il Pdl di Silvio Berlusconi aveva di fatto ottenuto che nella manovra non fossero violati i suoi tabù. E Monti non ha certo interesse a irritare il suo azionista di maggioranza: la tassa sui capitali scudati cambia, come chiedeva la gran parte dell’opinione pubblica, ma non di molto: chi ha rimpatriato dall’estero capitali sottratti al fisco invece di una tantum dell’1,5 per cento pagherà lo 0,4 nel 2011, l’1 nel 2012 e altrettanto nel 2013. L’Imu viene alleggerita, secondo la formula richiesta dal Terzo polo di Pier Ferdinando Casini: 50 euro in meno per ogni figlio. C’è una piccola patrimoniale sui capitali detenuti all’estero, ma è giusto per pareggiare i conti con il bollo titoli in Italia altrimenti si incentivava la fuga verso la Svizzera anche dei soldi puliti, oltre che di quelli in nero (1 per mille nel 2012 e 1,5 nel 2013).
L’unica novità sostanziosa riguarda gli incentivi per l’assunzione a tempo indeterminato di giovani e donne: nel testo della manovra erano 200 milioni nel 2012 e 300 all’anno dal 2013 in poi. Ora sono 200 nel 2012 e 300 per l’intero periodo 2013-2015. Una delle poche cose di cui Monti si era vantato a Porta a Porta viene parecchio ridimensionata. Nella notte sono proseguiti i lavori in commissione e oggi il decreto arriva in aula, alla Camera.

di Stefano Feltri