09 marzo 2012

La bussola si è rotta: andare oltre la destra e la sinistra

Non si può decentemente chiedere al marinaio di scendere in mare senza bussola, in particolare quando il cielo è coperto e non ci si può orientare con le stelle. Ma cosa capita quando si pensa che la bussola funzioni, mentre invece è magnetizzata e falsificata da un pezzo invisibile di calamita che gli sta al di sotto? Ecco, questa è una metafora abbastanza precisa della nostra situazione di oggi.

Con il governo Monti le cose si sono fatte a un tempo più chiare e più oscure. Si sono fatte più chiare (almeno per quel due per cento di bipedi umani che intendono fare uso del proprio libero intelletto, e non intendo prendere in considerazione il restante novantotto per cento), in quanto è evidente che la decisione politica democratica - tutta la decisione politica democratica, di sinistra, centro e destra - è stata svuotata, e siamo di fronte a una situazione del tutto imprevista nei manuali di storia delle dottrine politiche.
In breve, siamo di fronte a una dittatura di economisti a indiretta e formale legittimazione elettorale referendaria. E’ chiaro che questa dittatura di economisti avviene per conto di qualcuno, ma sarebbe sbagliato “antropomorfizzare” troppo questo qualcuno: i ricchi, i capitalisti, i banchieri, gli americani, eccetera. Questa dittatura di economisti è al servizio di una entità impersonale (Marx l’avrebbe definita “sensibilmente soprasensibile”) che è la riproduzione in forma “speculativa” della forma storica attuale del modo di produzione capitalistico (cfr. D. Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012). Da questo punto di vista le cose sono chiare.
Non è affatto chiaro, ma anzi è oscuro, il modo in cui questa giunta dittatoriale di economisti può “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Essa è al servizio esclusivo di creditori internazionali, e il suo unico orizzonte è il debito. La logica del modello neoliberale è quella di delocalizzare la fabbricazione delle calze Omsa da Faenza in Serbia, in modo da poter pagare le operaie duecento euro.
In questa situazione, il mantenimento della dicotomia Destra/Sinistra non è più soltanto un errore teorico. E’ potenzialmente un crimine politico.

Ultimamente, sono rimasto imbambolato a leggere un volantino del gruppetto “Sinistra Critica”. Non capivo neppure io stesso perché. Poi improvvisamente mi è sembrato di capire. Il termine “sinistra critica” è una contraddizione in termini, perché il presupposto massimo ed essenzialissimo di ogni critica, senza il quale la stessa parola “critica” perde ogni significato, è proprio il superamento della dicotomia Destra/Sinistra. Non si può essere critici e contemporaneamente di sinistra (o di destra, non cambia nulla).

Ho prima accennato al libro di Diego Fusaro pubblicato da Bompiani. In questa storia filosofica del capitalismo, dalle sue origini seicentesche fino a oggi non ci sono mai, ma proprio mai, ma assolutamente mai, le parolette Destra e Sinistra, per il semplice e nudo fatto che la mondializzazione economica capitalistica e la dittatura degli economisti che ne è necessariamente la forma, ha svuotato del tutto queste categorie. Norberto Bobbio poteva ancora parlarne in assoluta buona fede, perché ai suoi tempi esisteva ancora la sovranità monetaria dello Stato nazionale, e partiti di “sinistra” potevano mettere in atto politiche economiche redistributrici in misura maggiore di partiti di “destra”. Ma oggi, con la globalizzazione neoliberale, il discorso di Bobbio non corrisponde più alla realtà storica.

Esiste ovviamente un problema, dal momento che la dittatura “neutrale” degli economisti ha pur sempre bisogno di essere costituzionalmente legittimata da elezioni, sia pure svuotate di ogni significato decisionale. A questo punto si mette in scena una commedia all’italiana: la “sinistra responsabile” (Bersani, D’Alema, Veltroni, tutto il comunismo togliattiano riciclato); il “buffone di copertura” Vendola di cui si sa a priori che i suoi voti andranno comunque al PD; i “testimoni” del buon tempo antico Diliberto e Ferrero i cui voti andranno comunque al PD con la scusa del pericolo fascista, razzista, populista, eccetera; i partitini da prefisso telefonico Turigliatto e Ferrando che seguono il principio olimpico per cui l’importante non è vincere, ma partecipare; infine, i Testimoni di Geova del comunismo (Lotta Comunista) in attesa che il salvifico gigante buono, la classe operaia e salariata mondiale, si svegli.

L’ideale sarebbe quello ipotizzato dal romanziere portoghese José Saramago, e cioè che nessuno andasse a votare, sottolineo nessuno. Se nessuno andasse a votare, cadrebbe la legittimazione formale della dittatura degli economisti. Certo, il capitalismo troverebbe modo egualmente di estrarre un nuovo coniglio dal cappello, ma intanto ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo si tratta solo di un sogno irrealizzabile. La Macchina Acchiappa-Babbioni è troppo buona per lasciarla andare in disuso.

Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano: una nuova forza politica radicalmente critica del capitalismo liberista mondializzato, del tutto estranea alla dicotomia Destra/Sinistra. Una forza politica che lasci cadere tutti i progetti di “rifondazione del comunismo” (il pensiero di Marx è ancora vivo, ma il comunismo storico è finito), e che riprenda invece le ispirazioni solidaristiche e comunitarie.

In teoria, è l’uovo di Colombo. Ma appunto perché lo è, ci vorranno ancora decenni e decenni, salvo improbabili accelerazioni storiche impreviste, perché si capisca che la bussola è rotta, e sinistra e destra sono soltanto segnali stradali.

Ora darò l’occasione a tutte le vipere, i ragni e gli scorpioni di gridare al “Preve fascista”. Eppure, se si ha paura di rompere i tabù tanto vale leggere solo romanzi polizieschi. Ultimamente un caro amico francese mi ha spedito il libro di Marine Le Pen (cfr. Perché la Francia viva, in lingua francese, Grancher, Paris 2012). So già che si parlerà di astuta manovra di infiltrazione populista del fascismo eterno, ma provate a leggerlo. C’è da restare stupiti. Io non sono stupito, perché conosco la dialettica di Hegel, l’unità dei contrari, e la logica di sviluppo dell’ultimo ventennio sia della sinistra che della destra.
Ma veniamo ai fatti. A pagina 135 Marine Le Pen scrive, traduco letteralmente: “Non ho da parte mia nessun patema d’animo a dirlo: la dicotomia fra destra e sinistra non esiste più”. I principali riferimenti filosofici sono a due pensatori di “sinistra”, Bourdieu e Michéa (pagina 148). Il vecchio comunismo francese di Marchais è citato positivamente e quindi, niente Pétain e Vichy. Sarkozy è vituperato sia per la sua politica estera filo-USA che per quella interna, favorevole alle diseguaglianze sociali. Sul mercato il principale riferimento teorico è Polanyi (pagina 26). Si rivendica il no alla guerra dell’Iraq 2003 (pagina 37). Marx è citato (pagina 61), e si sostiene, citando ripetutamente l’economista Allais, l’incompatibilità di mercato e democrazia. Ma soprattutto ci ho ritrovato quello che mi seduceva nel comunismo degli anni Sessanta, il fatto che la chiacchiera polemica di piccolo cabotaggio è messa in fondo e non all’inizio, perché all’inizio vi è un lungo capitolo intitolato, alla francese, “Il Mondialismo non è un Umanesimo”. La globalizzazione è correttamente definita “un orizzonte di rinuncia”, e si riafferma che “l’impero del Bene è prima di tutto nelle nostre teste”, ed infatti è così.

E potrei continuare, ma so già che ho dato alle vipere e agli scorpioni l’occasione per insolentirmi, ciò che non mancherà certamente di avvenire. In realtà voglio soltanto far riflettere.

Per capire che cosa sono oggi Destra e Sinistra non bisogna rivolgersi ai difensori “idealtipici” della permanenza della dicotomia, nei termini valoriali delle categorie dello Spirito, alla Marco Revelli. Bisogna leggere i difensori del sistema come Antonio Polito (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 2012). Polito dice apertamente che la competizione politica può oramai avvenire solo sul presupposto, dato per scontato, dei vincoli del modello neoliberale di economia globalizzata. Il resto è un agitarsi inconsistente, dal pagliaccio Vendola a Forza Nuova. Questo è il nostro destino.

Che cosa propongono i “sinistri” ancora in attività, da Andrea Catone a Giacché a Brancaccio? Un rilancio del keynesismo e della spesa pubblica in deficit dentro l’Unione Europea? Una ennesima messa in guardia contro i pericoli del razzismo, del leghismo, del populismo? Una globalizzazione alternativa dal volto umano? Ora che il Grande Puttaniere non occupa più il centro della scena con cosa si continuerà a babbionare il tifo sportivo identitario del popolo di sinistra?

Se si legge il documento “Cina 2030” della Banca Mondiale, recentemente presentato a Pechino, si vedrà che la dittatura degli economisti si estende al mondo intero. Le ricette sono le stesse. Ora, la rivoluzione non è matura, e non è certo all’ordine del giorno, sia nella variante stalinista (Rizzo) che in quella trotzkista (Ferrando). Ma neppure il riformismo è all’ordine del giorno, perché il riformismo implica sovranità dello Stato nazionale. E allora? C’è ancora chi si balocca con il comunismo contro il fascismo o con il fascismo contro il comunismo? Oggi il nemico è la dittatura degli economisti neoliberali. Con essa non si può fare nessun compromesso. Questo è il primo passo. I successivi, se si fa questo primo passo, potranno seguire.

Sulla votomania compulsiva

E’ probabile che l’americanizzazione integrale e radicale (altro che europeismo!) portata dal governo Monti e dalla sua dittatura di economisti porti a una diminuzione della partecipazione elettorale degli italiani, che dopo il 1945 ha sempre avuto livelli di delirio. Questa votomania compulsiva, evidente fra gli anziani, è legata alla contrapposizione DC-PCI, ed è rimasta come “lunga durata” anche nel periodo craxiano, prodiano e berlusconiano. Ma oggi che lo Stato non dà più niente e prende soltanto dovrebbe diminuire, ma purtroppo non abbastanza. C’è sempre spazio per i Casini, Veltroni, Vendola, eccetera.

A fianco della diminuzione probabile della votomania compulsiva, si nota un secondo aspetto della americanizzazione, il declino della politica estera come oggetto di dibattito. Negli USA è normale che la gente non sappia neppure dove sia l’Afghanistan, l’Iraq o la Siria, il cui bombardamento è delegato a esperti specializzati. I tempi in cui tutti erano informati della Corea e del Vietnam sonmo passati, per ora irreversibilmente. L’intera classe giornalistica, senza nessuna eccezione, è diventata una “gioiosa macchina da guerra” di menzogne integrali.

Al tempo della guerra del Golfo del 1991 c’era ancora discussione, poi non più. Ci fu quella che Carl Schmitt definì in latino reductio ad Hitlerum, cioè riconduzione al feroce dittatore di tutti i mali della società, unita con l’invenzione (questa invece di origine di “sinistra”) di tutto un popolo unito contro un dittatore. I popoli furono mediaticamente uniti contro sempre nuovi Hitler nemici dei diritti umani. Il gioco cominciò con Ceausescu, poi con Noriega, Saddam Hussein, Ahmadinejad, Milosevic, Gheddafi, adesso Assad. La storia fu abolita e al suo posto si insediò un canovaccio di commedia, sempre lo stesso: i Popoli uniti contro il Feroce Dittatore; il Silenzio Colpevole dell’Occidente; i Dissidenti “buoni” cui è riservato il diritto di parola. In un anno di televisione manipolata non ho mai sentito intervistare un solo sostenitore di Assad, eppure la Siria ne è piena.

Solo quando il gioco si fa duro, ha senso che i duri comincino a giocare. Fino a che regna la pagliaccesca simulazione italiana Destra/Sinistra le cose saranno sempre come quegli incontri americani di catch in cui è sempre e solo tutta scena per i babbioni spettatori.

Stato nazionale, sovranità nazionale, programma solidale e comunitario, no alla globalizzazione in tutte le sue forme e alla sua dittatura di economisti anglofoni!
di Costanzo Preve

08 marzo 2012

Clementina Forleo vittima di una congiura?





http://www.antoniodipietro.com/immagini2/clementina_forleo_milano.jpg

La complessa vicenda del giudice Clementina Forleo assume contorni oscuri e meritevoli di grande attenzione. Le ultime tappe della storia la vedono in veste di gip di Milano occuparsi dell'inchiesta “Antonveneta” e delle scalate bancarie dei "Furbetti del quartierino". Nel 2008 il CSM la trasferì a Cremona per incompatibilità “ambientale” in quanto ritenne le sue dichiarazioni, ad Annozero sui “poteri forti”, lesive del decoro dell'ordine giudiziario. Prima il TAR del Lazio e poi il Consiglio di Stato, però, annullarono quel provvedimento costringendo il CSM a reintegrarla a Milano.
Ma c'è un elemento molto inquietante ancora poco esplorato: il sospetto di un complotto.

L'accusa proviene dal giudice Guido Salvini, magistrato fortemente impegnato sui temi della giustizia, che, per ragioni di indipendenza personale, non aderisce al alcuna corrente organizzata della magistratura. Un professionista serio che si è occupato di vicende molto delicate: dalle inchieste sul terrorismo alla strage di piazza Fontana, da Gladio ai casi Parmalat e EniPower, dalle nuove Brigate Rosse allo scandalo Telecom-Sismi fino all'attuale inchiesta su Calciopoli. E' stato consulente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’occultamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste (il cosiddetto Armadio della Vergogna) e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia.

Il 19 giugno 2011, il dott Salvini inviò una email, sulla mailing list di Magistratura Indipendente, affermando di essere stato “testimone diretto dello sviluppo dell’azione ambientale contro la collega (Clementina Forleo)” dato che all’epoca era anche lui GIP presso il Tribunale di Milano e di “aver assistito a scene desolanti quali l’indizione con passa parola di riunioni pomeridiane in alcune stanze per discutere la strategia contro la collega, guidate dai maggiorenti dell’ufficio tra cui un paio di colleghi Verdi più rancorosi di tutti, come spesso accade, anche se del tutto estranei al caso”. Il dott. Salvini aggiunse di essersi dissociato da tali iniziative che gli ricordavano le “Giornate dell’odio” descritte da George Orwell nel romanzo “1984” e commentò la vicenda affermando che “non ci si comporta così tra magistrati ed è facile e privo di rischi accerchiare una persona in un ufficio e magari in questo modo anche portarla a sbagliare, visto anche il carattere poco diplomatico della vittima”.

Parole agghiaccianti che delineano scenari ai limiti dell'eversione. Se tali fatti fossero accertati, infatti, saremmo di fronte ad una congiura di magistrati che ordiscono trame tendenti a far mutare la composizione degli uffici giudiziari. Un duro attacco all'amministrazione della Giustizia repubblicana.

Il Comitato di Presidenza del CSM (di cui fa parte di diritto il Procuratore Generale della Cassazione) e l'attuale ministro della Giustizia sono stati messi al corrente della vicenda direttamente dalla Dott.ssa Forleo. La politica sulla vicenda tace. La stampa sonnecchia. Nessuno si strappa le vesti. Lancio un appello ai politici ed ai media: accendete i riflettori su questa vicenda. Mi rivolgo, in particolar modo, ai parlamentari "culturalmente" più sensibili al tema: i magistrati vanno difesi dagli attacchi della mafia, dalla delegittimazione dei politici ma anche dalle congiure di palazzo. Sempre. Tutelarli significa difendere la democrazia.

Sono trascorsi otto mesi.

Il CSM non ha ancora convocato il dott. Salvini. Cosa aspetta?

Gli italiani vogliono sapere.

Stay tuned!

di Gaetano Montalbano

07 marzo 2012

L'autunno freddo del capitalismo storico





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Al progredire dell’ennesima crisi economica, si fa sempre più spazio l’idea che la società odierna, per come la conosciamo, abbia raggiunto l’autunno della sua esistenza. Quasi senza accorgercene siamo entrati in una fase storica di transizione dal capitalismo – l’attuale sistema storico che, come tutti i sistemi storici ha avuto un inizio e, di conseguenza, avrà anche una fine – ad un nuovo sistema delle società. Ma la questione, oggi, non è tanto sapere cosa avverrà dopo – prevedere il futuro, diceva Weber, è per demagoghi -, altresì interrogarsi su quanto è stato, e chiedersi com’è stato.
La nostra società, cui il sistema storico, come detto, è quello capitalista – l’accumulazione senza fine di capitale -, è stata definita la “società del progresso”, sottintendendo il fatto che nessun altro sistema storico precedente è stato migliore di questo. Infatti, a ben guardare, la teoria del processo evolutivo afferma una cosa ben chiara: il sistema che viene dopo è sempre migliore di quello precedente. Quindi oggi il capitalismo costituirebbe un progresso rispetto al feudalesimo, ed essendo l’ultimo sistema storico della serie, non potrebbe che essere il “migliore dei mondi possibili”. Ma è davvero così?

Non la possiamo fare soltanto una questione di crisi economica: pur non potendo parlare di “borse” e di “mercati”, di inflazione e di spread, infatti, anche 500 anni fa in Europa erano determinanti le crisi economiche. La differenza è che a causarle non era l’uomo, ma la natura: se per un anno andava male il raccolto perché faceva troppo freddo, o troppo caldo, la popolazione non mangiava, le riserve alimentari scarseggiavano, e di conseguenza si sviluppavano le crisi sociali. No, la nostra domanda non è rivolta a fattori esterni al nostro sistema storico, ma a quelli interni: come afferma Wallerstein – e come lui diversi altri grandi politologi e storici del nostro tempo – il capitalismo ha millantato, fin dalla sua nascita, migliori condizioni di vita per gli individui, maggior ricchezza collettiva, maggior attenzione per i diritti umani e maggior libertà rispetto ai sistemi storici precedenti – sotto al capitalismo, infatti, si è sviluppata la democrazia, che per dirla alla Wallerstein sarebbe la massimizzazione della partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli sulla base dell’eguaglianza -. Promesse che, tuttavia, non poteva promettere, o quantomeno non a tutti.
Prima dell’avvento del capitalismo il divario tra ricchi e poveri, almeno materialmente, era di gran lunga maggiore rispetto ad oggi, ed il povero – ad esempio il contadino dell’Ancien Regime – viveva in condizioni di vita miserrime, mentre il ricco godeva dello sfarzo della sua incommensurabile ricchezza. Oggi questo squarcio tra ricco e povero pensiamo di averlo appiattito, e di aver diminuito drasticamente la disuguaglianza esistente al tempo del feudalesimo. In parte è vero, ma fondamentalmente è falso. Tendiamo infatti a considerare il nostro stile di vita un modello universalmente unico, per cui crediamo che gli agi di cui godiamo siano disponibili e accessibili a tutti. In realtà nel periodo capitalista ciò che abbiamo appiattito, come afferma Wallerstein, è il divario tra l’1% dei ricchi mondiali con il 15% della cosiddetta popolazione del ceto medio. La restante popolazione, l’84%, è stata resa dal capitalismo miserrima, e forse ancor più miserrima di quanto lo fosse il povero dell’Ancien Regime. Il fatto è che, tirando le somme, non consideriamo mai il capitalismo in termini globali, cioè valido per tutto il mondo. In quanto occidentali, viviamo tra quel 15% della popolazione mondiale, e tendiamo a tener presente solamente la nostra condizione di vita. In più il ricco odierno è potenzialmente di gran lunga più ricco del nobile dell’Ancien Regime, per il fatto che la ricchezza, un tempo, si misurava in possedimenti terrieri, mentre oggi in quantità di denaro. E si sa: la terra ha dei limiti fisici, l’accumulazione di denaro no. Dunque è vero che il capitalismo ha offerto maggior ricchezza rispetto ai sistemi passati? In parte sì, ma per la gran parte della popolazione è vero il contrario.

E che dire sul miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo? Nell’era premoderna il problema principale dell’umanità era la carestia, dovuta ai cambiamenti climatici che, come detto, annualmente colpivano la produzione di alimenti. Oggi, senza dubbio, i perfezionamenti tecnologici hanno protetto le zone del mondo dai capricci climatici, mentre i collegamenti stradali, navali e aerei hanno permesso agli alimenti di viaggiare più velocemente, di conseguenza di arrivare all’uomo con maggiore quantità e in minor tempo. Ma tuttavia ancora oggi si muore di fame. È incredibile come la Coca cola, infatti, arrivi negli angoli più remoti del mondo, come nei villaggi del Congo, dove ancora la mortalità è alta per mancanza di cibo. Vien da pensare, quasi spontaneamente, che in Africa si muoia di fame da sempre come se il problema, anziché esterno, derivasse da una peculiarità del territorio. Bisognerebbe invece avere il coraggio di dire che il dramma della fame in Africa è reale da quando gli europei lo hanno considerato un territorio depredabile. Il capitalismo ha prima reso miserrimi gli africani per poi tender loro la mano.
Ma poi, anche se nel medio termine le condizioni di vita dell’uomo fossero anche migliorate – considerando solo alcune zone del mondo -, che dire del lungo termine? A quale prezzo? Ad oggi, a quanto so, non siamo del tutto in grado di valutare il danno causato dal disboscamento delle foreste, dalla desertificazione delle savane e dall’inquinamento chimico-biologico, ma è a tutti noto che questi processi saranno un grave problema per l’umanità e la natura nel lungo periodo. Dunque è vero che il capitalismo ha offerto migliori condizioni di vita, ma questo è stato per una residua parte della popolazione mondiale, e comunque nel breve termine.

E che dire dei diritti e delle libertà, da sempre cavalli di battaglia del capitalismo? Siamo nel periodo fiorente della universalizzazione delle libertà, iniziato con la Rivoluzione Francese, cui il capitalismo (mi rifaccio sempre alle parole del sociologo Wallerstein) ha avuto il “merito” di averne promosso l’espansione. A parte che esportare la democrazia con la forza non fa parte, per così dire, di un gran concetto democratico della questione, e dunque non credo per nulla nella religione dei diritti esportati – ogni Nazione ha il dovere di rifilarsi la storia da se’, senza bisogno dei monopolisti della morale -, ma che pensare, tuttavia, al fatto che i diritti umani siano dolorosamente assenti nelle prassi reali del mondo? Ancora oggi, e soprattutto oggi, si combatte in Occidente per i propri diritti, che tendono ad essere ancora idealizzati e non realizzati, e comunque sia l’impressione è che siano maggiormente riconosciuti in alcune zone del sistema-mondo piuttosto che in altre, quasi come se alcuni non possano beneficiarne (Amnesty International non incontra difficoltà nello stilare lunghi elenchi di violazione di diritti in ogni parte del mondo). L’ipotesi, quasi sotto gli occhi di tutti, è che i diritti sembrano essere sacrosanti soltanto quando a goderne sono le zone centrali del sistema-mondo – ovvero quelle zone in cui il capitalismo si è sviluppato, come l’Occidente -, mentre le zone periferiche – i territori che il capitalismo l’hanno subito -, proprio in quanto tali, non hanno gli stessi diritti. Con ciò, in conclusione, non si vuole far credere che il capitalismo sia il “peggiore dei mondi possibili”: questo sistema storico si è offerto, anche prepotentemente, non a una parte della popolazione-mondo, ma al suo intero sistema, lasciando però a goderne soltanto una residua parte dello stesso.

di Marcello Frigeri

09 marzo 2012

La bussola si è rotta: andare oltre la destra e la sinistra

Non si può decentemente chiedere al marinaio di scendere in mare senza bussola, in particolare quando il cielo è coperto e non ci si può orientare con le stelle. Ma cosa capita quando si pensa che la bussola funzioni, mentre invece è magnetizzata e falsificata da un pezzo invisibile di calamita che gli sta al di sotto? Ecco, questa è una metafora abbastanza precisa della nostra situazione di oggi.

Con il governo Monti le cose si sono fatte a un tempo più chiare e più oscure. Si sono fatte più chiare (almeno per quel due per cento di bipedi umani che intendono fare uso del proprio libero intelletto, e non intendo prendere in considerazione il restante novantotto per cento), in quanto è evidente che la decisione politica democratica - tutta la decisione politica democratica, di sinistra, centro e destra - è stata svuotata, e siamo di fronte a una situazione del tutto imprevista nei manuali di storia delle dottrine politiche.
In breve, siamo di fronte a una dittatura di economisti a indiretta e formale legittimazione elettorale referendaria. E’ chiaro che questa dittatura di economisti avviene per conto di qualcuno, ma sarebbe sbagliato “antropomorfizzare” troppo questo qualcuno: i ricchi, i capitalisti, i banchieri, gli americani, eccetera. Questa dittatura di economisti è al servizio di una entità impersonale (Marx l’avrebbe definita “sensibilmente soprasensibile”) che è la riproduzione in forma “speculativa” della forma storica attuale del modo di produzione capitalistico (cfr. D. Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012). Da questo punto di vista le cose sono chiare.
Non è affatto chiaro, ma anzi è oscuro, il modo in cui questa giunta dittatoriale di economisti può “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Essa è al servizio esclusivo di creditori internazionali, e il suo unico orizzonte è il debito. La logica del modello neoliberale è quella di delocalizzare la fabbricazione delle calze Omsa da Faenza in Serbia, in modo da poter pagare le operaie duecento euro.
In questa situazione, il mantenimento della dicotomia Destra/Sinistra non è più soltanto un errore teorico. E’ potenzialmente un crimine politico.

Ultimamente, sono rimasto imbambolato a leggere un volantino del gruppetto “Sinistra Critica”. Non capivo neppure io stesso perché. Poi improvvisamente mi è sembrato di capire. Il termine “sinistra critica” è una contraddizione in termini, perché il presupposto massimo ed essenzialissimo di ogni critica, senza il quale la stessa parola “critica” perde ogni significato, è proprio il superamento della dicotomia Destra/Sinistra. Non si può essere critici e contemporaneamente di sinistra (o di destra, non cambia nulla).

Ho prima accennato al libro di Diego Fusaro pubblicato da Bompiani. In questa storia filosofica del capitalismo, dalle sue origini seicentesche fino a oggi non ci sono mai, ma proprio mai, ma assolutamente mai, le parolette Destra e Sinistra, per il semplice e nudo fatto che la mondializzazione economica capitalistica e la dittatura degli economisti che ne è necessariamente la forma, ha svuotato del tutto queste categorie. Norberto Bobbio poteva ancora parlarne in assoluta buona fede, perché ai suoi tempi esisteva ancora la sovranità monetaria dello Stato nazionale, e partiti di “sinistra” potevano mettere in atto politiche economiche redistributrici in misura maggiore di partiti di “destra”. Ma oggi, con la globalizzazione neoliberale, il discorso di Bobbio non corrisponde più alla realtà storica.

Esiste ovviamente un problema, dal momento che la dittatura “neutrale” degli economisti ha pur sempre bisogno di essere costituzionalmente legittimata da elezioni, sia pure svuotate di ogni significato decisionale. A questo punto si mette in scena una commedia all’italiana: la “sinistra responsabile” (Bersani, D’Alema, Veltroni, tutto il comunismo togliattiano riciclato); il “buffone di copertura” Vendola di cui si sa a priori che i suoi voti andranno comunque al PD; i “testimoni” del buon tempo antico Diliberto e Ferrero i cui voti andranno comunque al PD con la scusa del pericolo fascista, razzista, populista, eccetera; i partitini da prefisso telefonico Turigliatto e Ferrando che seguono il principio olimpico per cui l’importante non è vincere, ma partecipare; infine, i Testimoni di Geova del comunismo (Lotta Comunista) in attesa che il salvifico gigante buono, la classe operaia e salariata mondiale, si svegli.

L’ideale sarebbe quello ipotizzato dal romanziere portoghese José Saramago, e cioè che nessuno andasse a votare, sottolineo nessuno. Se nessuno andasse a votare, cadrebbe la legittimazione formale della dittatura degli economisti. Certo, il capitalismo troverebbe modo egualmente di estrarre un nuovo coniglio dal cappello, ma intanto ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo si tratta solo di un sogno irrealizzabile. La Macchina Acchiappa-Babbioni è troppo buona per lasciarla andare in disuso.

Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano: una nuova forza politica radicalmente critica del capitalismo liberista mondializzato, del tutto estranea alla dicotomia Destra/Sinistra. Una forza politica che lasci cadere tutti i progetti di “rifondazione del comunismo” (il pensiero di Marx è ancora vivo, ma il comunismo storico è finito), e che riprenda invece le ispirazioni solidaristiche e comunitarie.

In teoria, è l’uovo di Colombo. Ma appunto perché lo è, ci vorranno ancora decenni e decenni, salvo improbabili accelerazioni storiche impreviste, perché si capisca che la bussola è rotta, e sinistra e destra sono soltanto segnali stradali.

Ora darò l’occasione a tutte le vipere, i ragni e gli scorpioni di gridare al “Preve fascista”. Eppure, se si ha paura di rompere i tabù tanto vale leggere solo romanzi polizieschi. Ultimamente un caro amico francese mi ha spedito il libro di Marine Le Pen (cfr. Perché la Francia viva, in lingua francese, Grancher, Paris 2012). So già che si parlerà di astuta manovra di infiltrazione populista del fascismo eterno, ma provate a leggerlo. C’è da restare stupiti. Io non sono stupito, perché conosco la dialettica di Hegel, l’unità dei contrari, e la logica di sviluppo dell’ultimo ventennio sia della sinistra che della destra.
Ma veniamo ai fatti. A pagina 135 Marine Le Pen scrive, traduco letteralmente: “Non ho da parte mia nessun patema d’animo a dirlo: la dicotomia fra destra e sinistra non esiste più”. I principali riferimenti filosofici sono a due pensatori di “sinistra”, Bourdieu e Michéa (pagina 148). Il vecchio comunismo francese di Marchais è citato positivamente e quindi, niente Pétain e Vichy. Sarkozy è vituperato sia per la sua politica estera filo-USA che per quella interna, favorevole alle diseguaglianze sociali. Sul mercato il principale riferimento teorico è Polanyi (pagina 26). Si rivendica il no alla guerra dell’Iraq 2003 (pagina 37). Marx è citato (pagina 61), e si sostiene, citando ripetutamente l’economista Allais, l’incompatibilità di mercato e democrazia. Ma soprattutto ci ho ritrovato quello che mi seduceva nel comunismo degli anni Sessanta, il fatto che la chiacchiera polemica di piccolo cabotaggio è messa in fondo e non all’inizio, perché all’inizio vi è un lungo capitolo intitolato, alla francese, “Il Mondialismo non è un Umanesimo”. La globalizzazione è correttamente definita “un orizzonte di rinuncia”, e si riafferma che “l’impero del Bene è prima di tutto nelle nostre teste”, ed infatti è così.

E potrei continuare, ma so già che ho dato alle vipere e agli scorpioni l’occasione per insolentirmi, ciò che non mancherà certamente di avvenire. In realtà voglio soltanto far riflettere.

Per capire che cosa sono oggi Destra e Sinistra non bisogna rivolgersi ai difensori “idealtipici” della permanenza della dicotomia, nei termini valoriali delle categorie dello Spirito, alla Marco Revelli. Bisogna leggere i difensori del sistema come Antonio Polito (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 2012). Polito dice apertamente che la competizione politica può oramai avvenire solo sul presupposto, dato per scontato, dei vincoli del modello neoliberale di economia globalizzata. Il resto è un agitarsi inconsistente, dal pagliaccio Vendola a Forza Nuova. Questo è il nostro destino.

Che cosa propongono i “sinistri” ancora in attività, da Andrea Catone a Giacché a Brancaccio? Un rilancio del keynesismo e della spesa pubblica in deficit dentro l’Unione Europea? Una ennesima messa in guardia contro i pericoli del razzismo, del leghismo, del populismo? Una globalizzazione alternativa dal volto umano? Ora che il Grande Puttaniere non occupa più il centro della scena con cosa si continuerà a babbionare il tifo sportivo identitario del popolo di sinistra?

Se si legge il documento “Cina 2030” della Banca Mondiale, recentemente presentato a Pechino, si vedrà che la dittatura degli economisti si estende al mondo intero. Le ricette sono le stesse. Ora, la rivoluzione non è matura, e non è certo all’ordine del giorno, sia nella variante stalinista (Rizzo) che in quella trotzkista (Ferrando). Ma neppure il riformismo è all’ordine del giorno, perché il riformismo implica sovranità dello Stato nazionale. E allora? C’è ancora chi si balocca con il comunismo contro il fascismo o con il fascismo contro il comunismo? Oggi il nemico è la dittatura degli economisti neoliberali. Con essa non si può fare nessun compromesso. Questo è il primo passo. I successivi, se si fa questo primo passo, potranno seguire.

Sulla votomania compulsiva

E’ probabile che l’americanizzazione integrale e radicale (altro che europeismo!) portata dal governo Monti e dalla sua dittatura di economisti porti a una diminuzione della partecipazione elettorale degli italiani, che dopo il 1945 ha sempre avuto livelli di delirio. Questa votomania compulsiva, evidente fra gli anziani, è legata alla contrapposizione DC-PCI, ed è rimasta come “lunga durata” anche nel periodo craxiano, prodiano e berlusconiano. Ma oggi che lo Stato non dà più niente e prende soltanto dovrebbe diminuire, ma purtroppo non abbastanza. C’è sempre spazio per i Casini, Veltroni, Vendola, eccetera.

A fianco della diminuzione probabile della votomania compulsiva, si nota un secondo aspetto della americanizzazione, il declino della politica estera come oggetto di dibattito. Negli USA è normale che la gente non sappia neppure dove sia l’Afghanistan, l’Iraq o la Siria, il cui bombardamento è delegato a esperti specializzati. I tempi in cui tutti erano informati della Corea e del Vietnam sonmo passati, per ora irreversibilmente. L’intera classe giornalistica, senza nessuna eccezione, è diventata una “gioiosa macchina da guerra” di menzogne integrali.

Al tempo della guerra del Golfo del 1991 c’era ancora discussione, poi non più. Ci fu quella che Carl Schmitt definì in latino reductio ad Hitlerum, cioè riconduzione al feroce dittatore di tutti i mali della società, unita con l’invenzione (questa invece di origine di “sinistra”) di tutto un popolo unito contro un dittatore. I popoli furono mediaticamente uniti contro sempre nuovi Hitler nemici dei diritti umani. Il gioco cominciò con Ceausescu, poi con Noriega, Saddam Hussein, Ahmadinejad, Milosevic, Gheddafi, adesso Assad. La storia fu abolita e al suo posto si insediò un canovaccio di commedia, sempre lo stesso: i Popoli uniti contro il Feroce Dittatore; il Silenzio Colpevole dell’Occidente; i Dissidenti “buoni” cui è riservato il diritto di parola. In un anno di televisione manipolata non ho mai sentito intervistare un solo sostenitore di Assad, eppure la Siria ne è piena.

Solo quando il gioco si fa duro, ha senso che i duri comincino a giocare. Fino a che regna la pagliaccesca simulazione italiana Destra/Sinistra le cose saranno sempre come quegli incontri americani di catch in cui è sempre e solo tutta scena per i babbioni spettatori.

Stato nazionale, sovranità nazionale, programma solidale e comunitario, no alla globalizzazione in tutte le sue forme e alla sua dittatura di economisti anglofoni!
di Costanzo Preve

08 marzo 2012

Clementina Forleo vittima di una congiura?





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La complessa vicenda del giudice Clementina Forleo assume contorni oscuri e meritevoli di grande attenzione. Le ultime tappe della storia la vedono in veste di gip di Milano occuparsi dell'inchiesta “Antonveneta” e delle scalate bancarie dei "Furbetti del quartierino". Nel 2008 il CSM la trasferì a Cremona per incompatibilità “ambientale” in quanto ritenne le sue dichiarazioni, ad Annozero sui “poteri forti”, lesive del decoro dell'ordine giudiziario. Prima il TAR del Lazio e poi il Consiglio di Stato, però, annullarono quel provvedimento costringendo il CSM a reintegrarla a Milano.
Ma c'è un elemento molto inquietante ancora poco esplorato: il sospetto di un complotto.

L'accusa proviene dal giudice Guido Salvini, magistrato fortemente impegnato sui temi della giustizia, che, per ragioni di indipendenza personale, non aderisce al alcuna corrente organizzata della magistratura. Un professionista serio che si è occupato di vicende molto delicate: dalle inchieste sul terrorismo alla strage di piazza Fontana, da Gladio ai casi Parmalat e EniPower, dalle nuove Brigate Rosse allo scandalo Telecom-Sismi fino all'attuale inchiesta su Calciopoli. E' stato consulente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’occultamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste (il cosiddetto Armadio della Vergogna) e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia.

Il 19 giugno 2011, il dott Salvini inviò una email, sulla mailing list di Magistratura Indipendente, affermando di essere stato “testimone diretto dello sviluppo dell’azione ambientale contro la collega (Clementina Forleo)” dato che all’epoca era anche lui GIP presso il Tribunale di Milano e di “aver assistito a scene desolanti quali l’indizione con passa parola di riunioni pomeridiane in alcune stanze per discutere la strategia contro la collega, guidate dai maggiorenti dell’ufficio tra cui un paio di colleghi Verdi più rancorosi di tutti, come spesso accade, anche se del tutto estranei al caso”. Il dott. Salvini aggiunse di essersi dissociato da tali iniziative che gli ricordavano le “Giornate dell’odio” descritte da George Orwell nel romanzo “1984” e commentò la vicenda affermando che “non ci si comporta così tra magistrati ed è facile e privo di rischi accerchiare una persona in un ufficio e magari in questo modo anche portarla a sbagliare, visto anche il carattere poco diplomatico della vittima”.

Parole agghiaccianti che delineano scenari ai limiti dell'eversione. Se tali fatti fossero accertati, infatti, saremmo di fronte ad una congiura di magistrati che ordiscono trame tendenti a far mutare la composizione degli uffici giudiziari. Un duro attacco all'amministrazione della Giustizia repubblicana.

Il Comitato di Presidenza del CSM (di cui fa parte di diritto il Procuratore Generale della Cassazione) e l'attuale ministro della Giustizia sono stati messi al corrente della vicenda direttamente dalla Dott.ssa Forleo. La politica sulla vicenda tace. La stampa sonnecchia. Nessuno si strappa le vesti. Lancio un appello ai politici ed ai media: accendete i riflettori su questa vicenda. Mi rivolgo, in particolar modo, ai parlamentari "culturalmente" più sensibili al tema: i magistrati vanno difesi dagli attacchi della mafia, dalla delegittimazione dei politici ma anche dalle congiure di palazzo. Sempre. Tutelarli significa difendere la democrazia.

Sono trascorsi otto mesi.

Il CSM non ha ancora convocato il dott. Salvini. Cosa aspetta?

Gli italiani vogliono sapere.

Stay tuned!

di Gaetano Montalbano

07 marzo 2012

L'autunno freddo del capitalismo storico





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Al progredire dell’ennesima crisi economica, si fa sempre più spazio l’idea che la società odierna, per come la conosciamo, abbia raggiunto l’autunno della sua esistenza. Quasi senza accorgercene siamo entrati in una fase storica di transizione dal capitalismo – l’attuale sistema storico che, come tutti i sistemi storici ha avuto un inizio e, di conseguenza, avrà anche una fine – ad un nuovo sistema delle società. Ma la questione, oggi, non è tanto sapere cosa avverrà dopo – prevedere il futuro, diceva Weber, è per demagoghi -, altresì interrogarsi su quanto è stato, e chiedersi com’è stato.
La nostra società, cui il sistema storico, come detto, è quello capitalista – l’accumulazione senza fine di capitale -, è stata definita la “società del progresso”, sottintendendo il fatto che nessun altro sistema storico precedente è stato migliore di questo. Infatti, a ben guardare, la teoria del processo evolutivo afferma una cosa ben chiara: il sistema che viene dopo è sempre migliore di quello precedente. Quindi oggi il capitalismo costituirebbe un progresso rispetto al feudalesimo, ed essendo l’ultimo sistema storico della serie, non potrebbe che essere il “migliore dei mondi possibili”. Ma è davvero così?

Non la possiamo fare soltanto una questione di crisi economica: pur non potendo parlare di “borse” e di “mercati”, di inflazione e di spread, infatti, anche 500 anni fa in Europa erano determinanti le crisi economiche. La differenza è che a causarle non era l’uomo, ma la natura: se per un anno andava male il raccolto perché faceva troppo freddo, o troppo caldo, la popolazione non mangiava, le riserve alimentari scarseggiavano, e di conseguenza si sviluppavano le crisi sociali. No, la nostra domanda non è rivolta a fattori esterni al nostro sistema storico, ma a quelli interni: come afferma Wallerstein – e come lui diversi altri grandi politologi e storici del nostro tempo – il capitalismo ha millantato, fin dalla sua nascita, migliori condizioni di vita per gli individui, maggior ricchezza collettiva, maggior attenzione per i diritti umani e maggior libertà rispetto ai sistemi storici precedenti – sotto al capitalismo, infatti, si è sviluppata la democrazia, che per dirla alla Wallerstein sarebbe la massimizzazione della partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli sulla base dell’eguaglianza -. Promesse che, tuttavia, non poteva promettere, o quantomeno non a tutti.
Prima dell’avvento del capitalismo il divario tra ricchi e poveri, almeno materialmente, era di gran lunga maggiore rispetto ad oggi, ed il povero – ad esempio il contadino dell’Ancien Regime – viveva in condizioni di vita miserrime, mentre il ricco godeva dello sfarzo della sua incommensurabile ricchezza. Oggi questo squarcio tra ricco e povero pensiamo di averlo appiattito, e di aver diminuito drasticamente la disuguaglianza esistente al tempo del feudalesimo. In parte è vero, ma fondamentalmente è falso. Tendiamo infatti a considerare il nostro stile di vita un modello universalmente unico, per cui crediamo che gli agi di cui godiamo siano disponibili e accessibili a tutti. In realtà nel periodo capitalista ciò che abbiamo appiattito, come afferma Wallerstein, è il divario tra l’1% dei ricchi mondiali con il 15% della cosiddetta popolazione del ceto medio. La restante popolazione, l’84%, è stata resa dal capitalismo miserrima, e forse ancor più miserrima di quanto lo fosse il povero dell’Ancien Regime. Il fatto è che, tirando le somme, non consideriamo mai il capitalismo in termini globali, cioè valido per tutto il mondo. In quanto occidentali, viviamo tra quel 15% della popolazione mondiale, e tendiamo a tener presente solamente la nostra condizione di vita. In più il ricco odierno è potenzialmente di gran lunga più ricco del nobile dell’Ancien Regime, per il fatto che la ricchezza, un tempo, si misurava in possedimenti terrieri, mentre oggi in quantità di denaro. E si sa: la terra ha dei limiti fisici, l’accumulazione di denaro no. Dunque è vero che il capitalismo ha offerto maggior ricchezza rispetto ai sistemi passati? In parte sì, ma per la gran parte della popolazione è vero il contrario.

E che dire sul miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo? Nell’era premoderna il problema principale dell’umanità era la carestia, dovuta ai cambiamenti climatici che, come detto, annualmente colpivano la produzione di alimenti. Oggi, senza dubbio, i perfezionamenti tecnologici hanno protetto le zone del mondo dai capricci climatici, mentre i collegamenti stradali, navali e aerei hanno permesso agli alimenti di viaggiare più velocemente, di conseguenza di arrivare all’uomo con maggiore quantità e in minor tempo. Ma tuttavia ancora oggi si muore di fame. È incredibile come la Coca cola, infatti, arrivi negli angoli più remoti del mondo, come nei villaggi del Congo, dove ancora la mortalità è alta per mancanza di cibo. Vien da pensare, quasi spontaneamente, che in Africa si muoia di fame da sempre come se il problema, anziché esterno, derivasse da una peculiarità del territorio. Bisognerebbe invece avere il coraggio di dire che il dramma della fame in Africa è reale da quando gli europei lo hanno considerato un territorio depredabile. Il capitalismo ha prima reso miserrimi gli africani per poi tender loro la mano.
Ma poi, anche se nel medio termine le condizioni di vita dell’uomo fossero anche migliorate – considerando solo alcune zone del mondo -, che dire del lungo termine? A quale prezzo? Ad oggi, a quanto so, non siamo del tutto in grado di valutare il danno causato dal disboscamento delle foreste, dalla desertificazione delle savane e dall’inquinamento chimico-biologico, ma è a tutti noto che questi processi saranno un grave problema per l’umanità e la natura nel lungo periodo. Dunque è vero che il capitalismo ha offerto migliori condizioni di vita, ma questo è stato per una residua parte della popolazione mondiale, e comunque nel breve termine.

E che dire dei diritti e delle libertà, da sempre cavalli di battaglia del capitalismo? Siamo nel periodo fiorente della universalizzazione delle libertà, iniziato con la Rivoluzione Francese, cui il capitalismo (mi rifaccio sempre alle parole del sociologo Wallerstein) ha avuto il “merito” di averne promosso l’espansione. A parte che esportare la democrazia con la forza non fa parte, per così dire, di un gran concetto democratico della questione, e dunque non credo per nulla nella religione dei diritti esportati – ogni Nazione ha il dovere di rifilarsi la storia da se’, senza bisogno dei monopolisti della morale -, ma che pensare, tuttavia, al fatto che i diritti umani siano dolorosamente assenti nelle prassi reali del mondo? Ancora oggi, e soprattutto oggi, si combatte in Occidente per i propri diritti, che tendono ad essere ancora idealizzati e non realizzati, e comunque sia l’impressione è che siano maggiormente riconosciuti in alcune zone del sistema-mondo piuttosto che in altre, quasi come se alcuni non possano beneficiarne (Amnesty International non incontra difficoltà nello stilare lunghi elenchi di violazione di diritti in ogni parte del mondo). L’ipotesi, quasi sotto gli occhi di tutti, è che i diritti sembrano essere sacrosanti soltanto quando a goderne sono le zone centrali del sistema-mondo – ovvero quelle zone in cui il capitalismo si è sviluppato, come l’Occidente -, mentre le zone periferiche – i territori che il capitalismo l’hanno subito -, proprio in quanto tali, non hanno gli stessi diritti. Con ciò, in conclusione, non si vuole far credere che il capitalismo sia il “peggiore dei mondi possibili”: questo sistema storico si è offerto, anche prepotentemente, non a una parte della popolazione-mondo, ma al suo intero sistema, lasciando però a goderne soltanto una residua parte dello stesso.

di Marcello Frigeri