16 maggio 2012

La JPMorgan scommette, specula e la fa franca

JPMorgan ha perso più di 2 miliardi di dollari a causa di scommesse speculative. “E' semplicemente irrazionale consentire che esistano certi istituti finanziari.” “Né i democratici né i repubblicani hanno il coraggio di riformare le banche”. “Sono i contribuenti a farne le spese quando le banche, come JPMorgan, possono stravolgere le regole”. (CNN) – JP Morgan Chase può essere considerata una istituzione sistematicamente pericolosa, il che significa che è "troppo grande per fallire", perché il governo teme che il suo crollo causerebbe una crisi finanziaria globale. E' semplicemente irrazionale consentire che una tale istituzione esista, particolarmente perché può facilmente incappare in una perdita di gestione ordinaria di due miliardi di dollari. Le banche sono più efficienti quando sono controllate in modo da non poter più mettere in pericolo l'economia mondiale. Ma visto che le banche JP Morgan e simili sono i maggiori patrocinatori di democratici e repubblicani, nessun partito politico ha il coraggio di ordinare loro di riformarsi. La Regola Volcker, che ha lo scopo di evitare alle banche assicurate di impelagarsi in scommesse speculative, è stata approvata nell'ambito del Dodd-Frank Act nonostante le obiezioni del Segretario del Tesoro Timothy Geithner e quasi tutta la delegazione repubblicana del Congresso. Già nel 2008, quando la crisi finanziaria ci ha colpito duramente, sono andate in rovina una serie di grandi istituzioni. AIG, Merrill Lynch, Bear Stearns, Lehman Brothers, Fannie Mae, Freddie Mac, Washington Mutual e Wachovia hanno subito enormi perdite sui loro derivati tossici, particolarmente le obbligazioni di debito collaterale (CDO) e i credit default swaps (CDS), meglio conosciuti come "green slime- bava verde ". Sarebbe bello pensare che qualcuno abbia imparato una lezione. Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, adesso è d'accordo che le banche non dovrebbero investire in “ derivati”. Ma i sussidi governativi sono una spinta per incoraggiare la frode e la speculazione. JP Morgan, la più grande banca della nazione, riceve una sovvenzione federale esplicita (l'assicurazione sui depositi) e un altro, ben più sostanzioso, sussidio federale implicito. E’ scorretto per una megabanca utilizzare queste sovvenzioni per speculare sui derivati. E tuttavia può farlo quasi senza gravi conseguenze normative. Le istituzioni finanziarie, come JP Morgan amano comprare i derivati perché non sono trasparenti e creano un reddito fittizio che porta “bonus veri e propri” e quando (…. non se …) le perdite diventano tanto grandi da spingere la banca al fallimento, c’è sempre qualcuno che la salverà. La “Volcker Rule è stata inserita nel “Dodd-Frank Act” per risolvere il problema. Tuttavia, JP Morgan ha fatto il tentativo di sventrare la Volcker Rule e le disposizioni che richiedono trasparenza. JP Morgan è il più grande acquirente del mondo di strumenti finanziari derivati dalle proprietà - esattamente quella attività a cui la Volcker Rule ha cercato di porre fine. La banca dichiara di non essere impegnata in compravendite- immobiliari ma che acquista i derivati esclusivamente per la loro copertura. Questa dichiarazione è un esempio di ciò che Stephen Colbert intendeva quando ha inventato il termine: "truthiness". (La qualità di affermare concetti che si vuole o si crede che siano veri, malgrado i fatti reali dimostrino il contrario). Si definisce “ hedge/siepe” un investimento che compensa le perdite con un altro investimento. Le siepi immaginate da JP Morgan non sono “siepi” basate su delle regole contabili perché hanno dimostrato di non funzionare come copertura. JP Morgan ha comprato decine di miliardi di dollari di derivati che hanno aumentato le perdite, piuttosto che ridurle. Queste operazioni si chiamano “Anti-Hedges- Antisiepi" - in altre parole, hanno creato un "hedginess" - un parallelo immaginario del "truthiness". Allora l'approccio della banca all’"hedginess" è stato fatto per coprire le proprie perdite, quindi vorrebbe acquistare un derivato, se crede che i derivati siano una hedge/siepe o qualcos'altro: quindi se lo crede si “deve trattare di un hedge/siepe”. Le norme interpretative della Regola Volcker consentono queste false operazioni di copertura solo perché JP Morgan ha fatto pressione per rendere questa regola inutile. JP Morgan asserisce che queste anti-siepi (che sono profondamente dannose e immorali) devono essere considerate vere "siepi", in quanto solo questo termine è contemplato nelle norme del regolamento di attuazione della Volcker Rule. Ma se l’“hedginess” è ammissibile, ”ergo”la regola Volcker è inapplicabile. Si tratta di un trucco della JP Morgan con cui è stata capace di creare una ulteriore perdita di $ 2 miliardi con investimenti che avrebbero dovuto essere autorizzati solo per ridurre le perdite. Il governo deve rivedere i regolamenti e rifiutare l’assurda interpretazione di JP Morgan sulle anti-siepi di copertura. Le false siepi sono un abuso generalizzato, pericoloso e sono una forma letale di speculazione. Dal 2003 al 2006, la Commissione Securities and Exchange ha scoperto che i giganti dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac violavano l'hedge accounting per massimizzare i bonus dei loro dirigenti. Le siepi finte di Fannie, come quelle di JP Morgan, hanno aumentato le loro perdite. Il Dipartimento di Giustizia non è riuscito a fare un processo, e i dirigenti se ne sono andati più ricchi di prima. I loro successori hanno fatto scoppiare il “caso Fannie” e il tutto è costato ai contribuenti qualche centinaio di miliardi di dollari. Quando un amministratore delegato della banca è onesto, ma incompetente, le siepi finte oltre ad aumentare i rischi, creano anche un diffuso compiacimento ingiustificato che la copertura abbia compensato il rischio. E’ così che si possono provocare perdite catastrofiche. Un amministratore delegato disonesto di una banca usa le false siepi per saccheggiare la banca creando un reddito immaginario e nascondendo le perdite reali. Un reddito falsificato rende ricco il CEO grazie ai suoi compensi massimizzati. L’ attuale speculazione in derivati della JP Morgan indebolisce ma non uccide la banca. Se questa e altre istituzioni sistematicamente pericolose continueranno ancora a poter giocare con l’ hedginess, sarà solo questione di tempo, ma si ripeterà un’altra crisi finanziaria. E chi la pagherà ? I contribuenti come voi e me, naturalmente. di William K. Black William K. Black è professore associato di economia e diritto presso l'Università del Missouri-Kansas City. Ex consulente finanziario per il governo e esperto di criminologia dei colletti bianchi, è autore di "The Best Way to Rob a Bank is to Own One." . Fonte: http://edition.cnn.com Link: http://edition.cnn.com/2012/05/14/opinion/black-jpmorgan-banks/index.html

15 maggio 2012

Tecnocrazia familiare all'italiana

“…questa società senza-dio opera in modo estremamente efficiente, quantomeno ai suoi piani alti. Impiega qualunque possibile mezzo a sua disposizione, sia esso scientifico, tecnico, sociale o economico. Esercita un pressochè completo dominio nelle organizzazioni internazionali, sui circoli finanziari, nel campo delle comunicazioni di massa.” ( Padre Pedro Arupe – dell’Ordine dei Gesuiti, al Concilio Ecumenico del 17 dicembre 1965 )
Alcuni mesi fa il ministro del lavoro (che non c’è) Elsa Fornero aveva avuto la faccia tosta di prendersela con i giovani italiani che – a suo dire – rimanevano dei “mammoni” contenti di restare a casa anche fino a quarant’anni e senza un’occupazione. Ora già all’epoca qualcuno aveva sottolineato l’incongruenza di determinate dichiarazioni da parte di una esponente del governo dell’alta banca e della tecnocrazia sottolineando, prima di sparare simili cazzate (in un paese che sta letteralmente affondando nella merda, dove un giovane su tre non ha un’occupazione con punte che superano il 50 e passa per cento nelle regioni meridionali, dove più di otto milioni sono gli italiani che vivono al limite della soglia di povertà e almeno tre sono poveri tout court), di guardarsi in casa propria. Così venne fuori che Silvia Deaglio, figlia della ministra del lavoro e del giornalista Deaglio, già dall’età di 24 anni, mentre svolgeva un dottorato in Italia, ottenne l’incarico presso il giudaico Beth Israel Deaconess Medical Center ad Harvard, prestigioso e noto college di Harvard (USA). La figlia della ministra ha iniziato ad insegnare medicina a soli 30 anni, diventando associata presso l’Università di Torino sette anni più tardi con sei anni d’anticipo rispetto, vedi un po’ il ‘caso’, a quella che risulta essere la media d’accesso per questo ruolo. Il concorso lo vince a Chieti, nel 2010, alla facoltà di psicologia quindi l’approdo all’università piemontese dove insegnano, rivedi un po’ il ‘caso’, mamma e papà. Ma quello della figlia della ministra Fornero non sembra proprio essere un caso isolato all’interno del governo tecnocratico che sta affamando gli italiani, tassando i loro spiccioli e riducendo in miseria un intero paese. Michel Martone, figlio del ministro Antonio – avvocato della Cassazione e amico di Previti e Dell’Utri e già nominato dall’ex ministro Brunetta a presiedere l’authority degli scioperi ruolo dal quale fu costretto alle dimissioni dopo che il suo nome venne fatto nell’ambito dell’inchiesta sulla P3 – ha avuto una carriera universitaria particolarmente rapida: a 23 anni vince il dottorato all’Università di Modena, tre anni più tardi diventa ricercatore presso l’ateneo di Teramo, l’anno dopo è già professore associato. Al concorso, nel 2003, giunge secondo su due candidati dopo il ritiro degli altri sei. Presentò due monografie, una delle quali in edizione provvisoria (ossia non assimilabile): ottenne 4 voti favorevoli su 5 con il solo contrario di Franco Liso, contro i cinque positivi ottenuti invece dall’altra candidata 52enne con due lauree e oltre quaranta pubblicazione. Fu Martone ad ottenere il posto da ordinario. E a 37 anni è diventato viceministro dell’esecutivo Monti. E il premier? Questa sorta di novello ‘salvatore’ (…ma de che? direbbero a Roma? …) della patria, questa ‘eccellenza’ professorale chiamata al salvataggio del paese (…delle sue banche evidentemente…)? Non sembra proprio che abbia le carte in regola per ‘contarla’ ai soliti stolti italioti che vabbè siano dei fessi ma non fino al punto da credere ai miracoli in tempi di diffuso laicismo e più che diffuso scetticismo soprattutto tra e verso lorsignori della casta politico-economico-affaristico italiana. Giovanni Monti, figlio di….Mario, appare un manager rampante. A poco più di 20 anni è già – toh vedi un altro ‘caso’ – associato per il settore Investimenti bancari pressola GoldenSachs, la più potente merchant bank giudea statunitense nella quale il padre ha svolto il ruolo di international advisor per anni. Monti jr a 25 anni diventato consulente di direzione pressola Bain& Company dove rimane fino al 2001. Dal 2004 al 2009, cioè prima del suo approdo alla Parmalat (quella di Tanzi per capirci), Giovanni Monti ha lavorato prima al Citigroup quindi alla Morgan Stanley Bank , lo stesso istituto finanziario giudeo-americano a cui il padre ha liquidato qualcosa come 2 miliardi e mezzo di titoli derivati del Tesoro nel silenzio generale. Monti jr è stato responsabile delle acquisizioni e disinvestimenti presso il Citigroup mentre alla Morgan si è occupato di transazioni economiche sui mercati europei, vicino orientali e in Africa. Divertitevi voi a cercare i curriculum vitae di questi figli di….ministri. E questi sarebbero i ‘tecnici’ che dovrebbero risollevare le sorti del paese chiedendo sacrifici su sacrifici, imponendo tasse e balzelli, aumentando oneri e imposte, soffocando pensioni, distruggendo le imprese, provocando suicidi e morti per un lavoro che non c’è ecc. ecc.??? Questi sono nient’altro che gli incaricati dalla plutocrazia finanziaria internazionale di rovinare definitivamente un paese. Questa è la casta degli usurai. La Tecnocrazia familiare all’italiana perché…saranno pure tecnocrati ma anche loro – ‘poverini’ – “tengono famiglia”…. di Dagoberto Bellucci

14 maggio 2012

Sen bacchetta l’Europa troppo arrendevole con i banchieri

Il premio Nobel indiano per l’Economia boccia i tagli alla spesa pubblica e lamenta i cedimenti alle logiche liberiste Non sempre gli studiosi e i professori universitari insigniti del Premio Nobel per l’Economia sono collusi con la canaglia liberista e non sempre condividono la deriva imposta dall’Alta Finanza e dai governi che si sono trasformati in loro agenzie di affari. L’indiano Amartya Sen, premiato nel 1998, è uno di quei rari studiosi che non hanno ancora portato il cervello all’ammasso e che non credono che quello in cui viviamo sia il migliore dei mondi possibili e che il potere politico, oltre a quello reale, debba essere lasciato ai banchieri. Soprattutto Sen, che proviene da un Paese l’India che deve lottare con una persistente povertà di massa che coesiste, in virtù di un boom economico, con la nascita di una vasta classe media e di una classe di super ricchi, non può accettare la politiche di smantellamento dello Stato sociale imposte dalla Commissione europea ai Paesi membri dell’Unione. Tagliare la spesa pubblica porterà soltanto recessione, ha sostenuto Sen intervenendo ad un convegno a Bologna. Lo studioso ha infatti definito “un grosso errore” concentrarsi sui tagli. Un errore, ha insistito, che si sta rivelando molto costoso per l'Unione europea. Inoltre, ha accusato, in Europa c'è un'altra grave carenza. Quella di una mancanza di analisi e di giudizio pubblico su queste politiche. Insomma, voleva dire Sen, è tragico che i politici europei, che sono stati eletti con il voto popolare, abbiano deciso di cedere il potere legale a tecnocrati, uomini di fiducia dell’Alta Finanza, o anche nel caso di governi normali, abbiano deciso di adottare politiche economiche ultra-liberiste che vanno contro gli interessi dei cittadini. In Europa ha osservato Sen, non c'è un accordo politico generale sul come uscire dalla crisi. I Paesi europei si sono fatti commissariare. Oggi, ha accusato, siamo di fronte ad una “leadership finanziaria europea”, che promuove questi tagli alla spesa pubblica per ridurre il deficit. E Sen ha spiegato di volersi riferire alla Banca centrale europea e “alle altre banche”. Espressione che fa pensare subito alle banche inglesi e alle filiali di quelle Usa che da anni speculano contro i Paesi europei, contro i loro titoli di Stato e di riflesso contro l’euro per sostenere e salvare il dollaro e la sterlina. Da parte delle autorità europea, manca una sfida che venga lanciata ufficialmente al pensiero dominante. Quello, ha precisato, che è rappresentato dalle banche, dalle istituzioni finanziarie, dalle agenzie di rating e dalla Bce. Non si vede e non si sente, ha accusato, un dibattito vero e proprio e di alto livello su queste politiche. Affermazione che deve intendersi nel senso che la politica europea ha accantonato il suo ruolo storico di indirizzo e di traino della politica economica e ha smesso di porsi come il soggetto che deve ridistribuire il reddito prodotto verso i settori più emarginati della società. Soprattutto, voleva dire Sen, la politica europea ha deciso di accettare ad occhi chiusi i principi del Libero Mercato lasciando che fosse la famigerata “mano invisibile” a creare le premesse per la migliore allocazione delle risorse. Un principio che era falso già ai tempi di Adamo Smith e che è ancora più falso oggi che un capitalismo affamato e vorace ha imposto l’abbattimento delle frontiere e la nascita di un grande mercato globale. Un capitalismo finanziario che ormai dirige tutta l’economia mondiale e che è in grado di fare nascere e cadere i governi come birilli. Un capitalismo che non incontra alcuna remora a speculare contro i titoli di Stato di questo o quel Paese anche se questo dovesse metterli in ginocchio e innescare una povertà di massa. Sen che proviene da un Paese dove la povertà di massa è un fatto reale, conosce bene i suoi polli. Conosce bene le dinamiche finanziarie ed economiche globali e i soggetti che le alimentano. Sa bene che la povertà non può fare altro che aumentare senza un intervento diretto degli Stati per correggere gli squilibri che si venissero a creare in termini di distribuzione del reddito e per evitare una deriva sociale del tipo di quella che stiamo vivendo. Quello che i governi dovrebbero invece fare, ha detto, è di espandere la crescita economica attraverso nuova spesa e investimenti pubblici. Questo, ha spiegato, porterebbe ad una riduzione del disavanzo perché aumenterebbe il reddito e la ricchezza pubblica. Purtroppo, ha notato, l’unico dibattito, se così si può definire, sull’ideologia economica dominante, è quello svolto dalle proteste di Occupy o degli Indignados. A questi si possono aggiungere i voti di protesta a cui si sta assistendo in Europa. Ma non c’è, ha lamentato, un dibattito paritario, ma soltanto uno di tipo asimmetrico. Uno insomma nel quale chi detiene il potere reale, le banche, continua a comandare e ai dissidenti è consentito soltanto di alzare la voce senza essere in grado di cambiare le cose. Non c’è insomma un dibattito nel quale vengano contestati i fondamenti dell’ideologia liberista dominante. L’economista indiano ha infine criticato il tentativo della Germania di Angela Merkel di leggere la realtà europea in una maniera a lei congeniale. Una lettura che può andare bene per la Germania ma che sarebbe un errore se venisse imposta a tutti gli altri. Anche in questo caso, in mancanza di una critica, sarebbe la dimostrazione che il dibattito manca. Anche se, ha concluso, la Germania ha fatto tante cose per l'Europa. di Filippo Ghira

16 maggio 2012

La JPMorgan scommette, specula e la fa franca

JPMorgan ha perso più di 2 miliardi di dollari a causa di scommesse speculative. “E' semplicemente irrazionale consentire che esistano certi istituti finanziari.” “Né i democratici né i repubblicani hanno il coraggio di riformare le banche”. “Sono i contribuenti a farne le spese quando le banche, come JPMorgan, possono stravolgere le regole”. (CNN) – JP Morgan Chase può essere considerata una istituzione sistematicamente pericolosa, il che significa che è "troppo grande per fallire", perché il governo teme che il suo crollo causerebbe una crisi finanziaria globale. E' semplicemente irrazionale consentire che una tale istituzione esista, particolarmente perché può facilmente incappare in una perdita di gestione ordinaria di due miliardi di dollari. Le banche sono più efficienti quando sono controllate in modo da non poter più mettere in pericolo l'economia mondiale. Ma visto che le banche JP Morgan e simili sono i maggiori patrocinatori di democratici e repubblicani, nessun partito politico ha il coraggio di ordinare loro di riformarsi. La Regola Volcker, che ha lo scopo di evitare alle banche assicurate di impelagarsi in scommesse speculative, è stata approvata nell'ambito del Dodd-Frank Act nonostante le obiezioni del Segretario del Tesoro Timothy Geithner e quasi tutta la delegazione repubblicana del Congresso. Già nel 2008, quando la crisi finanziaria ci ha colpito duramente, sono andate in rovina una serie di grandi istituzioni. AIG, Merrill Lynch, Bear Stearns, Lehman Brothers, Fannie Mae, Freddie Mac, Washington Mutual e Wachovia hanno subito enormi perdite sui loro derivati tossici, particolarmente le obbligazioni di debito collaterale (CDO) e i credit default swaps (CDS), meglio conosciuti come "green slime- bava verde ". Sarebbe bello pensare che qualcuno abbia imparato una lezione. Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, adesso è d'accordo che le banche non dovrebbero investire in “ derivati”. Ma i sussidi governativi sono una spinta per incoraggiare la frode e la speculazione. JP Morgan, la più grande banca della nazione, riceve una sovvenzione federale esplicita (l'assicurazione sui depositi) e un altro, ben più sostanzioso, sussidio federale implicito. E’ scorretto per una megabanca utilizzare queste sovvenzioni per speculare sui derivati. E tuttavia può farlo quasi senza gravi conseguenze normative. Le istituzioni finanziarie, come JP Morgan amano comprare i derivati perché non sono trasparenti e creano un reddito fittizio che porta “bonus veri e propri” e quando (…. non se …) le perdite diventano tanto grandi da spingere la banca al fallimento, c’è sempre qualcuno che la salverà. La “Volcker Rule è stata inserita nel “Dodd-Frank Act” per risolvere il problema. Tuttavia, JP Morgan ha fatto il tentativo di sventrare la Volcker Rule e le disposizioni che richiedono trasparenza. JP Morgan è il più grande acquirente del mondo di strumenti finanziari derivati dalle proprietà - esattamente quella attività a cui la Volcker Rule ha cercato di porre fine. La banca dichiara di non essere impegnata in compravendite- immobiliari ma che acquista i derivati esclusivamente per la loro copertura. Questa dichiarazione è un esempio di ciò che Stephen Colbert intendeva quando ha inventato il termine: "truthiness". (La qualità di affermare concetti che si vuole o si crede che siano veri, malgrado i fatti reali dimostrino il contrario). Si definisce “ hedge/siepe” un investimento che compensa le perdite con un altro investimento. Le siepi immaginate da JP Morgan non sono “siepi” basate su delle regole contabili perché hanno dimostrato di non funzionare come copertura. JP Morgan ha comprato decine di miliardi di dollari di derivati che hanno aumentato le perdite, piuttosto che ridurle. Queste operazioni si chiamano “Anti-Hedges- Antisiepi" - in altre parole, hanno creato un "hedginess" - un parallelo immaginario del "truthiness". Allora l'approccio della banca all’"hedginess" è stato fatto per coprire le proprie perdite, quindi vorrebbe acquistare un derivato, se crede che i derivati siano una hedge/siepe o qualcos'altro: quindi se lo crede si “deve trattare di un hedge/siepe”. Le norme interpretative della Regola Volcker consentono queste false operazioni di copertura solo perché JP Morgan ha fatto pressione per rendere questa regola inutile. JP Morgan asserisce che queste anti-siepi (che sono profondamente dannose e immorali) devono essere considerate vere "siepi", in quanto solo questo termine è contemplato nelle norme del regolamento di attuazione della Volcker Rule. Ma se l’“hedginess” è ammissibile, ”ergo”la regola Volcker è inapplicabile. Si tratta di un trucco della JP Morgan con cui è stata capace di creare una ulteriore perdita di $ 2 miliardi con investimenti che avrebbero dovuto essere autorizzati solo per ridurre le perdite. Il governo deve rivedere i regolamenti e rifiutare l’assurda interpretazione di JP Morgan sulle anti-siepi di copertura. Le false siepi sono un abuso generalizzato, pericoloso e sono una forma letale di speculazione. Dal 2003 al 2006, la Commissione Securities and Exchange ha scoperto che i giganti dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac violavano l'hedge accounting per massimizzare i bonus dei loro dirigenti. Le siepi finte di Fannie, come quelle di JP Morgan, hanno aumentato le loro perdite. Il Dipartimento di Giustizia non è riuscito a fare un processo, e i dirigenti se ne sono andati più ricchi di prima. I loro successori hanno fatto scoppiare il “caso Fannie” e il tutto è costato ai contribuenti qualche centinaio di miliardi di dollari. Quando un amministratore delegato della banca è onesto, ma incompetente, le siepi finte oltre ad aumentare i rischi, creano anche un diffuso compiacimento ingiustificato che la copertura abbia compensato il rischio. E’ così che si possono provocare perdite catastrofiche. Un amministratore delegato disonesto di una banca usa le false siepi per saccheggiare la banca creando un reddito immaginario e nascondendo le perdite reali. Un reddito falsificato rende ricco il CEO grazie ai suoi compensi massimizzati. L’ attuale speculazione in derivati della JP Morgan indebolisce ma non uccide la banca. Se questa e altre istituzioni sistematicamente pericolose continueranno ancora a poter giocare con l’ hedginess, sarà solo questione di tempo, ma si ripeterà un’altra crisi finanziaria. E chi la pagherà ? I contribuenti come voi e me, naturalmente. di William K. Black William K. Black è professore associato di economia e diritto presso l'Università del Missouri-Kansas City. Ex consulente finanziario per il governo e esperto di criminologia dei colletti bianchi, è autore di "The Best Way to Rob a Bank is to Own One." . Fonte: http://edition.cnn.com Link: http://edition.cnn.com/2012/05/14/opinion/black-jpmorgan-banks/index.html

15 maggio 2012

Tecnocrazia familiare all'italiana

“…questa società senza-dio opera in modo estremamente efficiente, quantomeno ai suoi piani alti. Impiega qualunque possibile mezzo a sua disposizione, sia esso scientifico, tecnico, sociale o economico. Esercita un pressochè completo dominio nelle organizzazioni internazionali, sui circoli finanziari, nel campo delle comunicazioni di massa.” ( Padre Pedro Arupe – dell’Ordine dei Gesuiti, al Concilio Ecumenico del 17 dicembre 1965 )
Alcuni mesi fa il ministro del lavoro (che non c’è) Elsa Fornero aveva avuto la faccia tosta di prendersela con i giovani italiani che – a suo dire – rimanevano dei “mammoni” contenti di restare a casa anche fino a quarant’anni e senza un’occupazione. Ora già all’epoca qualcuno aveva sottolineato l’incongruenza di determinate dichiarazioni da parte di una esponente del governo dell’alta banca e della tecnocrazia sottolineando, prima di sparare simili cazzate (in un paese che sta letteralmente affondando nella merda, dove un giovane su tre non ha un’occupazione con punte che superano il 50 e passa per cento nelle regioni meridionali, dove più di otto milioni sono gli italiani che vivono al limite della soglia di povertà e almeno tre sono poveri tout court), di guardarsi in casa propria. Così venne fuori che Silvia Deaglio, figlia della ministra del lavoro e del giornalista Deaglio, già dall’età di 24 anni, mentre svolgeva un dottorato in Italia, ottenne l’incarico presso il giudaico Beth Israel Deaconess Medical Center ad Harvard, prestigioso e noto college di Harvard (USA). La figlia della ministra ha iniziato ad insegnare medicina a soli 30 anni, diventando associata presso l’Università di Torino sette anni più tardi con sei anni d’anticipo rispetto, vedi un po’ il ‘caso’, a quella che risulta essere la media d’accesso per questo ruolo. Il concorso lo vince a Chieti, nel 2010, alla facoltà di psicologia quindi l’approdo all’università piemontese dove insegnano, rivedi un po’ il ‘caso’, mamma e papà. Ma quello della figlia della ministra Fornero non sembra proprio essere un caso isolato all’interno del governo tecnocratico che sta affamando gli italiani, tassando i loro spiccioli e riducendo in miseria un intero paese. Michel Martone, figlio del ministro Antonio – avvocato della Cassazione e amico di Previti e Dell’Utri e già nominato dall’ex ministro Brunetta a presiedere l’authority degli scioperi ruolo dal quale fu costretto alle dimissioni dopo che il suo nome venne fatto nell’ambito dell’inchiesta sulla P3 – ha avuto una carriera universitaria particolarmente rapida: a 23 anni vince il dottorato all’Università di Modena, tre anni più tardi diventa ricercatore presso l’ateneo di Teramo, l’anno dopo è già professore associato. Al concorso, nel 2003, giunge secondo su due candidati dopo il ritiro degli altri sei. Presentò due monografie, una delle quali in edizione provvisoria (ossia non assimilabile): ottenne 4 voti favorevoli su 5 con il solo contrario di Franco Liso, contro i cinque positivi ottenuti invece dall’altra candidata 52enne con due lauree e oltre quaranta pubblicazione. Fu Martone ad ottenere il posto da ordinario. E a 37 anni è diventato viceministro dell’esecutivo Monti. E il premier? Questa sorta di novello ‘salvatore’ (…ma de che? direbbero a Roma? …) della patria, questa ‘eccellenza’ professorale chiamata al salvataggio del paese (…delle sue banche evidentemente…)? Non sembra proprio che abbia le carte in regola per ‘contarla’ ai soliti stolti italioti che vabbè siano dei fessi ma non fino al punto da credere ai miracoli in tempi di diffuso laicismo e più che diffuso scetticismo soprattutto tra e verso lorsignori della casta politico-economico-affaristico italiana. Giovanni Monti, figlio di….Mario, appare un manager rampante. A poco più di 20 anni è già – toh vedi un altro ‘caso’ – associato per il settore Investimenti bancari pressola GoldenSachs, la più potente merchant bank giudea statunitense nella quale il padre ha svolto il ruolo di international advisor per anni. Monti jr a 25 anni diventato consulente di direzione pressola Bain& Company dove rimane fino al 2001. Dal 2004 al 2009, cioè prima del suo approdo alla Parmalat (quella di Tanzi per capirci), Giovanni Monti ha lavorato prima al Citigroup quindi alla Morgan Stanley Bank , lo stesso istituto finanziario giudeo-americano a cui il padre ha liquidato qualcosa come 2 miliardi e mezzo di titoli derivati del Tesoro nel silenzio generale. Monti jr è stato responsabile delle acquisizioni e disinvestimenti presso il Citigroup mentre alla Morgan si è occupato di transazioni economiche sui mercati europei, vicino orientali e in Africa. Divertitevi voi a cercare i curriculum vitae di questi figli di….ministri. E questi sarebbero i ‘tecnici’ che dovrebbero risollevare le sorti del paese chiedendo sacrifici su sacrifici, imponendo tasse e balzelli, aumentando oneri e imposte, soffocando pensioni, distruggendo le imprese, provocando suicidi e morti per un lavoro che non c’è ecc. ecc.??? Questi sono nient’altro che gli incaricati dalla plutocrazia finanziaria internazionale di rovinare definitivamente un paese. Questa è la casta degli usurai. La Tecnocrazia familiare all’italiana perché…saranno pure tecnocrati ma anche loro – ‘poverini’ – “tengono famiglia”…. di Dagoberto Bellucci

14 maggio 2012

Sen bacchetta l’Europa troppo arrendevole con i banchieri

Il premio Nobel indiano per l’Economia boccia i tagli alla spesa pubblica e lamenta i cedimenti alle logiche liberiste Non sempre gli studiosi e i professori universitari insigniti del Premio Nobel per l’Economia sono collusi con la canaglia liberista e non sempre condividono la deriva imposta dall’Alta Finanza e dai governi che si sono trasformati in loro agenzie di affari. L’indiano Amartya Sen, premiato nel 1998, è uno di quei rari studiosi che non hanno ancora portato il cervello all’ammasso e che non credono che quello in cui viviamo sia il migliore dei mondi possibili e che il potere politico, oltre a quello reale, debba essere lasciato ai banchieri. Soprattutto Sen, che proviene da un Paese l’India che deve lottare con una persistente povertà di massa che coesiste, in virtù di un boom economico, con la nascita di una vasta classe media e di una classe di super ricchi, non può accettare la politiche di smantellamento dello Stato sociale imposte dalla Commissione europea ai Paesi membri dell’Unione. Tagliare la spesa pubblica porterà soltanto recessione, ha sostenuto Sen intervenendo ad un convegno a Bologna. Lo studioso ha infatti definito “un grosso errore” concentrarsi sui tagli. Un errore, ha insistito, che si sta rivelando molto costoso per l'Unione europea. Inoltre, ha accusato, in Europa c'è un'altra grave carenza. Quella di una mancanza di analisi e di giudizio pubblico su queste politiche. Insomma, voleva dire Sen, è tragico che i politici europei, che sono stati eletti con il voto popolare, abbiano deciso di cedere il potere legale a tecnocrati, uomini di fiducia dell’Alta Finanza, o anche nel caso di governi normali, abbiano deciso di adottare politiche economiche ultra-liberiste che vanno contro gli interessi dei cittadini. In Europa ha osservato Sen, non c'è un accordo politico generale sul come uscire dalla crisi. I Paesi europei si sono fatti commissariare. Oggi, ha accusato, siamo di fronte ad una “leadership finanziaria europea”, che promuove questi tagli alla spesa pubblica per ridurre il deficit. E Sen ha spiegato di volersi riferire alla Banca centrale europea e “alle altre banche”. Espressione che fa pensare subito alle banche inglesi e alle filiali di quelle Usa che da anni speculano contro i Paesi europei, contro i loro titoli di Stato e di riflesso contro l’euro per sostenere e salvare il dollaro e la sterlina. Da parte delle autorità europea, manca una sfida che venga lanciata ufficialmente al pensiero dominante. Quello, ha precisato, che è rappresentato dalle banche, dalle istituzioni finanziarie, dalle agenzie di rating e dalla Bce. Non si vede e non si sente, ha accusato, un dibattito vero e proprio e di alto livello su queste politiche. Affermazione che deve intendersi nel senso che la politica europea ha accantonato il suo ruolo storico di indirizzo e di traino della politica economica e ha smesso di porsi come il soggetto che deve ridistribuire il reddito prodotto verso i settori più emarginati della società. Soprattutto, voleva dire Sen, la politica europea ha deciso di accettare ad occhi chiusi i principi del Libero Mercato lasciando che fosse la famigerata “mano invisibile” a creare le premesse per la migliore allocazione delle risorse. Un principio che era falso già ai tempi di Adamo Smith e che è ancora più falso oggi che un capitalismo affamato e vorace ha imposto l’abbattimento delle frontiere e la nascita di un grande mercato globale. Un capitalismo finanziario che ormai dirige tutta l’economia mondiale e che è in grado di fare nascere e cadere i governi come birilli. Un capitalismo che non incontra alcuna remora a speculare contro i titoli di Stato di questo o quel Paese anche se questo dovesse metterli in ginocchio e innescare una povertà di massa. Sen che proviene da un Paese dove la povertà di massa è un fatto reale, conosce bene i suoi polli. Conosce bene le dinamiche finanziarie ed economiche globali e i soggetti che le alimentano. Sa bene che la povertà non può fare altro che aumentare senza un intervento diretto degli Stati per correggere gli squilibri che si venissero a creare in termini di distribuzione del reddito e per evitare una deriva sociale del tipo di quella che stiamo vivendo. Quello che i governi dovrebbero invece fare, ha detto, è di espandere la crescita economica attraverso nuova spesa e investimenti pubblici. Questo, ha spiegato, porterebbe ad una riduzione del disavanzo perché aumenterebbe il reddito e la ricchezza pubblica. Purtroppo, ha notato, l’unico dibattito, se così si può definire, sull’ideologia economica dominante, è quello svolto dalle proteste di Occupy o degli Indignados. A questi si possono aggiungere i voti di protesta a cui si sta assistendo in Europa. Ma non c’è, ha lamentato, un dibattito paritario, ma soltanto uno di tipo asimmetrico. Uno insomma nel quale chi detiene il potere reale, le banche, continua a comandare e ai dissidenti è consentito soltanto di alzare la voce senza essere in grado di cambiare le cose. Non c’è insomma un dibattito nel quale vengano contestati i fondamenti dell’ideologia liberista dominante. L’economista indiano ha infine criticato il tentativo della Germania di Angela Merkel di leggere la realtà europea in una maniera a lei congeniale. Una lettura che può andare bene per la Germania ma che sarebbe un errore se venisse imposta a tutti gli altri. Anche in questo caso, in mancanza di una critica, sarebbe la dimostrazione che il dibattito manca. Anche se, ha concluso, la Germania ha fatto tante cose per l'Europa. di Filippo Ghira