31 gennaio 2013

L'Italia nel tunnel





Secondo i dati di Bankitalia, (1) diffusi a dicembre scorso, alla fine del 2010 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 8 volte il reddito disponibile (contro l’8,2 del Regno Unito, l’8,1 della Francia, il 7,8 del Giappone e il 5,3 degli USA). Il debito delle famiglie italiane era pari al 70% del reddito disponibile (contro circa il 100% di Francia e Germania, il 125% di USA e Giappone e il 165% del Regno Unito). Il 10% delle famiglie più ricche deteneva il 45,9% della ricchezza, la metà più povera soltanto il 9,4%.
Alla fine del 2011 la ricchezza netta delle famiglie italiane ammontava a 8619 miliardi di euro (la ricchezza in abitazioni ammontava a oltre 5000 miliardi e quella in attività finanziarie a oltre 3500 miliardi). Una ricchezza leggermente inferiore a quella del 2010 (8683 miliardi) a prezzi costanti, ma se calcolata a prezzi 2011 nettamente inferiore a quella registrata negli anni successivi al 2007, ad ulteriore conferma dell’impatto negativo sulla nostra economia della crisi finanziaria del 2008. Una ricchezza comunque sempre pari a quattro volte l’ammontare complessivo del debito pubblico.
Vi sono pochi dubbi perciò che, se in Italia vi fosse una classe dirigente degna di tale nome, la campagna elettorale verterebbe alla luce di queste cifre  soprattutto sulle conseguenze che derivano dall’obbligo di pareggio di bilancio e dal patto fiscale europeo (il cosiddetto “fiscal compact“), che ci costringe a ridurre il debito pubblico del 50% nell’arco dei prossimi vent’anni. Si tratta di misure d’austerità imposte al nostro Paese dal governo del “commissario tecnico” Mario Monti, e fondate sulla previsione (gravemente errata) che la diminuzione di un punto del deficit pubblico avrebbe causato la riduzione di mezzo punto di crescita, mentre in realtà ne ha prodotto il triplo (ossia un punto e mezzo di crescita in meno).
Misure che alimentano una recessione che sta dilagando in tutta Europa. E che, oltre a far impennare il tasso di povertà e quello di disoccupazione (specialmente del tasso di disoccupazione giovanile), stanno compromettendo addirittura la base produttiva del nostro Paese – un Paese notoriamente privo di materie prime e dagli anni Novanta anche di quel “pungiglione strategico” che una “mano pubblica”, esperta e decisa, oggi avrebbe potuto (e dovuto) sfruttare per trarre il massimo profitto dal mutamento geopolitico che sta rivoluzionando gli equilibri del sistema internazionale. Invece, essendovi in Italia tutto fuorché una classe dirigente, non solo non vi è alcun serio dibattito su tali problemi, ma si trova perfino del tutto normale che anche quel poco che resta del settore strategico pubblico venga ceduto allo “straniero”. E ci si limita a ripetere il mantra liberista lamentandosi del fatto che in questi anni non vi sia stata alcuna vera “rivoluzione liberale”, come se il terremoto finanziario del 2008 fosse il risultato delle scelte sbagliate del nostro Paese. Ma soprattutto “ci si balocca” con alcuni dati macroeconomici, senza nemmeno tener conto del fatto che la causa principale dell’andamento dello spread sui tassi d’interesse dipende, come in definitiva la stesso Fmi e Bankitalia riconoscono – non tanto dal debito pubblico quanto dalla mancanza di un autentico “soggetto politico europeo” e di conseguenza dal possibile collasso dell’eurozona, che proprio le politiche di austerity rendono più probabile.
Del resto, indipendentemente dalla internazionalizzazione (voluta da Amato e dagli altri tecnocrati “europeisti”) del nostro debito pubblico, dopo aver deciso, all’inizio degli anni Ottanta, il divorzio tra ministero del Tesoro e Bankitalia (divorzio che causò una crescita vertiginosa del debito pubblico), si sa che il Giappone, che ha un tasso di disoccupazione del 4,5% (contro l’11% dell’Europa) e che è la terza economia del pianeta, intende ampliare la propria spesa pubblica con un primo intervento di 85 miliardi, pur avendo un debito pubblico che è del 236% del Pil e un rapporto deficit/Pil al 10%. (2) Indubbiamente, ciò dipende pure dal fatto che il debito pubblico del Giappone è pressoché completamente detenuto dai giapponesi, ma la sostanza è che non vi può essere alcuna crescita né alcuna vera ripresa dell’economia reale senza rinunciare a misure d’austerity, il cui fallimento è sotto gli occhi di tutti.
D’altra parte, si può ragionevolmente ritenere che l’oligarchia che detiene le leve del potere in Europa consideri più importante liquidare una volta per tutte il “vecchio” Welfare e imporre un modello liberista di tipo americano, in particolare nei Paesi europei più deboli, garantendo da un lato i “mercati finanziari” e dall’altro gli interessi geopolitici degli Stati Uniti. Questi ultimi infatti, hanno tutto l’interesse a impedire una qualsiasi politica europea distinta da quella atlantista e al tempo stesso devono saldare la Germania all’Atlantico, per bloccare “preventivamente” ogni tentativo di dar vita a una nuova Ostpolitik, soprattutto ora che la sfida con la Cina (e con la Russia) è decisiva per il futuro degli Usa. Non a caso, gli statunitensi o i loro “agenti” si adoperano perché si lasci alla Francia sufficientemente spazio per poter fare una politica di tipo neocoloniale in Africa e agiscono in modo tale da approfondire sempre più il solco tra il Baltico e il Mediterraneo.
Insomma, si applica la solita strategia del divide et impera, con la differenza però che se nelle aree più calde del pianeta questa strategia non si distingue da una geopolitica del caos, che può giocare non pochi brutti scherzi agli apprendisti stregoni occidentali (dalla Libia al Mali, dall’Egitto alla Siria), in Europa si può facilmente far leva su gruppi subdominanti che, avendo ormai rinnegato ogni ideale, sono disposti a tutto pur di non perdere i favori degli amici “d’oltreoceano”. In questo senso, il nostro Paese sta giocando un ruolo di primo piano, sia sotto il profilo della ridefinizione in chiave mercantile dei rapporti sociali, sia sotto quello geopolitico, configurandosi come una base sicura per la NATO e la politica di potenza statunitense. Tanto che Difesa ed Esteri sono di fatto gestiti direttamente dagli statunitensi, essendo palese che si tratta di ministeri controllati rispettivamente dal Pentagono e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, e che non rappresentano né tutelano in alcun modo i reali interessi del nostro Paese. Ragion per cui anche coloro (come Luciano Gallino e Stefano Sylos Labini) che difendono le ragioni di un intervento pubblico per far uscire l’Itala da una spirale recessiva che minaccia di far compiere alla maggioranza degli italiani un drammatico “balzo all’indietro”, dovrebbero rendersi conto che non vi sono solo ostacoli di tipo economico da superare. Anzi gli ostacoli maggiori sono di ben altra natura. E se si può concedere che la Fornero non ne sia consapevole, Mario Monti e certamente Mario Draghi sanno sicuramente quel che bolle in pentola. E agiscono di conseguenza.
In ogni caso, l’azione politico-strategica dei “mercati” è favorita dallo pseudoeuropeismo dei tecnocrati atlantisti (il cosiddetto “euroatlantismo”) e da una lotta tra forze politiche il cui vero obiettivo è diventare i portavoce degli strateghi d’oltreoceano, infischiandosene della sorte della maggioranza degli italiani. I quali, tuttavia, non hanno fatto molto in questi ultimi lustri per cercare di far prevalere l’interesse generale, badando perlopiù al proprio “particulare” e prestando ascolto ai soliti gazzettieri e intellettuali mercenari che infestano il nostro Paese da decenni. Non c’è dubbio quindi che gli italiani sapranno premiare i peggiori pure questa volta. Anche perché non pare che vi siano vere alternative, se non vi è nessuna forza politica che difenda princìpi e valori di tipo socialista e nazionalpopolare e che allo stesso tempo intenda battersi per i diritti dei popoli europei contro la prepotenza dei “mercati” e della oligarchia euroatlantista. Quel che però è certo è che quei (pochi) italiani che non hanno dimenticato che anche il comandante in capo delle forze armate statunitensi nel Vietnam del Sud, generale William Westmoreland, disse che vedeva la luce in fondo al tunnel poco prima della famosa offensiva del Tet, che sancì la sconfitta degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, non possono non essere d’accordo con chi sostiene che l’ottimismo è l’oppio degli insipienti e che, se veramente si vuole il bene dell’Italia, sarebbe invece opportuno non nascondere il timore che il peggio debba ancora venire.
Con ciò non si vuole affermare che non vi sia via d’uscita. Si tratta piuttosto di prendere atto che solo uno “squilibrio” derivante da una (invero non impossibile) nuova crisi internazionale potrebbe liberare una “quantità d’energia” tale da indurre la Germania (e la Francia) a decidersi per un cambiamento di paradigma (geo)politico. Si concederà però che, rebus sic stantibus, non vi è nulla che faccia ritenere che vi sia in Europa la volontà di dar inizio ad un tale nuovo corso politico, che avrebbe effetti positivi anche in un Paese come il nostro in cui funzione politica e innovazione strategica sembrano quasi del tutto scomparse.

di Fabio Falchi 

(1)Bancaditalia.it
(2) IlSole24ore.com

30 gennaio 2013

L'ineffabile ombra della finanza mondiale




   
   

Il missionario e giornalista P. Giulio Albanese ha inserito in un articolo del numero di Gennaio della sua rivista “Popoli e missione”, un’informazione tanto fondamentale quanto ignorata dalla stampa e che riportiamo qui sperando di aiutare in questo modo a divulgarla. Vorremmo anche che i nostri governanti, astutissimi banchieri che non trovano mai sufficiente la cosiddetta “trasparenza e tracciabilità” dei nostri miseri redditi, inseguendo con la forza di quella che ormai possiamo considerare la loro particolare Polizia, i militari della Finanza, ogni nostro scontrino, ogni più piccola ricevuta, ci spiegassero quali sono i “loro” interessi a mantenere nell’ombra queste operazioni. Dei nostri politici è inutile tenere conto: una volta ridotto il Parlamento alla farsa del dire “sì” ai banchieri, sono diventati come le famose scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano, impegnati esclusivamente nella salvaguardia della propria carriera.

“Si tratta di un importante studio sul "sistema bancario ombra", lo shadow banking mondiale, pubblicato dal Financial Stability Board (Fsb), l'istituto internazionale di coordinamento dei governi, delle banche centrali e degli organi di controllo per la stabilità finanziaria a livello globale. Leggendo attentamente questo testo, si scopre che qualcosa di aberrante è all'origine della crisi finanziaria planetaria. Lo studio, incentrato sulla cosiddetta eurozona e su altri 25 Paesi, evidenzia infatti che a fine 2011 ben 67mila miliardi di dollari erano gestiti da una "finanza parallela", al di fuori, quindi, dei controlli e delle regole bancarie vigenti; una cifra che equivale al 111% del Pil mondiale ed è pari alla metà delle attività bancarie globali e a circa un quarto dell'intero sistema finanziario.

Leggendo questo studio si ha l'impressione d'essere al cospetto di un movimento sovversivo che specula impunemente ai danni degli Stati sovrani e soprattutto dei ceti meno abbienti. In altre parole, se da una parte ci sono i conti correnti con i risparmi dei cittadini e delle imprese, dall'altra abbiamo questo sistema bancario occulto, composto da tutte le transazioni finanziarie fatte fuori dalle regolari operazioni bancarie.

Come spiegato in più circostanze su questa rivista dal 2008, in coincidenza col fallimento della Lehman Brothers e dall'inizio della crisi sistemica dei mercati, si tratta di operazioni fatte da differenti intermediari finanziari, come certi operatori specializzati nel collocamento dei “derivati”, quei prodotti finanziari che, in larga misura, hanno inquinato i mercati. Tutte attività, queste, rigorosamente over the counter (otc), cioè stipulate fuori dai mercati borsistici e spesso tenute anche fuori dai bilanci. Alcuni autorevoli economisti ritengono che il "sistema ombra" sia spesso un'emanazione delle grandi banche internazionali che hanno interesse ad aggirare le regole e i controlli cui sono sottoposte.”


Naturalmente nulla di tutto ciò è nuovo: se ne è parlato in libri e articoli (vedi “La Dittatura europea”) già diversi anni fa e discusso abbondantemente in molti siti internet, incluso il nostro, ma come è successo sempre per quanto riguarda l’Unione europea e la moneta unica, politici e governanti ignorano qualsiasi domanda, passano sopra con dittatoriale indifferenza alle richieste e ai bisogni dei sudditi, intenti esclusivamente a condurre in porto il proprio progetto di potere: l’unificazione del mondo governato dai banchieri. Non ha nessuna importanza il fallimento evidente di tante delle loro imprese, inclusa quella dell’euro, visto che se ne sono arricchiti in denaro e in potere, togliendoli ai cittadini. La bilancia, infatti, è proprio questa: tanto hanno perso in sovranità e in denaro i cittadini d’Europa, tanto hanno acquistato in potere e in denaro i banchieri. Come abbiamo già detto, i politici non contano: sono esclusivamente al servizio dei banchieri, forse perché altrimenti perderebbero pure le apparenze del potere e le connesse prebende di cui ancora godono.

Lo spettacolo che le migliaia di pirati all’arrembaggio hanno offerto ai nostri occhi in questi giorni per candidarsi alle prossime elezioni, per appropriarsi, come affamate cavallette, degli ultimi resti del corpo dilapidato dell’Italia, ha dato la misura di una involuzione ormai irreversibile. Nessuno ha minimamente messo in dubbio che si debba dipendere dai banchieri, dall’alta finanza che governa l’Europa. Nessuno ha detto che, senza la sovranità monetaria, è impossibile ricominciare ad avere un vero mercato e salvare qualche briciola dalla competizione con gli Stati emergenti. Nessuno ha parlato della fine degli Stati nazionali e della loro indipendenza. Addirittura si è deciso di partecipare ad una guerra (quella in Mali) senza discuterne in Parlamento. Nessuno ha preso in considerazione, in un’Europa che si vanta della propria civiltà, la criminalità di strutture di governo che dominano i sudditi attraverso il denaro, attraverso il fisco, assurto ad unico “valore”. Non parliamo dei “cattolici” visto che si vantano di esserlo anche molti dei governanti banchieri, pur calpestando il Vangelo ad ogni passo. Parliamo, però, della gerarchia della Chiesa la quale non ha mai condannato l’unificazione europea, pur voluta dall’alta finanza e guidata dai banchieri, e non ha neanche mai condannato i governanti banchieri che attraverso il fisco hanno spinto i sudditi alla disperazione fino al suicidio. Ma soprattutto parliamo della gerarchia della Chiesa che adopera essa stessa il linguaggio del mercato laddove parla di valori “non negoziabili”. Formula atroce che fa rabbrividire chi sa che nel Vangelo non esiste nessun valore “non negoziabile” perché soltanto di una specie di peccatori Gesù ha detto che “non entreranno nel regno dei cieli”: i ricchi.

di Ida Magli

28 gennaio 2013

MPS: un caso di crisi finanziaria sistemica








Lo scandalo dei derivati del Monte dei Paschi di Siena è più grave di quanto lo si stia dipingendo. Però vediamo di non trasformarlo nella solita bega provinciale a metà strada tra la politica e i giochi elettorali.
Si tratta, invece, della nota questione, profonda e sistemica, della finanza globale e delle sue crisi mai affrontate.
I responsabili dello scandalo e della truffa, se la magistratura li individuerà e ne accerterà le violazioni del codice penale, meritano la galera ed il sequestro dei beni.
I controllori, che non hanno saputo controllare, a cominciare dalla Banca d’Italia, devono comunque spiegare il loro operato e trarne eventualmente le necessarie conclusioni.
A noi preme anche sottolineare e mostrare gli aspetti sistemici ed internazionali che stanno all’origine della crisi e, anche in questo caso, a monte e a valle della frode.
E’ sorprendente l’indignazione di fronte a questo scandalo. Come se ogni frode sia scollegata dalle tante altre e abbia una semplice valenza locale.
Non tutti sanno che tra gli azionisti di Mps c’è anche la banca americana JP Morgan Chase. Essa è la prima al mondo per operazioni in derivati finanziari. L’ultimo rapporto dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) negli Usa indica che alla fine del terzo trimestre del 2012 essa deteneva derivati over the counter (otc) per un valore nozionale di ben 71 trilioni di dollari!
Come è noto gli otc sono contrattati nell’assoluta opacità, al di fuori dei mercati ufficiali e tenuti fuori bilancio.
Anche la frode Mps ne è la prova provata. Vi era, infatti, un contratto tenuto segreto in cassaforte e mai riportato sui libri contabili.
Questi casi esplodono quando bisogna coprire le perdite di qualcosa che ufficialmente “non esiste” o non dovrebbe esistere.
La JP Morgan quindi controlla quasi un terzo di tutti i derivati attivati dalle banche americane, che sono 227 trilioni di dollari. Detiene inoltre un nono di tutte gli otc mondiali che, secondo l’ultima stima della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, ammontano a 639 trilioni di dollari!
Con una presenza attiva della succitata banca americana, non è sorprendente che anche Mps si sia immersa nella palude dei più rischiosi derivati finanziari. Chi va con lo zoppo impara a zoppicare!
Dai risultati delle indagini finora emersi apprendiamo che Mps, per coprire le rilevanti perdite derivanti da operazioni in derivati, noti come “Alexandria”, fatte tra l’altro con la Dresdner Bank tedesca, nel luglio 2009 aveva sottoscritto un altro cosiddetto “veicolo strutturato” in derivati. Ancora più rischioso e segreto con la finanziaria giapponese Nomura.
Con tale operazione apparentemente sparivano le perdite ma Mps si impegnava a sostenere i costi  del nuovo derivato finanziario per almeno trenta anni.
Dopo il fallimento della Lehman Brothers nell’autunno del 2008, la Nomura è diventata la più aggressiva finanziaria impegnata nei più esotici e rischiosi derivati. Nel 2009, infatti, essa ha rilevato tutte le strutture europee e asiatiche della Lehman, “arruolando” anche i suoi massimi manager e circa 8.500 operatori finanziari. Non è un caso che la Nomura sia coinvolta in moltissime operazioni finanziarie internazionali ad alto rischio. Molte delle quali anche in Italia.
Un altro “veicolo” speculativo in derivati finanziari, emerso dalle indagini, è il “Santorini”, stipulato da Mps con la Deutsche Bank, la quale nell’ultimo periodo è nell’occhio del ciclone per tantissime indagini per truffa da parte delle autorità tedesche.
Un certo sconcerto suscita il “regalo” di  4 miliardi di euro fatto al pericolante Banco Santander spagnolo nell’acquisizione di Antonveneta.
Come si può notare molte di queste operazioni sono state fatte dopo l’esplosione della crisi del 2007-8. Gli attori, come da noi ripetutamente evidenziato, hanno continuato a muoversi con la stessa spregiudicatezza e irresponsabilità. Essi contavano e ancora contano su due cose: essere troppo grandi e sistemici per poter essere lasciati fallire e sulle politiche conseguenti di salvataggio bancario da parte dei governi.
E’ un gioco mortale per le economie e per i paesi coinvolti. Deve finire. Riteniamo che il caso Mps debba diventare per l’Italia e per l’Europa l’occasione per costringere anche gli Usa, il Giappone e gli altri paesi del G20 a ripulire la finanza dai titoli tossici. Altrimenti si rischiano nuove “bombe finanziarie” con ulteriori devastazioni delle economie e con la frustrazione di ogni speranza di ripresa. Anche in Italia. 


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

31 gennaio 2013

L'Italia nel tunnel





Secondo i dati di Bankitalia, (1) diffusi a dicembre scorso, alla fine del 2010 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 8 volte il reddito disponibile (contro l’8,2 del Regno Unito, l’8,1 della Francia, il 7,8 del Giappone e il 5,3 degli USA). Il debito delle famiglie italiane era pari al 70% del reddito disponibile (contro circa il 100% di Francia e Germania, il 125% di USA e Giappone e il 165% del Regno Unito). Il 10% delle famiglie più ricche deteneva il 45,9% della ricchezza, la metà più povera soltanto il 9,4%.
Alla fine del 2011 la ricchezza netta delle famiglie italiane ammontava a 8619 miliardi di euro (la ricchezza in abitazioni ammontava a oltre 5000 miliardi e quella in attività finanziarie a oltre 3500 miliardi). Una ricchezza leggermente inferiore a quella del 2010 (8683 miliardi) a prezzi costanti, ma se calcolata a prezzi 2011 nettamente inferiore a quella registrata negli anni successivi al 2007, ad ulteriore conferma dell’impatto negativo sulla nostra economia della crisi finanziaria del 2008. Una ricchezza comunque sempre pari a quattro volte l’ammontare complessivo del debito pubblico.
Vi sono pochi dubbi perciò che, se in Italia vi fosse una classe dirigente degna di tale nome, la campagna elettorale verterebbe alla luce di queste cifre  soprattutto sulle conseguenze che derivano dall’obbligo di pareggio di bilancio e dal patto fiscale europeo (il cosiddetto “fiscal compact“), che ci costringe a ridurre il debito pubblico del 50% nell’arco dei prossimi vent’anni. Si tratta di misure d’austerità imposte al nostro Paese dal governo del “commissario tecnico” Mario Monti, e fondate sulla previsione (gravemente errata) che la diminuzione di un punto del deficit pubblico avrebbe causato la riduzione di mezzo punto di crescita, mentre in realtà ne ha prodotto il triplo (ossia un punto e mezzo di crescita in meno).
Misure che alimentano una recessione che sta dilagando in tutta Europa. E che, oltre a far impennare il tasso di povertà e quello di disoccupazione (specialmente del tasso di disoccupazione giovanile), stanno compromettendo addirittura la base produttiva del nostro Paese – un Paese notoriamente privo di materie prime e dagli anni Novanta anche di quel “pungiglione strategico” che una “mano pubblica”, esperta e decisa, oggi avrebbe potuto (e dovuto) sfruttare per trarre il massimo profitto dal mutamento geopolitico che sta rivoluzionando gli equilibri del sistema internazionale. Invece, essendovi in Italia tutto fuorché una classe dirigente, non solo non vi è alcun serio dibattito su tali problemi, ma si trova perfino del tutto normale che anche quel poco che resta del settore strategico pubblico venga ceduto allo “straniero”. E ci si limita a ripetere il mantra liberista lamentandosi del fatto che in questi anni non vi sia stata alcuna vera “rivoluzione liberale”, come se il terremoto finanziario del 2008 fosse il risultato delle scelte sbagliate del nostro Paese. Ma soprattutto “ci si balocca” con alcuni dati macroeconomici, senza nemmeno tener conto del fatto che la causa principale dell’andamento dello spread sui tassi d’interesse dipende, come in definitiva la stesso Fmi e Bankitalia riconoscono – non tanto dal debito pubblico quanto dalla mancanza di un autentico “soggetto politico europeo” e di conseguenza dal possibile collasso dell’eurozona, che proprio le politiche di austerity rendono più probabile.
Del resto, indipendentemente dalla internazionalizzazione (voluta da Amato e dagli altri tecnocrati “europeisti”) del nostro debito pubblico, dopo aver deciso, all’inizio degli anni Ottanta, il divorzio tra ministero del Tesoro e Bankitalia (divorzio che causò una crescita vertiginosa del debito pubblico), si sa che il Giappone, che ha un tasso di disoccupazione del 4,5% (contro l’11% dell’Europa) e che è la terza economia del pianeta, intende ampliare la propria spesa pubblica con un primo intervento di 85 miliardi, pur avendo un debito pubblico che è del 236% del Pil e un rapporto deficit/Pil al 10%. (2) Indubbiamente, ciò dipende pure dal fatto che il debito pubblico del Giappone è pressoché completamente detenuto dai giapponesi, ma la sostanza è che non vi può essere alcuna crescita né alcuna vera ripresa dell’economia reale senza rinunciare a misure d’austerity, il cui fallimento è sotto gli occhi di tutti.
D’altra parte, si può ragionevolmente ritenere che l’oligarchia che detiene le leve del potere in Europa consideri più importante liquidare una volta per tutte il “vecchio” Welfare e imporre un modello liberista di tipo americano, in particolare nei Paesi europei più deboli, garantendo da un lato i “mercati finanziari” e dall’altro gli interessi geopolitici degli Stati Uniti. Questi ultimi infatti, hanno tutto l’interesse a impedire una qualsiasi politica europea distinta da quella atlantista e al tempo stesso devono saldare la Germania all’Atlantico, per bloccare “preventivamente” ogni tentativo di dar vita a una nuova Ostpolitik, soprattutto ora che la sfida con la Cina (e con la Russia) è decisiva per il futuro degli Usa. Non a caso, gli statunitensi o i loro “agenti” si adoperano perché si lasci alla Francia sufficientemente spazio per poter fare una politica di tipo neocoloniale in Africa e agiscono in modo tale da approfondire sempre più il solco tra il Baltico e il Mediterraneo.
Insomma, si applica la solita strategia del divide et impera, con la differenza però che se nelle aree più calde del pianeta questa strategia non si distingue da una geopolitica del caos, che può giocare non pochi brutti scherzi agli apprendisti stregoni occidentali (dalla Libia al Mali, dall’Egitto alla Siria), in Europa si può facilmente far leva su gruppi subdominanti che, avendo ormai rinnegato ogni ideale, sono disposti a tutto pur di non perdere i favori degli amici “d’oltreoceano”. In questo senso, il nostro Paese sta giocando un ruolo di primo piano, sia sotto il profilo della ridefinizione in chiave mercantile dei rapporti sociali, sia sotto quello geopolitico, configurandosi come una base sicura per la NATO e la politica di potenza statunitense. Tanto che Difesa ed Esteri sono di fatto gestiti direttamente dagli statunitensi, essendo palese che si tratta di ministeri controllati rispettivamente dal Pentagono e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, e che non rappresentano né tutelano in alcun modo i reali interessi del nostro Paese. Ragion per cui anche coloro (come Luciano Gallino e Stefano Sylos Labini) che difendono le ragioni di un intervento pubblico per far uscire l’Itala da una spirale recessiva che minaccia di far compiere alla maggioranza degli italiani un drammatico “balzo all’indietro”, dovrebbero rendersi conto che non vi sono solo ostacoli di tipo economico da superare. Anzi gli ostacoli maggiori sono di ben altra natura. E se si può concedere che la Fornero non ne sia consapevole, Mario Monti e certamente Mario Draghi sanno sicuramente quel che bolle in pentola. E agiscono di conseguenza.
In ogni caso, l’azione politico-strategica dei “mercati” è favorita dallo pseudoeuropeismo dei tecnocrati atlantisti (il cosiddetto “euroatlantismo”) e da una lotta tra forze politiche il cui vero obiettivo è diventare i portavoce degli strateghi d’oltreoceano, infischiandosene della sorte della maggioranza degli italiani. I quali, tuttavia, non hanno fatto molto in questi ultimi lustri per cercare di far prevalere l’interesse generale, badando perlopiù al proprio “particulare” e prestando ascolto ai soliti gazzettieri e intellettuali mercenari che infestano il nostro Paese da decenni. Non c’è dubbio quindi che gli italiani sapranno premiare i peggiori pure questa volta. Anche perché non pare che vi siano vere alternative, se non vi è nessuna forza politica che difenda princìpi e valori di tipo socialista e nazionalpopolare e che allo stesso tempo intenda battersi per i diritti dei popoli europei contro la prepotenza dei “mercati” e della oligarchia euroatlantista. Quel che però è certo è che quei (pochi) italiani che non hanno dimenticato che anche il comandante in capo delle forze armate statunitensi nel Vietnam del Sud, generale William Westmoreland, disse che vedeva la luce in fondo al tunnel poco prima della famosa offensiva del Tet, che sancì la sconfitta degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, non possono non essere d’accordo con chi sostiene che l’ottimismo è l’oppio degli insipienti e che, se veramente si vuole il bene dell’Italia, sarebbe invece opportuno non nascondere il timore che il peggio debba ancora venire.
Con ciò non si vuole affermare che non vi sia via d’uscita. Si tratta piuttosto di prendere atto che solo uno “squilibrio” derivante da una (invero non impossibile) nuova crisi internazionale potrebbe liberare una “quantità d’energia” tale da indurre la Germania (e la Francia) a decidersi per un cambiamento di paradigma (geo)politico. Si concederà però che, rebus sic stantibus, non vi è nulla che faccia ritenere che vi sia in Europa la volontà di dar inizio ad un tale nuovo corso politico, che avrebbe effetti positivi anche in un Paese come il nostro in cui funzione politica e innovazione strategica sembrano quasi del tutto scomparse.

di Fabio Falchi 

(1)Bancaditalia.it
(2) IlSole24ore.com

30 gennaio 2013

L'ineffabile ombra della finanza mondiale




   
   

Il missionario e giornalista P. Giulio Albanese ha inserito in un articolo del numero di Gennaio della sua rivista “Popoli e missione”, un’informazione tanto fondamentale quanto ignorata dalla stampa e che riportiamo qui sperando di aiutare in questo modo a divulgarla. Vorremmo anche che i nostri governanti, astutissimi banchieri che non trovano mai sufficiente la cosiddetta “trasparenza e tracciabilità” dei nostri miseri redditi, inseguendo con la forza di quella che ormai possiamo considerare la loro particolare Polizia, i militari della Finanza, ogni nostro scontrino, ogni più piccola ricevuta, ci spiegassero quali sono i “loro” interessi a mantenere nell’ombra queste operazioni. Dei nostri politici è inutile tenere conto: una volta ridotto il Parlamento alla farsa del dire “sì” ai banchieri, sono diventati come le famose scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano, impegnati esclusivamente nella salvaguardia della propria carriera.

“Si tratta di un importante studio sul "sistema bancario ombra", lo shadow banking mondiale, pubblicato dal Financial Stability Board (Fsb), l'istituto internazionale di coordinamento dei governi, delle banche centrali e degli organi di controllo per la stabilità finanziaria a livello globale. Leggendo attentamente questo testo, si scopre che qualcosa di aberrante è all'origine della crisi finanziaria planetaria. Lo studio, incentrato sulla cosiddetta eurozona e su altri 25 Paesi, evidenzia infatti che a fine 2011 ben 67mila miliardi di dollari erano gestiti da una "finanza parallela", al di fuori, quindi, dei controlli e delle regole bancarie vigenti; una cifra che equivale al 111% del Pil mondiale ed è pari alla metà delle attività bancarie globali e a circa un quarto dell'intero sistema finanziario.

Leggendo questo studio si ha l'impressione d'essere al cospetto di un movimento sovversivo che specula impunemente ai danni degli Stati sovrani e soprattutto dei ceti meno abbienti. In altre parole, se da una parte ci sono i conti correnti con i risparmi dei cittadini e delle imprese, dall'altra abbiamo questo sistema bancario occulto, composto da tutte le transazioni finanziarie fatte fuori dalle regolari operazioni bancarie.

Come spiegato in più circostanze su questa rivista dal 2008, in coincidenza col fallimento della Lehman Brothers e dall'inizio della crisi sistemica dei mercati, si tratta di operazioni fatte da differenti intermediari finanziari, come certi operatori specializzati nel collocamento dei “derivati”, quei prodotti finanziari che, in larga misura, hanno inquinato i mercati. Tutte attività, queste, rigorosamente over the counter (otc), cioè stipulate fuori dai mercati borsistici e spesso tenute anche fuori dai bilanci. Alcuni autorevoli economisti ritengono che il "sistema ombra" sia spesso un'emanazione delle grandi banche internazionali che hanno interesse ad aggirare le regole e i controlli cui sono sottoposte.”


Naturalmente nulla di tutto ciò è nuovo: se ne è parlato in libri e articoli (vedi “La Dittatura europea”) già diversi anni fa e discusso abbondantemente in molti siti internet, incluso il nostro, ma come è successo sempre per quanto riguarda l’Unione europea e la moneta unica, politici e governanti ignorano qualsiasi domanda, passano sopra con dittatoriale indifferenza alle richieste e ai bisogni dei sudditi, intenti esclusivamente a condurre in porto il proprio progetto di potere: l’unificazione del mondo governato dai banchieri. Non ha nessuna importanza il fallimento evidente di tante delle loro imprese, inclusa quella dell’euro, visto che se ne sono arricchiti in denaro e in potere, togliendoli ai cittadini. La bilancia, infatti, è proprio questa: tanto hanno perso in sovranità e in denaro i cittadini d’Europa, tanto hanno acquistato in potere e in denaro i banchieri. Come abbiamo già detto, i politici non contano: sono esclusivamente al servizio dei banchieri, forse perché altrimenti perderebbero pure le apparenze del potere e le connesse prebende di cui ancora godono.

Lo spettacolo che le migliaia di pirati all’arrembaggio hanno offerto ai nostri occhi in questi giorni per candidarsi alle prossime elezioni, per appropriarsi, come affamate cavallette, degli ultimi resti del corpo dilapidato dell’Italia, ha dato la misura di una involuzione ormai irreversibile. Nessuno ha minimamente messo in dubbio che si debba dipendere dai banchieri, dall’alta finanza che governa l’Europa. Nessuno ha detto che, senza la sovranità monetaria, è impossibile ricominciare ad avere un vero mercato e salvare qualche briciola dalla competizione con gli Stati emergenti. Nessuno ha parlato della fine degli Stati nazionali e della loro indipendenza. Addirittura si è deciso di partecipare ad una guerra (quella in Mali) senza discuterne in Parlamento. Nessuno ha preso in considerazione, in un’Europa che si vanta della propria civiltà, la criminalità di strutture di governo che dominano i sudditi attraverso il denaro, attraverso il fisco, assurto ad unico “valore”. Non parliamo dei “cattolici” visto che si vantano di esserlo anche molti dei governanti banchieri, pur calpestando il Vangelo ad ogni passo. Parliamo, però, della gerarchia della Chiesa la quale non ha mai condannato l’unificazione europea, pur voluta dall’alta finanza e guidata dai banchieri, e non ha neanche mai condannato i governanti banchieri che attraverso il fisco hanno spinto i sudditi alla disperazione fino al suicidio. Ma soprattutto parliamo della gerarchia della Chiesa che adopera essa stessa il linguaggio del mercato laddove parla di valori “non negoziabili”. Formula atroce che fa rabbrividire chi sa che nel Vangelo non esiste nessun valore “non negoziabile” perché soltanto di una specie di peccatori Gesù ha detto che “non entreranno nel regno dei cieli”: i ricchi.

di Ida Magli

28 gennaio 2013

MPS: un caso di crisi finanziaria sistemica








Lo scandalo dei derivati del Monte dei Paschi di Siena è più grave di quanto lo si stia dipingendo. Però vediamo di non trasformarlo nella solita bega provinciale a metà strada tra la politica e i giochi elettorali.
Si tratta, invece, della nota questione, profonda e sistemica, della finanza globale e delle sue crisi mai affrontate.
I responsabili dello scandalo e della truffa, se la magistratura li individuerà e ne accerterà le violazioni del codice penale, meritano la galera ed il sequestro dei beni.
I controllori, che non hanno saputo controllare, a cominciare dalla Banca d’Italia, devono comunque spiegare il loro operato e trarne eventualmente le necessarie conclusioni.
A noi preme anche sottolineare e mostrare gli aspetti sistemici ed internazionali che stanno all’origine della crisi e, anche in questo caso, a monte e a valle della frode.
E’ sorprendente l’indignazione di fronte a questo scandalo. Come se ogni frode sia scollegata dalle tante altre e abbia una semplice valenza locale.
Non tutti sanno che tra gli azionisti di Mps c’è anche la banca americana JP Morgan Chase. Essa è la prima al mondo per operazioni in derivati finanziari. L’ultimo rapporto dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) negli Usa indica che alla fine del terzo trimestre del 2012 essa deteneva derivati over the counter (otc) per un valore nozionale di ben 71 trilioni di dollari!
Come è noto gli otc sono contrattati nell’assoluta opacità, al di fuori dei mercati ufficiali e tenuti fuori bilancio.
Anche la frode Mps ne è la prova provata. Vi era, infatti, un contratto tenuto segreto in cassaforte e mai riportato sui libri contabili.
Questi casi esplodono quando bisogna coprire le perdite di qualcosa che ufficialmente “non esiste” o non dovrebbe esistere.
La JP Morgan quindi controlla quasi un terzo di tutti i derivati attivati dalle banche americane, che sono 227 trilioni di dollari. Detiene inoltre un nono di tutte gli otc mondiali che, secondo l’ultima stima della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, ammontano a 639 trilioni di dollari!
Con una presenza attiva della succitata banca americana, non è sorprendente che anche Mps si sia immersa nella palude dei più rischiosi derivati finanziari. Chi va con lo zoppo impara a zoppicare!
Dai risultati delle indagini finora emersi apprendiamo che Mps, per coprire le rilevanti perdite derivanti da operazioni in derivati, noti come “Alexandria”, fatte tra l’altro con la Dresdner Bank tedesca, nel luglio 2009 aveva sottoscritto un altro cosiddetto “veicolo strutturato” in derivati. Ancora più rischioso e segreto con la finanziaria giapponese Nomura.
Con tale operazione apparentemente sparivano le perdite ma Mps si impegnava a sostenere i costi  del nuovo derivato finanziario per almeno trenta anni.
Dopo il fallimento della Lehman Brothers nell’autunno del 2008, la Nomura è diventata la più aggressiva finanziaria impegnata nei più esotici e rischiosi derivati. Nel 2009, infatti, essa ha rilevato tutte le strutture europee e asiatiche della Lehman, “arruolando” anche i suoi massimi manager e circa 8.500 operatori finanziari. Non è un caso che la Nomura sia coinvolta in moltissime operazioni finanziarie internazionali ad alto rischio. Molte delle quali anche in Italia.
Un altro “veicolo” speculativo in derivati finanziari, emerso dalle indagini, è il “Santorini”, stipulato da Mps con la Deutsche Bank, la quale nell’ultimo periodo è nell’occhio del ciclone per tantissime indagini per truffa da parte delle autorità tedesche.
Un certo sconcerto suscita il “regalo” di  4 miliardi di euro fatto al pericolante Banco Santander spagnolo nell’acquisizione di Antonveneta.
Come si può notare molte di queste operazioni sono state fatte dopo l’esplosione della crisi del 2007-8. Gli attori, come da noi ripetutamente evidenziato, hanno continuato a muoversi con la stessa spregiudicatezza e irresponsabilità. Essi contavano e ancora contano su due cose: essere troppo grandi e sistemici per poter essere lasciati fallire e sulle politiche conseguenti di salvataggio bancario da parte dei governi.
E’ un gioco mortale per le economie e per i paesi coinvolti. Deve finire. Riteniamo che il caso Mps debba diventare per l’Italia e per l’Europa l’occasione per costringere anche gli Usa, il Giappone e gli altri paesi del G20 a ripulire la finanza dai titoli tossici. Altrimenti si rischiano nuove “bombe finanziarie” con ulteriori devastazioni delle economie e con la frustrazione di ogni speranza di ripresa. Anche in Italia. 


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi