10 marzo 2013

Il debito pubblico tocca il record del 127% sul Pil


Il debito pubblico italiano ha toccato a fine dicembre il record del 127% sul Prodotto Interno lordo. A metà  novembre del 2011 quando Berlusconi venne disarcionato dal governo a causa dello spread tra Btp e Bund tedeschi giunto a 570 punti, il debito era al 120,1%. Decisamente una gran bella gestione della situazione da parte del governo di Mario Monti che non può nascondersi dietro il fatto che questa deriva è colpa della recessione diffusa  a livello globale che ha rallentato o meglio fatto arrestare l’economia e di conseguenza ha tagliato tutte le entrate, da quelle fiscali a quelle contributive. Il governo ha infatti dato l’idea di essersi limitato a gestire l’esistente limitandosi, è una battuta, ad introdurre misure che nelle sue speranze, evidentemente campate in aria, avrebbero dovuto consentire di tagliare le spese e di aiutare le imprese a riacquisire competitività. A conti fatti non è stato così. Il primo provvedimento è stata una misura tampone come l’innalzamento dell’età pensionabile per rimandare di qualche anno l’aggravio di impegni finanziari da parte dell’Inps. Ma non  è stato così perché l’Inps, proprio alcuni giorni fa, ha denunciato per il 2012 un disavanzo di 10,7 miliardi, di 2,7 miliardi in più rispetto al preventivato a causa dell’incorporazione dell’ex Inpdap e dei molti lavoratori che, fiutando la tempesta in arrivo, sono riusciti a mettersi in quiescenza prima dell’approvazione della riforma. Né il governo dell’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s può rallegrarsi di essere riuscito a portare il disavanzo al 3% sul Pil. La prima tappa richiesta dalla Commissione europea per poi arrivare al pareggio di bilancio che, visto l’andazzo, è un traguardo tutt’altro che facile e vicino. Se infatti al momento della caduta di Berlusconi il disavanzo era al 4,2% il risultato raggiunta dall’attuale esecutivo è stato raggiunto esclusivamente grazie all’impennata delle entrate fiscali. Dall’aumento dell’Iva che ha pesato sulle imprese e sui consumatori fino all’introduzione dell’Imu sulla prima e sulle seconde case. Una tassa che ha permesso al Tesoro di ramazzare una barca di miliardi ma anche una misura che, per molte famiglie che possiedono la casa come unico bene, ha rappresentato una autentica mazzata. Un autentico scippo che drenando risorse finanziarie dalle tasche dei cittadini si è riflessa molto negativamente sui consumi e sulla domanda interna di beni e di servizi.
Da qui la caduta del Pil secondo il più classico schema del cane che si morde la coda. Il calo del Pil del 2,4% sul 2011 è dovuto soprattutto a queste misure che sono servite più che altro a finanziare alcune banche che dovevano essere ricapitalizzate e a versare la quota di spettanza dell’Italia ai fondi europei salva Stati. Insomma, è stato come se una parte consistenza della ricchezza privata nazionale fosse stata prelevata forzosamente, come in effetti è stato, e messa da parte. La pressione fiscale nel 2012 è salita al 44% rispetto al 42,6% registrato nel 2011. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo testimonia il calo della produzione dello 0,8% che sembra poco ma è tantissimo perché testimonia la continuazione di una tendenza in atto dal 2008, l’anno in cui iniziò la crisi finanziaria in Usa poi trasformatasi in crisi economica e poi in recessione e depressione. Lo testimonia pure la diminuzione della spesa per consumi delle famiglie con un meno 4,3% a fronte di un “accettabile” calo dello 0,1% nel 2011.  

di Filippo Ghira 

09 marzo 2013

L’equo sciacallaggio.





Non volevo farlo, non ne vedevo il senso, e poi queste cose mi danno fastidio. Avevo letto della cosiddetta “inchiesta” de l’Espresso sugli affari dell’autista di Grillo; è bastata un’occhiata per capire che si trattava di fumo, niente di più. La solita operazione di basso sciacallaggio indirizzata a persone vicine all’obiettivo da colpire; in altri ambienti si chiama “vendetta trasversale”. Nulla su cui valesse la pena di perdere tempo.
Poi mi capita sotto gli occhi questo articolo di Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano di oggi. E mi incazzo. Sì, perché se l’operazione dell’Espresso è la solita, meschina, squallida, vigliacca palata di fango, quello di Feltri (omen nomen?) è un ignobile tentativo di giustificare e legittimare questo fango come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Anzi, non è solo normale, nelle sue parole diventa addirittura un atto nobile, un pezzo di alto giornalismo.
Benvenuto in politica, caro Beppe Grillo.
Ironia. Mi piace molto l’ironia, e uno come Grillo, che dell’ironia ha fatto un mestiere, dovrebbe apprezzarla.
Quando uno diventa un personaggio pubblico, specie se il più noto, deve dare per scontato che della sua vita tutto, ma proprio tutto, verrà analizzato e raccontato.
Che Grillo sia un personaggio pubblico non c’è dubbio. Che tutta la sua vita debba essere analizzata e raccontata invece non sta né in cielo né in terra. Perché mai dovrebbe essere raccontato tutto? I fatti privati possono essere interessanti (e la cosa non è automatica) solo se hanno risvolti pubblici, se costituiscono reato, se hanno implicazioni che comunque influenzano l’attività pubblica del personaggio. Se Grillo si masturba guardando film porno sono fatti suoi, se invece traffica in pedopornografia lo voglio sapere.
Sono le regole base dell’informazione e del giornalismo – quello più sano – che trova notizie e le racconta, lasciando poi al lettore il compito di farsi un’opinione.
Non è solo giornalismo, è giornalismo “sano” secondo Feltri. Peccato che in tutto questo manchi l’elemento essenziale: la notizia.
Funziona così, anche se chi magari vive soltanto sui blog, immune da ogni input sgradito, non se lo ricorda più.
Funziona così per chi è abituato a confondere giornalismo e sciacallaggio. Funziona così per chi, non avendo evidentemente niente con cui attaccare il personaggio pubblico, spala fango addosso a persone che, magari incidentalmente, gli stanno vicino.
L’inchiesta de L’Espresso, firmata da [...] è, appunto, un’inchiesta.
Tecnicamente questa è una tautologia, forma normalmente utilizzata quando, non riuscendo a spiegare un concetto, non resta che ripeterlo. Mi ricorda un nanetto pelato che a furia di ripetere “comunisti” ha convinto milioni di persone che l’Italia è in mano ai comunisti.
…racconta una storia interessante, come dimostra il fatto che tutti ne stiano parlando, e che quindi meritava eccome di essere pubblicata.
Il fatto che tutti ne parlino non dimostra affatto che meritasse di essere raccontata, ma solo che è stata pompata a dovere e che ha raggiunto il suo scopo.
La risposta di Grillo sul suo blog è, come prevedibile, la replica di un politico piccato, che non nasconde il suo disprezzo per i giornalisti (in questo Beppe ricorda Massimo D’Alema). E che non spiega nulla, non chiarisce e non replica a tono. E’ solo un Vaffanculo, difficile forse aspettarsi altro.
E che ti aspettavi, l’applauso? Un vaffanculo è il minimo. Anzi, fossi stato io al suo posto non avrei nemmeno risposto, che certe cose non meritano considerazione.
Segue una serie di supercazzole con cui Feltri tenta di dare sostanza ad un’operazione che di sostanza non ne ha, e il tutto si riduce nell’arroccamento della corporazione, nella scontata difesa della categoria.
Infine riesce a concludere peggio di come ha cominciato (e non era facile).
Nessuno sta facendo illazioni su Grillo (che pure qualche guaio con l’agenzia delle entrate ce l’ha, per una storia di Irap, ma non l’ha mai negato neppure lui).
Ah no? E questa cos’è? Sembra tanto un colpo basso menato dopo il suono del gong mentre l’avversario sta tornando al suo angolo.
Ma in questi anni abbiamo passato al setaccio i collaboratori di tutti i protagonisti della scena politica (segretarie, portaborse, assistenti ecc.). Ora tocca anche a Grillo.
Certo, se sciacallaggio deve essere, che almeno sia fatto con equità: tutti nella stessa barca. E il riferimento che tutti fanno, incluso Feltri, è a Gianfranco Fini e ai guai che avuto grazie agli affari del cognato; solo che nel caso di Fini c’erano di mezzo soldi del partito, per cui la faccenda assumeva un rilievo decisamente diverso. Qui invece, oltre al fatto che Grillo personalmente non c’entra niente, non risulta alcun reato, non c’è alcun interesse pubblico, non c’è assolutamente niente.
Caro Feltri, in uno stato di diritto, l’onere della prova è a carico dell’accusa; pretendere che qualcuno si difenda senza accuse precise e circostanziate è, come minimo, ipocrita.
Come? No, non sono un grillino. Anzi, a dirla tutta Grillo e il suo movimento non mi piacciono proprio, ma devo riconoscere che quando maltratta i giornalisti ha le sue ragioni.

sito curato da Gianalessio Ridolfi Pacifici

08 marzo 2013

Grillo rompe l’asse destra-sinistra





tarchi
Da politologo affermato, Marco Tarchi è un osservatore acuto della realtà italiana, che ha indagato negli anni Novanta analizzando la transizione della destra oltre il neofascismo, e più tardi approfondendo la natura di un fenomeno ancora poco compreso come il populismo.
Delle vicende della destra è anche un testimone privilegiato, avendo a suo tempo animato in seno al Fronte della Gioventù la componente dinamica della “Nuova Destra”, che darà vita dalla seconda metà degli anni Settanta alle esperienze dei Campi Hobbit e contribuirà ad aprire il ghetto asfittico del neofascismo ad una ventata di inediti interessi culturali: dai fumetti al rock, dall’ecologia al fantasy, all’insegna della vocazione “metapolitica” mutuata dall’ispiratore francese Alain de Benoist.
Uscito dal Msi nel 1981, Tarchi ha continuato a promuovere una riflessione “non conformista” sui grandi temi della contemporaneità, sfidando i dogmi del pensiero unico liberale e le rigidità dello spartiacque destra-sinistra. Attualmente dirige il bimensile “Diorama Letterario” e il quadrimestrale “Trasgressioni”.

Nel 1948, alla prima prova elettorale, il Msi prese il 2%. Fratelli d’Italia, La Destra e Futuro e Libertà hanno raccolto insieme il 3,05%. È la fine di un mondo o può ancora esistere un soggetto politico di destra?
Se si riferisce a quella destra che, attraverso il Msi, aveva raccolto l’eredità del fascismo, credo sia giunta al capolinea. Lo “sdoganamento” e la conseguente integrazione nella coalizione di centrodestra ne avevano infiacchito identità e originalità, facendo ritenere ai suoi dirigenti che omologarsi fosse l’unica via per avere successo. La perdita dello strutturale rapporto con il Capo, causata dagli strappi di Fini, ha completato l’opera.
L’irruzione sulla scena del grillismo ha chiuso l’era bipolare, o è probabile che anche il Movimento 5 Stelle finisca per riposizionarsi sul tradizionale asse destra-sinistra?
Se il M5S accettasse di collocarsi rispetto a quello spartiacque, perderebbe buona parte dei caratteri di novità che lo hanno reso capace di attrarre un vasto elettorato trasversale e dovrebbe darsi una ben distinguibile connotazione ideologica, spaccandosi in correnti distinte e, su più temi, contrapposte. Sarebbe la sua fine.
Grillo e Casaleggio sembrano aver sbarrato la strada alle avances del Pd. Tra il “modello Crocetta”, l’opposizione al “governissimo” e il ritorno al voto cosa converrebbe di più ai grillini?
Il ritorno al voto, ma non subito, per evitare le accuse – strumentali – di irresponsabilità. Per adeguarsi al “modello Crocetta”, che non significa subordinazione al Pd ma convergenza su specifiche proposte, dovrebbe però avere uno o più interlocutori insediati al governo. Non concedere fiducie ad esecutivi “altrui” mi sembra un’ottima scelta.
Per converso, cosa possono fare i partiti tradizionali per mettere in difficoltà il M5S, o quanto meno per arginarne l’espansione?
Cambiare pelle e atteggiamenti, chiudendo l’era dell’autoreferenzialità e generando una classe politica molto meno versata nella retorica e capace di proiettare un’immagine di efficienza. Impresa ardua.
Secondo lei Berlusconi “esprime il volto populista di un partito che non è integralmente tale”. Vale la stessa cosa per “il partito di Grillo”?
Meno, perché alcune delle tematiche di cui il M5S si fa veicolo – la rivendicazione dell’influenza dell’uomo comune sui processi decisionali, la critica radicale del professionismo politico, la diffidenza verso finanzieri, intellettuali e sindacalisti, l’aspirazione ad uno stretto controllo sull’azione dei rappresentanti eletti e così via – sono tipicamente populiste. Grillo le esprime con più forza e chiarezza, ma il fondo è comune.
Il risultato deludente di Monti e la tenuta del Pdl di Berlusconi riaprono la questione dell’assenza di un “partito liberale di massa”: esiste un centrodestra non sovrapponibile al berlusconismo?
Prima forse bisognerebbe chiedersi che cos’è il centrodestra, che nella maggior parte dei paesi europei non esiste: c’è un centro e ci sono una o più destre. Berlusconi ha mescolato componenti spurie in un contenitore unico. Riuscirà l’agglomerato a sopravvivere al fondatore? Ne dubito. E il liberalismo, in Italia, continua ad essere un prodotto di élite.
Cosa ha contato di più nella debacle del centrosinistra: il non aver saputo smarcarsi da Monti, gli errori in campagna elettorale o l’essere tuttora percepiti come una versione aggiornata del Pci?
Il secondo e il terzo dei fattori da Lei citati. Una parte cospicua dell’elettorato non digerirà mai un partito che continua a perpetuare atteggiamenti e affermazioni che rimandano alla vecchia casa-madre di molti degli attuali dirigenti. Anche la campagna fiacca e tuttavia boriosa di Bersani, segnata da un eccesso di fiducia e superficialità, non ha giovato.
Si è detto che con Renzi il Pd avrebbe potuto vincere, sebbene abbia perso più voti proprio dove il consenso renziano alle primarie era stato più modesto (al Centrosud). Davvero Renzi può essere l’anti-Grillo del centrosinistra?
La candidatura di Renzi alla presidenza del Consiglio avrebbe attratto parecchi ex elettori pidiellini sfiduciati o disgustati, più numerosi dei votanti Pd irritati per lo spostamento “a destra”; quindi avrebbe probabilmente consentito al centrosinistra di farcela. Sui sostenitori di Grillo non avrebbe esercitato alcun freno.
La Lega Nord esce dagli scandali dimezzata ma viva. Proseguirà con la “normalizzazione” maroniana, o dovrà riprendere il registro populista per non cedere altro terreno a Grillo?
La linea di Maroni è ripiegata su un pragmatismo nordista lontano dalle radici populiste del discorso bossiano e dà frutti solo grazie all’alleanza con il Pdl. Serve a sopravvivere, non a rilanciarsi.
Come animatore a suo tempo della Nuova Destra e poi delle “nuove sintesi”, la conforta constatare come le riflessioni sull’inattualità del discrimine destra-sinistra e alcuni vostri interessi si ritrovino nel Movimento 5 Stelle? Crede che anche nei meetup ci sia chi ha letto i suoi libri e quelli di de Benoist?
Dubito che si possa parlare di influenze dirette, ma di affinità ce ne sono, e non poche. Posso solo augurarmi che, se de Benoist non è stato letto sinora nei meetup, cominci ad esserlo d’ora in poi. Credo che alla crescita della cultura politica grillina servirebbe molto.


di Marco Tarchi - Andrea Cascioli 

10 marzo 2013

Il debito pubblico tocca il record del 127% sul Pil


Il debito pubblico italiano ha toccato a fine dicembre il record del 127% sul Prodotto Interno lordo. A metà  novembre del 2011 quando Berlusconi venne disarcionato dal governo a causa dello spread tra Btp e Bund tedeschi giunto a 570 punti, il debito era al 120,1%. Decisamente una gran bella gestione della situazione da parte del governo di Mario Monti che non può nascondersi dietro il fatto che questa deriva è colpa della recessione diffusa  a livello globale che ha rallentato o meglio fatto arrestare l’economia e di conseguenza ha tagliato tutte le entrate, da quelle fiscali a quelle contributive. Il governo ha infatti dato l’idea di essersi limitato a gestire l’esistente limitandosi, è una battuta, ad introdurre misure che nelle sue speranze, evidentemente campate in aria, avrebbero dovuto consentire di tagliare le spese e di aiutare le imprese a riacquisire competitività. A conti fatti non è stato così. Il primo provvedimento è stata una misura tampone come l’innalzamento dell’età pensionabile per rimandare di qualche anno l’aggravio di impegni finanziari da parte dell’Inps. Ma non  è stato così perché l’Inps, proprio alcuni giorni fa, ha denunciato per il 2012 un disavanzo di 10,7 miliardi, di 2,7 miliardi in più rispetto al preventivato a causa dell’incorporazione dell’ex Inpdap e dei molti lavoratori che, fiutando la tempesta in arrivo, sono riusciti a mettersi in quiescenza prima dell’approvazione della riforma. Né il governo dell’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s può rallegrarsi di essere riuscito a portare il disavanzo al 3% sul Pil. La prima tappa richiesta dalla Commissione europea per poi arrivare al pareggio di bilancio che, visto l’andazzo, è un traguardo tutt’altro che facile e vicino. Se infatti al momento della caduta di Berlusconi il disavanzo era al 4,2% il risultato raggiunta dall’attuale esecutivo è stato raggiunto esclusivamente grazie all’impennata delle entrate fiscali. Dall’aumento dell’Iva che ha pesato sulle imprese e sui consumatori fino all’introduzione dell’Imu sulla prima e sulle seconde case. Una tassa che ha permesso al Tesoro di ramazzare una barca di miliardi ma anche una misura che, per molte famiglie che possiedono la casa come unico bene, ha rappresentato una autentica mazzata. Un autentico scippo che drenando risorse finanziarie dalle tasche dei cittadini si è riflessa molto negativamente sui consumi e sulla domanda interna di beni e di servizi.
Da qui la caduta del Pil secondo il più classico schema del cane che si morde la coda. Il calo del Pil del 2,4% sul 2011 è dovuto soprattutto a queste misure che sono servite più che altro a finanziare alcune banche che dovevano essere ricapitalizzate e a versare la quota di spettanza dell’Italia ai fondi europei salva Stati. Insomma, è stato come se una parte consistenza della ricchezza privata nazionale fosse stata prelevata forzosamente, come in effetti è stato, e messa da parte. La pressione fiscale nel 2012 è salita al 44% rispetto al 42,6% registrato nel 2011. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo testimonia il calo della produzione dello 0,8% che sembra poco ma è tantissimo perché testimonia la continuazione di una tendenza in atto dal 2008, l’anno in cui iniziò la crisi finanziaria in Usa poi trasformatasi in crisi economica e poi in recessione e depressione. Lo testimonia pure la diminuzione della spesa per consumi delle famiglie con un meno 4,3% a fronte di un “accettabile” calo dello 0,1% nel 2011.  

di Filippo Ghira 

09 marzo 2013

L’equo sciacallaggio.





Non volevo farlo, non ne vedevo il senso, e poi queste cose mi danno fastidio. Avevo letto della cosiddetta “inchiesta” de l’Espresso sugli affari dell’autista di Grillo; è bastata un’occhiata per capire che si trattava di fumo, niente di più. La solita operazione di basso sciacallaggio indirizzata a persone vicine all’obiettivo da colpire; in altri ambienti si chiama “vendetta trasversale”. Nulla su cui valesse la pena di perdere tempo.
Poi mi capita sotto gli occhi questo articolo di Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano di oggi. E mi incazzo. Sì, perché se l’operazione dell’Espresso è la solita, meschina, squallida, vigliacca palata di fango, quello di Feltri (omen nomen?) è un ignobile tentativo di giustificare e legittimare questo fango come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Anzi, non è solo normale, nelle sue parole diventa addirittura un atto nobile, un pezzo di alto giornalismo.
Benvenuto in politica, caro Beppe Grillo.
Ironia. Mi piace molto l’ironia, e uno come Grillo, che dell’ironia ha fatto un mestiere, dovrebbe apprezzarla.
Quando uno diventa un personaggio pubblico, specie se il più noto, deve dare per scontato che della sua vita tutto, ma proprio tutto, verrà analizzato e raccontato.
Che Grillo sia un personaggio pubblico non c’è dubbio. Che tutta la sua vita debba essere analizzata e raccontata invece non sta né in cielo né in terra. Perché mai dovrebbe essere raccontato tutto? I fatti privati possono essere interessanti (e la cosa non è automatica) solo se hanno risvolti pubblici, se costituiscono reato, se hanno implicazioni che comunque influenzano l’attività pubblica del personaggio. Se Grillo si masturba guardando film porno sono fatti suoi, se invece traffica in pedopornografia lo voglio sapere.
Sono le regole base dell’informazione e del giornalismo – quello più sano – che trova notizie e le racconta, lasciando poi al lettore il compito di farsi un’opinione.
Non è solo giornalismo, è giornalismo “sano” secondo Feltri. Peccato che in tutto questo manchi l’elemento essenziale: la notizia.
Funziona così, anche se chi magari vive soltanto sui blog, immune da ogni input sgradito, non se lo ricorda più.
Funziona così per chi è abituato a confondere giornalismo e sciacallaggio. Funziona così per chi, non avendo evidentemente niente con cui attaccare il personaggio pubblico, spala fango addosso a persone che, magari incidentalmente, gli stanno vicino.
L’inchiesta de L’Espresso, firmata da [...] è, appunto, un’inchiesta.
Tecnicamente questa è una tautologia, forma normalmente utilizzata quando, non riuscendo a spiegare un concetto, non resta che ripeterlo. Mi ricorda un nanetto pelato che a furia di ripetere “comunisti” ha convinto milioni di persone che l’Italia è in mano ai comunisti.
…racconta una storia interessante, come dimostra il fatto che tutti ne stiano parlando, e che quindi meritava eccome di essere pubblicata.
Il fatto che tutti ne parlino non dimostra affatto che meritasse di essere raccontata, ma solo che è stata pompata a dovere e che ha raggiunto il suo scopo.
La risposta di Grillo sul suo blog è, come prevedibile, la replica di un politico piccato, che non nasconde il suo disprezzo per i giornalisti (in questo Beppe ricorda Massimo D’Alema). E che non spiega nulla, non chiarisce e non replica a tono. E’ solo un Vaffanculo, difficile forse aspettarsi altro.
E che ti aspettavi, l’applauso? Un vaffanculo è il minimo. Anzi, fossi stato io al suo posto non avrei nemmeno risposto, che certe cose non meritano considerazione.
Segue una serie di supercazzole con cui Feltri tenta di dare sostanza ad un’operazione che di sostanza non ne ha, e il tutto si riduce nell’arroccamento della corporazione, nella scontata difesa della categoria.
Infine riesce a concludere peggio di come ha cominciato (e non era facile).
Nessuno sta facendo illazioni su Grillo (che pure qualche guaio con l’agenzia delle entrate ce l’ha, per una storia di Irap, ma non l’ha mai negato neppure lui).
Ah no? E questa cos’è? Sembra tanto un colpo basso menato dopo il suono del gong mentre l’avversario sta tornando al suo angolo.
Ma in questi anni abbiamo passato al setaccio i collaboratori di tutti i protagonisti della scena politica (segretarie, portaborse, assistenti ecc.). Ora tocca anche a Grillo.
Certo, se sciacallaggio deve essere, che almeno sia fatto con equità: tutti nella stessa barca. E il riferimento che tutti fanno, incluso Feltri, è a Gianfranco Fini e ai guai che avuto grazie agli affari del cognato; solo che nel caso di Fini c’erano di mezzo soldi del partito, per cui la faccenda assumeva un rilievo decisamente diverso. Qui invece, oltre al fatto che Grillo personalmente non c’entra niente, non risulta alcun reato, non c’è alcun interesse pubblico, non c’è assolutamente niente.
Caro Feltri, in uno stato di diritto, l’onere della prova è a carico dell’accusa; pretendere che qualcuno si difenda senza accuse precise e circostanziate è, come minimo, ipocrita.
Come? No, non sono un grillino. Anzi, a dirla tutta Grillo e il suo movimento non mi piacciono proprio, ma devo riconoscere che quando maltratta i giornalisti ha le sue ragioni.

sito curato da Gianalessio Ridolfi Pacifici

08 marzo 2013

Grillo rompe l’asse destra-sinistra





tarchi
Da politologo affermato, Marco Tarchi è un osservatore acuto della realtà italiana, che ha indagato negli anni Novanta analizzando la transizione della destra oltre il neofascismo, e più tardi approfondendo la natura di un fenomeno ancora poco compreso come il populismo.
Delle vicende della destra è anche un testimone privilegiato, avendo a suo tempo animato in seno al Fronte della Gioventù la componente dinamica della “Nuova Destra”, che darà vita dalla seconda metà degli anni Settanta alle esperienze dei Campi Hobbit e contribuirà ad aprire il ghetto asfittico del neofascismo ad una ventata di inediti interessi culturali: dai fumetti al rock, dall’ecologia al fantasy, all’insegna della vocazione “metapolitica” mutuata dall’ispiratore francese Alain de Benoist.
Uscito dal Msi nel 1981, Tarchi ha continuato a promuovere una riflessione “non conformista” sui grandi temi della contemporaneità, sfidando i dogmi del pensiero unico liberale e le rigidità dello spartiacque destra-sinistra. Attualmente dirige il bimensile “Diorama Letterario” e il quadrimestrale “Trasgressioni”.

Nel 1948, alla prima prova elettorale, il Msi prese il 2%. Fratelli d’Italia, La Destra e Futuro e Libertà hanno raccolto insieme il 3,05%. È la fine di un mondo o può ancora esistere un soggetto politico di destra?
Se si riferisce a quella destra che, attraverso il Msi, aveva raccolto l’eredità del fascismo, credo sia giunta al capolinea. Lo “sdoganamento” e la conseguente integrazione nella coalizione di centrodestra ne avevano infiacchito identità e originalità, facendo ritenere ai suoi dirigenti che omologarsi fosse l’unica via per avere successo. La perdita dello strutturale rapporto con il Capo, causata dagli strappi di Fini, ha completato l’opera.
L’irruzione sulla scena del grillismo ha chiuso l’era bipolare, o è probabile che anche il Movimento 5 Stelle finisca per riposizionarsi sul tradizionale asse destra-sinistra?
Se il M5S accettasse di collocarsi rispetto a quello spartiacque, perderebbe buona parte dei caratteri di novità che lo hanno reso capace di attrarre un vasto elettorato trasversale e dovrebbe darsi una ben distinguibile connotazione ideologica, spaccandosi in correnti distinte e, su più temi, contrapposte. Sarebbe la sua fine.
Grillo e Casaleggio sembrano aver sbarrato la strada alle avances del Pd. Tra il “modello Crocetta”, l’opposizione al “governissimo” e il ritorno al voto cosa converrebbe di più ai grillini?
Il ritorno al voto, ma non subito, per evitare le accuse – strumentali – di irresponsabilità. Per adeguarsi al “modello Crocetta”, che non significa subordinazione al Pd ma convergenza su specifiche proposte, dovrebbe però avere uno o più interlocutori insediati al governo. Non concedere fiducie ad esecutivi “altrui” mi sembra un’ottima scelta.
Per converso, cosa possono fare i partiti tradizionali per mettere in difficoltà il M5S, o quanto meno per arginarne l’espansione?
Cambiare pelle e atteggiamenti, chiudendo l’era dell’autoreferenzialità e generando una classe politica molto meno versata nella retorica e capace di proiettare un’immagine di efficienza. Impresa ardua.
Secondo lei Berlusconi “esprime il volto populista di un partito che non è integralmente tale”. Vale la stessa cosa per “il partito di Grillo”?
Meno, perché alcune delle tematiche di cui il M5S si fa veicolo – la rivendicazione dell’influenza dell’uomo comune sui processi decisionali, la critica radicale del professionismo politico, la diffidenza verso finanzieri, intellettuali e sindacalisti, l’aspirazione ad uno stretto controllo sull’azione dei rappresentanti eletti e così via – sono tipicamente populiste. Grillo le esprime con più forza e chiarezza, ma il fondo è comune.
Il risultato deludente di Monti e la tenuta del Pdl di Berlusconi riaprono la questione dell’assenza di un “partito liberale di massa”: esiste un centrodestra non sovrapponibile al berlusconismo?
Prima forse bisognerebbe chiedersi che cos’è il centrodestra, che nella maggior parte dei paesi europei non esiste: c’è un centro e ci sono una o più destre. Berlusconi ha mescolato componenti spurie in un contenitore unico. Riuscirà l’agglomerato a sopravvivere al fondatore? Ne dubito. E il liberalismo, in Italia, continua ad essere un prodotto di élite.
Cosa ha contato di più nella debacle del centrosinistra: il non aver saputo smarcarsi da Monti, gli errori in campagna elettorale o l’essere tuttora percepiti come una versione aggiornata del Pci?
Il secondo e il terzo dei fattori da Lei citati. Una parte cospicua dell’elettorato non digerirà mai un partito che continua a perpetuare atteggiamenti e affermazioni che rimandano alla vecchia casa-madre di molti degli attuali dirigenti. Anche la campagna fiacca e tuttavia boriosa di Bersani, segnata da un eccesso di fiducia e superficialità, non ha giovato.
Si è detto che con Renzi il Pd avrebbe potuto vincere, sebbene abbia perso più voti proprio dove il consenso renziano alle primarie era stato più modesto (al Centrosud). Davvero Renzi può essere l’anti-Grillo del centrosinistra?
La candidatura di Renzi alla presidenza del Consiglio avrebbe attratto parecchi ex elettori pidiellini sfiduciati o disgustati, più numerosi dei votanti Pd irritati per lo spostamento “a destra”; quindi avrebbe probabilmente consentito al centrosinistra di farcela. Sui sostenitori di Grillo non avrebbe esercitato alcun freno.
La Lega Nord esce dagli scandali dimezzata ma viva. Proseguirà con la “normalizzazione” maroniana, o dovrà riprendere il registro populista per non cedere altro terreno a Grillo?
La linea di Maroni è ripiegata su un pragmatismo nordista lontano dalle radici populiste del discorso bossiano e dà frutti solo grazie all’alleanza con il Pdl. Serve a sopravvivere, non a rilanciarsi.
Come animatore a suo tempo della Nuova Destra e poi delle “nuove sintesi”, la conforta constatare come le riflessioni sull’inattualità del discrimine destra-sinistra e alcuni vostri interessi si ritrovino nel Movimento 5 Stelle? Crede che anche nei meetup ci sia chi ha letto i suoi libri e quelli di de Benoist?
Dubito che si possa parlare di influenze dirette, ma di affinità ce ne sono, e non poche. Posso solo augurarmi che, se de Benoist non è stato letto sinora nei meetup, cominci ad esserlo d’ora in poi. Credo che alla crescita della cultura politica grillina servirebbe molto.


di Marco Tarchi - Andrea Cascioli