18 marzo 2013

Se il nuovo quadro politico fa saltare i nervi ai giornalisti








Quello che più colpisce del discorso pubblico italiano degli ultimi giorni è l’improvviso tilt che ha fatto saltare la collaudata alleanza conformistica tra establishment partitico-parlamentare e circuito mediatico. D'altronde, basterebbe solo seguire qualche talk show per verificare la fine evidente di una lunga stagione dimostrata dal perdere le staffe e dall’innervosimento continuo dei principali opinionisti dell’ultimo ventennio, da Filippo Facci a Maria Teresa Meli, da Vittorio Sgarbi a Giuliano Ferrara. E’ come se il risultato elettorale con l’irruzione di un soggetto non controllabile come quello dei Cinquestelle avesse di colpo allontanato qualsiasi ipotesi prevedibile e controllabile ad uso dei giornalisti pontificatori. Si è infatti passati dal gioco compiaciuto delle parti nel bipolarismo muscolare a quello della visibile depressione di fronte all’imprevisto. E questo, almeno a nostro avviso, è oggettivamente un bene per chiunque non ne poteva più del teatrino, anche giornalistico, della cosiddetta Seconda Repubblica.
A questo punto, sia ben chiaro, non si tratta di avventurarsi in nessuna apologia del M5S, né di pensare – come molti pure fecero col Pci dei primi anni Settanta, poi  con i radicali, con i Verdi e anche con i leghisti del 1992 – di cercare di inserirsi strumentalmentee nel fenomeno e di cavalcare l’onda ma di valutare, serenamente e in maniera disincantata, quanto di positivo si sta affermando nel nuovo quadro politico e sociale italiano. Per chi come noi non ha mai privilegiato il mito della cosiddetta governabilità (che era, semmai, era la stella polare dei democristiani o dei repubblicani di Ugo la Malfa…) ma ha sempre guardato a prospettive di movimentismo e cambiamento è un fatto che il nuovo scenario abbia aperto dialetticamente un varco oggettivo di innovazione.
Intanto, abbiamo già visto con l’elezioni delle presidenze delle Camere che i giochi precostituiti sono destinati tutti a fallire. Un po’ come accadde nel ’92 quando l’arrivo dei leghisti impedì di fatto la realizzazione dei giochi del Caf che volevano Craxi a Palazzo Chigi e Andreotti o Forlani al Quirinale. Anche stavolta, la presenza inattesa dei 163 del Cinquestelle ha determinato l’azzeramento immediato delle velleità di chi si sentiva già al Colle. E restiamo poi convinti che anche il prosieguo – l’eventualità o meno di un governo, l’arrivo alle prossime elezioni anticipate con una nuova legge elettorale, i cambiamenti in tanti usi e costumi di privilegio castale – avverrà tutto all’insegna dell’imprevedibile…
Non si tratta, insomma, di illudersi sulle presunte virtù di Grillo o di Casaleggio né di far finta che il M5S sia un blocco rivoluzionario compatto e che non subirà una dialettica interna fatta anche di eventuali dissociazioni e rotture. Ma, per dirla marxianamente, occorre pensare che la dimensione “strutturale” del processo politico in atto andrà avanti nonostante tutto e malgrado coloro che cercheranno di condizionarla a loro vantaggio. Nonostante Grillo e nonostante gli stessi grillini, aggiungiamo.
Lo scenario è d'altronde chiaro: i politici si stanno di fatto “arrendendo” agli eventi, i giornalisti stanno perdendo il loro ruolo e a qualcuno saltano pure i nervi. Il quadro, insomma, evolverà nonostante quello che si dice e anche quanto si cercherà di fare. E’ come se fosse in atto una sorta di nuovo Sessantotto, ma questa volta con un movimentismo che ha fatto irruzione dentro le stesse istituzioni. Per curiosità abbiamo dato un’occhiata a La carica dei 163, l’instant book curato da il Fatto Quotidiano e che presenta il profilo di tutti i parlamentari del Movimento 5 Stelle. Solo a scorrerlo si respira, comunque, aria di novità. Basta vedere il ventisettenne Luca Frusone, deputato ciociaro del M5S, citare esplicitamente Cat Stevens: “Now there’s a new way and I know that I have to go away” (testualmente. “C’è una nuova strada e io so che devo percorrerla”). Oppure basta vedere scorrere nel pantheon di Mirella Liuzzi, deputata sempre ventisettenne ma lucana, i nomi di Serge Latouche e Karl Polanyi e le teorie della "decrescita felice", la visione anti-utilitaristica che ricorre nel pensiero di tanti altri grillini. Nel libro si ripetono i profili di moltissimi attivisti ecologisti, ma anche di un reduce del movimento del ’77 o di alcuni di loro impegnati con Emergency. Insomma, fatta la tara delle ingenuità e anche di alcuni facili entusiasmi, emerge nel complesso una volontà movimentista precisa e innovativa. Il giornalista Alessandro Zaccuri se ne è occupato seriamente su Avvenire: “Difficile capire – ha scritto – se l’idea di libero web in libero Stato discenda dalla lettura diretta di autori come Bruce Sterling o anche dal solo Hacker’s Manifesto del lontano 1986. Di sicuro l’attivismo mediatico del MoVimento cita in maniera esplicita la versione cinematografica di V per Vendetta, il libertario fumetto degli anni Ottanta portato sul grande schermo nel 2005 dai fratelli Wachowski. E’ grazie a quel film che la maschera di Guy Fawkes (il patriota cattolico giustiziato nel 1605) diventa il simbolo di una ribellione globale, che dall’occupazione di Wall Street arriva sino agliindignados madrileni, seguendo la rotta degli Anonymous di ogni latitudine”. Beppe Grillo, prosegue Zaccuri, si presenta inoltre come interprete di un immaginario oggi maggioritario tra i giovani di tutto il mondo e che fa riferimento a personalità prestigiose come il premio Nobel Joseph Stiglitz, l’economista-filosofo Serge Latouche e il sociologo Wolfgang Sachs, esponente di spicco del Wuppertal Institut, il centro di ricerca tedesco che alla pratica della globalizzazione selvaggia contrappone la strada dello sviluppo sostenibile. Poi, per quanto riguarda l’informazione, il giornalista diAvvenire ricorda che già nel 2006 Grillo si domandava: “Quanti giornalisti liberi di nazionalità italiana rimangono in giro?”. E rincarava la dose aggiungendo che “bisogna andare nella biblioteca comunale e leggersi vecchi pezzi di Indro Montanelli per tirarsi un po’ su…”. 
Tutto questo per dire che, nonostante il verticismo eccessivo o la mancanza di esperienza di qualcuno di loro, il M5S è comunque portatore di novità, sia rispetto alle rimasticature liberiste e conservatrici del moderatismo berlusconiano sia di fronte alla formazione carrieristica e d’apparato di buona parte dei quadri del Pd. Confusione e caos? “Nessuno si meravigli – si leggeva del resto nel ’68 nella cosiddetta Carta della Sorbona – del caos delle idee, nessuno ne sorrida, nessuno ne tragga motivo di burla o di gioia. Questo caos, piaccia o meno, è lo stato d’emergenza delle idee nuove. Il movimento e il cambiamento si creano da se stessi, con tutti coloro che vi aderiscono, e lasciano che ciascuno porti con sé il proprio personale bagaglio d’idee”. Staremo a vedere. Disincantati ma senza alcuna chiusura pregiudiziale.

di Luciano Lanna 

16 marzo 2013

L’uomo che non ride più


In occasione delle elezioni italiane il Movimento "Cinque Stelle" di Beppe Grillo è riuscito ad avere la meglio sull’establishment politico. Nel suo paese l’ex comico viene diffamato dai media con pesanti conseguenze all’estero.

In occasione delle elezioni italiane il Movimento “Cinque Stelle” di Beppe Grillo è riuscito ad avere la meglio sull’establishment politico. Nel suo paese l’ex comico viene diffamato dai media con pesanti conseguenze all’estero.

Piano piano stanno impazzendo tutti qui, ho pensato quando ho sentito come veniva citata la mia intervista alla radio, un’intervista che non era neanche ancora uscita.
Un’intervista che avevo fatto a Beppe Grillo, leader del Movimento civico Cinque Stelle, satirico, moralista, ambientalista e anticlericale vincitore delle elezioni politiche in Italia e che non era stata ancora pubblicata. Essendo stato diffamato dalla stampa ufficiale che lo ha definito “populista”, “comico”, “fascista”, “demagogo”, “golpista”, “antisemita”, “razzista” o persino “brigatista, Grillo alla stampa italiana non rilascia più interviste.
Così ci si avventa su tutto ciò che può far notizia. In questo caso sull’annuncio di un’intervista che doveva dimostrare che Grillo è pronto a sostenere una grande coalizione tra il PD, partito di centrosinistra e il PdL di Berlusconi. Una dichiarazione evidentemente falsa che io certo ho smentito prontamente, ma che malgrado ciò in rete fa ancora scalpore e che viene citata in quasi tutti i telegiornali. In questi giorni è in ballo la formazione del governo in Italia, quindi ogni mezzo è lecito.
Perché una settimana fa sono state stravolte tutte le certezze degli ultimi decenni: un movimento senza soldi, né’ televisione, senza giornale, né’ editore, senza banche, sta diventando il più forte partito. Un quarto degli italiani ha votato per il Movimento Cinque Stelle, che prende il nome dai cinque elementi del suo programma di base (acqua, ambiente, trasporti, Internet, sviluppo) – e che è cresciut in rete dietro alle spalle rigide della casta politica italiana.
Da 20 anni, in Italia spadroneggiano politici che scendono a patti con la mafia e che considerano il paese come uno tesoretto privato. Il successo del Movimento Cinque Stelle non è stato quindi inaspettato. Fino a quando il movimento non è sceso in politica, l’esito delle elezioni in Italia dava la stessa emozione di quelle dei tempi di Honecker nella DDR: vinceva [sempre] Berlusconi. E se in via eccezionale non ci riusciva, comprava deputati per poi far crollare il governo subito dopo.
Quando poi Berlusconi riusciva ancora una volta a vincere, i democratici di sinistra brontolavano un po’, ma per poi adattarsi velocemente, con lo sguardo rivolto all’uomo cattivo: accidenti, che cosa possiamo fare contro di lui? La televisione è sua! E anche la principale casa editrice! E la più importante squadra di calcio (è sua)! Cercavano di consolarsi con ciò che avevano, qualche regione, città e banche. Anzi hanno talmente impoverito gli ultimi rimasugli nell’opposizione, che quando sono riusciti a governare per un periodo seppur breve, non hanno avuto il coraggio di emanare una legge sul conflitto di interessi tra il ruolo di primo ministro e il più grande imprenditore dei media del paese. Non si sono neanche dati da fare per emanare una nuova legge elettorale, che ponesse fine all’assurdità di un partito che con solo il 30 per cento dei voti ottiene la maggioranza dei seggi in Parlamento.
Beppe Grillo non è apparso in  alcuna trasmissione televisiva, non è né un miliardario né un dirigente, non aveva nessun editorialista al guinzaglio ed è stato allontanato dalla televisone dall’epurazione voluta da Berlusconi: l’ormai sbiadito leader dei socialisti Bettino Craxi lo bandì, quando Grillo stesso non contento di prendere in giro gli usi e costumi italiani, si mise a criticarne anche la realtà politica e sociale. Da allora ha calcato i più grandi teatri del paese, ha mandato ha fatto piazza pulita dei totem della destra e della sinistra, ha fondato un blog di successo e ha dato voce all’opposizione civile.
Un movimento dal nulla
Dal suo blog Grillo ha lanciato l’idea dei “meet-up”:  piccole cellule, che su iniziativa personale scendono in campo contro l’inquinamento, la corruzione, la mafia. Nel 2005, a Torino si è svolto il primo raduno nazionale, di cui quasi nessuno ha dato notizia o comunque nessuno della casta politica italiana e delle testate giornalistiche ad essa asservite: “Il Giornale” e “Libero” sono di Silvio Berlusconi, la “Repubblica” e l’”Espresso” appartengono al finanziere liberale di sinistra Carlo De Benedetti ex presidente della Olivetti e della Fiat, la famiglia Agnelli finanzia il quotidiano la “Stampa” di Torino e il quotidiano economico “Il sole 24 ore” appartiene alla  Confindustria.
L’”Unità”, un tempo organo di stampa dell’ex Partito comunista, appartiene a uno degli uomini più ricchi d’Italia, l’imprenditore Renato Soru, ex presidente della regione Sardegna, fondatore della società di telecomunicazioni Tiscali. Quasi tutte le emittenti private sono di proprietà di Berlusconi, la RAI appartiene al governo di turno, nel dubbio quindi anche a Berlusconi stesso. Quindi non deve stupire che il risultato sia una disinformazione sistematica, finanziata tra l’altro con soldi pubblici .Il solo giornale che abbia rinunciato a tali fondi pubblici è “Il Fatto Quotidiano”, giornale fondato da un pugno di giornalisti investigativi.
Quando in occasione del primo Vaffanculo Day del 2007, 50.000 italiani si radunarono per invitare, tramite una petizione, i partiti a revocare il mandato ai parlamentari con precedenti penali, i giornali sprecarono solo un paio di righe su questo fatto insolito. L’editore di “Repubblica” Eugenio Scalfari inorridì e scrisse: «Dietro il Grillismo vedo un disgustoso vendicatore; ci vedo la dittatura”, l’”Espresso” evocava il ricordo di Mussolini. Il “Corriere della Sera” definì Grillo come  ”persona brutalmente avida” e la “Stampa” in maniera più moderata: “In un paese normale il V-Day sarebbe stato relegato alle pagine degli spettacoli.”
Quando Grillo nel successivo V-Day chiese nuovamente di abolire i finanziamenti alla stampa, nessuno si trattenne più: il “Giornale” di Berlusconi titolava: “Benito Grillo” e la “Repubblica” esorcizzava la sua caduta: “Grillo è alla fine, non fa più ridere”. Dopo che i primi rappresentanti del Movimento Cinque Stelle furono arruolati nei consigli comunali e regionali, i toni divennero più accesi: “manifestanti anti-globalizzazione e violenti criminali: così Grillo prepara il colpo di stato” scrisse il “Giornale”.
Poco prima delle elezioni, i giornali montarono un vero delirio a cinque stelle che avrebbe potuto far sorridere – se la diffamazione in stile copia-e-incolla non avesse iniziato a diffondersi anche in Germania. Difficilmente un giornale tedesco avrebbe parlato del nuovo fenomeno politico, senza condannarlo come “populista” e “non-politico”. Dal quotidiano “Welt” si apprendeva che Beppe Grillo predicava un “odio sacrosanto per i “parassiti che stavano lassù”, ragion per cui il quotidiano metteva in guardia contro uno “tsunami dei Pagliacci politici”: “Il cinque stelle esiste già dal 2009, il movimento spunta quasi dal nulla.
I suoi seguaci non appartengono solitamente a nessun partito, ma sono in prevalenza cittadini senza esperienza politica, che ora entrano in scena, per cambiare le sorti della società”. Il “Zeit” sapeva: l’”Italia ha commesso un errore”, quando ha votato a favore di Beppe Grillo, l’ “avventato cacciatore di voti”. La “SZ” sapeva già che il movimento voleva sicuramente fare la pulizia, ma non intendeva accettare alcuna responsabilità.
Allora non possiamo prendercela con Peer Steinbrück, che, probabilmente dopo una massiccia dose di stampa si è sentito autorizzato a parlare di due “clown”. Anche l’europarlamentare dell’FDP ed esperto di politica estera Alexander Graf Lambsdorff, constatò: “È difficile riconoscere la saggezza degli elettori in questo risultato” e fu assecondato da FAZ: “Noi tutti vogliamo solo una situazione stabile in Italia e, liberi dopo Schäuble, politici che siano consapevoli delle proprie responsabilità. E se così non è, allora sono solo dei clown”. Sì, la saggezza, la saggezza! Maledizione! A quanto pare esiste solo nelle menti tedesche. Una cosa è certa: il principale perdente di queste elezioni è il giornalismo. In Italia. E in Germania. Questa è l’Europa.
  13 MARZO 2013PUBBLICATO IN: GERMANIA
TRADUZIONE DI ITALIADALLESTERO.INFO
Petra Reski è giornalista e scrittrice. Vive a Venezia dal 1991. Recentemente ha pubblicato  ”Von Kamen nach Corleone. Die Mafia in Deutschlans” per la casa editrice Hoffmann & Campe.

15 marzo 2013

Un'altra volta, i tedeschi ci danno lezioni di sovranità



Fiscal Compact Germania


 Per oltre un anno, in Italia, abbiamo accettato le folli politiche di austerità imposte dalle élite finanziarie.Lo abbiamo fatto perché tutti i giornali e le televisioni ci ripetevano che l’Europa chiedeva rigore e sacrifici, e che una nostra opposizione avrebbe messo in crisi gli equilibri economici e politici dell’intero continente. Era impossibile, del tutto impensabile percorrere un’altra strada per uscire dalla crisi.
 E invece cosa succede? Proprio il Paese più severo, quello che ha dettato ai maiali l’agenda dell’austerità, ha dimostrato la settimana scorsa che certi provvedimenti incostituzionali possono e devono essere bloccati. O, quantomeno, rimessi in discussione. E lo ha fatto per la seconda volta, dopo avere in precedenzaridefinito e limitato il potere del MES, la potente organizzazione che gestisce il fondo Salva Stati, dichiarandone incostituzionali molte sue parti centrali, mentre i nostri "rappresentanti" firmavano tutto in nostro nome, nel silenzio generale dei media, svendendo gli ultimi residui di sovranità come un venditore di aspirapolveri smaltisce le ultime scorte di magazzino.

 Il primo marzo scorso, il Bundesrat (il senato delle regioni tedesco) si è opposto all’approvazione del Fiscal Compact, voluto e sostenuto dalla CDU di Angela Merkel, dopo che già il Bundestag aveva dato il suo assenso, alla fine del 2012. A prevalere è stata la coalizione composta da Verdi, Social Democratici e partito della Sinistra, che da poche settimane detiene (per la prima volta dal 1999) la maggioranza dei seggi (36 su 69) alla Camera dei Lander, dopo che proprio i Verdi hanno vinto le elezioni regionali nella Bassa Sassonia. Ora il disegno di legge verrà ridiscusso da una commissione di mediazione parlamentare, che deciderà su eventuali modifiche da apportare.

La scelta dell’opposizione di seguire la linea dura è stata evidentemente influenzata dall’imminenza delle prossime elezioni nazionali di settembre: si è voluto lanciare un segnale chiaro contro le politiche di austerità imposte dalla destra (in Germania la sinistra usa fare così). Verdi e Socialdemocratici hanno riportato un’ulteriore successo nei confronti della cancelliera Merkel, ottenendo l’approvazione sia di un disegno di legge che prevede l’introduzione di una tariffa minima legale per i lavoratori di 8,50 Euro all’ora, sia di un altro provvedimento volto ad equiparare lo status legale e fiscale delle coppie omosessuali a quello dellecoppie eterosessuali. I portavoce dei partiti di opposizione sono stati concordi nel ribadire la necessità di introdurre misure volte ad evitare eventuali forme di sfruttamento dei lavoratori sottopagati, soprattutto in un momento di crisi, e ad annullare qualsiasi tipo di discriminazione (in Germania la sinistra fa così).
 Ovviamente per Angela Merkel si è trattato di un triplice smacco, che ha messo in agitazione molti esponenti del suo partito. Nonostante, infatti, la sua coalizione conservi una solida maggioranza nel Bundestag, che probabilmente consentirà di correggere o bocciare i provvedimenti sgraditi, in molti, all’interno della CDU, continuano a guardare con timore al crescente risentimento nei confronti delle politiche comunitarie dettate da Bruxelles e da Francoforte. Il governatore della Sassonia Stanislaw Tillich, alleato della Merkel, ha dichiarato che la Germania dovrebbe mandare un segnale di forza ed affidabilità all’Europa, soprattutto in un momento di incertezza sugli sviluppi futuri che si è aperto dopo le elezioni in Italia. È per questo, secondo Tillich, che il tentativo dell’opposizione di indebolire il governo Merkel è quantomai deplorevole: “non dovrebbe esserci alcuna esitazione, da parte nostra, nel pretendere disciplina fiscale dagli altri Paesi europei”, ha dichiarato di fronte al Bundesrat. Da più parti, immediatamente, si sono levati appelli alla “responsabilità rispetto alla politica europea” (vi ricorda qualcosa?), come quello lanciato dal portavoce del Ministro delle Finanze, Martin Kotthaus.
 L’opposizione, però, non si è lasciata condizionare. Quello che Verdi e Social Democratici chiedono, infatti, è l’emissione di bond federali-statali (lo stesso principio degli Eurobond, insomma, applicato ai vari Lander tedeschi) che aiutino a ridurre il debito delle regioni. Un provvedimento, questo, che era stato promesso dal Ministro delle Finanze Schaeuble durante le contrattazioni per ottenere il consenso del Bundesrat, ma che non è stato sinora approvato.
 Il risultato finale, comunque, è che per ora la Germania respinge il Fiscal Compact. Ci si ritrova, dunque, nella paradossale situazione per cui lo Stato che più d’ogni altro aveva sostenuto questo provvedimento a livello europeo, imponendolo di fatto a 25 dei 27 membri dell’UE, ora si mostra estremamente riluttante nell’approvarlo. L’Italia, manco a dirlo, è stata uno tra i più solerti dei 12 Stati che già lo hanno ratificato, senza che nessuna discussione al riguardo avvenisse né in Parlamento né sui media. Obbedire e tacere: è stata questa la logica dominante. Oltre, ovviamente, a quella di condannare le sparute voci critiche. Ed è così che ci ritroveremo a pagare una cifra che oscillerà tra i 50 e i 70 miliardi all’anno, per i prossimi vent’anni.

 di Valerio Valentini

18 marzo 2013

Se il nuovo quadro politico fa saltare i nervi ai giornalisti








Quello che più colpisce del discorso pubblico italiano degli ultimi giorni è l’improvviso tilt che ha fatto saltare la collaudata alleanza conformistica tra establishment partitico-parlamentare e circuito mediatico. D'altronde, basterebbe solo seguire qualche talk show per verificare la fine evidente di una lunga stagione dimostrata dal perdere le staffe e dall’innervosimento continuo dei principali opinionisti dell’ultimo ventennio, da Filippo Facci a Maria Teresa Meli, da Vittorio Sgarbi a Giuliano Ferrara. E’ come se il risultato elettorale con l’irruzione di un soggetto non controllabile come quello dei Cinquestelle avesse di colpo allontanato qualsiasi ipotesi prevedibile e controllabile ad uso dei giornalisti pontificatori. Si è infatti passati dal gioco compiaciuto delle parti nel bipolarismo muscolare a quello della visibile depressione di fronte all’imprevisto. E questo, almeno a nostro avviso, è oggettivamente un bene per chiunque non ne poteva più del teatrino, anche giornalistico, della cosiddetta Seconda Repubblica.
A questo punto, sia ben chiaro, non si tratta di avventurarsi in nessuna apologia del M5S, né di pensare – come molti pure fecero col Pci dei primi anni Settanta, poi  con i radicali, con i Verdi e anche con i leghisti del 1992 – di cercare di inserirsi strumentalmentee nel fenomeno e di cavalcare l’onda ma di valutare, serenamente e in maniera disincantata, quanto di positivo si sta affermando nel nuovo quadro politico e sociale italiano. Per chi come noi non ha mai privilegiato il mito della cosiddetta governabilità (che era, semmai, era la stella polare dei democristiani o dei repubblicani di Ugo la Malfa…) ma ha sempre guardato a prospettive di movimentismo e cambiamento è un fatto che il nuovo scenario abbia aperto dialetticamente un varco oggettivo di innovazione.
Intanto, abbiamo già visto con l’elezioni delle presidenze delle Camere che i giochi precostituiti sono destinati tutti a fallire. Un po’ come accadde nel ’92 quando l’arrivo dei leghisti impedì di fatto la realizzazione dei giochi del Caf che volevano Craxi a Palazzo Chigi e Andreotti o Forlani al Quirinale. Anche stavolta, la presenza inattesa dei 163 del Cinquestelle ha determinato l’azzeramento immediato delle velleità di chi si sentiva già al Colle. E restiamo poi convinti che anche il prosieguo – l’eventualità o meno di un governo, l’arrivo alle prossime elezioni anticipate con una nuova legge elettorale, i cambiamenti in tanti usi e costumi di privilegio castale – avverrà tutto all’insegna dell’imprevedibile…
Non si tratta, insomma, di illudersi sulle presunte virtù di Grillo o di Casaleggio né di far finta che il M5S sia un blocco rivoluzionario compatto e che non subirà una dialettica interna fatta anche di eventuali dissociazioni e rotture. Ma, per dirla marxianamente, occorre pensare che la dimensione “strutturale” del processo politico in atto andrà avanti nonostante tutto e malgrado coloro che cercheranno di condizionarla a loro vantaggio. Nonostante Grillo e nonostante gli stessi grillini, aggiungiamo.
Lo scenario è d'altronde chiaro: i politici si stanno di fatto “arrendendo” agli eventi, i giornalisti stanno perdendo il loro ruolo e a qualcuno saltano pure i nervi. Il quadro, insomma, evolverà nonostante quello che si dice e anche quanto si cercherà di fare. E’ come se fosse in atto una sorta di nuovo Sessantotto, ma questa volta con un movimentismo che ha fatto irruzione dentro le stesse istituzioni. Per curiosità abbiamo dato un’occhiata a La carica dei 163, l’instant book curato da il Fatto Quotidiano e che presenta il profilo di tutti i parlamentari del Movimento 5 Stelle. Solo a scorrerlo si respira, comunque, aria di novità. Basta vedere il ventisettenne Luca Frusone, deputato ciociaro del M5S, citare esplicitamente Cat Stevens: “Now there’s a new way and I know that I have to go away” (testualmente. “C’è una nuova strada e io so che devo percorrerla”). Oppure basta vedere scorrere nel pantheon di Mirella Liuzzi, deputata sempre ventisettenne ma lucana, i nomi di Serge Latouche e Karl Polanyi e le teorie della "decrescita felice", la visione anti-utilitaristica che ricorre nel pensiero di tanti altri grillini. Nel libro si ripetono i profili di moltissimi attivisti ecologisti, ma anche di un reduce del movimento del ’77 o di alcuni di loro impegnati con Emergency. Insomma, fatta la tara delle ingenuità e anche di alcuni facili entusiasmi, emerge nel complesso una volontà movimentista precisa e innovativa. Il giornalista Alessandro Zaccuri se ne è occupato seriamente su Avvenire: “Difficile capire – ha scritto – se l’idea di libero web in libero Stato discenda dalla lettura diretta di autori come Bruce Sterling o anche dal solo Hacker’s Manifesto del lontano 1986. Di sicuro l’attivismo mediatico del MoVimento cita in maniera esplicita la versione cinematografica di V per Vendetta, il libertario fumetto degli anni Ottanta portato sul grande schermo nel 2005 dai fratelli Wachowski. E’ grazie a quel film che la maschera di Guy Fawkes (il patriota cattolico giustiziato nel 1605) diventa il simbolo di una ribellione globale, che dall’occupazione di Wall Street arriva sino agliindignados madrileni, seguendo la rotta degli Anonymous di ogni latitudine”. Beppe Grillo, prosegue Zaccuri, si presenta inoltre come interprete di un immaginario oggi maggioritario tra i giovani di tutto il mondo e che fa riferimento a personalità prestigiose come il premio Nobel Joseph Stiglitz, l’economista-filosofo Serge Latouche e il sociologo Wolfgang Sachs, esponente di spicco del Wuppertal Institut, il centro di ricerca tedesco che alla pratica della globalizzazione selvaggia contrappone la strada dello sviluppo sostenibile. Poi, per quanto riguarda l’informazione, il giornalista diAvvenire ricorda che già nel 2006 Grillo si domandava: “Quanti giornalisti liberi di nazionalità italiana rimangono in giro?”. E rincarava la dose aggiungendo che “bisogna andare nella biblioteca comunale e leggersi vecchi pezzi di Indro Montanelli per tirarsi un po’ su…”. 
Tutto questo per dire che, nonostante il verticismo eccessivo o la mancanza di esperienza di qualcuno di loro, il M5S è comunque portatore di novità, sia rispetto alle rimasticature liberiste e conservatrici del moderatismo berlusconiano sia di fronte alla formazione carrieristica e d’apparato di buona parte dei quadri del Pd. Confusione e caos? “Nessuno si meravigli – si leggeva del resto nel ’68 nella cosiddetta Carta della Sorbona – del caos delle idee, nessuno ne sorrida, nessuno ne tragga motivo di burla o di gioia. Questo caos, piaccia o meno, è lo stato d’emergenza delle idee nuove. Il movimento e il cambiamento si creano da se stessi, con tutti coloro che vi aderiscono, e lasciano che ciascuno porti con sé il proprio personale bagaglio d’idee”. Staremo a vedere. Disincantati ma senza alcuna chiusura pregiudiziale.

di Luciano Lanna 

16 marzo 2013

L’uomo che non ride più


In occasione delle elezioni italiane il Movimento "Cinque Stelle" di Beppe Grillo è riuscito ad avere la meglio sull’establishment politico. Nel suo paese l’ex comico viene diffamato dai media con pesanti conseguenze all’estero.

In occasione delle elezioni italiane il Movimento “Cinque Stelle” di Beppe Grillo è riuscito ad avere la meglio sull’establishment politico. Nel suo paese l’ex comico viene diffamato dai media con pesanti conseguenze all’estero.

Piano piano stanno impazzendo tutti qui, ho pensato quando ho sentito come veniva citata la mia intervista alla radio, un’intervista che non era neanche ancora uscita.
Un’intervista che avevo fatto a Beppe Grillo, leader del Movimento civico Cinque Stelle, satirico, moralista, ambientalista e anticlericale vincitore delle elezioni politiche in Italia e che non era stata ancora pubblicata. Essendo stato diffamato dalla stampa ufficiale che lo ha definito “populista”, “comico”, “fascista”, “demagogo”, “golpista”, “antisemita”, “razzista” o persino “brigatista, Grillo alla stampa italiana non rilascia più interviste.
Così ci si avventa su tutto ciò che può far notizia. In questo caso sull’annuncio di un’intervista che doveva dimostrare che Grillo è pronto a sostenere una grande coalizione tra il PD, partito di centrosinistra e il PdL di Berlusconi. Una dichiarazione evidentemente falsa che io certo ho smentito prontamente, ma che malgrado ciò in rete fa ancora scalpore e che viene citata in quasi tutti i telegiornali. In questi giorni è in ballo la formazione del governo in Italia, quindi ogni mezzo è lecito.
Perché una settimana fa sono state stravolte tutte le certezze degli ultimi decenni: un movimento senza soldi, né’ televisione, senza giornale, né’ editore, senza banche, sta diventando il più forte partito. Un quarto degli italiani ha votato per il Movimento Cinque Stelle, che prende il nome dai cinque elementi del suo programma di base (acqua, ambiente, trasporti, Internet, sviluppo) – e che è cresciut in rete dietro alle spalle rigide della casta politica italiana.
Da 20 anni, in Italia spadroneggiano politici che scendono a patti con la mafia e che considerano il paese come uno tesoretto privato. Il successo del Movimento Cinque Stelle non è stato quindi inaspettato. Fino a quando il movimento non è sceso in politica, l’esito delle elezioni in Italia dava la stessa emozione di quelle dei tempi di Honecker nella DDR: vinceva [sempre] Berlusconi. E se in via eccezionale non ci riusciva, comprava deputati per poi far crollare il governo subito dopo.
Quando poi Berlusconi riusciva ancora una volta a vincere, i democratici di sinistra brontolavano un po’, ma per poi adattarsi velocemente, con lo sguardo rivolto all’uomo cattivo: accidenti, che cosa possiamo fare contro di lui? La televisione è sua! E anche la principale casa editrice! E la più importante squadra di calcio (è sua)! Cercavano di consolarsi con ciò che avevano, qualche regione, città e banche. Anzi hanno talmente impoverito gli ultimi rimasugli nell’opposizione, che quando sono riusciti a governare per un periodo seppur breve, non hanno avuto il coraggio di emanare una legge sul conflitto di interessi tra il ruolo di primo ministro e il più grande imprenditore dei media del paese. Non si sono neanche dati da fare per emanare una nuova legge elettorale, che ponesse fine all’assurdità di un partito che con solo il 30 per cento dei voti ottiene la maggioranza dei seggi in Parlamento.
Beppe Grillo non è apparso in  alcuna trasmissione televisiva, non è né un miliardario né un dirigente, non aveva nessun editorialista al guinzaglio ed è stato allontanato dalla televisone dall’epurazione voluta da Berlusconi: l’ormai sbiadito leader dei socialisti Bettino Craxi lo bandì, quando Grillo stesso non contento di prendere in giro gli usi e costumi italiani, si mise a criticarne anche la realtà politica e sociale. Da allora ha calcato i più grandi teatri del paese, ha mandato ha fatto piazza pulita dei totem della destra e della sinistra, ha fondato un blog di successo e ha dato voce all’opposizione civile.
Un movimento dal nulla
Dal suo blog Grillo ha lanciato l’idea dei “meet-up”:  piccole cellule, che su iniziativa personale scendono in campo contro l’inquinamento, la corruzione, la mafia. Nel 2005, a Torino si è svolto il primo raduno nazionale, di cui quasi nessuno ha dato notizia o comunque nessuno della casta politica italiana e delle testate giornalistiche ad essa asservite: “Il Giornale” e “Libero” sono di Silvio Berlusconi, la “Repubblica” e l’”Espresso” appartengono al finanziere liberale di sinistra Carlo De Benedetti ex presidente della Olivetti e della Fiat, la famiglia Agnelli finanzia il quotidiano la “Stampa” di Torino e il quotidiano economico “Il sole 24 ore” appartiene alla  Confindustria.
L’”Unità”, un tempo organo di stampa dell’ex Partito comunista, appartiene a uno degli uomini più ricchi d’Italia, l’imprenditore Renato Soru, ex presidente della regione Sardegna, fondatore della società di telecomunicazioni Tiscali. Quasi tutte le emittenti private sono di proprietà di Berlusconi, la RAI appartiene al governo di turno, nel dubbio quindi anche a Berlusconi stesso. Quindi non deve stupire che il risultato sia una disinformazione sistematica, finanziata tra l’altro con soldi pubblici .Il solo giornale che abbia rinunciato a tali fondi pubblici è “Il Fatto Quotidiano”, giornale fondato da un pugno di giornalisti investigativi.
Quando in occasione del primo Vaffanculo Day del 2007, 50.000 italiani si radunarono per invitare, tramite una petizione, i partiti a revocare il mandato ai parlamentari con precedenti penali, i giornali sprecarono solo un paio di righe su questo fatto insolito. L’editore di “Repubblica” Eugenio Scalfari inorridì e scrisse: «Dietro il Grillismo vedo un disgustoso vendicatore; ci vedo la dittatura”, l’”Espresso” evocava il ricordo di Mussolini. Il “Corriere della Sera” definì Grillo come  ”persona brutalmente avida” e la “Stampa” in maniera più moderata: “In un paese normale il V-Day sarebbe stato relegato alle pagine degli spettacoli.”
Quando Grillo nel successivo V-Day chiese nuovamente di abolire i finanziamenti alla stampa, nessuno si trattenne più: il “Giornale” di Berlusconi titolava: “Benito Grillo” e la “Repubblica” esorcizzava la sua caduta: “Grillo è alla fine, non fa più ridere”. Dopo che i primi rappresentanti del Movimento Cinque Stelle furono arruolati nei consigli comunali e regionali, i toni divennero più accesi: “manifestanti anti-globalizzazione e violenti criminali: così Grillo prepara il colpo di stato” scrisse il “Giornale”.
Poco prima delle elezioni, i giornali montarono un vero delirio a cinque stelle che avrebbe potuto far sorridere – se la diffamazione in stile copia-e-incolla non avesse iniziato a diffondersi anche in Germania. Difficilmente un giornale tedesco avrebbe parlato del nuovo fenomeno politico, senza condannarlo come “populista” e “non-politico”. Dal quotidiano “Welt” si apprendeva che Beppe Grillo predicava un “odio sacrosanto per i “parassiti che stavano lassù”, ragion per cui il quotidiano metteva in guardia contro uno “tsunami dei Pagliacci politici”: “Il cinque stelle esiste già dal 2009, il movimento spunta quasi dal nulla.
I suoi seguaci non appartengono solitamente a nessun partito, ma sono in prevalenza cittadini senza esperienza politica, che ora entrano in scena, per cambiare le sorti della società”. Il “Zeit” sapeva: l’”Italia ha commesso un errore”, quando ha votato a favore di Beppe Grillo, l’ “avventato cacciatore di voti”. La “SZ” sapeva già che il movimento voleva sicuramente fare la pulizia, ma non intendeva accettare alcuna responsabilità.
Allora non possiamo prendercela con Peer Steinbrück, che, probabilmente dopo una massiccia dose di stampa si è sentito autorizzato a parlare di due “clown”. Anche l’europarlamentare dell’FDP ed esperto di politica estera Alexander Graf Lambsdorff, constatò: “È difficile riconoscere la saggezza degli elettori in questo risultato” e fu assecondato da FAZ: “Noi tutti vogliamo solo una situazione stabile in Italia e, liberi dopo Schäuble, politici che siano consapevoli delle proprie responsabilità. E se così non è, allora sono solo dei clown”. Sì, la saggezza, la saggezza! Maledizione! A quanto pare esiste solo nelle menti tedesche. Una cosa è certa: il principale perdente di queste elezioni è il giornalismo. In Italia. E in Germania. Questa è l’Europa.
  13 MARZO 2013PUBBLICATO IN: GERMANIA
TRADUZIONE DI ITALIADALLESTERO.INFO
Petra Reski è giornalista e scrittrice. Vive a Venezia dal 1991. Recentemente ha pubblicato  ”Von Kamen nach Corleone. Die Mafia in Deutschlans” per la casa editrice Hoffmann & Campe.

15 marzo 2013

Un'altra volta, i tedeschi ci danno lezioni di sovranità



Fiscal Compact Germania


 Per oltre un anno, in Italia, abbiamo accettato le folli politiche di austerità imposte dalle élite finanziarie.Lo abbiamo fatto perché tutti i giornali e le televisioni ci ripetevano che l’Europa chiedeva rigore e sacrifici, e che una nostra opposizione avrebbe messo in crisi gli equilibri economici e politici dell’intero continente. Era impossibile, del tutto impensabile percorrere un’altra strada per uscire dalla crisi.
 E invece cosa succede? Proprio il Paese più severo, quello che ha dettato ai maiali l’agenda dell’austerità, ha dimostrato la settimana scorsa che certi provvedimenti incostituzionali possono e devono essere bloccati. O, quantomeno, rimessi in discussione. E lo ha fatto per la seconda volta, dopo avere in precedenzaridefinito e limitato il potere del MES, la potente organizzazione che gestisce il fondo Salva Stati, dichiarandone incostituzionali molte sue parti centrali, mentre i nostri "rappresentanti" firmavano tutto in nostro nome, nel silenzio generale dei media, svendendo gli ultimi residui di sovranità come un venditore di aspirapolveri smaltisce le ultime scorte di magazzino.

 Il primo marzo scorso, il Bundesrat (il senato delle regioni tedesco) si è opposto all’approvazione del Fiscal Compact, voluto e sostenuto dalla CDU di Angela Merkel, dopo che già il Bundestag aveva dato il suo assenso, alla fine del 2012. A prevalere è stata la coalizione composta da Verdi, Social Democratici e partito della Sinistra, che da poche settimane detiene (per la prima volta dal 1999) la maggioranza dei seggi (36 su 69) alla Camera dei Lander, dopo che proprio i Verdi hanno vinto le elezioni regionali nella Bassa Sassonia. Ora il disegno di legge verrà ridiscusso da una commissione di mediazione parlamentare, che deciderà su eventuali modifiche da apportare.

La scelta dell’opposizione di seguire la linea dura è stata evidentemente influenzata dall’imminenza delle prossime elezioni nazionali di settembre: si è voluto lanciare un segnale chiaro contro le politiche di austerità imposte dalla destra (in Germania la sinistra usa fare così). Verdi e Socialdemocratici hanno riportato un’ulteriore successo nei confronti della cancelliera Merkel, ottenendo l’approvazione sia di un disegno di legge che prevede l’introduzione di una tariffa minima legale per i lavoratori di 8,50 Euro all’ora, sia di un altro provvedimento volto ad equiparare lo status legale e fiscale delle coppie omosessuali a quello dellecoppie eterosessuali. I portavoce dei partiti di opposizione sono stati concordi nel ribadire la necessità di introdurre misure volte ad evitare eventuali forme di sfruttamento dei lavoratori sottopagati, soprattutto in un momento di crisi, e ad annullare qualsiasi tipo di discriminazione (in Germania la sinistra fa così).
 Ovviamente per Angela Merkel si è trattato di un triplice smacco, che ha messo in agitazione molti esponenti del suo partito. Nonostante, infatti, la sua coalizione conservi una solida maggioranza nel Bundestag, che probabilmente consentirà di correggere o bocciare i provvedimenti sgraditi, in molti, all’interno della CDU, continuano a guardare con timore al crescente risentimento nei confronti delle politiche comunitarie dettate da Bruxelles e da Francoforte. Il governatore della Sassonia Stanislaw Tillich, alleato della Merkel, ha dichiarato che la Germania dovrebbe mandare un segnale di forza ed affidabilità all’Europa, soprattutto in un momento di incertezza sugli sviluppi futuri che si è aperto dopo le elezioni in Italia. È per questo, secondo Tillich, che il tentativo dell’opposizione di indebolire il governo Merkel è quantomai deplorevole: “non dovrebbe esserci alcuna esitazione, da parte nostra, nel pretendere disciplina fiscale dagli altri Paesi europei”, ha dichiarato di fronte al Bundesrat. Da più parti, immediatamente, si sono levati appelli alla “responsabilità rispetto alla politica europea” (vi ricorda qualcosa?), come quello lanciato dal portavoce del Ministro delle Finanze, Martin Kotthaus.
 L’opposizione, però, non si è lasciata condizionare. Quello che Verdi e Social Democratici chiedono, infatti, è l’emissione di bond federali-statali (lo stesso principio degli Eurobond, insomma, applicato ai vari Lander tedeschi) che aiutino a ridurre il debito delle regioni. Un provvedimento, questo, che era stato promesso dal Ministro delle Finanze Schaeuble durante le contrattazioni per ottenere il consenso del Bundesrat, ma che non è stato sinora approvato.
 Il risultato finale, comunque, è che per ora la Germania respinge il Fiscal Compact. Ci si ritrova, dunque, nella paradossale situazione per cui lo Stato che più d’ogni altro aveva sostenuto questo provvedimento a livello europeo, imponendolo di fatto a 25 dei 27 membri dell’UE, ora si mostra estremamente riluttante nell’approvarlo. L’Italia, manco a dirlo, è stata uno tra i più solerti dei 12 Stati che già lo hanno ratificato, senza che nessuna discussione al riguardo avvenisse né in Parlamento né sui media. Obbedire e tacere: è stata questa la logica dominante. Oltre, ovviamente, a quella di condannare le sparute voci critiche. Ed è così che ci ritroveremo a pagare una cifra che oscillerà tra i 50 e i 70 miliardi all’anno, per i prossimi vent’anni.

 di Valerio Valentini