12 giugno 2013

La fine della sovranità






 

La fine del mondo c'è stata, eccome! Non è avvenuta in un giorni preciso, ma si è spalmata su più decenni. Il mondo che è scomparso era un mondo in cui la maggior parte dei bambini sapevano leggere e scrivere. In cui si ammiravano gli eroi invece delle vittime. In cui gli apparati politici non si erano ancora trasformati in macchine per stritolare le anime. In cui si avevano a disposizione più modelli che diritti. Era un mondo nel quale si poteva capire che cosa intendeva dire Pascal quando sosteneva che il divertimento ci distrae dall'essere veramente uomini. Era un mondo nel quale le frontiere garantivano a coloro che vivevano al loro un interno un modo di essere e di vivere che era di loro specifica pertinenza. Era un mondo che aveva anche i suoi difetti e che talvolta è stato addirittura orribile, ma dove la vita quotidiana del maggior numero di persone era quantomeno garantita da dispositivi di senso capaci di dispensare punti di riferimento. Attraverso i ricordi, quel mondo rimane familiare a molti. Taluni lo rimpiangono. Ma non tornerà.
Il nuovo mondo è liquido. Al suo interno, lo spazio e il tempo sono aboliti. Liberata dalle sue tradizionali mediazioni, la società è diventata sempre più fluida e sempre più segmentata, il che ne facilita la mercantilizzazione. Vi si vive secondo il modo dello zapping. Con la scomparsa di fatto dei grandi progetti collettivi, in altre epoche portatori di visioni del mondo differenti, la religione dell'io — un io fondato sul desiderio narcisistico di libertà incondizionata, un io produttore di sé a partire dal niente — è sfociata in una "detradizionalizzazione" generalizzata, che va di pari passo con la liquidazione dei punti di riferimento e dei punti fissi, rendendo l'individuo più malleabile e più condizionabile, più precario e più nomade. Da un mezzo secolo, l'«osmosi finanziaria della destra finanziaria e della sinistra multiculturale», come ha scritto Mathieu Bock-Coté, si è sforzata, con il pretesto della "modernizzazione" emancipatrice, di far confluire liberalismo economico e liberalismo societario, sistema di mercato e cultura marginale, grazie soprattutto alla strumentalizzazione mercantile dell'ideologia del desiderio, capitalizzando così sulla decomposizione delle forme sociali tradizionali. L'obiettivo generale è eliminare le comunità di senso che non funzionano secondo la logica del mercato. Parallelamente, sono all'opera vere e proprie trasformazioni antropologiche. Toccano il rapporto con se stessi, il rapporto con l'altro, il rapporto con il corpo, il rapporto con la tecniche. E domani giungeranno sino alla fusione programmatica fra l'elettronico e il vivente. Quando il desiderio di profitto si impone
come unica motivazione a detrimento di tutte le altre, il suo effetto performativo è di generalizzare lo spirito mercantile, che decompone la popolazione in semplici clientele. In questo contesto, il "politicamente corretto" non è una semplice moda un po' ridicola, ma un mezzo forte per trasformare il pensiero, per restringere ulteriormente uno spazio comune generatore di obbligazioni reciproche, per rendere impossibile la riabilitazione di un universo di senso oggi scomparso.
Stiamo infine assistendo all'istituirsi della governane, una sorta di cesarismo finanziario che consiste nel governare i popoli tenendoli in disparte. Lo Stato terapeutico e gestionale, dispensatore di ingegneria sociale e Grande Sorvegliante, si impegna, dal canto suo, a sopprimere la barriera esistente tra l'ordine e il caos. Esso basa il proprio potere sulla costituzione assolutamente volontaria di una situazione subcaotica, sullo sfondo di una fuga in avanti e di una illimitatezza generalizzate, creando in tal modo una situazione di guerra civile fredda. Lo stesso concetto di classe sociale viene congedato da una sociologia vittimistica che al suo posto colloca la denuncia dell'"esclusione" e la "lotta contro le discriminazioni", e da una "scienza" economica che guarda al concetto di popolo come ad una categoria residuale, nel momento stesso in cui la lotta di classe è più che mai in auge.
Sotto l'effetto delle politiche di "austerità", l'Europa sta scivolando nella recessione, quando non nella depressione. La disoccupazione di massa continua ad estendersi, lo smantellamento dei servizi pubblici comporta la riduzione dei beni sociali e il potere d'acquisto crolla. Un quarto della popolazione europea (120 milioni di persone) è sotto la minaccia della povertà. In passato, si sono fatte rivoluzioni per meno di questo. Oggi, non accade niente di simile. Delocalizzazioni, licenziamenti e piani sociali provocano, certo, proteste — ma non assistiamo a nessuno sciopero di solidarietà, e meno che mai a scioperi generali: la lotta per il mantenimento del posto di lavoro non ha prospettive al di là di se stessa. Perché la crisi viene subita così passivamente? Perché i popoli sono sfiniti, sbalorditi, sgomenti? Perché hanno interiorizzato l'idea che non esistano alternative? I popoli vivono sotto l'orizzonte della fatalità. Attendono che questo accada. Ma non accadrà, perché il capitalismo si scontra oggettivamente con limiti storici assoluti.
Viviamo una crisi di un'ampiezza assolutamente inedita, che tocca il sistema capitalista ad un livello di accumulazione e di produttività ancora mai raggiunto. Le crisi del XIX secolo avevano potuto essere superate perché la Forma-Capitale non si era ancora impadronita di tutta la riproduzione sociale. Quella del 1929 lo è stata grazie al fordismo, alla regolazione keynesiana e alla guerra. La crisi attuale, che interviene sullo sfondo della terza rivoluzione industriale, è una crisi strutturale, contrassegnata
dalla completa emancipazione della finanza di mercato rispetto all'economia reale e dall'indebitamento generalizzato. Uno dei suoi effetti diretti è consistito nell'affidare il potere politico ai rappresentanti di Goldman Sachs e di Lehman Brothers. Ma nessuno di loro risolverà il problema, perché non esiste un meccanismo che consenta di aver ragione della crisi. Le bolle finanziarie, il credito di Stato e la macchina che stampa banconote, vale a dire la creazione di capitale-denaro fittizio, non possono più risolvere il problema della desostanzializzazione generalizzata del Capitale. Sia che ci si diriga verso un'inflazione incontrollabile in assenza di qualsiasi reale valorizzazione — trattando l'attuale crisi di solvibilità come una crisi di liquidità — sia che si vada verso un generalizzato default nei pagamenti, tutto ciò non può che finire con un terremoto.
In un'epoca come la nostra, ci sono solo quattro tipi di uomini. Ci sono coloro che, del tutto consapevolmente, vogliono che ci si infili sempre più lontano nel caos e nella notte. Ci sono quelli che, volontariamente o no, sono sempre pronti a subire. Ci sono i diplodochi reazionari, che vivono la situazione attuale sul registro della deplorazione. Fra geremiadi e commemorazioni, credono di poter far tornare il vecchio ordine, ragion per cui non fanno altro che registrare sconfitte. Infine, ci sono coloro che vogliono un nuovo inizio. Quelli che vivono nella notte ma non sono della notte, poiché vogliono ritrovare la luce. Quelli che sanno che al di sopra del reale c'è il possibile. A loro piace citare George Orwell: «In un'epoca di universale disonestà, dire la verità è un atto rivoluzionario».

[Diorama letterario, n 314, primavera 2013]
di Alain de Benoist 

10 giugno 2013

La «Costituzione più Bella del Mondo»? È la Tedesca





german court EU La «Costituzione più Bella del Mondo»? È la Tedesca (di Maurizio Blondet)
Nota di Rischio Calcolato: questo post è tratto dalla rivista on-line EffediEffe sito di informazione a cui consigliamo caldamente un abbonamento (50€ spesi benissimo). Consiglio la lettura di questo articolo a tutti quelli che: “è colpa dei tedeschi”. Hanno ragione è colpa dei tedeschi se loro, i tedeschi si sono ben guardati dal mettere i trattati europei davanti alla “loro” costituzione.  Noi invece siamo tanto ligi e affidabili europei. Eh si, “colpa dei tedeschi”, come no.


La data a lungo rimandata ormai è qui: in settimana, la Corte Costituzionale tedesca si riunisce a Karlsruhe per emanare una sentenza che può essere fatale per l’euro, per l’eurozona o per Italia e Spagna, secondo come sarà modulata.
Lo ricorda sul Telegraph l’ottimo Ambrose Evans-Pritchard che ha intervistato il giurista germanico Udo di Fabio, che fino all’anno scorso è stato membro della Corte tedesca specializzato sull’euro, il quale ha scritto: «Nella misura in cui la Banca Centrale Europea continua ad agire “ultra vires” (oltre il suo mandato: in Germania s’insegna ancora il latino, ndr) , e queste violazioni sono prolungate e gravi, la Corte deve decidere se la Germania può, in base alla sua costituzione, restare un membro della unione monetaria». 
Se la posizione dell’ex membro Di Fabio è condivisa da 5 degli 8 togati di Karlsruhe, sarebbe una dichiarazione di illegalità del macchinario di salvataggio della moneta unica messo in atto da Mario Draghi, precisamente lo ESM (European Stability Mechanism) da 500 miliardi di euro di fondi di salvataggio, usati per comprare tonnellate di titoli di debito pubblico italiano e spagnolo, o l’Outright Monetary Transactions (OMT) che un anno fa ha calmato la crescita stratosferica dello spread sui nostri Bot e Btp, e sui bonos ispanici, calmando i «mercati» (di fatto scavalcati) e riducendo il rischio di una frattura nell’eurozona.
Secondo 37 mila cittadini tedeschi, fra cui esponenti politici, docenti universitari ed economisti euroscettici, che hanno presentato denuncia alla Corte, la BCE ha superato il suo mandato finanziando i deficit di Stati fallimentari.
Di Fabio, in un suo discorso alla Fondazione Tedesca delle Imprese Familiari, ha spiegato che la Corte non ha gli strumenti «procedurali» per obbligare la BCE a cambiare strada; può però emettere una «dichiarazione» con sapore di ultimatum: se la BCE insiste a comprare buoni del tesoro del Club Med, allora la Corte ha il potere di vietare alla Bundesbank, la Banca Centrale tedesca, di contribuire al salvataggio. Sarebbe la fine dell’euro, con (l’auspicabile) uscita della Germania.
La Bundesbank, con il suo capo Jens Weidmann, non aspetta altro. Weidmann già a dicembre ha inviato alla corte di Karlsruhe una relazione che accusa Draghi, e la sua promessa di fare «tutto il necessario», come una violazione dell’indipendenza della BCE e dei principii fondamentali su cui è stata fondata la Banca. La quale, ha scritto testualmente Weidmann, «non ha il mandato legale per mantenere l’attuale composizione della unione monetaria». 
Ma lo farà la Corte di Karlsruhe? Lo stesso Di Fabio ha ammesso che gli otto giudici non premeranno «il pulsante d’uscita», perché sono «a favore dell’integrazione»; ma può bloccare l’acquisto di buoni del tesoro di Spagna e Italia ed altri «periferici», il che otterrebbe lo stesso risultato: di colpo lo spread risalirebbe alle stelle, la crisi dell’eurozona si arroventerebbe all’istante e Italia e Spagna, costrette a mendicare fondi ai «liberi mercati», tornerebbero ad essere in virtuale bancarotta, e sullo scivolo d’uscita dall’euro: uscita caotica, disordinata e catastrofica. È solo l’OMT che ci tiene nell’euro, a prezzo della nostra miseria crescente collettiva.
Questo atteggiamento rivela l’ambiguità fondamentale che cova nella superpotenza germanica: tentata di uscire dall’euro, ma dandone la colpa agli altri; e ben conscia che è il solo Paese a godere i vantaggi dell’euro, finché non sia chiamata a pagare il conto della perdita di competitività, e del conseguente declino, che ha inflitto ai Paesi periferici. 
Evans-Pritchard ricorda giustamente che nel 2009, con una storica pronuncia, la Corte Costituzionale tedesca ha sancito la sovranità germanica sopra l’Unione Europea: l’ha fatto accettando sì il Trattato di Lisbona ossia ratificandolo nel proprio diritto nazionale, ma sancendo nello stesso tempo che sono gli Stati membri ad essere «Padroni dei Trattati», e non i trattati europei padroni degli Stati. Sono infatti i parlamenti democraticamente eletti la autorità legittima. Il che significa, per quanto riguarda la Germania, che essa ha il dovere di «rigettare ulteriori partecipazioni all’Unione Europea» se il macchinismo eurocratico mina e minaccia i poteri del Bundestag, il parlamento eletto. (Chi vuol saperne di più veda Karlsruhe Constitutional Judgment on the Lisbon Treaty
Tutti gli altri Stati europei hanno accettato Lisbona senza questa condizione. La sola è stata la Germania, che da questo momento è diventata il solo Stato sovrano rimasto, e «padrone» della UE, visto che ha dichiarato la supremazia della sua Costituzione (Grundgesetz) sulle leggi europoidi che gli altri devono accettare, essendosi legati le mani. 
È qualcosa che andrebbe continuamente ricordato ai nostri politici che giurano amore immutabile alla «Costituzione più bella del mondo», e l’hanno svenduta – e continuano a demolirla – assoggettandola all’eurocrazia che nessuno ha eletto, ed obbedendo a tutte le cervellotiche ingiunzioni dei Barroso, Rehn e comesischiamano. 
Potevano almeno, i nostri politici tanto europeisti, far notare che la Germania, la sola ad accettare il trattato di Lisbona sub condicione, si era resa lo Stato «più uguale degli altri», e di fatto il padrone di tutti gli altri? E che la Unione Europea era divenuta la orwelliana «Fattoria degli animali», dove tutti sono uguali ma – appunto – i maiali un po’ di più? Potevano obiettare che questo era ormai un mostro giuridico, e difendere la Costituzione-più-bella-del mondo? 
Potevano. Non l’hanno fatto. Sicché siamo appesi al filo della Corte di Karlsruhe, che deciderà il nostro destino. 
Il peggio è che siamo appesi alla perdurante ambiguità tedesca, che ci vuole «dentro» l’euro ma in punizione perpetua, fino al giorno in cui deciderà che non le conviene più restarci. Già nel settembre scorso i suoi giudici costituzionali hanno ripetuto il loro «sì, ma però» con una sentenza dello scorso settembre : rigettò una richiesta di suoi cittadini che volevano far dichiarare illegale lo ESM di Draghi, ma nello stesso tempo hanno limitato la contribuzione tedesca allo ESM a 190 miliardi di euro. Vietò al Bundestag, il solo parlamento eletto e quindi democraticamente sovrano, di «accettare passività derivate da decisioni di altri Stati». 
Una decisione di grande buonsenso giuridico, che tutti dovremmo invidiare : ma di fatto, ha silurato ogni speranza di emissione di eurobond, di messa in comune del debito e di unione di bilancio, ossia tutte le cose in cui vacuamente sperano i politicanti italioti. 
A settembre la Corte di Karlsruhe ha sancito che il Bundestag non può alienare all’organismo UE i suoi poteri di tassare e spendere, perché con ciò minerebbe la democrazia tedesca. Il suo presidente Andreas Vosskuhle sentenziò, in quell’occasione, che la Germania ha raggiunto il limite dell’integrazione UE, e che ogni altro passo verso una più stretta integrazione richiederebbe «una nuova costituzione», che a sua volta dovrebbe essere approvata da referendum.
Decisamente, i nostri politicanti, quando esaltano la Costituzione più bella del mondo, dovrebbero precisare che non è quella di Benigni, ma intendono quella della Repubblica Federale Tedesca. Avessimo noi dei giudici costituzionali così…
BUONSENSO A LONDRA – Il ministro alla Giustizia Chris Grayling , ha esplicitamente dichiarato «folli» le politiche sul lavoro messe in atto dalla Commissione Europea, che sta affondando milioni di posti di lavoro ed ogni prospettiva d crescita. «Molta gente importante a Bruxelles non vive nel mondo reale», ha detto il ministro britannico, «sono prigioniere di un dogma, secondo cui la sola soluzione ad ogni problema è ancor più regolazione europea». Questo, in un periodo di enorme disoccupazione di massa nella zona, rischia di scatenare estremismi di ogni sorta. 
Ricordiamo: la disoccupazione è del 27% in Grecia, del 26,8 in Spagna, sta fulmineamente salendo agli stessi livelli in Italia (grazie al tecnico Monti che ha accelerato il collasso), dove la disoccupazione dei giovani è sul 38%; mentre in Gran Bretagna – che come fondamentali è messa male quanto la Spagna – è del 7,8%. Non occorre indovinare qual è la moneta che fa la differenza. 
«La mancanza di credito è quella che impedisce la ripresa in Europa»: l’ha detto António Borges, un ex direttore europeo del Fondo Monetario Internazionale, attualmente docente di Economia a Lisbona: secondo Borges, litigare sull’austerità distoglie l’attenzione da un altro punto: le banche in rovina non fanno prestiti, perché non sono in grado di farli.
Il perché l’ha spiegato Klaas Knot, il presidente della Banca centrale Olandese. Sostanzialmente: A differenza degli Stati Uniti, l’Europa non ha voluto ricapitalizzare le sua grandi banche in seguito alla crisi finanziaria del 2007-09. Invece, i politici scommesso che la ripresa economica avrebbe sollevato la redditività delle istituzioni finanziarie, consentendo loro di aumentare le proprie riserve di capitale nel corso del tempo. È ormai chiaro che questa strategia è fallita. Per questo la zona euro è in una nuova recessione (aggravata da austerità imposta e – per l’Italia, iper-tassazione e parassitismo pubblico di massa). (Europe’s banks must be recapitalized)
Secondo Knot, le quotazioni depresse di molte banche segnalano quanto siano malate. In media, il valore di mercato rispetto al valore di libro delle banche europee ora è di circa 0,50. Questo indica che le banche hanno notevoli perdite occulte sui loro libri. Klaas Knot ha rilevato che il ripristino di bilanci delle banche è un requisito fondamentale per la ripresa economica. Per facilitare questo processo, ha detto, è essenziale per creare la trasparenza circa le perdite del settore bancario e di avere una risoluzione ordinata delle attività in perdita. Senza questo, le banche rimarranno restrittive nel fare nuovi prestiti. 
Invece in Europa, i politici – in combutta con i capi delle grandi banche – hanno nascosto la rumenta sotto il tappeto: più precisamente, hanno sì fatto che le banche venissero ricapitalizzate, ma ciò non è avvenuto mediante l’emissione di nuove azioni, bensì versando il patrimonio. L’emissione di nuove azioni avrebbe fatto infatti perdere il controllo ai caporioni-azionisti che hanno nel libro-paga i politicanti; un pericolo che hanno voluto evitare ad ogni costo. Hanno dato alle banche soldi dei contribuenti, e Draghi (il capo dei capi) ha fornito l’enorme fiumana di soldi – il famoso trilione – alle banche, le quali però comprano Bot e Bund tedeschi («sicuri», ancorché a interessi sotto lo zero) anziché finanziare le imprese private. 
Ne consegue che tutte le politiche «per il lavoro» del governo Letta – defiscalizzazione per le imprese che «assumono giovani» (le voglio vedere), miserabili detrazioni per chi compra cucine e rifà il bagno – sono pannicelli caldi. Tutto inutile finché le banche non fanno credito, sedute sulle loro perdite occultate per non perdere il potere. Il credit crunch non fa che aggravarsi, mentre le sofferenze bancarie non fanno che aumentare (+22% ad aprile!). E chi volete che assuma «i giovani» se la banca non gli fa i fidi? La soluzione è quella che indica il centro studi «Scenari Economici Feed», che mi limito a riportare:
«Ricapitalizzare il sistema bancario – Fare trasparenza sui bilanci delle banche, facendo emergere le perdite e passività reali nei bilanci. Ridurre il peso delle banche sul sistema finanziario, ed incentivata l’azione delle imprese a raccogliere fondi da emissioni obbligazionarie – Eliminare le demenziali tassazioni sulle transazioni finanziarie (la Tobin Tax, applicata in questo moment di denaro scarso e mercati fermi, è infatti semplicemente folle).
di Maurizio Blondet 

09 giugno 2013

I morti del moVimento 5 Stelle

Ho avuto quindi tempo per pensare, tra le altre cose, al problema del MoVimento.
Si, del Problema, perché ce n’é uno ed é molto grave; anzi,di problema ce ne sono piú di uno e forse non sono nemmeno risolvibili. Per essere esatti i problemi sono 50.449.979. E no, non si tratta di € di debiti, ma di milioni di teste pensanti, votanti e quindi comprabili.
Abbiamo scoperto che il mondo lí fuori é cattivo, che le merde con la penna e il microfono sono sul mercato e che il sistema li ha comprati a man bassa. Abbiamo scoperto,poi e non poco dolorosamente, che anche certi pentastellati non sono tutto questo stinco di santo che volevamo far credere a noi stessi, per primi, e al resto del mondo a seguire Abbiamo anche scoperto, infine, che c’era poco da scoprire e , fermi tutti, che veramente “c’é del marcio in Danimarca”.
Abbiamo capito tante cose, in questi quattro mesi, e alcune le abbiamo scoperte da soli, altre ce le hanno fatte capire a forza di calci in culo e altre le abbiamo semplicemente assorbite silenziosamente, come se il comportamento di qualche ex pentastellato fosse qualcosa che riguardasse solo lui, cattivone, e non il moVimento intero e gli errori strategici.
Forse sarebbe ora di iniziare a comprendere a fondo una cosa, che i primi nemici del moVimento siamo noi stessi, che crediamo ciecamente a quello che dice Travaglio perché ci piace quando parla, a quello che dice Scanzi ma solo quando parla bene del M5S e a quello che Grillo ci va ripetendo da anni, perché si.
Dobbiamo iniziare a capire, poi, che é troppo semplice entrare nel moVimento e diventare da sig. nessunomister TV, perché la regola di base del M5S é l’onestá, e di onestá non ce n’é solo perché qualcuno impone le mani e ti vota via internet.
L’Italia, ragazzi, é uno stato fatto di tante nazioni diverse, ma non territoriali, bensì aleatorie, mentali. Ci siamo massacrati tra repubblichini e papalini durante la Repubblica Romana, poi ancora tra fascisti e partigiani durante la seconda guerra mondiale e poi tra socialisti e democristiani dal 1950 in poi, passando per gli anni di piombo e la strategia della tensione.
Ci siamo ammazzati, diffamati, traditi, noi italiani, ci siamo presi e venduti al miglior offerente e abbiamo comprato il peggior nemico per un piatto di fagioli. Abbiamo sposato ideali rossi e il giorno dopo giuravamo su bandiere bianco crociate e abbiamo tirato le monete a Craxi per poi votare Berlusconi il giorno dopo.
Siamo un popolo senza futuro, é questa la veritá e forse non meritiamo il moVimento, questa ventata di aria pulita e nuova che ci ha si riempito i polmoni di speranza, ma allo stesso tempo ci ha spaventato, spaventato e terrorizzato, lasciandoci immobili di fronte al fango lanciato dai professionisti della politica e dello sberleffo.
Siamo un popolo che non vuole cambiare e che si crogiola sulle proprie disgrazie, che con una mano fa la caritá e chiede perdono e con l’altra ruba il portafoglio al prete. Siamo un popolo finito, senza dignitá e senza memoria, o forse con troppa, di memoria.
Oggi altri due ex Cittadini hanno lasciato il moVimento 5 Stelle e sono diventati Onorevoli, passando al Gruppo Misto. Sono loro l’emblema di 150 anni di storia repubblicana, chiagni e fotti, caro italiano, che cambieremo tutto per non cambiare nulla.
Abbiamo perso questa battaglia, é inutile nasconderlo; abbiamo visto in 3 mesi tattiche di diffamazione e infangamento mediatico che nemmeno ai tempi di Calabresi o Tortora. Per ora é mancato il morto, ma a parte il popolo italiano onesto che ha votato in piena coscienza, di morti ormai ce ne sono giá troppi, e sono tutti quanti ai posti di battaglia e di comando.
Sveglia, pentastellati, dobbiamo cambiare strategia, iniziare a parlare, a comunicare e a costruire un consenso a lungo termine, e iniziare di nuovo da quel 10/13 % che realmente il moVimento rappresenta. Sveglia, ragazze e ragazzi, e iniziamo a scaricare i pesi morti, ché soltanto in questo modo potremo respirare di nuovo.
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12 giugno 2013

La fine della sovranità






 

La fine del mondo c'è stata, eccome! Non è avvenuta in un giorni preciso, ma si è spalmata su più decenni. Il mondo che è scomparso era un mondo in cui la maggior parte dei bambini sapevano leggere e scrivere. In cui si ammiravano gli eroi invece delle vittime. In cui gli apparati politici non si erano ancora trasformati in macchine per stritolare le anime. In cui si avevano a disposizione più modelli che diritti. Era un mondo nel quale si poteva capire che cosa intendeva dire Pascal quando sosteneva che il divertimento ci distrae dall'essere veramente uomini. Era un mondo nel quale le frontiere garantivano a coloro che vivevano al loro un interno un modo di essere e di vivere che era di loro specifica pertinenza. Era un mondo che aveva anche i suoi difetti e che talvolta è stato addirittura orribile, ma dove la vita quotidiana del maggior numero di persone era quantomeno garantita da dispositivi di senso capaci di dispensare punti di riferimento. Attraverso i ricordi, quel mondo rimane familiare a molti. Taluni lo rimpiangono. Ma non tornerà.
Il nuovo mondo è liquido. Al suo interno, lo spazio e il tempo sono aboliti. Liberata dalle sue tradizionali mediazioni, la società è diventata sempre più fluida e sempre più segmentata, il che ne facilita la mercantilizzazione. Vi si vive secondo il modo dello zapping. Con la scomparsa di fatto dei grandi progetti collettivi, in altre epoche portatori di visioni del mondo differenti, la religione dell'io — un io fondato sul desiderio narcisistico di libertà incondizionata, un io produttore di sé a partire dal niente — è sfociata in una "detradizionalizzazione" generalizzata, che va di pari passo con la liquidazione dei punti di riferimento e dei punti fissi, rendendo l'individuo più malleabile e più condizionabile, più precario e più nomade. Da un mezzo secolo, l'«osmosi finanziaria della destra finanziaria e della sinistra multiculturale», come ha scritto Mathieu Bock-Coté, si è sforzata, con il pretesto della "modernizzazione" emancipatrice, di far confluire liberalismo economico e liberalismo societario, sistema di mercato e cultura marginale, grazie soprattutto alla strumentalizzazione mercantile dell'ideologia del desiderio, capitalizzando così sulla decomposizione delle forme sociali tradizionali. L'obiettivo generale è eliminare le comunità di senso che non funzionano secondo la logica del mercato. Parallelamente, sono all'opera vere e proprie trasformazioni antropologiche. Toccano il rapporto con se stessi, il rapporto con l'altro, il rapporto con il corpo, il rapporto con la tecniche. E domani giungeranno sino alla fusione programmatica fra l'elettronico e il vivente. Quando il desiderio di profitto si impone
come unica motivazione a detrimento di tutte le altre, il suo effetto performativo è di generalizzare lo spirito mercantile, che decompone la popolazione in semplici clientele. In questo contesto, il "politicamente corretto" non è una semplice moda un po' ridicola, ma un mezzo forte per trasformare il pensiero, per restringere ulteriormente uno spazio comune generatore di obbligazioni reciproche, per rendere impossibile la riabilitazione di un universo di senso oggi scomparso.
Stiamo infine assistendo all'istituirsi della governane, una sorta di cesarismo finanziario che consiste nel governare i popoli tenendoli in disparte. Lo Stato terapeutico e gestionale, dispensatore di ingegneria sociale e Grande Sorvegliante, si impegna, dal canto suo, a sopprimere la barriera esistente tra l'ordine e il caos. Esso basa il proprio potere sulla costituzione assolutamente volontaria di una situazione subcaotica, sullo sfondo di una fuga in avanti e di una illimitatezza generalizzate, creando in tal modo una situazione di guerra civile fredda. Lo stesso concetto di classe sociale viene congedato da una sociologia vittimistica che al suo posto colloca la denuncia dell'"esclusione" e la "lotta contro le discriminazioni", e da una "scienza" economica che guarda al concetto di popolo come ad una categoria residuale, nel momento stesso in cui la lotta di classe è più che mai in auge.
Sotto l'effetto delle politiche di "austerità", l'Europa sta scivolando nella recessione, quando non nella depressione. La disoccupazione di massa continua ad estendersi, lo smantellamento dei servizi pubblici comporta la riduzione dei beni sociali e il potere d'acquisto crolla. Un quarto della popolazione europea (120 milioni di persone) è sotto la minaccia della povertà. In passato, si sono fatte rivoluzioni per meno di questo. Oggi, non accade niente di simile. Delocalizzazioni, licenziamenti e piani sociali provocano, certo, proteste — ma non assistiamo a nessuno sciopero di solidarietà, e meno che mai a scioperi generali: la lotta per il mantenimento del posto di lavoro non ha prospettive al di là di se stessa. Perché la crisi viene subita così passivamente? Perché i popoli sono sfiniti, sbalorditi, sgomenti? Perché hanno interiorizzato l'idea che non esistano alternative? I popoli vivono sotto l'orizzonte della fatalità. Attendono che questo accada. Ma non accadrà, perché il capitalismo si scontra oggettivamente con limiti storici assoluti.
Viviamo una crisi di un'ampiezza assolutamente inedita, che tocca il sistema capitalista ad un livello di accumulazione e di produttività ancora mai raggiunto. Le crisi del XIX secolo avevano potuto essere superate perché la Forma-Capitale non si era ancora impadronita di tutta la riproduzione sociale. Quella del 1929 lo è stata grazie al fordismo, alla regolazione keynesiana e alla guerra. La crisi attuale, che interviene sullo sfondo della terza rivoluzione industriale, è una crisi strutturale, contrassegnata
dalla completa emancipazione della finanza di mercato rispetto all'economia reale e dall'indebitamento generalizzato. Uno dei suoi effetti diretti è consistito nell'affidare il potere politico ai rappresentanti di Goldman Sachs e di Lehman Brothers. Ma nessuno di loro risolverà il problema, perché non esiste un meccanismo che consenta di aver ragione della crisi. Le bolle finanziarie, il credito di Stato e la macchina che stampa banconote, vale a dire la creazione di capitale-denaro fittizio, non possono più risolvere il problema della desostanzializzazione generalizzata del Capitale. Sia che ci si diriga verso un'inflazione incontrollabile in assenza di qualsiasi reale valorizzazione — trattando l'attuale crisi di solvibilità come una crisi di liquidità — sia che si vada verso un generalizzato default nei pagamenti, tutto ciò non può che finire con un terremoto.
In un'epoca come la nostra, ci sono solo quattro tipi di uomini. Ci sono coloro che, del tutto consapevolmente, vogliono che ci si infili sempre più lontano nel caos e nella notte. Ci sono quelli che, volontariamente o no, sono sempre pronti a subire. Ci sono i diplodochi reazionari, che vivono la situazione attuale sul registro della deplorazione. Fra geremiadi e commemorazioni, credono di poter far tornare il vecchio ordine, ragion per cui non fanno altro che registrare sconfitte. Infine, ci sono coloro che vogliono un nuovo inizio. Quelli che vivono nella notte ma non sono della notte, poiché vogliono ritrovare la luce. Quelli che sanno che al di sopra del reale c'è il possibile. A loro piace citare George Orwell: «In un'epoca di universale disonestà, dire la verità è un atto rivoluzionario».

[Diorama letterario, n 314, primavera 2013]
di Alain de Benoist 

10 giugno 2013

La «Costituzione più Bella del Mondo»? È la Tedesca





german court EU La «Costituzione più Bella del Mondo»? È la Tedesca (di Maurizio Blondet)
Nota di Rischio Calcolato: questo post è tratto dalla rivista on-line EffediEffe sito di informazione a cui consigliamo caldamente un abbonamento (50€ spesi benissimo). Consiglio la lettura di questo articolo a tutti quelli che: “è colpa dei tedeschi”. Hanno ragione è colpa dei tedeschi se loro, i tedeschi si sono ben guardati dal mettere i trattati europei davanti alla “loro” costituzione.  Noi invece siamo tanto ligi e affidabili europei. Eh si, “colpa dei tedeschi”, come no.


La data a lungo rimandata ormai è qui: in settimana, la Corte Costituzionale tedesca si riunisce a Karlsruhe per emanare una sentenza che può essere fatale per l’euro, per l’eurozona o per Italia e Spagna, secondo come sarà modulata.
Lo ricorda sul Telegraph l’ottimo Ambrose Evans-Pritchard che ha intervistato il giurista germanico Udo di Fabio, che fino all’anno scorso è stato membro della Corte tedesca specializzato sull’euro, il quale ha scritto: «Nella misura in cui la Banca Centrale Europea continua ad agire “ultra vires” (oltre il suo mandato: in Germania s’insegna ancora il latino, ndr) , e queste violazioni sono prolungate e gravi, la Corte deve decidere se la Germania può, in base alla sua costituzione, restare un membro della unione monetaria». 
Se la posizione dell’ex membro Di Fabio è condivisa da 5 degli 8 togati di Karlsruhe, sarebbe una dichiarazione di illegalità del macchinario di salvataggio della moneta unica messo in atto da Mario Draghi, precisamente lo ESM (European Stability Mechanism) da 500 miliardi di euro di fondi di salvataggio, usati per comprare tonnellate di titoli di debito pubblico italiano e spagnolo, o l’Outright Monetary Transactions (OMT) che un anno fa ha calmato la crescita stratosferica dello spread sui nostri Bot e Btp, e sui bonos ispanici, calmando i «mercati» (di fatto scavalcati) e riducendo il rischio di una frattura nell’eurozona.
Secondo 37 mila cittadini tedeschi, fra cui esponenti politici, docenti universitari ed economisti euroscettici, che hanno presentato denuncia alla Corte, la BCE ha superato il suo mandato finanziando i deficit di Stati fallimentari.
Di Fabio, in un suo discorso alla Fondazione Tedesca delle Imprese Familiari, ha spiegato che la Corte non ha gli strumenti «procedurali» per obbligare la BCE a cambiare strada; può però emettere una «dichiarazione» con sapore di ultimatum: se la BCE insiste a comprare buoni del tesoro del Club Med, allora la Corte ha il potere di vietare alla Bundesbank, la Banca Centrale tedesca, di contribuire al salvataggio. Sarebbe la fine dell’euro, con (l’auspicabile) uscita della Germania.
La Bundesbank, con il suo capo Jens Weidmann, non aspetta altro. Weidmann già a dicembre ha inviato alla corte di Karlsruhe una relazione che accusa Draghi, e la sua promessa di fare «tutto il necessario», come una violazione dell’indipendenza della BCE e dei principii fondamentali su cui è stata fondata la Banca. La quale, ha scritto testualmente Weidmann, «non ha il mandato legale per mantenere l’attuale composizione della unione monetaria». 
Ma lo farà la Corte di Karlsruhe? Lo stesso Di Fabio ha ammesso che gli otto giudici non premeranno «il pulsante d’uscita», perché sono «a favore dell’integrazione»; ma può bloccare l’acquisto di buoni del tesoro di Spagna e Italia ed altri «periferici», il che otterrebbe lo stesso risultato: di colpo lo spread risalirebbe alle stelle, la crisi dell’eurozona si arroventerebbe all’istante e Italia e Spagna, costrette a mendicare fondi ai «liberi mercati», tornerebbero ad essere in virtuale bancarotta, e sullo scivolo d’uscita dall’euro: uscita caotica, disordinata e catastrofica. È solo l’OMT che ci tiene nell’euro, a prezzo della nostra miseria crescente collettiva.
Questo atteggiamento rivela l’ambiguità fondamentale che cova nella superpotenza germanica: tentata di uscire dall’euro, ma dandone la colpa agli altri; e ben conscia che è il solo Paese a godere i vantaggi dell’euro, finché non sia chiamata a pagare il conto della perdita di competitività, e del conseguente declino, che ha inflitto ai Paesi periferici. 
Evans-Pritchard ricorda giustamente che nel 2009, con una storica pronuncia, la Corte Costituzionale tedesca ha sancito la sovranità germanica sopra l’Unione Europea: l’ha fatto accettando sì il Trattato di Lisbona ossia ratificandolo nel proprio diritto nazionale, ma sancendo nello stesso tempo che sono gli Stati membri ad essere «Padroni dei Trattati», e non i trattati europei padroni degli Stati. Sono infatti i parlamenti democraticamente eletti la autorità legittima. Il che significa, per quanto riguarda la Germania, che essa ha il dovere di «rigettare ulteriori partecipazioni all’Unione Europea» se il macchinismo eurocratico mina e minaccia i poteri del Bundestag, il parlamento eletto. (Chi vuol saperne di più veda Karlsruhe Constitutional Judgment on the Lisbon Treaty
Tutti gli altri Stati europei hanno accettato Lisbona senza questa condizione. La sola è stata la Germania, che da questo momento è diventata il solo Stato sovrano rimasto, e «padrone» della UE, visto che ha dichiarato la supremazia della sua Costituzione (Grundgesetz) sulle leggi europoidi che gli altri devono accettare, essendosi legati le mani. 
È qualcosa che andrebbe continuamente ricordato ai nostri politici che giurano amore immutabile alla «Costituzione più bella del mondo», e l’hanno svenduta – e continuano a demolirla – assoggettandola all’eurocrazia che nessuno ha eletto, ed obbedendo a tutte le cervellotiche ingiunzioni dei Barroso, Rehn e comesischiamano. 
Potevano almeno, i nostri politici tanto europeisti, far notare che la Germania, la sola ad accettare il trattato di Lisbona sub condicione, si era resa lo Stato «più uguale degli altri», e di fatto il padrone di tutti gli altri? E che la Unione Europea era divenuta la orwelliana «Fattoria degli animali», dove tutti sono uguali ma – appunto – i maiali un po’ di più? Potevano obiettare che questo era ormai un mostro giuridico, e difendere la Costituzione-più-bella-del mondo? 
Potevano. Non l’hanno fatto. Sicché siamo appesi al filo della Corte di Karlsruhe, che deciderà il nostro destino. 
Il peggio è che siamo appesi alla perdurante ambiguità tedesca, che ci vuole «dentro» l’euro ma in punizione perpetua, fino al giorno in cui deciderà che non le conviene più restarci. Già nel settembre scorso i suoi giudici costituzionali hanno ripetuto il loro «sì, ma però» con una sentenza dello scorso settembre : rigettò una richiesta di suoi cittadini che volevano far dichiarare illegale lo ESM di Draghi, ma nello stesso tempo hanno limitato la contribuzione tedesca allo ESM a 190 miliardi di euro. Vietò al Bundestag, il solo parlamento eletto e quindi democraticamente sovrano, di «accettare passività derivate da decisioni di altri Stati». 
Una decisione di grande buonsenso giuridico, che tutti dovremmo invidiare : ma di fatto, ha silurato ogni speranza di emissione di eurobond, di messa in comune del debito e di unione di bilancio, ossia tutte le cose in cui vacuamente sperano i politicanti italioti. 
A settembre la Corte di Karlsruhe ha sancito che il Bundestag non può alienare all’organismo UE i suoi poteri di tassare e spendere, perché con ciò minerebbe la democrazia tedesca. Il suo presidente Andreas Vosskuhle sentenziò, in quell’occasione, che la Germania ha raggiunto il limite dell’integrazione UE, e che ogni altro passo verso una più stretta integrazione richiederebbe «una nuova costituzione», che a sua volta dovrebbe essere approvata da referendum.
Decisamente, i nostri politicanti, quando esaltano la Costituzione più bella del mondo, dovrebbero precisare che non è quella di Benigni, ma intendono quella della Repubblica Federale Tedesca. Avessimo noi dei giudici costituzionali così…
BUONSENSO A LONDRA – Il ministro alla Giustizia Chris Grayling , ha esplicitamente dichiarato «folli» le politiche sul lavoro messe in atto dalla Commissione Europea, che sta affondando milioni di posti di lavoro ed ogni prospettiva d crescita. «Molta gente importante a Bruxelles non vive nel mondo reale», ha detto il ministro britannico, «sono prigioniere di un dogma, secondo cui la sola soluzione ad ogni problema è ancor più regolazione europea». Questo, in un periodo di enorme disoccupazione di massa nella zona, rischia di scatenare estremismi di ogni sorta. 
Ricordiamo: la disoccupazione è del 27% in Grecia, del 26,8 in Spagna, sta fulmineamente salendo agli stessi livelli in Italia (grazie al tecnico Monti che ha accelerato il collasso), dove la disoccupazione dei giovani è sul 38%; mentre in Gran Bretagna – che come fondamentali è messa male quanto la Spagna – è del 7,8%. Non occorre indovinare qual è la moneta che fa la differenza. 
«La mancanza di credito è quella che impedisce la ripresa in Europa»: l’ha detto António Borges, un ex direttore europeo del Fondo Monetario Internazionale, attualmente docente di Economia a Lisbona: secondo Borges, litigare sull’austerità distoglie l’attenzione da un altro punto: le banche in rovina non fanno prestiti, perché non sono in grado di farli.
Il perché l’ha spiegato Klaas Knot, il presidente della Banca centrale Olandese. Sostanzialmente: A differenza degli Stati Uniti, l’Europa non ha voluto ricapitalizzare le sua grandi banche in seguito alla crisi finanziaria del 2007-09. Invece, i politici scommesso che la ripresa economica avrebbe sollevato la redditività delle istituzioni finanziarie, consentendo loro di aumentare le proprie riserve di capitale nel corso del tempo. È ormai chiaro che questa strategia è fallita. Per questo la zona euro è in una nuova recessione (aggravata da austerità imposta e – per l’Italia, iper-tassazione e parassitismo pubblico di massa). (Europe’s banks must be recapitalized)
Secondo Knot, le quotazioni depresse di molte banche segnalano quanto siano malate. In media, il valore di mercato rispetto al valore di libro delle banche europee ora è di circa 0,50. Questo indica che le banche hanno notevoli perdite occulte sui loro libri. Klaas Knot ha rilevato che il ripristino di bilanci delle banche è un requisito fondamentale per la ripresa economica. Per facilitare questo processo, ha detto, è essenziale per creare la trasparenza circa le perdite del settore bancario e di avere una risoluzione ordinata delle attività in perdita. Senza questo, le banche rimarranno restrittive nel fare nuovi prestiti. 
Invece in Europa, i politici – in combutta con i capi delle grandi banche – hanno nascosto la rumenta sotto il tappeto: più precisamente, hanno sì fatto che le banche venissero ricapitalizzate, ma ciò non è avvenuto mediante l’emissione di nuove azioni, bensì versando il patrimonio. L’emissione di nuove azioni avrebbe fatto infatti perdere il controllo ai caporioni-azionisti che hanno nel libro-paga i politicanti; un pericolo che hanno voluto evitare ad ogni costo. Hanno dato alle banche soldi dei contribuenti, e Draghi (il capo dei capi) ha fornito l’enorme fiumana di soldi – il famoso trilione – alle banche, le quali però comprano Bot e Bund tedeschi («sicuri», ancorché a interessi sotto lo zero) anziché finanziare le imprese private. 
Ne consegue che tutte le politiche «per il lavoro» del governo Letta – defiscalizzazione per le imprese che «assumono giovani» (le voglio vedere), miserabili detrazioni per chi compra cucine e rifà il bagno – sono pannicelli caldi. Tutto inutile finché le banche non fanno credito, sedute sulle loro perdite occultate per non perdere il potere. Il credit crunch non fa che aggravarsi, mentre le sofferenze bancarie non fanno che aumentare (+22% ad aprile!). E chi volete che assuma «i giovani» se la banca non gli fa i fidi? La soluzione è quella che indica il centro studi «Scenari Economici Feed», che mi limito a riportare:
«Ricapitalizzare il sistema bancario – Fare trasparenza sui bilanci delle banche, facendo emergere le perdite e passività reali nei bilanci. Ridurre il peso delle banche sul sistema finanziario, ed incentivata l’azione delle imprese a raccogliere fondi da emissioni obbligazionarie – Eliminare le demenziali tassazioni sulle transazioni finanziarie (la Tobin Tax, applicata in questo moment di denaro scarso e mercati fermi, è infatti semplicemente folle).
di Maurizio Blondet 

09 giugno 2013

I morti del moVimento 5 Stelle

Ho avuto quindi tempo per pensare, tra le altre cose, al problema del MoVimento.
Si, del Problema, perché ce n’é uno ed é molto grave; anzi,di problema ce ne sono piú di uno e forse non sono nemmeno risolvibili. Per essere esatti i problemi sono 50.449.979. E no, non si tratta di € di debiti, ma di milioni di teste pensanti, votanti e quindi comprabili.
Abbiamo scoperto che il mondo lí fuori é cattivo, che le merde con la penna e il microfono sono sul mercato e che il sistema li ha comprati a man bassa. Abbiamo scoperto,poi e non poco dolorosamente, che anche certi pentastellati non sono tutto questo stinco di santo che volevamo far credere a noi stessi, per primi, e al resto del mondo a seguire Abbiamo anche scoperto, infine, che c’era poco da scoprire e , fermi tutti, che veramente “c’é del marcio in Danimarca”.
Abbiamo capito tante cose, in questi quattro mesi, e alcune le abbiamo scoperte da soli, altre ce le hanno fatte capire a forza di calci in culo e altre le abbiamo semplicemente assorbite silenziosamente, come se il comportamento di qualche ex pentastellato fosse qualcosa che riguardasse solo lui, cattivone, e non il moVimento intero e gli errori strategici.
Forse sarebbe ora di iniziare a comprendere a fondo una cosa, che i primi nemici del moVimento siamo noi stessi, che crediamo ciecamente a quello che dice Travaglio perché ci piace quando parla, a quello che dice Scanzi ma solo quando parla bene del M5S e a quello che Grillo ci va ripetendo da anni, perché si.
Dobbiamo iniziare a capire, poi, che é troppo semplice entrare nel moVimento e diventare da sig. nessunomister TV, perché la regola di base del M5S é l’onestá, e di onestá non ce n’é solo perché qualcuno impone le mani e ti vota via internet.
L’Italia, ragazzi, é uno stato fatto di tante nazioni diverse, ma non territoriali, bensì aleatorie, mentali. Ci siamo massacrati tra repubblichini e papalini durante la Repubblica Romana, poi ancora tra fascisti e partigiani durante la seconda guerra mondiale e poi tra socialisti e democristiani dal 1950 in poi, passando per gli anni di piombo e la strategia della tensione.
Ci siamo ammazzati, diffamati, traditi, noi italiani, ci siamo presi e venduti al miglior offerente e abbiamo comprato il peggior nemico per un piatto di fagioli. Abbiamo sposato ideali rossi e il giorno dopo giuravamo su bandiere bianco crociate e abbiamo tirato le monete a Craxi per poi votare Berlusconi il giorno dopo.
Siamo un popolo senza futuro, é questa la veritá e forse non meritiamo il moVimento, questa ventata di aria pulita e nuova che ci ha si riempito i polmoni di speranza, ma allo stesso tempo ci ha spaventato, spaventato e terrorizzato, lasciandoci immobili di fronte al fango lanciato dai professionisti della politica e dello sberleffo.
Siamo un popolo che non vuole cambiare e che si crogiola sulle proprie disgrazie, che con una mano fa la caritá e chiede perdono e con l’altra ruba il portafoglio al prete. Siamo un popolo finito, senza dignitá e senza memoria, o forse con troppa, di memoria.
Oggi altri due ex Cittadini hanno lasciato il moVimento 5 Stelle e sono diventati Onorevoli, passando al Gruppo Misto. Sono loro l’emblema di 150 anni di storia repubblicana, chiagni e fotti, caro italiano, che cambieremo tutto per non cambiare nulla.
Abbiamo perso questa battaglia, é inutile nasconderlo; abbiamo visto in 3 mesi tattiche di diffamazione e infangamento mediatico che nemmeno ai tempi di Calabresi o Tortora. Per ora é mancato il morto, ma a parte il popolo italiano onesto che ha votato in piena coscienza, di morti ormai ce ne sono giá troppi, e sono tutti quanti ai posti di battaglia e di comando.
Sveglia, pentastellati, dobbiamo cambiare strategia, iniziare a parlare, a comunicare e a costruire un consenso a lungo termine, e iniziare di nuovo da quel 10/13 % che realmente il moVimento rappresenta. Sveglia, ragazze e ragazzi, e iniziamo a scaricare i pesi morti, ché soltanto in questo modo potremo respirare di nuovo.
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