06 luglio 2013

Se l'F-35 diventa di "pace"




La lunga diatriba sull’acquisizione dei cacciabombardieri F-35 potrebbe concludersi in modo originale e inaspettato.  L’Italia infatti acquisterà il jet di Lockheed Martin ma doterà Aeronautica e Marina di una versione specifica che verrà denominata F-35P dove la “P” sta ovviamente per “Pace”. Non si tratta di un incredibile scoop di Analisi Difesa ma di una notizia che si evince  dall’intervista rilasciata il 23 maggio al quotidiano Il Messaggero dal ministro della Difesa, Mario Mauro. “Credo che siamo tutti quanti d’accordo nel riconoscere che il valore più importante che condividiamo nella nostra civile convivenza sia la pace. Sistemi di difesa avanzati, come l’F35, servono per fare la pace” ha detto Mauro. Una rivelazione davvero illuminante che induce a chiedersi dove avessero la testa coloro che hanno denominato quel velivolo Joint Strike Fighter, usando quindi termini quali “Strike” e “Fighter” che certo mal si addicono a un portatore di pace quale sarà l’F-35.

In attesa di conoscere quante tonnellate di ramoscelli d’ulivo o giocattoli o caramelle potrà imbarcare nella sua capace stiva il rivoluzionario F-35P ci permettiamo di consigliare ad Aeronautica e Marina di tinteggiare in modo adeguato i velivoli con livree consone ai compiti da espletare, con i colori della bandiera della pace oppure con sfondo verde prato con margherite e colombe.

Ironia a parte, il ministro ha aggiunto che “se vogliamo la pace, dobbiamo dunque possedere dei sistemi di difesa che ci consentano di neutralizzare i pericoli che possono insorgere in conflitti che magari sono distanti migliaia di chilometri da casa nostra ma che hanno le capacità di coinvolgere il mondo intero e di determinare lutti e povertà. Ora, l’utilizzo di strumenti complessi come gli F35 si giustifica in una visione integrata delle esigenze di sicurezza da parte di attori della comunità internazionale che, attraverso l’esercizio della potestà della difesa, garantiscono la pace per tutti”.

Mauro è riuscito a parlare di un bombardiere concepito per l’attacco preventivo, o meglio per il “first strike” (anche nucleare) sul territorio nemico nel quale dovrebbe penetrare invisibile ai radar, senza mai usare parole che potrebbero far pensare alla guerra. Uno sforzo lessicale teso a cancellare ogni forma di trasparenza che fa sorridere tenuto conto che pure i bambini sanno che il JSF rimpiazzerà Tornado, Harrier e Amx, guarda caso gli stessi jet che hanno lanciato oltre 700 bombe e missili sulla Libia più molte altre in passato su Kosovo, Bosnia, Iraq e più recentemente sull’Afghanistan. Non sarebbe stato più serio e trasparente affermare che quei velivoli ci servono per bombardare il nemico insieme ai nostri alleati, o meglio bombardare quei nemici che la “comunità internazionale” ci indicherà?  Forse no perché a ben riflettere i libici che  bombardammo nel 2011 non erano nostri nemici ma bensì alleati ai quali eravamo legati persino da un trattato militare. E poi il termine “nemico” indica inequivocabilmente la guerra che la nostra Costituzione ripudia almeno parzialmente: per questo l’abbiamo ribattezzata “missione di pace”.

Cercare di spacciare l’acquisto degli F-35 con la “necessità di avere mezzi efficienti di altissimo livello che servono a garantire la pace, ad evitare effetti collaterali” come ha ribadito il ministro della Difesa a Uno Mattina è tendenzioso e fuorviante sia perché i danni collaterali i nostri piloti sono riusciti a evitarli (o a limitarli) anche senza gli F-35, sia a fronte dei costi che dovremo affrontare per acquisire i jet statunitensi e tenerli in linea nei prossimi decenni. Costi incompatibili con le risorse che la Difesa assegna (e presumibilmente assegnerà anche nell’immediato futuro) all’Esercizio, cioè alla parte del bilancio adibita alla gestione di mezzi e infrastrutture e all’addestramento.  Che non ci siano alternative all’F-35 è poi quanto meno discutibile dal momento che i tedeschi (che non acquistano l’F-35) impiegano i loro Eurofighter Typhoon anche per l’attacco al suolo.

Cosa che potrebbe fare anche l’Italia e che farà dal momento che armi come il missile da crociera Storm Shadow che oggi equipaggiano i Tornado verranno imbarcati in futuro sui Typhoon……anche perché non entrano nella stiva degli F-35. Il Typhoon del resto è un cacciabombardiere idoneo a svolgere operazioni contro altri velivoli come contro bersagli a terra e come tale viene impiegato anche dai britannici. Se vogliamo parlare di sprechi chiediamoci piuttosto perché stiamo cercando di svendere sul mercato dell’usato 24 Typhoon della prima serie, velivoli ancora nuovi, per ridurre il numero di quei jet in forza all’Aeronautica da 96 a 72 e ”fare posto “ a 75 F-35.

Se avessimo mantenuto la commessa prevista di 121 Typhoon, aggiornando i primi esemplari,  avremmo già i velivoli necessari a tutte le esigenze dell’Aeronautica con un forte risparmio generale, dal costo di acquisizione a quello logistico determinato dal disporre di un solo aereo da combattimento e col vantaggio di puntare su un prodotto europeo nel quale la nostra industria è progettista, produttrice ed esportatrice. Curioso che un europeista convinto come il ministro Mauro si accodi alla lunga fila di coloro che ci vogliono mettere tecnologicamente e sul piano industriale e strategico nelle mani degli Stati Uniti. Più bilanciata, forse anche per rispetto alle posizioni presenti nel Partito Democratico, la valutazione del sottosegretario alla Difesa, Roberta Pinotti per la quale  “il Parlamento ha dato il via a questo progetto: se riterrà che deve essere modificato e rivisto si farà una discussione importante alle Camere”.

Per il capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, “gli F35 sono una necessità sulla quale non c’è alternativa sul mercato” ma questo è vero solo per i 15 aerei destinati alla portaerei Cavour poiché non esiste nessun altro velivolo a decollo corto e atterraggio verticale col quale sostituire gli Harrier. Quindici aerei rappresentano un costo diverso da 90 e inoltre potrebbero forse venire  acquisiti tra alcuni anni in leasing dai marines statunitensi, magari negoziando con Washington l’utilizzo delle basi di Aviano e Sigonella. Certo la rinuncia al velivolo o la riduzione della commessa comporterebbero la perdita degli investimenti effettuati negli ultimi dieci anni pari a 2,5 miliardi ma se da un lato pacifisti e affini sostengono il no all’F-35 valutando quanti asili e treni si potrebbero costruire o quanti infermieri si potrebbero assumere con quel denaro, dall’altro le istituzioni politiche e militari difendono l’aereo di Lockheed Martin definendolo indispensabile e per giunta “di pace”. Invece di trasparenza e chiarezza , più che mai necessarie specie in tempi di grave crisi economica, tutti ci propinano propaganda unita a qualche buona dose di sedativo populista come la riduzione ulteriore dei costi della parata del 2 giugno, dietro la quale si cela l’assalto pacifista e del mondo del no-profit che vorrebbero far sfilare più volontari impegnati nel sociale e meno militari.

Più che giusto tagliare le spese superflue ma fa davvero ridere che a impedire alle Frecce Tricolori di  sorvolare i Fori imperiali sia uno Stato che non è riuscito a tagliare i costi della politica, i mega-stipendi dei dirigenti pubblici e neppure le province. Qualcuno dovrà spiegarci dove sia il costo aggiuntivo dal momento che i piloti delle Frecce devono effettuare regolarmente voli addestrativi già previsti in bilancio e le ore di volo costano la stessa cifra, che i jet sorvolino Roma o le campagne intorno a Udine.  Sarebbe poi utile sapere perché le Frecce Tricolori in volo sulla capitale costano troppo il 2 giugno ma erano una spesa giustificata (circa la quale nessuno ha avuto nulla da eccepire)  il 20 aprile scorso, quando le loro scie verdi-bianco-rosse hanno accompagnato l’omaggio al Milite Ignoto in occasione della rielezione del presidente Giorgio Napolitano.  Misteri di una Repubblica a sobrietà variabile.


di Gianandrea Gaiani 

02 luglio 2013

IOR, CADONO LE PRIME TESTE



Una fondazione per lo Ior. Mentre Francesco ribadisce il suo no alla «logica di potere che ci rende pietra d'inciampo», l'arresto di monsignor Nunzio Scarano accelera la trasformazione dell'Istituto Opere di Religione in banca etica o fondazione esterna alla Santa Sede. Vengono consultati vari esperti per riformare gli statuti e garantire una gestione trasparente dei depositi e degli investimenti dei singoli e degli enti: niente più «zona grigia» al Torrione di Niccolò.
L'ex prelato di Curia, detenuto a Regina Coeli con l'accusa di corruzione e calunnia, sarà interrogato domani e la sua linea difensiva sarà quella di negare interessi personali. Il confronto con i magistrati è fissato alle 10 e i contraccolpi sullo Ior si prospettano pesanti.
Regina CoeliREGINA COELI
Da una parte il gip Barbara Callari ed i pm Stefano Rocco Fava e Stefano Pesci, dall'altra l'ex responsabile del servizio di contabilità analitica dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), l'organismo che gestisce i beni della Santa Sede. I magistrati contesteranno le accuse di corruzione e di calunnia legate al tentativo, naufragato, di far rientrare in Italia 20 milioni di euro, sospettati di essere frutto di un'evasione fiscale, degli armatori d'Amico. Il prelato dovrà difendersi e, come ribadito ieri dal suo legale Silverio Sica, «chiarirà il suo ruolo e, soprattutto, la sua mancanza di un interesse personale nella vicenda».
PAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIOPAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIO
Scarano, in particolare, dovrà rispondere a domande su quella che, per gli inquirenti, è una disinvolta ed anche spregiudicata movimentazione di danaro. Un'attività che ha indotto gli inquirenti ad aprire un altro fronte di indagini: quello dell'origine delle ingenti disponibilità finanziarie ed immobiliari del prelato, il quale risulta titolare di due conti correnti allo Ior, uno personale e l'altro, denominato «fondo anziani», per la raccolta di donazioni.
All'interrogatorio di garanzia di Scarano faranno seguito quelli dei suoi due complici: il broker finanziario Giovanni Carenzio, detenuto a Napoli, e dell'ex sottufficiale dei carabinieri Giovanni Maria Zito, all'epoca dei fatti, luglio 2012, distaccato agli 007 dell'Aisi ed ora recluso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Questi ultimi due atti istruttori saranno tenuti per rogatoria da gip delle città in cui sono detenuti i due indagati. Per tutti e tre i protagonisti della vicenda l'accusa è di concorso in corruzione.
PAPA BERGOGLIOPAPA BERGOGLIO
Per Scarano l'ulteriore imputazione di calunnia si riferisce ad una falsa denuncia di smarrimento di un assegno da 200mila euro consegnato, in realtà, a Carenzio come saldo del compenso per il suo ruolo svolto. Ci sono poi le posizioni degli armatori d'Amico: alcuni di loro sarebbero indagati per evasione fiscale e nei prossimi giorni dovrebbero ricevere l'avviso di garanzia per essere interrogati.
CESARE D AMICOCESARE D AMICO
A commento della vicenda, si sono dichiarati estranei e pronti a fornire ogni chiarimento all'autorità giudiziaria. E sugli affari che toccano lo Ior torna il Codacons con l'annuncio di un esposto alla Procura di Roma in cui si chiede di indagare per frode fiscale e riciclaggio «in relazione ad alcune compravendite sospette di immobili in capo alla banca vaticana». Nel mirino dell'associazione gli immobili appartenuti ad una famiglia romana e donati alla banca vaticana.
PAOLO D AMICOPAOLO D AMICO
Intanto negli organismi finanziari della Santa Sede (Apsa, Governatorato, Prefettura degli affari economici, Ior) le grandi manovre sono iniziate. Sono in uscita il direttore generale della banca vaticana Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli. Ieri nel rito in cui ha imposto il pallio a 34 arcivescovi metropoliti, le parole di Francesco sul ruolo del Papa, la necessità di spendersi senza barriere e di superare una logica mondana e di potere, di edificare la Chiesa sulla comunione e non sul conflitto evocano suoi precedenti interventi contro la mondanizzazione e le divisioni.
ratzinger caffarraRATZINGER CAFFARRA
Occorre «superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa». E «quando lasciamo prevalere la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, pietra di inciampo». Caffarra è stato prorogato per due anni a Bologna e Sciacca lascerà il Governatorato per la Segnatura Apostolica. I cinque commissari daranno conto a Bergoglio della loro indagine sullo Ior. E a quel punto nulla resterà più com'è sempre stato.
di Giacomo Galeazzi

01 luglio 2013

Accelera la spinta per la separazione bancaria negli Stati Uniti e in Europa


Prosegue negli Stati Uniti il dibattito sul ripristino della legge Glass-Steagall, con 67 cofirmatari del disegno di legge HR 129 alla Camera, lo stesso disegno di legge anche al Senato, e mozioni che esortano il Congresso ad approvarlo presentate in 22 stati. Una dimostrazione inattesa di quanto questo dibattito sia temuto dalle banche di Wall Street è emersa il 20 giugno al Senato dello stato del Delaware, durante un’audizione della Commissione Bancaria per discutere una mozione a sostegno della legge HR 129, che era già stata appoggiata da 10 dei 21 senatori dello stato.
Dopo che il Senatore Ennis aveva presentato i motivi per cui bisogna ripristinare la separazione bancaria, sostenuto da un attivista in rappresentanza dei cittadini, sono iniziati i fuochi d’artificio. Un rappresentante della Mid-Atlantic Financial Services Association ha dichiarato ai senatori che sarebbe "poco saggio" approvare la mozione, citando il ruolo importante svolto dai servizi finanziari nell’economia del Delaware.
A quel punto si è fatto avanti un lobbista della JP Morgan Chase, dicendo ai senatori che "è assolutamente sconsigliabile, proprio per uno stato come il Delaware, approvare un mozione del genere in questo momento". Ha aggiunto che la JP Morgan Chase ha dato grandi contributi all’economia del Delaware, indicando che lui (e la sua banca d’affari) seguono con attenzione le mozioni per la separazione bancaria.
Sei lobbisti di varie banche hanno partecipato all’audizione, anche se non era previsto il voto, e nessuno di loro ha confutato le giuste argomentazioni del Sen. Ennis sul pericolo del prelievo forzoso sui conti correnti per salvare le banche (il cosiddetto bail-in)!
Appello di una nuova organizzazione in Svizzera: l’organizzazione svizzera www.impulswelle.ch sta facendo circolare un appello dal titolo "come la FINMA pianifica di salvare le banche in Svizzera e perché abbiamo bisogno urgentemente della separazione bancaria".
L’appello indica chiaramente il motivo dell’urgenza: "Il 1 novembre 2012 la FINMA(l’ente di vigilanza) ha emesso nuove disposizioni che obbligano i cittadini svizzeri a rifinanziare una grossa banca che rischia la bancarotta secondo il modello cipriota, il che indica chiaramente che cosa ci aspetta.
"Verranno utilizzati i nostri risparmi, i nostri fondi pensione ed il capitale d’esercizio delle nostre imprese depositato in quella banca. Se qualcuno non riesce più a pagare il mutuo a causa di ciò, perderà la casa che gli verrà confiscata. E’ molto improbabile che i depositi sotto i 100.000 franchi siano sicuri in questa emergenza. I depositi dei clienti verranno trasformati in capitale netto della banca (bail-in), il che implica l’esproprio dei nostri fondi e la fine del nostro invidiato sistema sociale".
"L’attuale sistema finanziario va verso il collasso internazionale. Chiediamo che a correre i rischi siano i responsabili di questo collasso, senza costringere la popolazione a pagare per le loro perdite. Le due principali banche in Svizzera (UBS e Crédit Suisse) ed i giganti assicurativi (Swiss Re e Zurich) sono troppo grandi per poter essere salvati quando scoppierà la prossima bolla speculativa".
Qual è l’alternativa a questo diktat, si chiedono? "La nostra proposta è di introdurre una separazione bancaria netta". L’appello prosegue spiegando che cosa fece la legge Glass-Steagall originale, e parla dei disegni di legge presentati per il suo ripristino.
Terzo disegno di legge presentato al Parlamento italiano: Sono tre i disegni di legge per la separazione bancaria depositati al Parlamento italiano, e tutti e tre si riferiscono esplicitamente al modello della Glass-Steagall. Avevamo già riferito dei ddl presentati da Caparini e altri alla Camera (C. 762) e da Giulio Tremonti al Senato (S. 717). Tra i due si è inserito un terzo disegno di legge, presentato dall'on. Marco di Lello e sottoscritto dai colleghi Di Gioia, Locatelli e Pastorelli, tutti del PSI ed eletti nelle liste del PD.
Il ddl Di Lello (C. 762) presenta somiglianze con "la madre di tutti i ddl" per la separazione bancaria, e cioè il ddl Peterlini (S.3112) presentato al Senato nella scorsa legislatura, e anche con il ddl Tremonti presentato alla Camera nella stessa legislatura. Come abbiamo già riferito, Tremonti ha ripresentato lo stesso ddl al Senato, sottoscritto da sei membri di vari gruppi: Naccarato, Compagnone e Scavone (GAL); Tarquinio e Villari (PDL); Scalia (PD) e Calderoli (LN-Aut).
Il ddl C.762 parte dalle raccomandazioni del Gruppo Liikanen, per poi affermare: "La separazione fra le attività bancarie di retail e trading non costituisce peraltro una novità. Negli Stati Uniti del New Deal una riforma in tal senso (la legge Glass-Steagall Act del 1933 che prevedeva la netta separazione tra banche commerciali e banche d'affari) era stata adottata come risposta alla grande crisi del 1929 ed era rimasta in vigore per circa 70 anni. In seguito è stata soppressa nel 1999 durante la presidenza Clinton (Gramm-Leach-Bliley Act) e tale intervento è stato considerato al tempo stesso causa e moltiplicatore di quel processo di finanziarizzazione dell'economia che, insieme alla mancanza di controlli adeguati, ha determinato gli squilibri che sono alla base dell’attuale crisi.
"In Italia la legge elaborata da Donato Menichella nel 1936, oltre a stabilire una analoga separazione, poneva dei limiti molto stretti tra attività bancarie a breve e quella a medio lungo termine. Alle banche commerciali era poi proibito detenere quote di partecipazione (ancora meno di controllo) nelle aziende non bancarie ed era altresì vietata qualsiasi attività di “trading” su titoli e valute. Nel 1993 è stato approvato il decreto legislativo n. 385 che ha rivoluzionato l'intera struttura del sistema bancario, eliminando la distinzione introdotta nel 1936: da una regolamentazione rigorosa si passava alla "banca universale", a cui erano lasciati enormi margini di azione".
Dopo aver fatto riferimento alla "Volcker rule" e altre proposte di "separazione in casa" delle attività bancarie, il ddl afferma decisamente che "Dal punto di vista normativo, prevedere la semplice separazione delle attività fra le banche commerciali e quelle d’affari non è tuttavia sufficiente, posto che non supera la criticità di un unico soggetto che esercita seppur con limitazioni la duplice attività. Occorre quindi intervenire in modo incisivo distinguendo e separando i soggetti che operano sul mercato, a tal fine modificando il Testo Unico bancario (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385)".

Consiglio comunale francese: il 13 giugno il consiglio comunale di Créancey, in Borgogna, ha approvato all’unanimità una mozione che chiede al Parlamento francese di adottare il disegno di legge sulla separazione bancaria stilato da Solidarité et Progrès in maggio. Decine di sindaci e cittadini francesi si stanno mobilitando per far approvare la stessa mozione dal proprio consiglio comunale. Il fatto che verrà presto approvata la riforma bancaria del ministro delle Finanze Pierre Moscovici, che non prevede tale netta separazione, rende ancora più urgenti queste iniziative degli enti locali.
La mozione approvata a Créancey sottolinea che la riforma bancaria del governo "non separa un bel niente" e non impedirà il crac finanziario. "Anzi, se le banche saranno in difficoltà, continueranno a godere delle garanzie pubbliche, e le autorità pubbliche faranno sì che siano gli azionisti, i clienti ed i correntisti a pagare le loro perdite sui mercati in una situazione critica, esattamente come è accaduto a Cipro".
Sottolineando il pericolo, la mozione afferma: "Gli attivi di BNP Paribas, Société Générale, Crédit Agricole, e della BPCE [Banque Popular et Caisse d'Epargne], equivalevano nel 2009 al 344% del PIL francese, paragonati al 95% del 1990. I quasi 5.000 miliardi di Euro di aiuti europei alle banche tra il 2008 ed il 2012 si sono limitati a rinviare la scadenza, gonfiando la bolla speculativa ed imponendo pesanti misure di austerità alla popolazione.
A questo vanno aggiunti i prestiti tossici imposti agli enti locali, che si sono dovuti rivolgere direttamente ai mercati finanziari in cerca di finanziamenti, in mancanza di fondi dallo stato.
La mozione, approvata all’unanimità, chiede all’Assemblea Nazionale ed al Senato di approvare il disegno di legge per la separazione bancaria, che viene allegato alla mozione e sta circolando ampiamente in tutta la Francia.
Gruppo anonimo di imprenditori francesi: un collettivo che si autodefinisce "siamo l’1%" ha acquistato una pagina su Le Monde il 16 giugno chiedendo ai leader mondiali di adottare leggi "che favoriscano la creazione di ricchezza reale" invece di imporre austerità ed aggiungere debito al debito. Il gruppo è composto da banchieri, investitori, industriali e imprenditori che appartengono all’"1%" della popolazione che guadagna molto in Francia, ma che chiede ugualmente giustizia sociale con un'attività economica che vada a vantaggio del "bene comune". Significativa è la netta distinzione fatta tra gli investimenti che creano un valore fisico e quelli puramente speculativi che andrebbero penalizzati.
Il fatto che i membri del collettivo abbiano deciso di restare anonimi dice molto sul regno del terrore imposto alle élite francesi dalle cinque banche sistemiche.
Tra le proposte dell'appello, c’è anche quella di "separare le attività di deposito da quelle d’affari" anche se non viene menzionata espressamente la legge Glass-Steagall. In questo modo "saranno i banchieri più ricchi a subire le perdite e perdere il lavoro, invece di prendersela con i conti correnti o il debito sovrano".
Un'altra proposta chiede di aumentare le tasse su varie forme di speculazione finanziaria inutile, inclusi i derivati.
L’articolo conclude con un avvertimento: "Dunque, nessun nuovo Roosevelt o nuovo de Gaulle ha osato farsi avanti per fare (o rifare?) il lavoro [prendere le misure necessarie], ma è ora che si faccia, prima che arrivi un nuovo Hitler".

by (MoviSol)

06 luglio 2013

Se l'F-35 diventa di "pace"




La lunga diatriba sull’acquisizione dei cacciabombardieri F-35 potrebbe concludersi in modo originale e inaspettato.  L’Italia infatti acquisterà il jet di Lockheed Martin ma doterà Aeronautica e Marina di una versione specifica che verrà denominata F-35P dove la “P” sta ovviamente per “Pace”. Non si tratta di un incredibile scoop di Analisi Difesa ma di una notizia che si evince  dall’intervista rilasciata il 23 maggio al quotidiano Il Messaggero dal ministro della Difesa, Mario Mauro. “Credo che siamo tutti quanti d’accordo nel riconoscere che il valore più importante che condividiamo nella nostra civile convivenza sia la pace. Sistemi di difesa avanzati, come l’F35, servono per fare la pace” ha detto Mauro. Una rivelazione davvero illuminante che induce a chiedersi dove avessero la testa coloro che hanno denominato quel velivolo Joint Strike Fighter, usando quindi termini quali “Strike” e “Fighter” che certo mal si addicono a un portatore di pace quale sarà l’F-35.

In attesa di conoscere quante tonnellate di ramoscelli d’ulivo o giocattoli o caramelle potrà imbarcare nella sua capace stiva il rivoluzionario F-35P ci permettiamo di consigliare ad Aeronautica e Marina di tinteggiare in modo adeguato i velivoli con livree consone ai compiti da espletare, con i colori della bandiera della pace oppure con sfondo verde prato con margherite e colombe.

Ironia a parte, il ministro ha aggiunto che “se vogliamo la pace, dobbiamo dunque possedere dei sistemi di difesa che ci consentano di neutralizzare i pericoli che possono insorgere in conflitti che magari sono distanti migliaia di chilometri da casa nostra ma che hanno le capacità di coinvolgere il mondo intero e di determinare lutti e povertà. Ora, l’utilizzo di strumenti complessi come gli F35 si giustifica in una visione integrata delle esigenze di sicurezza da parte di attori della comunità internazionale che, attraverso l’esercizio della potestà della difesa, garantiscono la pace per tutti”.

Mauro è riuscito a parlare di un bombardiere concepito per l’attacco preventivo, o meglio per il “first strike” (anche nucleare) sul territorio nemico nel quale dovrebbe penetrare invisibile ai radar, senza mai usare parole che potrebbero far pensare alla guerra. Uno sforzo lessicale teso a cancellare ogni forma di trasparenza che fa sorridere tenuto conto che pure i bambini sanno che il JSF rimpiazzerà Tornado, Harrier e Amx, guarda caso gli stessi jet che hanno lanciato oltre 700 bombe e missili sulla Libia più molte altre in passato su Kosovo, Bosnia, Iraq e più recentemente sull’Afghanistan. Non sarebbe stato più serio e trasparente affermare che quei velivoli ci servono per bombardare il nemico insieme ai nostri alleati, o meglio bombardare quei nemici che la “comunità internazionale” ci indicherà?  Forse no perché a ben riflettere i libici che  bombardammo nel 2011 non erano nostri nemici ma bensì alleati ai quali eravamo legati persino da un trattato militare. E poi il termine “nemico” indica inequivocabilmente la guerra che la nostra Costituzione ripudia almeno parzialmente: per questo l’abbiamo ribattezzata “missione di pace”.

Cercare di spacciare l’acquisto degli F-35 con la “necessità di avere mezzi efficienti di altissimo livello che servono a garantire la pace, ad evitare effetti collaterali” come ha ribadito il ministro della Difesa a Uno Mattina è tendenzioso e fuorviante sia perché i danni collaterali i nostri piloti sono riusciti a evitarli (o a limitarli) anche senza gli F-35, sia a fronte dei costi che dovremo affrontare per acquisire i jet statunitensi e tenerli in linea nei prossimi decenni. Costi incompatibili con le risorse che la Difesa assegna (e presumibilmente assegnerà anche nell’immediato futuro) all’Esercizio, cioè alla parte del bilancio adibita alla gestione di mezzi e infrastrutture e all’addestramento.  Che non ci siano alternative all’F-35 è poi quanto meno discutibile dal momento che i tedeschi (che non acquistano l’F-35) impiegano i loro Eurofighter Typhoon anche per l’attacco al suolo.

Cosa che potrebbe fare anche l’Italia e che farà dal momento che armi come il missile da crociera Storm Shadow che oggi equipaggiano i Tornado verranno imbarcati in futuro sui Typhoon……anche perché non entrano nella stiva degli F-35. Il Typhoon del resto è un cacciabombardiere idoneo a svolgere operazioni contro altri velivoli come contro bersagli a terra e come tale viene impiegato anche dai britannici. Se vogliamo parlare di sprechi chiediamoci piuttosto perché stiamo cercando di svendere sul mercato dell’usato 24 Typhoon della prima serie, velivoli ancora nuovi, per ridurre il numero di quei jet in forza all’Aeronautica da 96 a 72 e ”fare posto “ a 75 F-35.

Se avessimo mantenuto la commessa prevista di 121 Typhoon, aggiornando i primi esemplari,  avremmo già i velivoli necessari a tutte le esigenze dell’Aeronautica con un forte risparmio generale, dal costo di acquisizione a quello logistico determinato dal disporre di un solo aereo da combattimento e col vantaggio di puntare su un prodotto europeo nel quale la nostra industria è progettista, produttrice ed esportatrice. Curioso che un europeista convinto come il ministro Mauro si accodi alla lunga fila di coloro che ci vogliono mettere tecnologicamente e sul piano industriale e strategico nelle mani degli Stati Uniti. Più bilanciata, forse anche per rispetto alle posizioni presenti nel Partito Democratico, la valutazione del sottosegretario alla Difesa, Roberta Pinotti per la quale  “il Parlamento ha dato il via a questo progetto: se riterrà che deve essere modificato e rivisto si farà una discussione importante alle Camere”.

Per il capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, “gli F35 sono una necessità sulla quale non c’è alternativa sul mercato” ma questo è vero solo per i 15 aerei destinati alla portaerei Cavour poiché non esiste nessun altro velivolo a decollo corto e atterraggio verticale col quale sostituire gli Harrier. Quindici aerei rappresentano un costo diverso da 90 e inoltre potrebbero forse venire  acquisiti tra alcuni anni in leasing dai marines statunitensi, magari negoziando con Washington l’utilizzo delle basi di Aviano e Sigonella. Certo la rinuncia al velivolo o la riduzione della commessa comporterebbero la perdita degli investimenti effettuati negli ultimi dieci anni pari a 2,5 miliardi ma se da un lato pacifisti e affini sostengono il no all’F-35 valutando quanti asili e treni si potrebbero costruire o quanti infermieri si potrebbero assumere con quel denaro, dall’altro le istituzioni politiche e militari difendono l’aereo di Lockheed Martin definendolo indispensabile e per giunta “di pace”. Invece di trasparenza e chiarezza , più che mai necessarie specie in tempi di grave crisi economica, tutti ci propinano propaganda unita a qualche buona dose di sedativo populista come la riduzione ulteriore dei costi della parata del 2 giugno, dietro la quale si cela l’assalto pacifista e del mondo del no-profit che vorrebbero far sfilare più volontari impegnati nel sociale e meno militari.

Più che giusto tagliare le spese superflue ma fa davvero ridere che a impedire alle Frecce Tricolori di  sorvolare i Fori imperiali sia uno Stato che non è riuscito a tagliare i costi della politica, i mega-stipendi dei dirigenti pubblici e neppure le province. Qualcuno dovrà spiegarci dove sia il costo aggiuntivo dal momento che i piloti delle Frecce devono effettuare regolarmente voli addestrativi già previsti in bilancio e le ore di volo costano la stessa cifra, che i jet sorvolino Roma o le campagne intorno a Udine.  Sarebbe poi utile sapere perché le Frecce Tricolori in volo sulla capitale costano troppo il 2 giugno ma erano una spesa giustificata (circa la quale nessuno ha avuto nulla da eccepire)  il 20 aprile scorso, quando le loro scie verdi-bianco-rosse hanno accompagnato l’omaggio al Milite Ignoto in occasione della rielezione del presidente Giorgio Napolitano.  Misteri di una Repubblica a sobrietà variabile.


di Gianandrea Gaiani 

02 luglio 2013

IOR, CADONO LE PRIME TESTE



Una fondazione per lo Ior. Mentre Francesco ribadisce il suo no alla «logica di potere che ci rende pietra d'inciampo», l'arresto di monsignor Nunzio Scarano accelera la trasformazione dell'Istituto Opere di Religione in banca etica o fondazione esterna alla Santa Sede. Vengono consultati vari esperti per riformare gli statuti e garantire una gestione trasparente dei depositi e degli investimenti dei singoli e degli enti: niente più «zona grigia» al Torrione di Niccolò.
L'ex prelato di Curia, detenuto a Regina Coeli con l'accusa di corruzione e calunnia, sarà interrogato domani e la sua linea difensiva sarà quella di negare interessi personali. Il confronto con i magistrati è fissato alle 10 e i contraccolpi sullo Ior si prospettano pesanti.
Regina CoeliREGINA COELI
Da una parte il gip Barbara Callari ed i pm Stefano Rocco Fava e Stefano Pesci, dall'altra l'ex responsabile del servizio di contabilità analitica dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), l'organismo che gestisce i beni della Santa Sede. I magistrati contesteranno le accuse di corruzione e di calunnia legate al tentativo, naufragato, di far rientrare in Italia 20 milioni di euro, sospettati di essere frutto di un'evasione fiscale, degli armatori d'Amico. Il prelato dovrà difendersi e, come ribadito ieri dal suo legale Silverio Sica, «chiarirà il suo ruolo e, soprattutto, la sua mancanza di un interesse personale nella vicenda».
PAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIOPAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIO
Scarano, in particolare, dovrà rispondere a domande su quella che, per gli inquirenti, è una disinvolta ed anche spregiudicata movimentazione di danaro. Un'attività che ha indotto gli inquirenti ad aprire un altro fronte di indagini: quello dell'origine delle ingenti disponibilità finanziarie ed immobiliari del prelato, il quale risulta titolare di due conti correnti allo Ior, uno personale e l'altro, denominato «fondo anziani», per la raccolta di donazioni.
All'interrogatorio di garanzia di Scarano faranno seguito quelli dei suoi due complici: il broker finanziario Giovanni Carenzio, detenuto a Napoli, e dell'ex sottufficiale dei carabinieri Giovanni Maria Zito, all'epoca dei fatti, luglio 2012, distaccato agli 007 dell'Aisi ed ora recluso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Questi ultimi due atti istruttori saranno tenuti per rogatoria da gip delle città in cui sono detenuti i due indagati. Per tutti e tre i protagonisti della vicenda l'accusa è di concorso in corruzione.
PAPA BERGOGLIOPAPA BERGOGLIO
Per Scarano l'ulteriore imputazione di calunnia si riferisce ad una falsa denuncia di smarrimento di un assegno da 200mila euro consegnato, in realtà, a Carenzio come saldo del compenso per il suo ruolo svolto. Ci sono poi le posizioni degli armatori d'Amico: alcuni di loro sarebbero indagati per evasione fiscale e nei prossimi giorni dovrebbero ricevere l'avviso di garanzia per essere interrogati.
CESARE D AMICOCESARE D AMICO
A commento della vicenda, si sono dichiarati estranei e pronti a fornire ogni chiarimento all'autorità giudiziaria. E sugli affari che toccano lo Ior torna il Codacons con l'annuncio di un esposto alla Procura di Roma in cui si chiede di indagare per frode fiscale e riciclaggio «in relazione ad alcune compravendite sospette di immobili in capo alla banca vaticana». Nel mirino dell'associazione gli immobili appartenuti ad una famiglia romana e donati alla banca vaticana.
PAOLO D AMICOPAOLO D AMICO
Intanto negli organismi finanziari della Santa Sede (Apsa, Governatorato, Prefettura degli affari economici, Ior) le grandi manovre sono iniziate. Sono in uscita il direttore generale della banca vaticana Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli. Ieri nel rito in cui ha imposto il pallio a 34 arcivescovi metropoliti, le parole di Francesco sul ruolo del Papa, la necessità di spendersi senza barriere e di superare una logica mondana e di potere, di edificare la Chiesa sulla comunione e non sul conflitto evocano suoi precedenti interventi contro la mondanizzazione e le divisioni.
ratzinger caffarraRATZINGER CAFFARRA
Occorre «superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa». E «quando lasciamo prevalere la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, pietra di inciampo». Caffarra è stato prorogato per due anni a Bologna e Sciacca lascerà il Governatorato per la Segnatura Apostolica. I cinque commissari daranno conto a Bergoglio della loro indagine sullo Ior. E a quel punto nulla resterà più com'è sempre stato.
di Giacomo Galeazzi

01 luglio 2013

Accelera la spinta per la separazione bancaria negli Stati Uniti e in Europa


Prosegue negli Stati Uniti il dibattito sul ripristino della legge Glass-Steagall, con 67 cofirmatari del disegno di legge HR 129 alla Camera, lo stesso disegno di legge anche al Senato, e mozioni che esortano il Congresso ad approvarlo presentate in 22 stati. Una dimostrazione inattesa di quanto questo dibattito sia temuto dalle banche di Wall Street è emersa il 20 giugno al Senato dello stato del Delaware, durante un’audizione della Commissione Bancaria per discutere una mozione a sostegno della legge HR 129, che era già stata appoggiata da 10 dei 21 senatori dello stato.
Dopo che il Senatore Ennis aveva presentato i motivi per cui bisogna ripristinare la separazione bancaria, sostenuto da un attivista in rappresentanza dei cittadini, sono iniziati i fuochi d’artificio. Un rappresentante della Mid-Atlantic Financial Services Association ha dichiarato ai senatori che sarebbe "poco saggio" approvare la mozione, citando il ruolo importante svolto dai servizi finanziari nell’economia del Delaware.
A quel punto si è fatto avanti un lobbista della JP Morgan Chase, dicendo ai senatori che "è assolutamente sconsigliabile, proprio per uno stato come il Delaware, approvare un mozione del genere in questo momento". Ha aggiunto che la JP Morgan Chase ha dato grandi contributi all’economia del Delaware, indicando che lui (e la sua banca d’affari) seguono con attenzione le mozioni per la separazione bancaria.
Sei lobbisti di varie banche hanno partecipato all’audizione, anche se non era previsto il voto, e nessuno di loro ha confutato le giuste argomentazioni del Sen. Ennis sul pericolo del prelievo forzoso sui conti correnti per salvare le banche (il cosiddetto bail-in)!
Appello di una nuova organizzazione in Svizzera: l’organizzazione svizzera www.impulswelle.ch sta facendo circolare un appello dal titolo "come la FINMA pianifica di salvare le banche in Svizzera e perché abbiamo bisogno urgentemente della separazione bancaria".
L’appello indica chiaramente il motivo dell’urgenza: "Il 1 novembre 2012 la FINMA(l’ente di vigilanza) ha emesso nuove disposizioni che obbligano i cittadini svizzeri a rifinanziare una grossa banca che rischia la bancarotta secondo il modello cipriota, il che indica chiaramente che cosa ci aspetta.
"Verranno utilizzati i nostri risparmi, i nostri fondi pensione ed il capitale d’esercizio delle nostre imprese depositato in quella banca. Se qualcuno non riesce più a pagare il mutuo a causa di ciò, perderà la casa che gli verrà confiscata. E’ molto improbabile che i depositi sotto i 100.000 franchi siano sicuri in questa emergenza. I depositi dei clienti verranno trasformati in capitale netto della banca (bail-in), il che implica l’esproprio dei nostri fondi e la fine del nostro invidiato sistema sociale".
"L’attuale sistema finanziario va verso il collasso internazionale. Chiediamo che a correre i rischi siano i responsabili di questo collasso, senza costringere la popolazione a pagare per le loro perdite. Le due principali banche in Svizzera (UBS e Crédit Suisse) ed i giganti assicurativi (Swiss Re e Zurich) sono troppo grandi per poter essere salvati quando scoppierà la prossima bolla speculativa".
Qual è l’alternativa a questo diktat, si chiedono? "La nostra proposta è di introdurre una separazione bancaria netta". L’appello prosegue spiegando che cosa fece la legge Glass-Steagall originale, e parla dei disegni di legge presentati per il suo ripristino.
Terzo disegno di legge presentato al Parlamento italiano: Sono tre i disegni di legge per la separazione bancaria depositati al Parlamento italiano, e tutti e tre si riferiscono esplicitamente al modello della Glass-Steagall. Avevamo già riferito dei ddl presentati da Caparini e altri alla Camera (C. 762) e da Giulio Tremonti al Senato (S. 717). Tra i due si è inserito un terzo disegno di legge, presentato dall'on. Marco di Lello e sottoscritto dai colleghi Di Gioia, Locatelli e Pastorelli, tutti del PSI ed eletti nelle liste del PD.
Il ddl Di Lello (C. 762) presenta somiglianze con "la madre di tutti i ddl" per la separazione bancaria, e cioè il ddl Peterlini (S.3112) presentato al Senato nella scorsa legislatura, e anche con il ddl Tremonti presentato alla Camera nella stessa legislatura. Come abbiamo già riferito, Tremonti ha ripresentato lo stesso ddl al Senato, sottoscritto da sei membri di vari gruppi: Naccarato, Compagnone e Scavone (GAL); Tarquinio e Villari (PDL); Scalia (PD) e Calderoli (LN-Aut).
Il ddl C.762 parte dalle raccomandazioni del Gruppo Liikanen, per poi affermare: "La separazione fra le attività bancarie di retail e trading non costituisce peraltro una novità. Negli Stati Uniti del New Deal una riforma in tal senso (la legge Glass-Steagall Act del 1933 che prevedeva la netta separazione tra banche commerciali e banche d'affari) era stata adottata come risposta alla grande crisi del 1929 ed era rimasta in vigore per circa 70 anni. In seguito è stata soppressa nel 1999 durante la presidenza Clinton (Gramm-Leach-Bliley Act) e tale intervento è stato considerato al tempo stesso causa e moltiplicatore di quel processo di finanziarizzazione dell'economia che, insieme alla mancanza di controlli adeguati, ha determinato gli squilibri che sono alla base dell’attuale crisi.
"In Italia la legge elaborata da Donato Menichella nel 1936, oltre a stabilire una analoga separazione, poneva dei limiti molto stretti tra attività bancarie a breve e quella a medio lungo termine. Alle banche commerciali era poi proibito detenere quote di partecipazione (ancora meno di controllo) nelle aziende non bancarie ed era altresì vietata qualsiasi attività di “trading” su titoli e valute. Nel 1993 è stato approvato il decreto legislativo n. 385 che ha rivoluzionato l'intera struttura del sistema bancario, eliminando la distinzione introdotta nel 1936: da una regolamentazione rigorosa si passava alla "banca universale", a cui erano lasciati enormi margini di azione".
Dopo aver fatto riferimento alla "Volcker rule" e altre proposte di "separazione in casa" delle attività bancarie, il ddl afferma decisamente che "Dal punto di vista normativo, prevedere la semplice separazione delle attività fra le banche commerciali e quelle d’affari non è tuttavia sufficiente, posto che non supera la criticità di un unico soggetto che esercita seppur con limitazioni la duplice attività. Occorre quindi intervenire in modo incisivo distinguendo e separando i soggetti che operano sul mercato, a tal fine modificando il Testo Unico bancario (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385)".

Consiglio comunale francese: il 13 giugno il consiglio comunale di Créancey, in Borgogna, ha approvato all’unanimità una mozione che chiede al Parlamento francese di adottare il disegno di legge sulla separazione bancaria stilato da Solidarité et Progrès in maggio. Decine di sindaci e cittadini francesi si stanno mobilitando per far approvare la stessa mozione dal proprio consiglio comunale. Il fatto che verrà presto approvata la riforma bancaria del ministro delle Finanze Pierre Moscovici, che non prevede tale netta separazione, rende ancora più urgenti queste iniziative degli enti locali.
La mozione approvata a Créancey sottolinea che la riforma bancaria del governo "non separa un bel niente" e non impedirà il crac finanziario. "Anzi, se le banche saranno in difficoltà, continueranno a godere delle garanzie pubbliche, e le autorità pubbliche faranno sì che siano gli azionisti, i clienti ed i correntisti a pagare le loro perdite sui mercati in una situazione critica, esattamente come è accaduto a Cipro".
Sottolineando il pericolo, la mozione afferma: "Gli attivi di BNP Paribas, Société Générale, Crédit Agricole, e della BPCE [Banque Popular et Caisse d'Epargne], equivalevano nel 2009 al 344% del PIL francese, paragonati al 95% del 1990. I quasi 5.000 miliardi di Euro di aiuti europei alle banche tra il 2008 ed il 2012 si sono limitati a rinviare la scadenza, gonfiando la bolla speculativa ed imponendo pesanti misure di austerità alla popolazione.
A questo vanno aggiunti i prestiti tossici imposti agli enti locali, che si sono dovuti rivolgere direttamente ai mercati finanziari in cerca di finanziamenti, in mancanza di fondi dallo stato.
La mozione, approvata all’unanimità, chiede all’Assemblea Nazionale ed al Senato di approvare il disegno di legge per la separazione bancaria, che viene allegato alla mozione e sta circolando ampiamente in tutta la Francia.
Gruppo anonimo di imprenditori francesi: un collettivo che si autodefinisce "siamo l’1%" ha acquistato una pagina su Le Monde il 16 giugno chiedendo ai leader mondiali di adottare leggi "che favoriscano la creazione di ricchezza reale" invece di imporre austerità ed aggiungere debito al debito. Il gruppo è composto da banchieri, investitori, industriali e imprenditori che appartengono all’"1%" della popolazione che guadagna molto in Francia, ma che chiede ugualmente giustizia sociale con un'attività economica che vada a vantaggio del "bene comune". Significativa è la netta distinzione fatta tra gli investimenti che creano un valore fisico e quelli puramente speculativi che andrebbero penalizzati.
Il fatto che i membri del collettivo abbiano deciso di restare anonimi dice molto sul regno del terrore imposto alle élite francesi dalle cinque banche sistemiche.
Tra le proposte dell'appello, c’è anche quella di "separare le attività di deposito da quelle d’affari" anche se non viene menzionata espressamente la legge Glass-Steagall. In questo modo "saranno i banchieri più ricchi a subire le perdite e perdere il lavoro, invece di prendersela con i conti correnti o il debito sovrano".
Un'altra proposta chiede di aumentare le tasse su varie forme di speculazione finanziaria inutile, inclusi i derivati.
L’articolo conclude con un avvertimento: "Dunque, nessun nuovo Roosevelt o nuovo de Gaulle ha osato farsi avanti per fare (o rifare?) il lavoro [prendere le misure necessarie], ma è ora che si faccia, prima che arrivi un nuovo Hitler".

by (MoviSol)