24 agosto 2013

Strage di Ustica: i testimoni "suicidati"











Un solo movente, un filo rosso sangue e la firma inconfondibile dei servizi segreti (Sismi & Sisde). Agli 81 morti ufficiali del disastro aereo provocato dal lancio di due missili, occorre aggiungere altri 20 morti,assassinati in seguito, perché sapevano troppo ed erano in procinto di vuotare il sacco. 

Un lancio dell’agenzia Adnkronos del 23 febbraio 2013 segnala: «Uno dei piloti era un testimone di Ustica: riaperta l'inchiesta su aereo caduto nel '92. Si indaga per omicidio sulla morte di Alessandro Marcucci e del collega Silvio Lorenzini, precipitati con il loro velivolo anti-incendio sulle Alpi Apuane il 2 febbraio 1992. Marcucci era un ex pilota dell'aeronautica militare coinvolto come testimone nell'inchiesta per la strage del Dc9 Itavia. Clamorosa riapertura dell'inchiesta sull'incidente aereo di Campo Cecina del 2 febbraio 1992, quando i piloti Alessandro Marcucci e Silvio Lorenzini persero la vita cadendo con il loro velivolo anti-incendio, sulle Alpi Apuane. Il pm di Massa, Vito Bertoni indagherà per omicidio contro ignoti. A riportare l'attenzione sul caso, chiedendo la riapertura delle indagini, era stata l'associazione antimafia 'Rita Atria', che aveva presentato un esposto. Alessandro Marcucci era un ex pilota dell'aeronautica militare coinvolto come testimone nell'inchiesta per la strage di Ustica. Secondo l'associazione antimafia, l'incidente non fu causato da una condotta di volo azzardata, come sostennero i tecnici della commissione di inchiesta, ma probabilmente da una bomba al fosforo piazzata nel cruscotto dell'aereo».

La notizia d’attualità è legata a quella fornita il 31 marzo scorso dal quotidiano La Nuova Sardegna, a firma del bravo Piero Mannironi: «Si è aperto uno spiraglio. Una piccola, ma preziosa speranza di verità. La magistratura di Massa ripercorrerà i 26 anni di dubbi e di tormenti dei familiari del maresciallo dell'Aeronautica militare Mario Alberto Dettori, di Pattada, trovato impiccato a un albero il 30 marzo 1987, vicino al greto del fiume Ombrone, nel Grossettano. Dettori aveva solo 38 anni… Ma tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig 23 libico sui monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella. Questa volta era calmo, lucido. «Mi disse che la storia del Mig era una puttanata - dice Ciancarella -. Poi mi diede tre spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida radar e quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più».Ciancarella parlò con l’amico Marcucci che, sfruttando le sue conoscenze, cominciò anche lui a indagare sui segreti di Ustica. Un giorno disse a Marcucci che il Mig libico trovato sulla Sila era decollato dalla base italiana di Pratica di Mare e di conoscere due militari che sapevano tutto ed erano disposti a parlare con il magistrato che conduceva l’inchiesta.Dettori fu trovato impiccato nel marzo del 1987 e Marcucci morì in uno stranissimo incidente aereo in Toscana nel ’92».



Testimoni scomodi - In una parola eliminati con modalità dei servizi segreti. Non è fiction, ma la nuda e cruda realtà. Oltre una ventina le morti sospette. Anche il giudice Rosario Priore nella sua monumentale ordinanza-sentenza del 31 agosto 1999 aveva dedicato un capitolo speciale alle “morti misteriose”. Infarti, ‘suicidi’, omicidi, attentati, rapimenti, sparizioni, ma anche incidenti stradali e aerei. 




La strage di Ustica è costellata da una serie di morti misteriose di potenziali testimoni, depositari di rivelazioni esplosive. Sono più di una ventina le persone decedute - in circostanze nebulose - che avrebbero potuto fornire elementi utili per ricostruire ciò che avvenne la sera del 27 giugno 1980 sul Mar Tirreno. Ufficiosamente l’ultima vittima potrebbe essere Antonio Scarpa, generale dell’Aeronautica in pensione, deceduto il 2 dicembre 2010. Era stato trovato nella sua casa di Bari vecchia, ferito alla testa. Dal 27 settembre non aveva più ripreso conoscenza. Prim’ancora era toccato aMichele Landi, consulente informatico della Guardia di Finanza e del Sisde, nonché di alcune procure, trovato impiccato con le ginocchia sul divano la notte del 4 aprile 2002, nella sua casa di Montecelio di Guidonia. «Gli esami tossicologici effettuati dalla dr.ssa Costamagna» si legge nella richiesta di archiviazione del procedimento numero 2007/02  «evidenziavano una significativa concentrazione di alcool nel sangue cadaverico». Ben strano per un soggetto che decide di suicidarsi. L’allora colonnello delle Fiamme Gialle, Umberto Rapetto, l’8 aprile 2002 aveva dichiarato a verbale: «Non riesco assolutamente a spiegarmi i motivi di siffatto gesto. Landi ha sempre avuto un fare particolarmente gioioso ed equilibrato e costantemente positivo. Non soffriva assolutamente di depressione». In quei giorni in un’interrogazione parlamentare l’Ulivo chiese: «Perché il ministro dell’Interno Scajola ritiene il suicidio l’unica ipotesi?». Il caso è stato archiviato - con richiesta datata 18 novembre 2004 - dal procuratore capo presso la Procura della Repubblica di Tivoli, Claudio D’Angelo, e dal sostituto, Salvatore Scalera. Landi aveva confidato agli amici di essere a conoscenza di novità compromettenti su Ustica. Il magistrato Lorenzo Matassa, infatti, il 10 aprile 2002 aveva dichiarato agli inquirenti: «Michele Landi l’hanno suicidato i servizi segreti come storicamente in Italia sanno fare. Mi aveva riferito di sapere molte cose su Ustica». Non impossibile, visto che Landi aveva lavorato in passato sui sistemi di puntamento missilistici ed era stato in contatto con la società Catrin, la stessa con cui collaborava Davide Cervia, il tecnico di guerra elettronica, misteriosamente scomparso il 12 settembre ’90. 



Scrive il giudice Rosario Priore, a pagina 4.663 della suo atto istruttorio finale: «Questa inchiesta come s’è caratterizzata per la massa di inquinamenti così si distingue per il numero delle morti violente attribuite per più versi ad un qualche legame con essa, escludendo deduzioni di fantasia ed usando solo rigorosi parametri di fatto». 

Il tragico elenco si apre il 3 agosto 1980 con la morte del colonnello-pilota dell’Aeronautica militare Pierangelo Tedoldi, 41 anni, a seguito di incidente stradale sull’Aurelia e suo figlio David. Annota Priore: «All’ufficiale era stato assegnato il comando dell’aeroporto di Grosseto (competente sul sito radar di Poggio Ballone, ndr) in successione al colonnello Tacchio Nicola». Non emerge alcun collegamento diretto con Ustica, «a meno di non supporre»,  ribadisce Priore  «che in quell’aeroporto sussistessero ancora nell’agosto di quell’anno prove di una verità difforme da quella ufficiale; che quel colonnello ne fosse a venuto a conoscenza; che comunque egli non fosse persona affidabile nel senso che avrebbe potuto denunciarle all’Autorità Giudiziaria o alla pubblica opinione». 




Quando i magistrati inquirenti chiesero nell’88 l’elenco del personale in servizio la sera del 27 giugno 1980, si resero conto che erano stati omessi due nomi significativi: quelli del capitano Maurizio Gari e del marescialloAlberto Maria Dettori, entrambi in servizio quel giorno. Gari era il responsabile della sala radar del 21° Cram; Dettori aveva il compito invece di identificare i velivoli. Entrambi sono morti. Maurizio Gari, 32 anni, non affetto da cardiopatie, il 9 maggio 1981 è stato comunque stroncato da un infarto. Dettori, invece, fu trovato impiccato ad un albero 26 anni orsono. «Altra morte ‘strana’» commenta il giudice istruttore Priore a proposito di Gari. Dalle scarne conversazioni telefoniche rintracciate «si denota un particolare interessamento dell’ufficiale per l’incidente del Dc9 Itavia - argomenta Priore - Certamente la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità all’inchiesta, anche sulla base di quanto accertato attraverso l’interpretazione dei dati radaristici e le tante scoperte sulla sala operativa da lui comandata, in cui quella sera prestavano servizio di certo il maresciallo guidacaccia De Giuseppe, e con ogni probabilità il maresciallo Dettori». 




Negli atti giudiziari, appunto, alla voce «decessi per i quali permangono indizi di collegamento con il disastro del Dc 9 e la caduta del Mig» figura anche il ‘suicidio’ per impiccagione del maresciallo AM, MarioAlberto Dettori (39 anni). Il sottufficiale, infatti, fu trovato impiccato ad un albero il 31 marzo ’87 alle ore 16, sul greto del fiume Ombrone, dal collega Michele Casella, nei pressi di Grosseto. Dettori nell’80 era controllore di Difesa Aerea - assegnato al turno Delta - presso il 21° Cram di Poggio Ballone. Così  argomenta il giudice istruttore Priore: «Se ha visto quello che mostravano gli schermi di quel Cram, che aveva visione privilegiata su tanta parte della rotta del Dc 9 e di quanto attorno ad esso s’è consumato, se ne ha compreso la portata, al punto tale da confessare a chi gli era più vicino che quella sera s’era sfiorata la guerra, ben si può comprendere quanto grave fosse il peso che su di lui incombeva. E quindi che, in uno stato di depressione, si sia impiccato. O anche - dal momento che egli stava diffondendo le sue cognizioni, reali o immaginarie, e non fosse più possibile frenarlo - che sia stato impiccato». 

Il 26 novembre ’90, la moglie Carla Pacifici, riferiva al giudice Priore che «non riusciva a spiegarsi il suicidio, in quanto suo marito aveva una gran voglia di vivere»; così come «non riusciva a comprendere le ragioni per cui non era stata mai eseguita l’autopsia sul cadavere». 

La litania di delitti impuniti continua. Il 25 marzo 1982 viene assassinato il professor Aldo Semerari, collaboratore dei servizi segreti militari, a conoscenza di segreti devastanti sulla strage nel Tirreno. Poco dopo, il primo aprile, muore, in circostanze nebulose, la sua assistente, Maria Fiorella Carrara, anch’essa depositaria del segreto dei  segreti. 

Anche la morte del sindaco di Grosseto - in carica nel 1980 - Giovanni Battista Finetti, il 23 gennaio 1983, rientra nella lista degli scomparsi sospetti. Il sindaco grossetano perde la vita in un incidente stradale sulla statale Scansanese nel comune di Istia d’Ombrone. Finetti aveva raccolto le confidenze di alcuni ufficiali dell’arma azzurra, secondo cui due caccia italiani si erano levati in volo dalla base della città toscana per inseguire e abbattere un Mig libico

Il 28 agosto 1988, a Ramstein (Germania), una settimana prima di essere interrogati dal giudice Priore, durante un’esibizione aerea delle Frecce Tricolori, ufficialmente a causa di “un errore di manovra” muoiono due veterani: i colonnelli Mario Naldini, di 41 anni (4.350 ore di volo) e Ivo Nutarelli, di 38 anni (4.250 ore di volo). “Una tragica fatalità” per l’allora capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, Franco Pisano. “Per quell’esercizio, il cardioide, le probabilità di collisione sono praticamente pari a zero” spiegò subito Diego Raineri, a quel tempo comandante della pattuglia acrobatica. Perfetti gli uomini, perfette le macchine, perfetto l’addestramento, calcolati i rischi: perché dunque è avvenuta la tragedia che ha mietuto, 59 morti e 368 feriti? I giornali Tageszeitung e Der Spiegelhanno ipotizzato un sabotaggio dei velivoli Aermacchi Mb 339, legato al precedente di Ustica. In effetti, Naldini e Nutarelli erano decollati la sera del 27 giugno ’80 da Grosseto a bordo di due F 104. Il loro caccia intercettore si alzò in volo alle 19,30 e tornò alla base alle 20,50, dieci minuti prima che il Dc 9 precipitasse. Che abbiano notato qualcosa che non dovevano vedere? «Di certo i due erano a conoscenza, come s’è dimostrato, di molteplici circostanze attinenti al Dc 9 e a quei velivoli che volavano in prossimità di esso» documenta Priore. L’imprenditore Andrea Toscani, interrogato dal giudice Priore ha rivelato le confessioni di Naldini. «Mario mi disse»: “Quella notte c’erano tre aerei. Uno autorizzato, due no. Li avevamo intercettati quando ci dissero di rientrare”.  

Sette anni prima, il 2 settembre 1981 a Rivolto (Udine), durante un’esercitazione moriva il colonnello Antonio Gallus, amico e collega degli ufficiali Naldini e Nutarelli. Si accingeva a fare importanti rivelazioni su Ustica. 

Il 20 marzo 1987, alle ore 19 viene assassinato a Roma con «dieci proiettili calibro 38 perforanti», attesta il rapporto della Polizia scientifica, il generale di squadra aerea Licio Giorgieri. Alle 19,40 giunge la rivendicazione dell’omicidio: «Il generale Licio Giorgieri era stato ucciso esclusivamente per le responsabilità da lui esercitate in seguito all’adesione italiana al progetto delle guerre stellari». Così si esprimevano i sedicenti terroristi dell’Unione combattenti comunisti, teleguidati dall’Intelligence anglo-americana. Il movente affidato al volantino venne però demolito pubblicamente da Giovanni Spadolini: «Giorgieri non aveva nessun rapporto diretto con l’iniziativa di difesa strategica. Il generale Giorgieri non apparteneva neanche al Comitato tecnico di controllo su tale impresa». Gli esperti di terrorismo lo definirono «un attentato anomalo». In realtà, all’epoca di Ustica, il generale triestino faceva parte dei vertici del Rai, il Registro aeronautico italiano, responsabile del quale era il generale Saverio Rana, «morto per infarto»: il primo a parlare di missili nell’imminenza della strage. Dell’omicidio Giorgeri si era occupato anche il giudice Santacroce (predecessore di Priore). Lo stesso Rana - che aveva ricevuto dall’amico Giorgieri tre fotocopie di tracciati radar - subito dopo la strage riferì al ministro Formica la presenza di un caccia vicino al Dc 9. 

Il 12 agosto ’88 muore il maresciallo del Sios, Ugo Zammarelli. Mentre passeggiava con un’amica sul lungomare di Gizzeria Marina, viene investito da una moto. Non viene effettuata alcuna autopsia. I suoi bagagli spariscono dall’albergo. Zammarelli in forza alla base Nato di Decimomannu, in Sardegna, non era in Calabria in vacanza, ma stava conducendo un’inchiesta personale sul Mig libico. 

Ancora una morte violenta: un altro maresciallo AM, Antonio Muzio, viene freddato con tre colpi di pistola al ventre, il primo febbraio ’91, a Pizzo Calabro. Nel 1980 era in servizio alla torre di controllo dell’aeroporto diLamezia Terme. Secondo Priore «il sottufficiale potrebbe essere venuto a conoscenza di fatti attinenti alla vicenda del Mig, di mene del capitano Inzolia e del maresciallo Molfa». Questi due carabinieri alla fine di giugno dell’80 cercavano un aereo militare sulla Sila.
  
Il 2 febbraio 1992, altra morte alquanto anomala, è quella del maresciallo dell’Arma azzurra, Antonio Pagliara. Rimase vittima dell’immancabile incidente stradale. Nell’80 era in servizio con funzioni di controllore di Difesa Aerea al 32° Cram di Otranto. Anche lui era in procinto di vuotare il sacco.

Sempre il 2 febbraio ’92, muore l’ex colonnello Sandro Marcucci, ufficialmente «a seguito di incidente aereo in un servizio di antincendio». Marcucci, 47 anni, pilota esperto, si schianta inspiegabilmente sulle Alpi Apuane col suo Piper. Nel 1980 era in servizio quale ufficiale pilota presso la 46ª Aerobrigata di Pisa. Soltanto 5 giorni prima Il Tirreno aveva pubblicato una sua intervista in cui aveva duramente attaccato il generale Zeno Tascio, comandante dell’aeroporto di Pisa dal ’76 al ’79, proprio sul caso della strage di Ustica. 

Il 12 gennaio 1993, è il turno di un personaggio parecchio scomodo. A Bruxelles viene assassinato a coltellate l’ex generale Roberto Boemio (58 anni). Il consulente dell’Alenia presso la NATO era un testimone chiave. Nel ’91, con buon anticipo aveva abbandonato l’Aeronautica. Le modalità dell’omicidio coinvolgono, secondo  la magistratura belga - che non ha ancora risolto il caso - i «servizi segreti internazionali». Secondo la ricostruzione del giudice Guy Laffineur «Gli aggressori si sono allontanati a bordo di una Ford Escort bianca, poi risultata rubata e alla quale era stata sostituita la targa». E’ stata tale circostanza a far pensare a un’azione ben preparata. Il delitto di Boemio rimane ancora un mistero. L’unica certezza è che l’alto ufficiale in pensione aveva cominciato a collaborare con la magistratura inquirente proprio sulla strage di Ustica. Non a caso, il suo nome compare tra i riscontri di innumerevoli contestazioni processuali fatte ai generali Bartolucci, Tascio, Ferri, Melillo. Proprio da Boemio, all’epoca della strage comandante della III Regione Aerea, dipendevano direttamente il Terzo Roc di Martinafranca in Puglia (nome in codice ‘Imaz’: cuore del sistema Nadge, di controllo USA) con le basi radaristiche di Jacotenente (Gargano), Marsala e Licola, coinvolte nell’allarme per la presenza di caccia non identificati nel cielo di Ustica e di una portaerei in navigazione nel Tirreno al momento dell’esplosione del Dc 9. Boemio s’era anche occupato di uno dei due Mig 23 fatti ritrovare da CIA E Sismi sulla Sila proprio il 18 luglio ’80, esattamente al termine di un’esercitazione aeronavale della NATO. Conclude il giudice Priore: 

«Sicuramente altra sua testimonianza inerente gli incidenti aerei in disamina, a seguito delle risultanze istruttorie emerse dopo le sue prime dichiarazioni, sarebbe risultata di grande utilità». Il generale Boemio conosceva i retroscena e poteva fornire elementi di prima mano. 

La tragica catena di morti sospette non si arresta. Infatti, il 2 novembre ’94 tocca a Giampaolo Totaro, 43 anni, ex ufficiale medico dell’Aeronautica Militare, dal 1976 all’84 in servizio presso la base delle Frecce Tricolori a Rivolto. Totaro è stato trovato impiccato accanto alla porta del bagno della sua abitazione. Ancora coincidenze. Innanzitutto gli anni trascorsi accanto agli amici Naldini, Nutarelli e Gallus. E poi la pubblicazione il 31 ottobre, prima del “suicidio” di varie rivelazioni che collegano Ustica alle Frecce e a Ramstein. Registra il referto giudiziario: «Le modalità dell’atto - la corda era attaccata a una sbarra poco più di un  metro di altezza - hanno indotto a qualche sospetto sulla realtà di un’azione suicidaria». 

Altro emblematico decesso. Il maresciallo dell’Aeronautica militare, Franco Parisi, 46 anni, fu trovato anche lui impiccato il 21 dicembre ’95, ad un albero alla periferia di Lecce. Nell’80 era controllore di Difesa Aerea nella sala operativa del 32° Cram di Otranto. Era di turno la mattina del 18 luglio ’80, quando sarebbe avvenuto il fantomatico incidente del Mig. Dichiara nell’ordinanza-sentenza il giudice Priore: «Erano emerse al tempo del suo primo esame testimoniale, nel settembre ’95, palesi contraddizioni nelle sue dichiarazioni, così come s’erano verificati incresciosi episodi con ogni probabilità di minacce nei suoi confronti». Citato a comparire una seconda volta, il 10 gennaio ’96, Parisi muore qualche giorno dopo aver ricevuto la convocazione giudiziaria. Nel novembre ’97 il Gip Vincenzo Scardia, aveva ordinato la riapertura del caso, che era stato archiviato in tutta fretta dal pm Nicola D’Amato, come ‘suicidio’. I familiari hanno sempre sollevato il sospetto che Franco Parisi ‘sia stato suicidato’. Il maresciallo fu bastonato? Fatto sta che i medici legali gli riscontrarono un’ematoma all’altezza della nuca, opportunamente fotografato dagli investigatori Digos di Lecce subito dopo il ritrovamento del cadavere. Tra gli aspetti oscuri dell’impiccagione, la compatibilità della lunghezza della corda trovata legata all’albero con la distanza dal suolo e la stessa altezza della vittima. Ma anche il rilasciamento dei muscoli del collo al quale era stretta la fune - è stato tale allorché il corpo del Parisi è stato lasciato penzolare nel vuoto - da far trovare il cadavere con i piedi poggiati per terra. Ci sono foto della polizia giudiziaria che lo confermano. 
«Come ben si vede analogie forti con il caso Dettori - argomenta il giudice Priore -. Entrambi marescialli controllori di sala operativa in un centro radar. Entrambi in servizio dinanzi al PPI, con funzioni delicatissime, rispettivamente la notte del 27 giugno e il mattino del 18 luglio. Venuti a conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali, rivelano la loro conoscenza in ambiti strettissimi, ma non al punto tale da non essere percepita da ambienti che li stringono od osteggiano anche in maniera pesante. E così ne restano soffocati».

Il delitto Ferraro - Roma, domenica 16 luglio 1995: via della Grande Muraglia Cinese 46. Il tenente colonnello dell’Esercito, Mario Ferraro, 46 anni, calabrese, distaccato al Sismi, esperto in informatica, traffici di armi, terrorismo internazionale, e segreti indicibili tra cui Ustica. Non ha alcun motivo per suicidarsi. La sua compagna Maria Antonietta nel tardo pomeriggio lo trova nel bagno di casa. Ferraro è impiccato inspiegabilmente con la cinghia dell’accappatoio, lunga poco più di un metro assicurata al tubo di un appendi asciugamano fissato al muro, a circa un metro e venti dal pavimento. La sua posizione è parecchio sospetta. Il fratello di Ferraro, Salvatore commenterà così ai giornalisti quello che ha visto: «Ho trovato Mario seduto per terra, aveva un’espressione serena, non quella di un uomo che ha compiuto un gesto disperato. L’avevo sentito al telefono venerdì, tre giorni prima: era tranquillo, non aveva manifestato alcuna apprensione». Parla anche Maria Antonietta: «Mario negli ultimi tempi era preoccupato, si sentiva pedinato. Quando era uscito per il gelato, ho sentito strani rumori, ero sul terrazzo, provenivano dall’ascensore del palazzo: lo scatto della fotocellula della porta si ripeteva a intervalli regolari per parecchi minuti, come se qualcuno cercasse di tenere aperta la porta dell’ascensore. Mario non può essersi suicidato». Parlando con i giornalisti, il procuratore capoMichele Coiro si lascia sfuggire che per lui la morte di Ferraro è un omicidio “vero e proprio”. Si indaga prima per suicidio, poi per omicidio. Il caso viene però archiviato su richiesta del pm Nello Rossi, dal Gip il primo ottobre 1999. Tuttavia, una delle quattro perizie ordinate dal pubblico ministero, evidenzia un’anomalia: la cinta dell’accappatoio con la quale si sarebbe tolto la vita Ferraro si sarebbe dovuta strappare, perché non avrebbe potuto resistere oltre i cinquanta chili di carico. Ferraro era un uomo robusto: pesava 86 chili, quindi ben oltre quel limite. Non è tutto. Sempre secondo la perizia meccanica le quattro viti a tassello che reggevano l’appendiasciugamano in ottone a cui Ferraro avrebbe assicurato la cinta, a poco più di un metro dal pavimento, sotto quel carico, avrebbero dovuto cedere, staccarsi dal muro. Invece Ferraro viene trovato quasi seduto a terra, con il collo leggermente reclinato, La cinta era intatta, l’ha tagliata Maria Antonietta nel disperato tentativo di salvargli la vita, e la staffa dell’appendi asciugamano era ancora salda alla parete. Anche la perizia istologica fa riferimento ad alcune stranezze: due ecchimosi sul collo, compatibili con un’azione di soffocamento, sono delle strozzature, pressioni eseguite in tempi diversi; mentre quella medico-legale e quella tossicologica parlano di suicidio. Anche Ferraro doveva essere interrogato sui fatti di Ustica.

Allora, chi uccide i testimoni scomodi? Il 26 dicembre ’95, i sedicenti ‘Nuclei per l’eliminazione fisica dei militari corrotti di Ustica’, depositano a Bologna, in via Saragozza, due bottiglie molotov sul pianerottolo del maresciallo AM, Giuseppe Caragliano, mai comparso nell’inchiesta sulla strage di Ustica, nell’80 in servizio al centro telecomunicazioni dello Stato Maggiore dell’arma azzurra. Un attentato annunciato da una serie di telefonate minatorie nell’abitazione del militare e alla questura di Bologna: “Andate in via Saragozza e fate sgomberare il palazzo dell’avvocato Leone, perché vogliamo far saltare in aria il maresciallo Caragliano”. Chi, se non gli apparati militari, potevano collegare Caragliano a Ustica, dal momento che tale legame non era mai stato ipotizzato neppure dagli inquirenti? E ancora: è soltanto un caso che l’attentato di Bologna arrivi a soli 5 giorni dalla notizia del “suicidio” del maresciallo Parisi? Che le minacce cominciano quando è nota ai soli investigatori la circostanza del ritrovamento nell’abitazione dell’ex generale dei carabinieri, al servizio del Sismi, Demetrio Cogliandrodell’archivio su Ustica? 


Conclude Priore nella sua sentenza-ordinanza: «Nei casi che restano si dovrà approfondire, giacchè appare sufficientemente certo che coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati». 

Missili - Il 22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Tirreno alla ricerca del relitto del Dc9. Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer (controllata dai servizi segreti transalpini) scandisce in francese la parola “misil”. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile. Le ricerche della società di Tolone vengono sospese tre giorni dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi dell’Ifremer, subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi, capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma. I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda operazione di recupero affidata a una società inglese. Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese” e di uno “Shafir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è “lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi gli ordigni sono usati dai caccia dei Paesi occidentali e mediorientali (Israele). Uno di quei missili -ancora in fondo al mare, a 3600 metri di profondità- è stato lanciato contro il Dc9. Le ultime scoperte dei periti di parte civile hanno confermato senza ombra di dubbio che il Dc 9 è stato abbattuto da un missile. La prova è costituita da 31 sferule d’acciaio (diametro 3 millimetri) trovate in un foro vicino all’attacco del flap con la fusoliera. La loro presenza può essere spiegata con l’esplosione vicino alla parte anteriore dell’aereo della testa a frammentazione di un missile. 

Le 5.600 pagine di requisitoria del giudice Priore parlano di una operazione militare condotta da Paesi alleati della quale gli italiani sono stati testimoni diretti. Nei tracciati radar si vede addirittura un elicottero decollato dal mare, presumibilmente da una portaerei, giungere nella zona del disastro prima che arrivassero, con deliberato ritardo, i soccorsi.A poca distanza dal luogo di ammaraggio dell'aereo civile staziona l'unità militare italiana Vittorio veneto che però non presta alcun soccorso. L'ultima testimonianza è di un ufficiale di macchina da me scovato ed intervistato che ho prontamente segnalato - unitamente ad altri tre testomoni deglie venti (tre ex militari dell'Aeronautica militare, perseguitati dall'Arma azzurra) ai magistrati titolari presso la Procura della Repubblica di Roma, attualmente dell'inchiesta (Maria Monteleone ed Erminio Amelio). 

Che cosa si è voluto insabbiare con tanto accanimento?  «E’ una questione di dignità nazionale” argomenta Daria Bonfietti, “ma i governi italiani che fanno? La riforma dei servizi segreti, per dare maggiore libertà agli uomini dell’Intelligence, per consentirgli di fare quello che vogliono».  

Memorie offuscate - 2 milioni di atti e numerose perizie. Tutti assolti: ben 4 generali dell’Aeronautica - all’epoca il massimo vertice dell’arma azzurra - imputati con l’accusa di «attentato contro gli organi costituzionali»,Lamberto Bartolucci, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica; Zeno Tascio, all’epoca dei fatti, responsabile del servizio informazioni operative segrete (Sios); Corrado Melillo, ex capo del terzo reparto della Stato Maggiore Aeronautica e poi sottocapo di Stato Maggiore della Difesa; carica che nel 1980 ricopriva l’altro generale imputato, Franco Ferri. I quattro alti ufficiali, secondo l’accusa, «hanno omesso di riferire alle autorità politiche e giudiziarie, informazioni riguardo la possibile presenza di altri aerei di varie nazionalità (statunitensi, francesi, inglesi) e di una portaerei di nazionalità non accertabile con sicurezza» sulla rotta del Dc 9 Itavia la sera del disastro; hanno taciuto notizie riguardanti «l’ipotesi di un’esplosione coinvolgente il velivolo ed i risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino-Ciampino e l’emergenza di circostanze di fatto non conciliabili con la caduta del Mig libico sulla Sila la mattina del 18 luglio 1980». Hanno inoltre fornito «informazioni errate» al fine di «impedire che potessero emergere responsabilità dell’Aeronautica Militare o di forze armate di Paesi alleati». Altri imputati erano i cosiddetti “007”: Francesco Pugliese, poi diventato generale, già capo di Civilavia; l’ex vicecapo del Sismi Nicola Fiorito De FalcoUmberto Alloro, Claudio Masci, l’ex responsabile della sezione controspionaggio del Sismi Pasquale Notarnicola e Bruno Bomprezzi. E’ intervenuta la prescrizione dei reati e la dichiarazione di non luogo a procedere per un’altra sessantina di altri ufficiali e sottufficiali italiani. “I quattro generali accusati in base all’articolo 289 del codice penale“, tuona l’ex senatrice Bonfietti, presidente dell’Associazione Familiari delle vittime di Ustica, “erano accusati di aver violato il loro dovere di fedeltà allo Stato, occultando le prove di un crimine. In nome di un’altra fedeltà ai loro occhi più grande e assoluta“. In altri termini, i militari avrebbero sistematicamente depistato le indagini e insabbiato le prove innalzando quello che è passato alla storia come Il muro di gomma reso ancora più inquietante dalla lunga catena di morti sospette tra i testimoni chiave.



Francia risponde alla rogatoria -  La Procura di Roma ha finalmente ottenuto dopo due anni risposte parziali riguardanti il traffico aereo la sera della tragedia: l’esecuzione di una esercitazione e la presenza di navi vicino alla zona in cui il velivolo precipitò. Intanto è stato ascoltato un pilota: "Vidi una flottiglia di navi".

A quasi 33 anni dalla strage di Ustica la nuova indagine sull’abbattimento del Dc9 dell’Itavia, che si portò via la vita di 81 passeggeri, tra cui 11 bambini, procede in silenzio. C’è una nuova testimonianza e dopo due anni la Francia ha risposto ad una rogatoria presentata dalla Procura della Repubblica di Roma per capire le “presenze” nei cieli e nel mare il 27 giugno 1980.

La rogatoria dalla Francia: traffico aereo e presenza navi. Le risposte alla richiesta di assistenza giudiziaria rivolte al governo francese ora sono al vaglio del procuratore aggiunto Maria Monteleone ed Erminio Amelio. Si tratta di una prima, voluminosa e parziale risposta alle domande degli inquirenti che attendono ora il completamento della fornitura di indicazioni. Tra i quesiti posti dai magistrati di piazzale Clodio, quelli riguardanti il traffico aereo la sera della tragedia: l’esecuzione di una esercitazione e la presenza di navi vicino alla zona in cui il velivolo precipitò. Quest’ ultima domanda assume particolare rilevanza anche alla luce della testimonianza di un pilota dell’Ati rintracciato per caso nelle ultime settimane, il quale ha riferito che la sera precedente il disastro sorvolò il largo di Ustica notando alcune navi tra cui una portaerei: circostanza, come riportato oggi da Repubblica, che potrebbe assumere un particolare rilievo. 

La nuova testimonianza di un pilota: “Vidi una flottiglia di navi”. “Sorvolai i cieli di Ustica al comando di un volo di linea Alitalia, il giorno prima e, ancora, qualche minuto prima che accadesse la tragedia - avrebbe raccontato il testimone al procuratore aggiunto Monteleone e al pm Amelio che hanno secretato il verbale -. Dopo alcuni minuti dal decollo dall’aeroporto di Palermo, sotto di me notai una flottiglia di navi: una che sembrava una portaerei e almeno altre tre-quattro imbarcazioni. Ho commentato con l’altro comandante questa presenza e quando seppi della tragedia pensai subito a quell’addensamento navale”. Un racconto “attendibile e circostanziato” secondo il giudice Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione. “Si integra perfettamente con quanto è stato accertato negli ultimi tempi ovvero con l’ipotesi di un missile partito da un aereo - ragiona il magistrato - Bisogna verificare la nazionalità della portaerei che si trovava nelle acque territoriali italiane. Non si può escludere che proprio dalla portarerei sia partito il Mig libico che si è poi abbattuto in Sila” sottolinea Imposimato, che della vicenda di Ustica si occupò tra il 1987 e il 1992, come membro del Copaco, il Comitato parlamentare di controllo dei Servizi segreti. “Attendiamo le indagini dei magistrati romani e le verifiche spero solo che non vengano apposti segreti di Stato. Questo bloccherebbe ancora una volta le indagini per accertare la verità. Ustica è ancora una ferita aperta”.

La tesi del missile è ormai stata certificata da una sentenza passata in giudicato; quella della Cassazione nel giudizio civile che ha visto lo Stato condannato a risarcire le famiglie delle vittime. Secondo i supremi giudici l’aereo fu abbattuto da un missile. L’inchiesta della procura di Roma è ripartita alcuni anni fa grazie alle dichiarazioni di Francesco Cossiga il quale disse di sapere che “c’era un aereo francese che si mise sotto il Dc 9 Itavia e lanciò un missile per sbaglio”.
di Gianni Lannes 

15 agosto 2013

F-35: un'altra figuraccia del governo italiano


F-35: UN’ALTRA FIGURACCIA DEL GOVERNO ITALIANO
È di poche ore fa la notizia che il TAR non ha fermato, ma anzi ha confermato, l’acquisto degli aerei da combattimento F-35 di fabbricazione USA, al centro dell’acceso dibattito dei mesi passati. Lo spirito battagliero della destra e della sinistra filoatlantiste, volto a promuovere ed incentivare l’acquisto di questi velivoli, ha trovato ampio spazio sui giornali e nei programmi televisivi dei mesi passati. Non sono mancati gli sproloqui come quelli del deputato PD Boccia, il quale aveva descritto questi aerei militari come “elicotteri” con i quali “si spengono incendi, trasportano malati, salvano vite umane”[1]. Sparate folcloristiche a parte, dai discorsi fatti si ricava l’impressione che questi aerei militari siano davvero necessari per la difesa dell’Italia e dell’Europa; come ricordato dal ministro della difesa Mario Mauro, l’Italia“ha il dover di essere nella pattuglia di testa quando si tratta di favorire la crescita della difesa europea”[2]. Con l’acquisizione di questi mezzi bellici prodotti della Lockheed Martin, a detta del ministro, l’Italia si ritroverebbe alla “testa” delle nazioni europee in materia difensiva.  Veramente un’enorme quantità di parole di elogio profusa non solo da parte delle cariche dello Stato, ma anche da giornalisti e presunti esperti del settore. Davanti alla grande accoglienza riservata agli F-35 da parte delle autorità italiane, ci si aspetterebbero anche dei riscontri concreti sulla necessità di adottare questi mezzi tecnologici all’avanguardia. Tra i veri esperti del settore, però, nessuno ha tessuto parole di elogio per gli F-35. Tra le persone che hanno definito l’F-35 come “il peggior aereo che abbiamo mai costruito”[3] c’è l’ingegnere Pierre Sprey, progettista dello storico aereo da combattimento F-16. Oltre al giudizio di una persona realmente competente in materia come Pierre Sprey, sta emergendo in queste ore, da alcuni documenti trapelati, che il Pentagono stia considerando la possibilità di cancellare il “Programma F-35” ossia l’intera produzione di una flotta di 2.443 aerei per una spesa totale di 391.2 miliardi di dollari[4]. La motivazione sarebbe dovuta oltre ai costi di produzione, anche agli esorbitanti prezzi da pagare per la manutenzione e modifica degli aeromobili. Se pensiamo che l’Italia, in questo periodo di crisi economica, oltre ad essersi già impegnata nell’acquisto dei dispositivi ha perfino modificato le portaerei appositamente per l’atterraggio e il decollo degli F-35, sostenendo una spesa non indifferente di 3,5 miliardi di euro[5], la situazione si fa davvero paradossale. La spesa per le modifiche delle portaerei è già stata fatta e dunque sembra inevitabile l’acquisizione del “prodotto”. Ma cosa succederebbe nel momento in cui gli USA, come già hanno fatto intendere in maniera velata, ammettessero l’inefficienza e l’inconsistenza tecnica di questo modello d’aereo? Probabilmente, al solito, gli elogi e le belle parole dei politici e degli “esperti” sarebbero presto dimenticate e relegate in un angolo remoto della (corta) memoria dei mezzi di comunicazione di massa, tacendo abilmente sui costi inutili già sostenuti dall’Italia per incrementare un apparato bellico che, allo stato attuale, non ha neppure ragione di esistere. Sembra piuttosto che la politica miri a soddisfare le richieste della lobby delle armi americana piuttosto che realmente investire in un progetto che porti reali benefici all’Italia e agli altri stati coinvolti nell’acquisto degli F-35. Paradossalmente, aerei da combattimento sviluppati decenni prima, sono molto più efficienti di questi “gioielli” della tecnologia e ancora oggi potrebbero tenere testa senza alcun problema ai complicatissimi F-35, dotati di scarsa manovrabilità e di difetti che li renderebbero estremamente vulnerabili nel caso di un confronto bellico. L’Italia, in campo internazionale, molto probabilmente, rimedierà un’altra incredibile batosta, a livello economico e di reputazione, se l’acquisto dovesse andare a buon fine. A questo punto l’unica speranza possibile sembra essere che il progetto F-35 venga abbandonato dagli USA e che il tutto cada nell’enorme dimenticatoio degli sprechi nostrani.
di Marco Nocera 



[1] http://www.blitzquotidiano.it/foto-notizie/francesco-boccia-f35-elicotteri-salvano-vite-umane-trasportano-feriti-1603379/
[2] http://www.corriere.it/politica/13_luglio_31/f35-ministro-mauro-gia-spesi-3-miliardi-per-portaerei_eaf30bfc-f9bd-11e2-b6e7-d24d1d92eac2.shtml
[3] http://it.ibtimes.com/articles/42365/20130203/f-35-pierre-sprey-presa-diretta.htm
[4] http://rt.com/usa/pentagon-f35-stealth-bomber-963/
[5] http://www.corriere.it/politica/13_luglio_31/f35-ministro-mauro-gia-spesi-3-miliardi-per-portaerei_eaf30bfc-f9bd-11e2-b6e7-d24d1d92eac2.shtml

14 agosto 2013

Confessione di un troll.


Lo ammetto. Sono stato un troll, ho agito in maniera politicamente disinteressata contro il M5S in maniera sistematica ed in maniera indirizzata da persone interessate.
Però negli ultimi tempi ho cominciato a capire che non era più giusto andare avanti così, non era più giusto continuare ad essere la lunga e oscura mano di un potere ingiusto e inetto.Mentre venivo ricompensato per i miei servigi con qualche contratto a tempo determinato per la gestione di qualche piattaforma informatica di qualche 'amico' dei miei 'datori di lavoro' o con qualche altra miserevole paga da fame mio zio ha dovuto chiudere la sua attività strozzata da Equitalia e da bastardi che vanno in giro col Mercedes e non gli pagano le forniture. Da quel momento è caduto in profonda depressione e nel mio piccolo mi sento responsabile.

Andiamo però per ordine.Tutto comincia in Emilia-Romagna ai tempi delle ultime elezioni regionali.Io non ho mai seguito molto la politica, tanto più locale, ma da quel che mi hanno accennato i colleghi sò che all'epoca sorsero varie questioni (probabilmente pretestuose penso con il senno di poi) all'interno del 5 stelle romagnolo.

É in quel momento che subentra un soggetto, una fondazione locale parmense per la salvaguardia di qualche patrimonio culturale, interessato ad imbastire una campagna diffamatoria su internet per danneggiare il M5S operante nel consiglio regionale lombardo.

Da quel che mi è stato riferito da chi all'epoca operò nel sistema (e che mi passò vari dossier e varie chiavi di accesso di vari profili FB, Twitter, Youtube e del blog di Grillo) la campagna si risolse in un insuccesso certificato nel 2012 dall'elezione di Pizzarotti per il semplice motivo che non si era riuscito ad adeguare il linguaggio ed i vari commentatori (d'ora in avanti per comodità chiamati troll) venivano subito beccati ed identificati come tali.

Bisogna cambiare strategia svecchiando il gruppo di comunicazione, perciò vennero presi un gruppo di ragazzi sulla trentina tra i quali il sottoscritto, io fui l'ultimo ad arrivare.

In realtà la strategia stava già cambiando dagli inizi del 2012 quando mi dissero che a Parma giunse un esperto dal Piemonte, un grillino ben addentro alle cose del M5S, addirittura forse un consigliere comunale del 5 stelle. Non sono mai stati molto chiari sull'argomento, non che probabilmente ne sapessero più di tanto: non ci eravamo mai interessati di politica tra tutti e apprendevamo il minimo che ci serviva per operare.

Meno domande si facevano ai nostri referenti (una agenzia di comunicazione emiliana che ora ha chiuso i battenti) più guadagnavamo imparammo presto infatti.

La strategia era esplicata in un elenco di tre punti molto semplice che venne consegnato a tutti. Un semplice foglio di carta A4 stampato dal PC che presto imparammo tutti a memoria.Ogni punto entrava poi nel dettaglio dettagliando la strategia comunicativa, il linguaggio da adoperare, la grafica da applicare, gli argomenti, ecc... ma in breve si possono così riassumere

1) Doppio Binario: se da una parte dovevamo reclutare involontari altri nostri aiutanti con la faccia bella di chi vuole mettere attenzione sui supposti errori e pericoli del M5S che scorazzassero per il web a condividere i nostri link, dall'altra dovevamo cominciare a fare quello che in genere si chiama 'trollare' cominciando a rovinare discussioni e ad impedire la democratica discussione interna al M5S.

2) Colpire basso: bisognava fare perno in particolare sul passato di Grillo ricordando le sue condanne in maniera da fare parallelismo con Berlusconi, sul passato di Casaleggio, il suo essere stato l'artefice di campagne dell'IDV e alcune sue attività fallimentari (però non citando tal Sassoon ed i suoi supposti collegamenti d'oltre oceano), nonchè su altre questioni supposte di legalità inerenti al M5S .

3) Concentratori di attenzione: sotto questa definizione si esplicava in realtà il nucleo della nostra attività. Il punto 1 e 2 erano funzionali esclusivamente a questo: mentre da un lato si attirava l'attenzione con 'trollate', commenti sprezzanti o pagine e siti anti-M5S che accendevano non poche discussioni o flame, dall'altra, sfruttando proprio queste azioni, si inserivano all'interno di queste pagine falsi profili che si comportavano 'bene'. Segnalavano i troll duramente, ma con ironia, difendevano il M5S, si comportavano in maniera garbata, facevano proposte ecc...Questi quindi accogliendo il favore della platea (la cui attenzione era carpita da questi 'troll', che noi chiamiamo 'decoy') ne conquistavano i favori permettendo di muoversi in due direzioni (anche a seconda della piattaforma): o indirizzare notizie all'apparenza innocenti, ma in grado di colpire nostri attivisti e amministratori (l'attività è andata negli ultimi mesi molto in là riuscendo a mettere in difficoltà pure una parlamentare, prima che però la questione arrivasse ad un punto critico ci fu una telefonata di Beppe alla parlamentare che ci obbligò a ricominciare tutto da capo), o a seminare (sempre in maniera all'apparenza innocente e non voluta) idee discordanti all'interno del M5S (cosa che è avvenuta in particolare dopo alle elezioni al riguardo di un possibile accordo tra PD e M5S, caso nel quale mi è giunta voce che altri gruppi di operatori si siano spinti troppo all'aperto, tanto che alla nostra sezione nello stesso periodo ci fu consigliato di abbassare i toni e quasi 'eclissarci' per evitare che una pressione troppo alta portasse allo scoperto tutto il sistema).

Ora vi starete giustamente chiedendo: chi erano questi troll? Quali sono quelle pagine? Quali siti?

Per quanto riguarda i singoli profili cambiano costantemente, e a parti pochi, non durano più di due o tre mesi. Una volta assolta la loro funzione scompaiono.

Se volete i nomi dei miei colleghi non voglio farne, dovete capire che pur sbagliando lo fanno per stato di necessità, spesso o hanno figli a carico che devono mantenere o sono in altre brutte situazioni.

Inoltre spesso, a parte un paio che considero miei amici (e che con questa mia uscita comunque metto in difficoltà visto che ora sò che lavorano per un'altra agenzia di comunicazione con scopi simili a quella di questa esperienza), ne conosco solo il nome e a malapena riuscirei a riconoscerli.

Ci incontravamo ogni giovedì sera in un luogo diverso con il referente del mese. Ogni mese il referente del gruppo di comunicazione cambiava, veniva, ci parlava una mezz'ora dicendoci cosa fare e cose così e scompariva.

Per quanto riguarda le pagine ed i siti basta dirvi che sono sotto gli occhi di tutti. Non c'è pagina FB sopra i 50 utenti o sito web con un certo aggiornamento e numero di visite giornaliere nei quali bene o male questi gruppi di lavoro anti-M5S non siano impelagati...

Sono di 2 categorie principalmente (anche se abbiamo 'gradazioni' intermedie', in particolare nel campo dei blog):

A) Formali e politiche: all'apparenza fanno una seria opposizione al M5S senza esprime linee partitiche precise. In realtà servono a reclutare involontario nuovo personale che senza dir nulla andrà a diffondere le idee della pagina stessa, sò di un paio di casi nel quale c'erano utenti così convinti che ne sono diventati amministratori trasformando (in quel caso due pagine FB) quei due spazi in cuore pulsante di anti-M5S a sè stanti e al più ci si limitava ad indirizzare meglio i loro attacchi.

B) Prese in giro palesi: alla base di ogni intenzione di 'trolling', spesso (nel caso FB dove queste pagine sono riuscite ad avere un certo successo, quasi zero invece dal lato di blog creati ad hoc) quelle pagine veniva usate per fare trolling diretto sulle pagine del M5S. Queste pagine hanno avuto successo alterno e se si sono avuti casi clamorosi finiti pure sui media nazionali, se ne sono avuti altre che invece sono state segnate da un insuccesso totale. L'ultima tendenza, prima che l'agenzia chiudesse un mese e mezzo fa, era cercare di far perno sulle pazze idee portate avanti da persone che con il 5 stelle nulla hanno a che fare, ma che si professavano tali andando quindi a far perno su una confusione già esistente sul web: difesa degli animali estrema, teorema del complotto, metodi 'argentini' per i politici, ecc... L'obiettivo ultimo di queste pagine è solo generare confusione, degenerazione e dimostrare la supposta stupidità dei votanti M5S.

Vi prego di accogliere il mio appello quindi: fate attenzione, fate attenzione, fate attenzione!

E a chi è dentro il sistema vi prego di accettare il mio consiglio: non vi chiedo di uscire allo scoperto (il rischio di essere vittima di una persecuzione è troppo alta, neanche io infatti ci metto la faccia ne nome e cognome... anche se chi sà già probabilmente ha capito chi sono e farà di tutto per farmi licenziare dal mio nuovo e onesto lavoro), ma abbiate il coraggio di dire no.

L'Italia non può continuare a marcire così, è anche causa nostra se è in queste condizioni.

Dobbiamo dire basta al Dio Denaro e aprire la nostra mente.

Ogni volta che si pubblica un commento di sprezzo nel 5 Stelle si uccide una delle poche speranze rimaste al paese.

Non credetemi se volete, ma fate come vi dico. Ve ne prego.

24 agosto 2013

Strage di Ustica: i testimoni "suicidati"











Un solo movente, un filo rosso sangue e la firma inconfondibile dei servizi segreti (Sismi & Sisde). Agli 81 morti ufficiali del disastro aereo provocato dal lancio di due missili, occorre aggiungere altri 20 morti,assassinati in seguito, perché sapevano troppo ed erano in procinto di vuotare il sacco. 

Un lancio dell’agenzia Adnkronos del 23 febbraio 2013 segnala: «Uno dei piloti era un testimone di Ustica: riaperta l'inchiesta su aereo caduto nel '92. Si indaga per omicidio sulla morte di Alessandro Marcucci e del collega Silvio Lorenzini, precipitati con il loro velivolo anti-incendio sulle Alpi Apuane il 2 febbraio 1992. Marcucci era un ex pilota dell'aeronautica militare coinvolto come testimone nell'inchiesta per la strage del Dc9 Itavia. Clamorosa riapertura dell'inchiesta sull'incidente aereo di Campo Cecina del 2 febbraio 1992, quando i piloti Alessandro Marcucci e Silvio Lorenzini persero la vita cadendo con il loro velivolo anti-incendio, sulle Alpi Apuane. Il pm di Massa, Vito Bertoni indagherà per omicidio contro ignoti. A riportare l'attenzione sul caso, chiedendo la riapertura delle indagini, era stata l'associazione antimafia 'Rita Atria', che aveva presentato un esposto. Alessandro Marcucci era un ex pilota dell'aeronautica militare coinvolto come testimone nell'inchiesta per la strage di Ustica. Secondo l'associazione antimafia, l'incidente non fu causato da una condotta di volo azzardata, come sostennero i tecnici della commissione di inchiesta, ma probabilmente da una bomba al fosforo piazzata nel cruscotto dell'aereo».

La notizia d’attualità è legata a quella fornita il 31 marzo scorso dal quotidiano La Nuova Sardegna, a firma del bravo Piero Mannironi: «Si è aperto uno spiraglio. Una piccola, ma preziosa speranza di verità. La magistratura di Massa ripercorrerà i 26 anni di dubbi e di tormenti dei familiari del maresciallo dell'Aeronautica militare Mario Alberto Dettori, di Pattada, trovato impiccato a un albero il 30 marzo 1987, vicino al greto del fiume Ombrone, nel Grossettano. Dettori aveva solo 38 anni… Ma tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig 23 libico sui monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella. Questa volta era calmo, lucido. «Mi disse che la storia del Mig era una puttanata - dice Ciancarella -. Poi mi diede tre spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida radar e quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più».Ciancarella parlò con l’amico Marcucci che, sfruttando le sue conoscenze, cominciò anche lui a indagare sui segreti di Ustica. Un giorno disse a Marcucci che il Mig libico trovato sulla Sila era decollato dalla base italiana di Pratica di Mare e di conoscere due militari che sapevano tutto ed erano disposti a parlare con il magistrato che conduceva l’inchiesta.Dettori fu trovato impiccato nel marzo del 1987 e Marcucci morì in uno stranissimo incidente aereo in Toscana nel ’92».



Testimoni scomodi - In una parola eliminati con modalità dei servizi segreti. Non è fiction, ma la nuda e cruda realtà. Oltre una ventina le morti sospette. Anche il giudice Rosario Priore nella sua monumentale ordinanza-sentenza del 31 agosto 1999 aveva dedicato un capitolo speciale alle “morti misteriose”. Infarti, ‘suicidi’, omicidi, attentati, rapimenti, sparizioni, ma anche incidenti stradali e aerei. 




La strage di Ustica è costellata da una serie di morti misteriose di potenziali testimoni, depositari di rivelazioni esplosive. Sono più di una ventina le persone decedute - in circostanze nebulose - che avrebbero potuto fornire elementi utili per ricostruire ciò che avvenne la sera del 27 giugno 1980 sul Mar Tirreno. Ufficiosamente l’ultima vittima potrebbe essere Antonio Scarpa, generale dell’Aeronautica in pensione, deceduto il 2 dicembre 2010. Era stato trovato nella sua casa di Bari vecchia, ferito alla testa. Dal 27 settembre non aveva più ripreso conoscenza. Prim’ancora era toccato aMichele Landi, consulente informatico della Guardia di Finanza e del Sisde, nonché di alcune procure, trovato impiccato con le ginocchia sul divano la notte del 4 aprile 2002, nella sua casa di Montecelio di Guidonia. «Gli esami tossicologici effettuati dalla dr.ssa Costamagna» si legge nella richiesta di archiviazione del procedimento numero 2007/02  «evidenziavano una significativa concentrazione di alcool nel sangue cadaverico». Ben strano per un soggetto che decide di suicidarsi. L’allora colonnello delle Fiamme Gialle, Umberto Rapetto, l’8 aprile 2002 aveva dichiarato a verbale: «Non riesco assolutamente a spiegarmi i motivi di siffatto gesto. Landi ha sempre avuto un fare particolarmente gioioso ed equilibrato e costantemente positivo. Non soffriva assolutamente di depressione». In quei giorni in un’interrogazione parlamentare l’Ulivo chiese: «Perché il ministro dell’Interno Scajola ritiene il suicidio l’unica ipotesi?». Il caso è stato archiviato - con richiesta datata 18 novembre 2004 - dal procuratore capo presso la Procura della Repubblica di Tivoli, Claudio D’Angelo, e dal sostituto, Salvatore Scalera. Landi aveva confidato agli amici di essere a conoscenza di novità compromettenti su Ustica. Il magistrato Lorenzo Matassa, infatti, il 10 aprile 2002 aveva dichiarato agli inquirenti: «Michele Landi l’hanno suicidato i servizi segreti come storicamente in Italia sanno fare. Mi aveva riferito di sapere molte cose su Ustica». Non impossibile, visto che Landi aveva lavorato in passato sui sistemi di puntamento missilistici ed era stato in contatto con la società Catrin, la stessa con cui collaborava Davide Cervia, il tecnico di guerra elettronica, misteriosamente scomparso il 12 settembre ’90. 



Scrive il giudice Rosario Priore, a pagina 4.663 della suo atto istruttorio finale: «Questa inchiesta come s’è caratterizzata per la massa di inquinamenti così si distingue per il numero delle morti violente attribuite per più versi ad un qualche legame con essa, escludendo deduzioni di fantasia ed usando solo rigorosi parametri di fatto». 

Il tragico elenco si apre il 3 agosto 1980 con la morte del colonnello-pilota dell’Aeronautica militare Pierangelo Tedoldi, 41 anni, a seguito di incidente stradale sull’Aurelia e suo figlio David. Annota Priore: «All’ufficiale era stato assegnato il comando dell’aeroporto di Grosseto (competente sul sito radar di Poggio Ballone, ndr) in successione al colonnello Tacchio Nicola». Non emerge alcun collegamento diretto con Ustica, «a meno di non supporre»,  ribadisce Priore  «che in quell’aeroporto sussistessero ancora nell’agosto di quell’anno prove di una verità difforme da quella ufficiale; che quel colonnello ne fosse a venuto a conoscenza; che comunque egli non fosse persona affidabile nel senso che avrebbe potuto denunciarle all’Autorità Giudiziaria o alla pubblica opinione». 




Quando i magistrati inquirenti chiesero nell’88 l’elenco del personale in servizio la sera del 27 giugno 1980, si resero conto che erano stati omessi due nomi significativi: quelli del capitano Maurizio Gari e del marescialloAlberto Maria Dettori, entrambi in servizio quel giorno. Gari era il responsabile della sala radar del 21° Cram; Dettori aveva il compito invece di identificare i velivoli. Entrambi sono morti. Maurizio Gari, 32 anni, non affetto da cardiopatie, il 9 maggio 1981 è stato comunque stroncato da un infarto. Dettori, invece, fu trovato impiccato ad un albero 26 anni orsono. «Altra morte ‘strana’» commenta il giudice istruttore Priore a proposito di Gari. Dalle scarne conversazioni telefoniche rintracciate «si denota un particolare interessamento dell’ufficiale per l’incidente del Dc9 Itavia - argomenta Priore - Certamente la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità all’inchiesta, anche sulla base di quanto accertato attraverso l’interpretazione dei dati radaristici e le tante scoperte sulla sala operativa da lui comandata, in cui quella sera prestavano servizio di certo il maresciallo guidacaccia De Giuseppe, e con ogni probabilità il maresciallo Dettori». 




Negli atti giudiziari, appunto, alla voce «decessi per i quali permangono indizi di collegamento con il disastro del Dc 9 e la caduta del Mig» figura anche il ‘suicidio’ per impiccagione del maresciallo AM, MarioAlberto Dettori (39 anni). Il sottufficiale, infatti, fu trovato impiccato ad un albero il 31 marzo ’87 alle ore 16, sul greto del fiume Ombrone, dal collega Michele Casella, nei pressi di Grosseto. Dettori nell’80 era controllore di Difesa Aerea - assegnato al turno Delta - presso il 21° Cram di Poggio Ballone. Così  argomenta il giudice istruttore Priore: «Se ha visto quello che mostravano gli schermi di quel Cram, che aveva visione privilegiata su tanta parte della rotta del Dc 9 e di quanto attorno ad esso s’è consumato, se ne ha compreso la portata, al punto tale da confessare a chi gli era più vicino che quella sera s’era sfiorata la guerra, ben si può comprendere quanto grave fosse il peso che su di lui incombeva. E quindi che, in uno stato di depressione, si sia impiccato. O anche - dal momento che egli stava diffondendo le sue cognizioni, reali o immaginarie, e non fosse più possibile frenarlo - che sia stato impiccato». 

Il 26 novembre ’90, la moglie Carla Pacifici, riferiva al giudice Priore che «non riusciva a spiegarsi il suicidio, in quanto suo marito aveva una gran voglia di vivere»; così come «non riusciva a comprendere le ragioni per cui non era stata mai eseguita l’autopsia sul cadavere». 

La litania di delitti impuniti continua. Il 25 marzo 1982 viene assassinato il professor Aldo Semerari, collaboratore dei servizi segreti militari, a conoscenza di segreti devastanti sulla strage nel Tirreno. Poco dopo, il primo aprile, muore, in circostanze nebulose, la sua assistente, Maria Fiorella Carrara, anch’essa depositaria del segreto dei  segreti. 

Anche la morte del sindaco di Grosseto - in carica nel 1980 - Giovanni Battista Finetti, il 23 gennaio 1983, rientra nella lista degli scomparsi sospetti. Il sindaco grossetano perde la vita in un incidente stradale sulla statale Scansanese nel comune di Istia d’Ombrone. Finetti aveva raccolto le confidenze di alcuni ufficiali dell’arma azzurra, secondo cui due caccia italiani si erano levati in volo dalla base della città toscana per inseguire e abbattere un Mig libico

Il 28 agosto 1988, a Ramstein (Germania), una settimana prima di essere interrogati dal giudice Priore, durante un’esibizione aerea delle Frecce Tricolori, ufficialmente a causa di “un errore di manovra” muoiono due veterani: i colonnelli Mario Naldini, di 41 anni (4.350 ore di volo) e Ivo Nutarelli, di 38 anni (4.250 ore di volo). “Una tragica fatalità” per l’allora capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, Franco Pisano. “Per quell’esercizio, il cardioide, le probabilità di collisione sono praticamente pari a zero” spiegò subito Diego Raineri, a quel tempo comandante della pattuglia acrobatica. Perfetti gli uomini, perfette le macchine, perfetto l’addestramento, calcolati i rischi: perché dunque è avvenuta la tragedia che ha mietuto, 59 morti e 368 feriti? I giornali Tageszeitung e Der Spiegelhanno ipotizzato un sabotaggio dei velivoli Aermacchi Mb 339, legato al precedente di Ustica. In effetti, Naldini e Nutarelli erano decollati la sera del 27 giugno ’80 da Grosseto a bordo di due F 104. Il loro caccia intercettore si alzò in volo alle 19,30 e tornò alla base alle 20,50, dieci minuti prima che il Dc 9 precipitasse. Che abbiano notato qualcosa che non dovevano vedere? «Di certo i due erano a conoscenza, come s’è dimostrato, di molteplici circostanze attinenti al Dc 9 e a quei velivoli che volavano in prossimità di esso» documenta Priore. L’imprenditore Andrea Toscani, interrogato dal giudice Priore ha rivelato le confessioni di Naldini. «Mario mi disse»: “Quella notte c’erano tre aerei. Uno autorizzato, due no. Li avevamo intercettati quando ci dissero di rientrare”.  

Sette anni prima, il 2 settembre 1981 a Rivolto (Udine), durante un’esercitazione moriva il colonnello Antonio Gallus, amico e collega degli ufficiali Naldini e Nutarelli. Si accingeva a fare importanti rivelazioni su Ustica. 

Il 20 marzo 1987, alle ore 19 viene assassinato a Roma con «dieci proiettili calibro 38 perforanti», attesta il rapporto della Polizia scientifica, il generale di squadra aerea Licio Giorgieri. Alle 19,40 giunge la rivendicazione dell’omicidio: «Il generale Licio Giorgieri era stato ucciso esclusivamente per le responsabilità da lui esercitate in seguito all’adesione italiana al progetto delle guerre stellari». Così si esprimevano i sedicenti terroristi dell’Unione combattenti comunisti, teleguidati dall’Intelligence anglo-americana. Il movente affidato al volantino venne però demolito pubblicamente da Giovanni Spadolini: «Giorgieri non aveva nessun rapporto diretto con l’iniziativa di difesa strategica. Il generale Giorgieri non apparteneva neanche al Comitato tecnico di controllo su tale impresa». Gli esperti di terrorismo lo definirono «un attentato anomalo». In realtà, all’epoca di Ustica, il generale triestino faceva parte dei vertici del Rai, il Registro aeronautico italiano, responsabile del quale era il generale Saverio Rana, «morto per infarto»: il primo a parlare di missili nell’imminenza della strage. Dell’omicidio Giorgeri si era occupato anche il giudice Santacroce (predecessore di Priore). Lo stesso Rana - che aveva ricevuto dall’amico Giorgieri tre fotocopie di tracciati radar - subito dopo la strage riferì al ministro Formica la presenza di un caccia vicino al Dc 9. 

Il 12 agosto ’88 muore il maresciallo del Sios, Ugo Zammarelli. Mentre passeggiava con un’amica sul lungomare di Gizzeria Marina, viene investito da una moto. Non viene effettuata alcuna autopsia. I suoi bagagli spariscono dall’albergo. Zammarelli in forza alla base Nato di Decimomannu, in Sardegna, non era in Calabria in vacanza, ma stava conducendo un’inchiesta personale sul Mig libico. 

Ancora una morte violenta: un altro maresciallo AM, Antonio Muzio, viene freddato con tre colpi di pistola al ventre, il primo febbraio ’91, a Pizzo Calabro. Nel 1980 era in servizio alla torre di controllo dell’aeroporto diLamezia Terme. Secondo Priore «il sottufficiale potrebbe essere venuto a conoscenza di fatti attinenti alla vicenda del Mig, di mene del capitano Inzolia e del maresciallo Molfa». Questi due carabinieri alla fine di giugno dell’80 cercavano un aereo militare sulla Sila.
  
Il 2 febbraio 1992, altra morte alquanto anomala, è quella del maresciallo dell’Arma azzurra, Antonio Pagliara. Rimase vittima dell’immancabile incidente stradale. Nell’80 era in servizio con funzioni di controllore di Difesa Aerea al 32° Cram di Otranto. Anche lui era in procinto di vuotare il sacco.

Sempre il 2 febbraio ’92, muore l’ex colonnello Sandro Marcucci, ufficialmente «a seguito di incidente aereo in un servizio di antincendio». Marcucci, 47 anni, pilota esperto, si schianta inspiegabilmente sulle Alpi Apuane col suo Piper. Nel 1980 era in servizio quale ufficiale pilota presso la 46ª Aerobrigata di Pisa. Soltanto 5 giorni prima Il Tirreno aveva pubblicato una sua intervista in cui aveva duramente attaccato il generale Zeno Tascio, comandante dell’aeroporto di Pisa dal ’76 al ’79, proprio sul caso della strage di Ustica. 

Il 12 gennaio 1993, è il turno di un personaggio parecchio scomodo. A Bruxelles viene assassinato a coltellate l’ex generale Roberto Boemio (58 anni). Il consulente dell’Alenia presso la NATO era un testimone chiave. Nel ’91, con buon anticipo aveva abbandonato l’Aeronautica. Le modalità dell’omicidio coinvolgono, secondo  la magistratura belga - che non ha ancora risolto il caso - i «servizi segreti internazionali». Secondo la ricostruzione del giudice Guy Laffineur «Gli aggressori si sono allontanati a bordo di una Ford Escort bianca, poi risultata rubata e alla quale era stata sostituita la targa». E’ stata tale circostanza a far pensare a un’azione ben preparata. Il delitto di Boemio rimane ancora un mistero. L’unica certezza è che l’alto ufficiale in pensione aveva cominciato a collaborare con la magistratura inquirente proprio sulla strage di Ustica. Non a caso, il suo nome compare tra i riscontri di innumerevoli contestazioni processuali fatte ai generali Bartolucci, Tascio, Ferri, Melillo. Proprio da Boemio, all’epoca della strage comandante della III Regione Aerea, dipendevano direttamente il Terzo Roc di Martinafranca in Puglia (nome in codice ‘Imaz’: cuore del sistema Nadge, di controllo USA) con le basi radaristiche di Jacotenente (Gargano), Marsala e Licola, coinvolte nell’allarme per la presenza di caccia non identificati nel cielo di Ustica e di una portaerei in navigazione nel Tirreno al momento dell’esplosione del Dc 9. Boemio s’era anche occupato di uno dei due Mig 23 fatti ritrovare da CIA E Sismi sulla Sila proprio il 18 luglio ’80, esattamente al termine di un’esercitazione aeronavale della NATO. Conclude il giudice Priore: 

«Sicuramente altra sua testimonianza inerente gli incidenti aerei in disamina, a seguito delle risultanze istruttorie emerse dopo le sue prime dichiarazioni, sarebbe risultata di grande utilità». Il generale Boemio conosceva i retroscena e poteva fornire elementi di prima mano. 

La tragica catena di morti sospette non si arresta. Infatti, il 2 novembre ’94 tocca a Giampaolo Totaro, 43 anni, ex ufficiale medico dell’Aeronautica Militare, dal 1976 all’84 in servizio presso la base delle Frecce Tricolori a Rivolto. Totaro è stato trovato impiccato accanto alla porta del bagno della sua abitazione. Ancora coincidenze. Innanzitutto gli anni trascorsi accanto agli amici Naldini, Nutarelli e Gallus. E poi la pubblicazione il 31 ottobre, prima del “suicidio” di varie rivelazioni che collegano Ustica alle Frecce e a Ramstein. Registra il referto giudiziario: «Le modalità dell’atto - la corda era attaccata a una sbarra poco più di un  metro di altezza - hanno indotto a qualche sospetto sulla realtà di un’azione suicidaria». 

Altro emblematico decesso. Il maresciallo dell’Aeronautica militare, Franco Parisi, 46 anni, fu trovato anche lui impiccato il 21 dicembre ’95, ad un albero alla periferia di Lecce. Nell’80 era controllore di Difesa Aerea nella sala operativa del 32° Cram di Otranto. Era di turno la mattina del 18 luglio ’80, quando sarebbe avvenuto il fantomatico incidente del Mig. Dichiara nell’ordinanza-sentenza il giudice Priore: «Erano emerse al tempo del suo primo esame testimoniale, nel settembre ’95, palesi contraddizioni nelle sue dichiarazioni, così come s’erano verificati incresciosi episodi con ogni probabilità di minacce nei suoi confronti». Citato a comparire una seconda volta, il 10 gennaio ’96, Parisi muore qualche giorno dopo aver ricevuto la convocazione giudiziaria. Nel novembre ’97 il Gip Vincenzo Scardia, aveva ordinato la riapertura del caso, che era stato archiviato in tutta fretta dal pm Nicola D’Amato, come ‘suicidio’. I familiari hanno sempre sollevato il sospetto che Franco Parisi ‘sia stato suicidato’. Il maresciallo fu bastonato? Fatto sta che i medici legali gli riscontrarono un’ematoma all’altezza della nuca, opportunamente fotografato dagli investigatori Digos di Lecce subito dopo il ritrovamento del cadavere. Tra gli aspetti oscuri dell’impiccagione, la compatibilità della lunghezza della corda trovata legata all’albero con la distanza dal suolo e la stessa altezza della vittima. Ma anche il rilasciamento dei muscoli del collo al quale era stretta la fune - è stato tale allorché il corpo del Parisi è stato lasciato penzolare nel vuoto - da far trovare il cadavere con i piedi poggiati per terra. Ci sono foto della polizia giudiziaria che lo confermano. 
«Come ben si vede analogie forti con il caso Dettori - argomenta il giudice Priore -. Entrambi marescialli controllori di sala operativa in un centro radar. Entrambi in servizio dinanzi al PPI, con funzioni delicatissime, rispettivamente la notte del 27 giugno e il mattino del 18 luglio. Venuti a conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali, rivelano la loro conoscenza in ambiti strettissimi, ma non al punto tale da non essere percepita da ambienti che li stringono od osteggiano anche in maniera pesante. E così ne restano soffocati».

Il delitto Ferraro - Roma, domenica 16 luglio 1995: via della Grande Muraglia Cinese 46. Il tenente colonnello dell’Esercito, Mario Ferraro, 46 anni, calabrese, distaccato al Sismi, esperto in informatica, traffici di armi, terrorismo internazionale, e segreti indicibili tra cui Ustica. Non ha alcun motivo per suicidarsi. La sua compagna Maria Antonietta nel tardo pomeriggio lo trova nel bagno di casa. Ferraro è impiccato inspiegabilmente con la cinghia dell’accappatoio, lunga poco più di un metro assicurata al tubo di un appendi asciugamano fissato al muro, a circa un metro e venti dal pavimento. La sua posizione è parecchio sospetta. Il fratello di Ferraro, Salvatore commenterà così ai giornalisti quello che ha visto: «Ho trovato Mario seduto per terra, aveva un’espressione serena, non quella di un uomo che ha compiuto un gesto disperato. L’avevo sentito al telefono venerdì, tre giorni prima: era tranquillo, non aveva manifestato alcuna apprensione». Parla anche Maria Antonietta: «Mario negli ultimi tempi era preoccupato, si sentiva pedinato. Quando era uscito per il gelato, ho sentito strani rumori, ero sul terrazzo, provenivano dall’ascensore del palazzo: lo scatto della fotocellula della porta si ripeteva a intervalli regolari per parecchi minuti, come se qualcuno cercasse di tenere aperta la porta dell’ascensore. Mario non può essersi suicidato». Parlando con i giornalisti, il procuratore capoMichele Coiro si lascia sfuggire che per lui la morte di Ferraro è un omicidio “vero e proprio”. Si indaga prima per suicidio, poi per omicidio. Il caso viene però archiviato su richiesta del pm Nello Rossi, dal Gip il primo ottobre 1999. Tuttavia, una delle quattro perizie ordinate dal pubblico ministero, evidenzia un’anomalia: la cinta dell’accappatoio con la quale si sarebbe tolto la vita Ferraro si sarebbe dovuta strappare, perché non avrebbe potuto resistere oltre i cinquanta chili di carico. Ferraro era un uomo robusto: pesava 86 chili, quindi ben oltre quel limite. Non è tutto. Sempre secondo la perizia meccanica le quattro viti a tassello che reggevano l’appendiasciugamano in ottone a cui Ferraro avrebbe assicurato la cinta, a poco più di un metro dal pavimento, sotto quel carico, avrebbero dovuto cedere, staccarsi dal muro. Invece Ferraro viene trovato quasi seduto a terra, con il collo leggermente reclinato, La cinta era intatta, l’ha tagliata Maria Antonietta nel disperato tentativo di salvargli la vita, e la staffa dell’appendi asciugamano era ancora salda alla parete. Anche la perizia istologica fa riferimento ad alcune stranezze: due ecchimosi sul collo, compatibili con un’azione di soffocamento, sono delle strozzature, pressioni eseguite in tempi diversi; mentre quella medico-legale e quella tossicologica parlano di suicidio. Anche Ferraro doveva essere interrogato sui fatti di Ustica.

Allora, chi uccide i testimoni scomodi? Il 26 dicembre ’95, i sedicenti ‘Nuclei per l’eliminazione fisica dei militari corrotti di Ustica’, depositano a Bologna, in via Saragozza, due bottiglie molotov sul pianerottolo del maresciallo AM, Giuseppe Caragliano, mai comparso nell’inchiesta sulla strage di Ustica, nell’80 in servizio al centro telecomunicazioni dello Stato Maggiore dell’arma azzurra. Un attentato annunciato da una serie di telefonate minatorie nell’abitazione del militare e alla questura di Bologna: “Andate in via Saragozza e fate sgomberare il palazzo dell’avvocato Leone, perché vogliamo far saltare in aria il maresciallo Caragliano”. Chi, se non gli apparati militari, potevano collegare Caragliano a Ustica, dal momento che tale legame non era mai stato ipotizzato neppure dagli inquirenti? E ancora: è soltanto un caso che l’attentato di Bologna arrivi a soli 5 giorni dalla notizia del “suicidio” del maresciallo Parisi? Che le minacce cominciano quando è nota ai soli investigatori la circostanza del ritrovamento nell’abitazione dell’ex generale dei carabinieri, al servizio del Sismi, Demetrio Cogliandrodell’archivio su Ustica? 


Conclude Priore nella sua sentenza-ordinanza: «Nei casi che restano si dovrà approfondire, giacchè appare sufficientemente certo che coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati». 

Missili - Il 22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Tirreno alla ricerca del relitto del Dc9. Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer (controllata dai servizi segreti transalpini) scandisce in francese la parola “misil”. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile. Le ricerche della società di Tolone vengono sospese tre giorni dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi dell’Ifremer, subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi, capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma. I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda operazione di recupero affidata a una società inglese. Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese” e di uno “Shafir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è “lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi gli ordigni sono usati dai caccia dei Paesi occidentali e mediorientali (Israele). Uno di quei missili -ancora in fondo al mare, a 3600 metri di profondità- è stato lanciato contro il Dc9. Le ultime scoperte dei periti di parte civile hanno confermato senza ombra di dubbio che il Dc 9 è stato abbattuto da un missile. La prova è costituita da 31 sferule d’acciaio (diametro 3 millimetri) trovate in un foro vicino all’attacco del flap con la fusoliera. La loro presenza può essere spiegata con l’esplosione vicino alla parte anteriore dell’aereo della testa a frammentazione di un missile. 

Le 5.600 pagine di requisitoria del giudice Priore parlano di una operazione militare condotta da Paesi alleati della quale gli italiani sono stati testimoni diretti. Nei tracciati radar si vede addirittura un elicottero decollato dal mare, presumibilmente da una portaerei, giungere nella zona del disastro prima che arrivassero, con deliberato ritardo, i soccorsi.A poca distanza dal luogo di ammaraggio dell'aereo civile staziona l'unità militare italiana Vittorio veneto che però non presta alcun soccorso. L'ultima testimonianza è di un ufficiale di macchina da me scovato ed intervistato che ho prontamente segnalato - unitamente ad altri tre testomoni deglie venti (tre ex militari dell'Aeronautica militare, perseguitati dall'Arma azzurra) ai magistrati titolari presso la Procura della Repubblica di Roma, attualmente dell'inchiesta (Maria Monteleone ed Erminio Amelio). 

Che cosa si è voluto insabbiare con tanto accanimento?  «E’ una questione di dignità nazionale” argomenta Daria Bonfietti, “ma i governi italiani che fanno? La riforma dei servizi segreti, per dare maggiore libertà agli uomini dell’Intelligence, per consentirgli di fare quello che vogliono».  

Memorie offuscate - 2 milioni di atti e numerose perizie. Tutti assolti: ben 4 generali dell’Aeronautica - all’epoca il massimo vertice dell’arma azzurra - imputati con l’accusa di «attentato contro gli organi costituzionali»,Lamberto Bartolucci, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica; Zeno Tascio, all’epoca dei fatti, responsabile del servizio informazioni operative segrete (Sios); Corrado Melillo, ex capo del terzo reparto della Stato Maggiore Aeronautica e poi sottocapo di Stato Maggiore della Difesa; carica che nel 1980 ricopriva l’altro generale imputato, Franco Ferri. I quattro alti ufficiali, secondo l’accusa, «hanno omesso di riferire alle autorità politiche e giudiziarie, informazioni riguardo la possibile presenza di altri aerei di varie nazionalità (statunitensi, francesi, inglesi) e di una portaerei di nazionalità non accertabile con sicurezza» sulla rotta del Dc 9 Itavia la sera del disastro; hanno taciuto notizie riguardanti «l’ipotesi di un’esplosione coinvolgente il velivolo ed i risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino-Ciampino e l’emergenza di circostanze di fatto non conciliabili con la caduta del Mig libico sulla Sila la mattina del 18 luglio 1980». Hanno inoltre fornito «informazioni errate» al fine di «impedire che potessero emergere responsabilità dell’Aeronautica Militare o di forze armate di Paesi alleati». Altri imputati erano i cosiddetti “007”: Francesco Pugliese, poi diventato generale, già capo di Civilavia; l’ex vicecapo del Sismi Nicola Fiorito De FalcoUmberto Alloro, Claudio Masci, l’ex responsabile della sezione controspionaggio del Sismi Pasquale Notarnicola e Bruno Bomprezzi. E’ intervenuta la prescrizione dei reati e la dichiarazione di non luogo a procedere per un’altra sessantina di altri ufficiali e sottufficiali italiani. “I quattro generali accusati in base all’articolo 289 del codice penale“, tuona l’ex senatrice Bonfietti, presidente dell’Associazione Familiari delle vittime di Ustica, “erano accusati di aver violato il loro dovere di fedeltà allo Stato, occultando le prove di un crimine. In nome di un’altra fedeltà ai loro occhi più grande e assoluta“. In altri termini, i militari avrebbero sistematicamente depistato le indagini e insabbiato le prove innalzando quello che è passato alla storia come Il muro di gomma reso ancora più inquietante dalla lunga catena di morti sospette tra i testimoni chiave.



Francia risponde alla rogatoria -  La Procura di Roma ha finalmente ottenuto dopo due anni risposte parziali riguardanti il traffico aereo la sera della tragedia: l’esecuzione di una esercitazione e la presenza di navi vicino alla zona in cui il velivolo precipitò. Intanto è stato ascoltato un pilota: "Vidi una flottiglia di navi".

A quasi 33 anni dalla strage di Ustica la nuova indagine sull’abbattimento del Dc9 dell’Itavia, che si portò via la vita di 81 passeggeri, tra cui 11 bambini, procede in silenzio. C’è una nuova testimonianza e dopo due anni la Francia ha risposto ad una rogatoria presentata dalla Procura della Repubblica di Roma per capire le “presenze” nei cieli e nel mare il 27 giugno 1980.

La rogatoria dalla Francia: traffico aereo e presenza navi. Le risposte alla richiesta di assistenza giudiziaria rivolte al governo francese ora sono al vaglio del procuratore aggiunto Maria Monteleone ed Erminio Amelio. Si tratta di una prima, voluminosa e parziale risposta alle domande degli inquirenti che attendono ora il completamento della fornitura di indicazioni. Tra i quesiti posti dai magistrati di piazzale Clodio, quelli riguardanti il traffico aereo la sera della tragedia: l’esecuzione di una esercitazione e la presenza di navi vicino alla zona in cui il velivolo precipitò. Quest’ ultima domanda assume particolare rilevanza anche alla luce della testimonianza di un pilota dell’Ati rintracciato per caso nelle ultime settimane, il quale ha riferito che la sera precedente il disastro sorvolò il largo di Ustica notando alcune navi tra cui una portaerei: circostanza, come riportato oggi da Repubblica, che potrebbe assumere un particolare rilievo. 

La nuova testimonianza di un pilota: “Vidi una flottiglia di navi”. “Sorvolai i cieli di Ustica al comando di un volo di linea Alitalia, il giorno prima e, ancora, qualche minuto prima che accadesse la tragedia - avrebbe raccontato il testimone al procuratore aggiunto Monteleone e al pm Amelio che hanno secretato il verbale -. Dopo alcuni minuti dal decollo dall’aeroporto di Palermo, sotto di me notai una flottiglia di navi: una che sembrava una portaerei e almeno altre tre-quattro imbarcazioni. Ho commentato con l’altro comandante questa presenza e quando seppi della tragedia pensai subito a quell’addensamento navale”. Un racconto “attendibile e circostanziato” secondo il giudice Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione. “Si integra perfettamente con quanto è stato accertato negli ultimi tempi ovvero con l’ipotesi di un missile partito da un aereo - ragiona il magistrato - Bisogna verificare la nazionalità della portaerei che si trovava nelle acque territoriali italiane. Non si può escludere che proprio dalla portarerei sia partito il Mig libico che si è poi abbattuto in Sila” sottolinea Imposimato, che della vicenda di Ustica si occupò tra il 1987 e il 1992, come membro del Copaco, il Comitato parlamentare di controllo dei Servizi segreti. “Attendiamo le indagini dei magistrati romani e le verifiche spero solo che non vengano apposti segreti di Stato. Questo bloccherebbe ancora una volta le indagini per accertare la verità. Ustica è ancora una ferita aperta”.

La tesi del missile è ormai stata certificata da una sentenza passata in giudicato; quella della Cassazione nel giudizio civile che ha visto lo Stato condannato a risarcire le famiglie delle vittime. Secondo i supremi giudici l’aereo fu abbattuto da un missile. L’inchiesta della procura di Roma è ripartita alcuni anni fa grazie alle dichiarazioni di Francesco Cossiga il quale disse di sapere che “c’era un aereo francese che si mise sotto il Dc 9 Itavia e lanciò un missile per sbaglio”.
di Gianni Lannes 

15 agosto 2013

F-35: un'altra figuraccia del governo italiano


F-35: UN’ALTRA FIGURACCIA DEL GOVERNO ITALIANO
È di poche ore fa la notizia che il TAR non ha fermato, ma anzi ha confermato, l’acquisto degli aerei da combattimento F-35 di fabbricazione USA, al centro dell’acceso dibattito dei mesi passati. Lo spirito battagliero della destra e della sinistra filoatlantiste, volto a promuovere ed incentivare l’acquisto di questi velivoli, ha trovato ampio spazio sui giornali e nei programmi televisivi dei mesi passati. Non sono mancati gli sproloqui come quelli del deputato PD Boccia, il quale aveva descritto questi aerei militari come “elicotteri” con i quali “si spengono incendi, trasportano malati, salvano vite umane”[1]. Sparate folcloristiche a parte, dai discorsi fatti si ricava l’impressione che questi aerei militari siano davvero necessari per la difesa dell’Italia e dell’Europa; come ricordato dal ministro della difesa Mario Mauro, l’Italia“ha il dover di essere nella pattuglia di testa quando si tratta di favorire la crescita della difesa europea”[2]. Con l’acquisizione di questi mezzi bellici prodotti della Lockheed Martin, a detta del ministro, l’Italia si ritroverebbe alla “testa” delle nazioni europee in materia difensiva.  Veramente un’enorme quantità di parole di elogio profusa non solo da parte delle cariche dello Stato, ma anche da giornalisti e presunti esperti del settore. Davanti alla grande accoglienza riservata agli F-35 da parte delle autorità italiane, ci si aspetterebbero anche dei riscontri concreti sulla necessità di adottare questi mezzi tecnologici all’avanguardia. Tra i veri esperti del settore, però, nessuno ha tessuto parole di elogio per gli F-35. Tra le persone che hanno definito l’F-35 come “il peggior aereo che abbiamo mai costruito”[3] c’è l’ingegnere Pierre Sprey, progettista dello storico aereo da combattimento F-16. Oltre al giudizio di una persona realmente competente in materia come Pierre Sprey, sta emergendo in queste ore, da alcuni documenti trapelati, che il Pentagono stia considerando la possibilità di cancellare il “Programma F-35” ossia l’intera produzione di una flotta di 2.443 aerei per una spesa totale di 391.2 miliardi di dollari[4]. La motivazione sarebbe dovuta oltre ai costi di produzione, anche agli esorbitanti prezzi da pagare per la manutenzione e modifica degli aeromobili. Se pensiamo che l’Italia, in questo periodo di crisi economica, oltre ad essersi già impegnata nell’acquisto dei dispositivi ha perfino modificato le portaerei appositamente per l’atterraggio e il decollo degli F-35, sostenendo una spesa non indifferente di 3,5 miliardi di euro[5], la situazione si fa davvero paradossale. La spesa per le modifiche delle portaerei è già stata fatta e dunque sembra inevitabile l’acquisizione del “prodotto”. Ma cosa succederebbe nel momento in cui gli USA, come già hanno fatto intendere in maniera velata, ammettessero l’inefficienza e l’inconsistenza tecnica di questo modello d’aereo? Probabilmente, al solito, gli elogi e le belle parole dei politici e degli “esperti” sarebbero presto dimenticate e relegate in un angolo remoto della (corta) memoria dei mezzi di comunicazione di massa, tacendo abilmente sui costi inutili già sostenuti dall’Italia per incrementare un apparato bellico che, allo stato attuale, non ha neppure ragione di esistere. Sembra piuttosto che la politica miri a soddisfare le richieste della lobby delle armi americana piuttosto che realmente investire in un progetto che porti reali benefici all’Italia e agli altri stati coinvolti nell’acquisto degli F-35. Paradossalmente, aerei da combattimento sviluppati decenni prima, sono molto più efficienti di questi “gioielli” della tecnologia e ancora oggi potrebbero tenere testa senza alcun problema ai complicatissimi F-35, dotati di scarsa manovrabilità e di difetti che li renderebbero estremamente vulnerabili nel caso di un confronto bellico. L’Italia, in campo internazionale, molto probabilmente, rimedierà un’altra incredibile batosta, a livello economico e di reputazione, se l’acquisto dovesse andare a buon fine. A questo punto l’unica speranza possibile sembra essere che il progetto F-35 venga abbandonato dagli USA e che il tutto cada nell’enorme dimenticatoio degli sprechi nostrani.
di Marco Nocera 



[1] http://www.blitzquotidiano.it/foto-notizie/francesco-boccia-f35-elicotteri-salvano-vite-umane-trasportano-feriti-1603379/
[2] http://www.corriere.it/politica/13_luglio_31/f35-ministro-mauro-gia-spesi-3-miliardi-per-portaerei_eaf30bfc-f9bd-11e2-b6e7-d24d1d92eac2.shtml
[3] http://it.ibtimes.com/articles/42365/20130203/f-35-pierre-sprey-presa-diretta.htm
[4] http://rt.com/usa/pentagon-f35-stealth-bomber-963/
[5] http://www.corriere.it/politica/13_luglio_31/f35-ministro-mauro-gia-spesi-3-miliardi-per-portaerei_eaf30bfc-f9bd-11e2-b6e7-d24d1d92eac2.shtml

14 agosto 2013

Confessione di un troll.


Lo ammetto. Sono stato un troll, ho agito in maniera politicamente disinteressata contro il M5S in maniera sistematica ed in maniera indirizzata da persone interessate.
Però negli ultimi tempi ho cominciato a capire che non era più giusto andare avanti così, non era più giusto continuare ad essere la lunga e oscura mano di un potere ingiusto e inetto.Mentre venivo ricompensato per i miei servigi con qualche contratto a tempo determinato per la gestione di qualche piattaforma informatica di qualche 'amico' dei miei 'datori di lavoro' o con qualche altra miserevole paga da fame mio zio ha dovuto chiudere la sua attività strozzata da Equitalia e da bastardi che vanno in giro col Mercedes e non gli pagano le forniture. Da quel momento è caduto in profonda depressione e nel mio piccolo mi sento responsabile.

Andiamo però per ordine.Tutto comincia in Emilia-Romagna ai tempi delle ultime elezioni regionali.Io non ho mai seguito molto la politica, tanto più locale, ma da quel che mi hanno accennato i colleghi sò che all'epoca sorsero varie questioni (probabilmente pretestuose penso con il senno di poi) all'interno del 5 stelle romagnolo.

É in quel momento che subentra un soggetto, una fondazione locale parmense per la salvaguardia di qualche patrimonio culturale, interessato ad imbastire una campagna diffamatoria su internet per danneggiare il M5S operante nel consiglio regionale lombardo.

Da quel che mi è stato riferito da chi all'epoca operò nel sistema (e che mi passò vari dossier e varie chiavi di accesso di vari profili FB, Twitter, Youtube e del blog di Grillo) la campagna si risolse in un insuccesso certificato nel 2012 dall'elezione di Pizzarotti per il semplice motivo che non si era riuscito ad adeguare il linguaggio ed i vari commentatori (d'ora in avanti per comodità chiamati troll) venivano subito beccati ed identificati come tali.

Bisogna cambiare strategia svecchiando il gruppo di comunicazione, perciò vennero presi un gruppo di ragazzi sulla trentina tra i quali il sottoscritto, io fui l'ultimo ad arrivare.

In realtà la strategia stava già cambiando dagli inizi del 2012 quando mi dissero che a Parma giunse un esperto dal Piemonte, un grillino ben addentro alle cose del M5S, addirittura forse un consigliere comunale del 5 stelle. Non sono mai stati molto chiari sull'argomento, non che probabilmente ne sapessero più di tanto: non ci eravamo mai interessati di politica tra tutti e apprendevamo il minimo che ci serviva per operare.

Meno domande si facevano ai nostri referenti (una agenzia di comunicazione emiliana che ora ha chiuso i battenti) più guadagnavamo imparammo presto infatti.

La strategia era esplicata in un elenco di tre punti molto semplice che venne consegnato a tutti. Un semplice foglio di carta A4 stampato dal PC che presto imparammo tutti a memoria.Ogni punto entrava poi nel dettaglio dettagliando la strategia comunicativa, il linguaggio da adoperare, la grafica da applicare, gli argomenti, ecc... ma in breve si possono così riassumere

1) Doppio Binario: se da una parte dovevamo reclutare involontari altri nostri aiutanti con la faccia bella di chi vuole mettere attenzione sui supposti errori e pericoli del M5S che scorazzassero per il web a condividere i nostri link, dall'altra dovevamo cominciare a fare quello che in genere si chiama 'trollare' cominciando a rovinare discussioni e ad impedire la democratica discussione interna al M5S.

2) Colpire basso: bisognava fare perno in particolare sul passato di Grillo ricordando le sue condanne in maniera da fare parallelismo con Berlusconi, sul passato di Casaleggio, il suo essere stato l'artefice di campagne dell'IDV e alcune sue attività fallimentari (però non citando tal Sassoon ed i suoi supposti collegamenti d'oltre oceano), nonchè su altre questioni supposte di legalità inerenti al M5S .

3) Concentratori di attenzione: sotto questa definizione si esplicava in realtà il nucleo della nostra attività. Il punto 1 e 2 erano funzionali esclusivamente a questo: mentre da un lato si attirava l'attenzione con 'trollate', commenti sprezzanti o pagine e siti anti-M5S che accendevano non poche discussioni o flame, dall'altra, sfruttando proprio queste azioni, si inserivano all'interno di queste pagine falsi profili che si comportavano 'bene'. Segnalavano i troll duramente, ma con ironia, difendevano il M5S, si comportavano in maniera garbata, facevano proposte ecc...Questi quindi accogliendo il favore della platea (la cui attenzione era carpita da questi 'troll', che noi chiamiamo 'decoy') ne conquistavano i favori permettendo di muoversi in due direzioni (anche a seconda della piattaforma): o indirizzare notizie all'apparenza innocenti, ma in grado di colpire nostri attivisti e amministratori (l'attività è andata negli ultimi mesi molto in là riuscendo a mettere in difficoltà pure una parlamentare, prima che però la questione arrivasse ad un punto critico ci fu una telefonata di Beppe alla parlamentare che ci obbligò a ricominciare tutto da capo), o a seminare (sempre in maniera all'apparenza innocente e non voluta) idee discordanti all'interno del M5S (cosa che è avvenuta in particolare dopo alle elezioni al riguardo di un possibile accordo tra PD e M5S, caso nel quale mi è giunta voce che altri gruppi di operatori si siano spinti troppo all'aperto, tanto che alla nostra sezione nello stesso periodo ci fu consigliato di abbassare i toni e quasi 'eclissarci' per evitare che una pressione troppo alta portasse allo scoperto tutto il sistema).

Ora vi starete giustamente chiedendo: chi erano questi troll? Quali sono quelle pagine? Quali siti?

Per quanto riguarda i singoli profili cambiano costantemente, e a parti pochi, non durano più di due o tre mesi. Una volta assolta la loro funzione scompaiono.

Se volete i nomi dei miei colleghi non voglio farne, dovete capire che pur sbagliando lo fanno per stato di necessità, spesso o hanno figli a carico che devono mantenere o sono in altre brutte situazioni.

Inoltre spesso, a parte un paio che considero miei amici (e che con questa mia uscita comunque metto in difficoltà visto che ora sò che lavorano per un'altra agenzia di comunicazione con scopi simili a quella di questa esperienza), ne conosco solo il nome e a malapena riuscirei a riconoscerli.

Ci incontravamo ogni giovedì sera in un luogo diverso con il referente del mese. Ogni mese il referente del gruppo di comunicazione cambiava, veniva, ci parlava una mezz'ora dicendoci cosa fare e cose così e scompariva.

Per quanto riguarda le pagine ed i siti basta dirvi che sono sotto gli occhi di tutti. Non c'è pagina FB sopra i 50 utenti o sito web con un certo aggiornamento e numero di visite giornaliere nei quali bene o male questi gruppi di lavoro anti-M5S non siano impelagati...

Sono di 2 categorie principalmente (anche se abbiamo 'gradazioni' intermedie', in particolare nel campo dei blog):

A) Formali e politiche: all'apparenza fanno una seria opposizione al M5S senza esprime linee partitiche precise. In realtà servono a reclutare involontario nuovo personale che senza dir nulla andrà a diffondere le idee della pagina stessa, sò di un paio di casi nel quale c'erano utenti così convinti che ne sono diventati amministratori trasformando (in quel caso due pagine FB) quei due spazi in cuore pulsante di anti-M5S a sè stanti e al più ci si limitava ad indirizzare meglio i loro attacchi.

B) Prese in giro palesi: alla base di ogni intenzione di 'trolling', spesso (nel caso FB dove queste pagine sono riuscite ad avere un certo successo, quasi zero invece dal lato di blog creati ad hoc) quelle pagine veniva usate per fare trolling diretto sulle pagine del M5S. Queste pagine hanno avuto successo alterno e se si sono avuti casi clamorosi finiti pure sui media nazionali, se ne sono avuti altre che invece sono state segnate da un insuccesso totale. L'ultima tendenza, prima che l'agenzia chiudesse un mese e mezzo fa, era cercare di far perno sulle pazze idee portate avanti da persone che con il 5 stelle nulla hanno a che fare, ma che si professavano tali andando quindi a far perno su una confusione già esistente sul web: difesa degli animali estrema, teorema del complotto, metodi 'argentini' per i politici, ecc... L'obiettivo ultimo di queste pagine è solo generare confusione, degenerazione e dimostrare la supposta stupidità dei votanti M5S.

Vi prego di accogliere il mio appello quindi: fate attenzione, fate attenzione, fate attenzione!

E a chi è dentro il sistema vi prego di accettare il mio consiglio: non vi chiedo di uscire allo scoperto (il rischio di essere vittima di una persecuzione è troppo alta, neanche io infatti ci metto la faccia ne nome e cognome... anche se chi sà già probabilmente ha capito chi sono e farà di tutto per farmi licenziare dal mio nuovo e onesto lavoro), ma abbiate il coraggio di dire no.

L'Italia non può continuare a marcire così, è anche causa nostra se è in queste condizioni.

Dobbiamo dire basta al Dio Denaro e aprire la nostra mente.

Ogni volta che si pubblica un commento di sprezzo nel 5 Stelle si uccide una delle poche speranze rimaste al paese.

Non credetemi se volete, ma fate come vi dico. Ve ne prego.