15 dicembre 2009

Che fine ha fatto il futuro?


marc augè_ fondo magazineAlcuni anni fa era una sorta di moda. Erano comparsi articoli sui giornali e libri che davano indicazioni su come comportarsi e su cosa fare per aderire alla nascente corrente di pensiero. Un vero e proprio movimento che sosteneva la necessità, durante il corso della propria vita di buttare via tutto. In primo luogo il guardaroba. Non con le forme soft a noi note, dettate dalla moda che segue un’oscillazione semestrale che ci impone di modificare solo in parte il nostro vestiario ma con interventi ben più radicali che prevedevano non solo la messa a discarica completa del proprio guardaroba, ma anche lo svuotamento della casa da tutte quelle suppellettili e oggetti che nel corso degli anni tendono a colonizzare tutti gli spazi disponibili sopra i mobili, sulle pareti, sui tavolini, sugli scaffali, perfino in terra.

Questa scuola di pensiero si spingeva a dire che oltre al guardaroba e alla casa bisognava cambiare giro di amicizie, il lavoro, se possibile, fino a ipotizzare un reset pressoché completo del proprio personal computer per espungere tutti quei documenti che, anche qui, in forma virtuale, si condensano come un sottile strato di polvere che tende a riempire tutto, sommergendo ogni cosa senza possibilità di ritrovare quello che è stato sepolto.

Insomma, condensando, una specie di filosofia minimalista che si opponeva a quella cascata di cose che si affollano nella nostra memoria. Una filosofia della scopa che tende a spazzare via la presunta polvere accumulata negli anni. Una filosofia dell’acciaio cromato pronta a ripulire da tutte le incrostazioni il nostro ambiente, il nostro corpo, la nostra mente. Un tentativo lodevole, credevo, di tirare di nuovo a lucido la nostra vita che lentamente si arena con gli anni. Una sorta d’invito alla ripartenza di sacchiana memoria. Abbandonare tutte le meline. Recuperare l’iniziativa e la palla. Buttarsi verso la porta avversaria con rinnovato entusiasmo.

Così, inizialmente, quest’idea mi aveva solleticato. Tra l’altro nel frattempo era uscito Nudi e crudi di Alan Bennett che narra una stravagante storia anche divertente che inizia con i due protagonisti che devono, nello straniamento più totale, reinventarsi un’intera vita e uno stile dopo che sono stati svaligiati in uno strano modo. Tutta la loro casa viene svuotata. Nessun mobile, nessun vestito, nessun quadro, nessuna fotografia viene lasciata. Un azzeramento completo, uno svuotamento che dovrebbe rappresentare, almeno per i fedeli di questa nuova filosofia, un inizio colmo di aspettative e futuro.

Poi, come sempre mi succede, ho cominciato a ruotare intorno a questa idea, con la solita lenta, incessante traiettoria obliqua che disegna centri concentrici. Come uno squalo che ha puntato la preda e si attarda circospetto prima di azzannarla, questa storia del disfarsi di tutto, del resettare, mi è cominciata ad apparire sotto la sua vera luce. Una luce da incubo. Come quelle luci al neon degli obitori, bianche, irreali, fredde. Quelle luci che fanno chiarore ma che ti mettono un brivido nella schiena. Quelle luci cariche di buio insomma, foriere di angoscia.

In fin dei conti, mi sono detto, io non sarei mai capace di disfarmi di tutta quella robaccia inutile che conservo e che non ha nessuna utilità se non ricordarmi un volto, un giorno, una voce.

Mi disturbava soprattutto, in questa nuova filosofia di vita, il reset del personal computer che mi è apparso sotto il suo vero e perverso cono di luce.

Il reset del PC equivale a quella pratica immonda che veniva dispensata a quelli che si chiamavano i matti per indurli ad azzerare il loro io e per riportare la loro mente torturata ad uno stato di tabula rasa su cui poi riedificare una personalità nuova e non più identica all’intricato coacervo di meandri che rappresentava però la loro specificità e ragione: l’elettrochoc. Il reset del PC mi è apparso appunto come l’infamia inferta dall’elettrochoc su quelle menti con le quali non posso che non solidarizzare.

Insomma la nuova filosofia in nome di una novella promessa di vita ci vuole scippare il passato senza prospettarci un futuro.

Tutto questo mi è affiorato alla mente dopo aver letto Che fine ha fatto il futuro? di Marc Augé edito da Eleuthera che tratta appunto del tempo e di come al tempo della surmodernità il futuro appaia appunto scomparso, scippato da un’accelerazione imposta che lo ha risucchiato sottraendocelo.

In realtà il titolo originale Où est passé l’avenir? molto più di quello dell’edizione italiana pone l’accento sul vero problema del nostro tempo surmodernizzato. Sia il passato che il futuro vengono ingoiati dal nostro tempo che ci regala quella che può ben essere definita come una vera e propria dittatura del presente.

Intendiamoci subito. Che il presente sia l’unica epoca che c’è dato vivere è fuori dubbio, ma che possa, nelle attuali condizioni, essere configurata come una dittatura è altrettanto inequivocabile.

Il presente si può ovviamente eternare, fissando l’attimo e dilatandolo all’infinito per riempire tutto e per fermare il tempo. Splendida rappresentazione di questa benedizione del presente, tra le molte citabili, resta Giosuè che chiede al suo Dio di fermare il corso del sole. “E il sole si fermò”. Rallentandone il ritmo, il tempo rallenta e si dilata permettendoci una piena vita qui e ora. Ma il punto di partenza del testo di Augè è diametralmente opposto a questo rallentamento. La surmodernità impone un’accelerazione sempre maggiore al tempo presente e costringe noi a seguirla se non vogliamo essere espulsi da questo vortice.

L’accelerazione comporta, oltre una certa soglia, che il presente s’imballi, come quando le gambe di un podista, arrivate al loro punto massimo di spinta, non riescono più a mordere il terreno, sprofondando in una sorta di sabbie mobili. È in questa situazione che l’attimo presente, invece di dilatarsi fino a fermare il tempo, diventa solo e semplicemente una scheggia impazzita, inserita in un divenire vorticoso composto di singoli momenti pulsanti sempre meno collegati tra di loro. È come se il film della nostra storia fosse proiettato da una cinepresa che non è in grado di riprodurre tutti i fotogrammi che si susseguono nella pellicola che scorre troppo velocemente per le sue possibilità tecniche. Il proiettore “imballato” ci farà assistere a una proiezione di singoli fotogrammi che vanno sovrapponendosi uno all’altro, ma che sono tra loro scollegati, impedendoci di percepirne il senso. È così che, nell’accelerazione della surmodernità, il nostro racconto si frammenta, si scollega dal passato, non ha più proiezioni sul futuro. L’accelerazione, dopo aver inghiottito il passato e rarefatto il futuro, sminuzza, in singoli atti insignificanti (nel senso di privi di senso), il nostro presente. In questo modo si assiste alla frantumazione del racconto e della storia (individuale e collettiva) in tante schegge, che ci scippano non solo del passato e del futuro ma che trasformano il nostro presente in una corsa, sempre più impazzita, verso un dove che non esiste più. Viviamo come in una comica dei tempi del cinema muto in cui l’esasperato movimento dei protagonisti induceva alle risa. Ognuno di noi assume la tragica maschera priva di sorriso di Buster Keaton.

Marc Augé, dopo aver analizzato in maniera cristallina, la perdita di senso che la surmodernità ha nei confronti dei luoghi, trasformati in non luoghi proprio dalla perdita del loro senso, si fa carico di descrivere anche l’altro parametro fondamentale delle nostre vite: il tempo, fissandone, anche qui, in maniera non equivoca la sua perdita di senso.

Ciò che appare chiaro è che la nascita del non luogo e del non tempo è necessaria alla struttura della surmodernità, che non saprebbe che farsene d’individui ancorati al luogo e al tempo. La surmodernità ha ricreato un tessuto spaziotemporale privo di senso proprio perché ha necessità di avere a disposizione individui privi di senso, o meglio con un unico senso totalitario: quell’uomo a una dimensione che è un dimensione a due teste il produttore/consumatore anonimo che, deprivato del senso dello spazio e del tempo, può essere impiegato (schiavizzato) in qualunque luogo ed in qualunque contesto temporale senza che ne risenta affatto. Si procede dunque verso la più totale e straniante delle trasformazioni, dall’individuo al non-individuo, un accessorio della produzione nonché un tubo digerente inserito nel nuovo panorama del non-spazio e del non-tempo.

Il capitolo finale è riservato da Augé a una speranza positiva e progressiva che corrisponde probabilmente all’ottimismo illuminista che ancora un po’ permea il suo pensiero e che io invece non condivido. Il compito di ristabilire il senso della storia e della nostra storia spetterebbe, per Augè, alla scuola che, come ultimo baluardo dell’insegnamento, dovrebbe preservare, trasferendola, la conoscenza che per sua definizione si opporrebbe all’accelerazione distruttrice di ogni sapere della surmodernità.

È questa flebile speranza di Augé che mi trova in assoluto dissenso.

In un mondo sempre più accelerato, in cui il mito della flessibilità ha travolto ogni cosa, il valore percepito della scuola è cambiato profondamente e il suo annullamento è testimoniato dall’autorità nulla che hanno i professori che almeno formalmente ne sono i sacerdoti.

Il sapere in un mondo ultraflessibile è un impedimento, una tara, un peso che non può essere sopportato da un individuo cui è richiesta l’acquisizione di sempre nuove competenze. L’aggiornamento professionale spinto all’eccesso genera una pletora di analfabeti di ritorno. Individui che non hanno nessun interesse a ricordare le loro sapienze del giorno prima che sono viste come un inutile orpello e un impedimento all’apprendere quello che è necessario oggi. La scuola che, per far sedimentare una qualsivoglia nozione nelle menti degli studenti, deve basare il suo metodo sul ricordo, si scontra apertamente (perdendo la partita) con il nuovo mondo surmoderno che costringe all’apprendimento di nuove competenze con una velocità che non permette la sedimentazione della conoscenza. La surmodernità non cerca il ricordo, ingombrante e impegnativo, ma l’oblio che ci rende vergini per nuove conoscenze ma mutilati e privi di personalità e spessore.

Il metodo è quello del continuo reset delle nostre menti che permette, da un lato, di liberarci dalle conoscenze passate non più utili e, dall’altro, di fare spazio in una mente per forza di cose limitata.

In fin dei conti se si chiede agli abitatori della surmodernità di cambiare lavoro, competenze, casa e abitudini ogni tre mesi non è pensabile adottare un modello di vita che privilegi il lavoro stabile, le relazioni sociali durature, le conoscenze acquisite e sedimentate nella testa. Quello che serve non è una biblioteca nella propria casa, fatta di libri ingombranti, pesanti, difficili da trasferire spazialmente. Quello che serve è un instant book non più cartaceo ma digitale, che può essere letto, utilizzato, dimenticato senza che questo lasci tracce durature in noi. Questo modello ha bisogno di TV e non di libri, di talk show e non di giornali con pagine di approfondimento.

Un tempo si diceva che passato il periodo dei sogni (l’adolescenza) si entrava nel periodo dei segni (l’età adulta) e che ci si doveva alla fine confrontare con le proprie rughe e con le proprie cicatrici interiori. La surmodernità con una promessa fallace: l’eterna giovinezza (considerata come l’indefinita estensione dell’adolescenza), raggiunta con il moto perpetuo patologico della vita precarizzata, con le lusinghe della chirurgia estetica, con le promesse della chimica, ci crocifigge alla ruota incessante del Karma che vorticosamente gira accelerando, trasformandoci in una battigia spazzata dalle onde dove ogni orma impressa nella sabbia dura solo per l’intervallo tra un’onda e un’altra senza lasciar traccia di nessun passaggio.

Così ci vogliono (e a questo bisogna ribellarsi).

di Mario Grossi

08 dicembre 2009

Questo è il Potere

Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?”, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici…”. Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.
Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere. E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro.
Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti”. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.

E’ nell’aria
Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene gli coli addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.
Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati. Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.

Primo organo: Il Club
Il primo organo del Potere è il Club, cioè il raggruppamento in posti precisi ed esclusivi dei veri potenti. Chi sono? Sono finanzieri, industriali, ministri, avvocati, intellettuali, militari, politici scelti con cura. Fate attenzione: questo Club non sta mai nei luoghi che noi crediamo siano i luoghi del potere, cioè nei parlamenti, nelle presidenze, nelle magistrature, nei ministeri o nei business. Esso è formato da uomini e da donne provenienti da quei luoghi, ma che si riuniscono sempre all’esterno di essi ed in privato. Come dire: quando quegli uomini e quelle donne siedono nelle istituzioni democratiche sono solo esecutori di atti (leggi, investimenti, tagli…) che erano stati da loro stessi decisi nel Club. Esso assume nomi diversi a seconda del luogo in cui si riunisce. Ad esempio: prende il nome di Commissione Trilaterale se i suoi membri si riuniscono a Washington, a Tokio o a Parigi (ma talvolta in altre capitali UE). I fatti principali della Trilaterale: nasce nel 1973 come gruppo di potenti cittadini americani, europei e giapponesi; dopo soli due anni stila le regole per la distruzione globale delle sinistre e la morte delle democrazie partecipative, realmente avvenute; afferma la supremazia della guida delle elite sulle masse di cittadini che devono essere “apatici” e su altre nazioni; ha 390 membri, fra cui i più noti sono (passato e presente) Henry Kissinger, Jimmy Carter, David Rockefeller, Zbigniev Brzezinski, Giovanni Agnelli, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Peter Sutherland, Alfonso Cortina, Takeshi Watanabe , Ferdinando Salleo; assieme ad accademici (Harvard, Korea University Seoul, Nova University at Lisbon, Bocconi, Princeton University…), governatori di banche (Goldman Sachs, Banque Industrielle et Mobilière Privée, Japan Development Bank, Mediocredito Centrale, Bank of Tokyo-Mitsubishi, Chase Manhattan Bank, Barclays…) ambasciatori, petrolieri (Royal Dutch Shell, Exxon…), ministri, industriali (Solvay, Mitsubishi Corporation, The Coca Cola co. Texas Instruments, Hewlett-Packard, Caterpillar, Fiat, Dunlop…) fondazioni (Bill & Melinda Gates Foundation, The Brookings Institution, Carnegie Endowment…). Costoro deliberano ogni anno su temi come ‘il sistema monetario’, ‘il governo globale’, ‘dirigere il commercio internazionale’, ‘affrontare l’Iran’, ‘il petrolio’, ‘energia, sicurezza e clima’, ‘rafforzare le istituzioni globali’, ‘gestire il sistema internazionale in futuro’. Cioè tutto, e leggendo i rapporti che stilano si comprende come i loro indirizzi siano divenuti realtà nelle nostre politiche nazionali con una certezza sconcertante.

Quando il Club necessita di maggior riservatezza, si dà appuntamento in luoghi meno visibili dei palazzi delle grandi capitali, e in questo caso prende il nome di Gruppo Bilderberg, dal nome dell’hotel olandese che ne ospitò il primo meeting nel 1954. I fatti principali di questa organizzazione: si tratta in gran parte degli stessi personaggi di cui sopra più molti altri a rotazione, ma con una cruciale differenza poiché a questo Gruppo hanno accesso anche politici o monarchi attualmente in carica, mentre nella Commissione Trilaterale sono di regola ex. Parliamo in ogni caso sempre della stessa stirpe, al punto che fu una costola del Bilderberg a fondare nel 1973 la Commissione Trilaterale. Il Gruppo è però assai più ‘carbonaro’ della Trilaterale, e questo perché la sua originaria specializzazione erano gli affari militari e strategici. Infatti, in esso sono militati diversi segretari generali della NATO e non si prodiga facilmente nel lavoro di lobbistica come invece fa la Commissione. La peculiarità dirompente del Bilderberg è che al suo interno i potenti possono, come dire, levarsi le divise ed essere in libertà, cioè dichiarare ciò che veramente pensano o vorrebbero privi del tutto degli obblighi istituzionali e di ruolo. Precisamente in questo sta il pericolo di ciò che viene discusso nel Gruppo, poiché in esso i desideri più intimi del Potere non trovano neppure quello straccio di freno che l’istituzionalità impone. Da qui la tradizione di mantenere attorno al Bilderberg un alone di segretezza assoluto. I partecipanti sono i soliti noti, fra cui una schiera di italiani in posizioni chiave nell’economia nazionale, cultura e politica. Non li elenco perché non esistendo liste ufficiali si va incontro solo a una ridda di smentite (una lista si trova comunque su Wikipedia). Un fatto non smentibile invece, e assai rilevante, è la cristallina dichiarazione del Viscount Etienne Davignon, che nel 2005 fu presidente del Bilderberg, rilasciata alla BBC: “Agli incontri annuali, abbiamo automaticamente attorno ai nostri tavoli gli internazionalisti… coloro che sostengono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea.” Cioè: i primatisti del Libero Mercato con potere sovranazionale ( si veda sotto), e i padrini del Trattato di Lisbona, cioè il colpo di Stato europeo con potere sovranazionale che ci ha trasformati in cittadini che verranno governati da burocrati non eletti. Di nuovo, i soliti padroni della nostra vita, che significa decisioni inappellabili su lavoro, previdenza, servizi sociali, tassi dei mutui, costo della vita ecc., prese non a Palazzo Chigi o all’Eliseo, ma a Ginevra o a Brussell o nelle banche centrali, dopo essere state discusse al Bilderberg.
Per darvi un’idea concreta di come questi Club e gli altri organi del Potere siano in realtà un unico blocco che si scambia sempre gli stessi personaggi, vi sottopongo la figura di Peter Sutherland. Costui lo si è trovato a dirigere la British Petroleum , la super banca Goldman Sachs, l’università The London School of Economics (una delle fucine mondiali di ministri dell’economia), ed è stato anche Rappresentante Speciale dell’ONU per l’immigrazione e lo sviluppo, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (secondo organo del Potere), membro della Commissione Europea (il super-governo d’Europa), e ministro della Giustizia d’Irlanda. E, ovviamente, membro sia della Commissione Trilaterale che del Gruppo Bilderberg.

Secondo organo: Il colosso di Ginevra
Si chiama Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nacque nel 1994 ed è più potente di qualsiasi nazione o parlamento. Riunisce 153 Paesi in un’unica sede a Ginevra, dove essi dettano le regole del commercio internazionale, e ciò dicendo capirete che stiamo parlando di praticamente tutta l’economia del mondo produttivo, che lì viene decisa. Cioè fette enormi dei nostri posti di lavoro, di ciò che compriamo, mangiamo, con cui ci curiamo ecc., cose della nostra vita quotidiana, non astratte e lontane. Le decidono loro, e come nel caso della nuova Europa del Trattato di Lisbona, anche al WTO le regole emanate, dette Accordi, sono sovranazionali, cioè più potenti delle leggi nazionali. E come nel caso del Trattato, diviene perciò cruciale che regole così forti siano decise in modo democratico. Nel Trattato non lo sono, e al WTO? Neppure. Infatti la sua organizzazione di voto è falsata dallo strapotere dei soliti Paesi ricchi nel seguente modo: i Paesi poveri o meno sviluppati non posseggono le risorse economiche e il personale qualificato in numeri sufficienti per poter seguire il colossale lavoro di stesura degli Accordi del WTO (27.000 pagine di complicatissima legalità internazionale, 2.000 incontri annui), per cui ne sono tagliati fuori. Chi sta al timone è il cosiddetto gruppo QUAD, formato da Usa, Giappone, Canada ed Europa. Ma l'Europa intera è rappresentata al tavolo delle trattative del WTO dalla Commissione Europea, che nessun cittadino elegge, e per essere ancora più precisi vi dico che in realtà chi decide per tutti noi europei è un numero ancora più ristretto di burocrati: il misterioso Comitato 133 della Commissione, formato da specialisti ancor meno legittimati. La politica italiana di norma firma gli Accordi senza neppure leggerli.
Se un Paese si oppone a una regola del WTO può essere processato da un tribunale al suo interno (Dispute Settlement Body), dotato di poteri enormi. Questo tribunale è formato da tre (sic) individui di estrazione economico-finanziaria, le cui sentenze finali sono inappellabili. Una sentenza del WTO può penalizzare o persino ribaltare le scelte democratiche di milioni di cittadini, anche nei Paesi ricchi. Per esempio, tutta l’Europa è stata condannata a risarcire gli USA con milioni di euro perché si è rifiutata di importare la carne americana agli ormoni. Neppure gli Stati Uniti hanno potere sulle decisioni del WTO. Il presidente Obama, sotto pressione dai cittadini a causa della catastrofe finanziaria dello scorso anno, aveva deciso di imporre nuove regole restrittive delle speculazioni selvagge delle banche (la causa della crisi). Ma gli è stato sbarrato il passo proprio da una regola del WTO, che si chiama Accordo sui Servizi Finanziari, e che sancisce l’esatto contrario, cioè proibisce alla Casa Bianca e al Congresso di regolamentare quelle mega banche. E sapete chi, anni fa, negoziò quell’accordo al WTO? Timothy Geithner, attuale ministro del Tesoro USA, che è uno dei membri del Gruppo Bilderberg. Fa riflettere.

Vi do ancora un’idea rapida del potere del WTO. Gli Accordi che ha partorito:

1) hanno il potere di esautorare le politiche sanitarie di qualunque Paese, incrinando il vecchio Principio di Precauzione che ci tutela dallo scambio di merci pericolose (WTO: Accordo Sanitario- Fitosanitario).

2) tolgono al cittadino la libertà di sapere in quali condizioni sono fatte le merci che acquista e con che criteri sono fatte, inoltre ostacolano l’uso delle etichette a tutela del consumatore (WTO: Accordo Sanitario-Fitosanitario & Accordo Barriere Tecniche al Commercio, con implicazioni sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dell'ambiente).

3) impongono ai politici di concedere alle multinazionali estere le stesse condizioni richieste alle aziende nazionali nelle gare d’appalto, a prescindere dalla necessità di favorire l’occupazione nazionale; e minacciano le scelte degli amministratori locali nel caso volessero facilitare l'inserimento di gruppi di lavoratori svantaggiati, poiché tali politiche sono considerate discriminazioni al Libero Mercato (WTO: Accordo Governativo sugli Appalti - Principio del Trattamento Nazionale ecc.).

4) accentrano nelle mani di poche multinazionali i brevetti della maggioranza dei principi attivi e delle piante che si usano per i farmaci o per l'agricoltura, poiché permettono la brevettabilità privata delle forme viventi e tutelano quei brevetti per 20 anni. Inoltre, il fatto che i brevetti siano protetti dal WTO per 20 anni sta alla base anche della mancanza di farmaci salva vita nei Paesi poveri. (WTO: Accordo TRIPS sulla Proprietà Intellettuale).

5) stanno promuovendo a tutto spiano la privatizzazione e l’apertura al Libero Mercato estero di praticamente tutti i servizi alla cittadinanza, anche di quelli essenziali come sanità, acqua, istruzione, assistenza agli anziani ecc., con regole che impediranno di fatto agli amministratori locali la tutela dei cittadini meno abbienti che non possono permettersi servizi privati (WTO: Accordo GATS in fase di negoziazione).
E ricordo, se ce ne fosse bisogno, che questi Accordi sono vincolanti su qualsiasi legge nazionale, esautorando quindi i nostri politici dalla gestione della nostra economia nei capitoli che contano.

Terzo organo: I suggeritori.
Prendete un disegno di legge e un decreto in campo economico, persino una finanziaria. Pensateli nelle mani dei politici che li attuano, e ora immaginate cosa gli sta dietro. Cosa? I ‘suggeritori’. Chi sono? Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.
In ordine di potenza di fuoco, vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane. Parto da queste ultime. Va detto subito che nel nostro Paese l’interferenza dei ‘suggeritori’ non ha mai raggiunto i livelli di strapotere degli omologhi americani o europei, il cui operato tuttavia detta legge per contagio anche in casa nostra. Ma nondimeno essa c’è, e non va trascurata, anche perché in Italia esiste un vuoto normativo totale sull’attività delle lobbies: dopo decine di proposte di legge, nessuna di esse è mai approdata alla Gazzetta Ufficiale. I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti , fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’Alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni Istituzionali, Burson-Marsteller, Beretta-Di Lorenzo & partners…). La proiezione per il futuro dei ‘suggeritori’ italiani è di almeno diecimila unità entro dieci anni, almeno secondo le richieste dei gruppi più noti. In assenza di regole, dunque, le cose funzionano così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. In questo modo, con una stima basata sui bilanci passati, si calcola che il denaro sommerso versato alla politica italiana ammonti a diverse decine di milioni di euro all’anno, provenienti dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone). Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure; è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.

I ‘suggeritori’ americani… che dire. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. Troppo da raccontare, una storia immensa, che posso però riassumere con alcuni sketch. Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), montagne di morti (oltre 2 milioni), crimini di guerra, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? Risposta: i membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil; a servizio di Shell, Mobil, Union Carbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana, con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari.
Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama: nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il deretano dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei gaglioffi finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner gli hanno offerto una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose gli andranno bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti; se invece andranno male, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). E’ il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “Priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? Risposta: 38 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?

Poi ci sono i 45 milioni di americani senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi, ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Risposta: oltre 20 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina al punto da spingere uno di loro,
Robert L. Livingston, a sbottare entusiasta “Ci sono affari senza limiti per noi là fuori!”, mentre dalle finestre del suo ufficio spiava le sedi del Congresso USA.
Ma l’ultimo sketch del potere dei ‘suggeritori’, sempre in ambito americano, è quello delle lobby ebraiche. Qui il dibattito è aperto, fra coloro che sostengono che sono quelle lobby a gestire interamente la politica statunitense nel teatro mediorientale, e coloro che lo negano. Personalmente credo più alla prima ipotesi, ma la sostanza non cambia: di fatto ci troviamo ancora una volta di fronte alla dimostrazione che neppure il governo più potente del mondo può sottrarsi ai condizionamenti del Potere vero. Ecco un paio di illustri esempi: nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano reinvadeva i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma inaspettatamente durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America), AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”, in riferimento alle generose donazioni che quei gruppi elargiscono ai due maggiori partiti d’oltreoceano.

Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele, che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.
E in ultimo l’Europa, cioè l’Unione Europea. Che alla fine significa Brussell, cioè la Commissione Europea , che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo non eletto di tutti noi, con poteri immensi. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare.
E come sempre, eccovi i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Business Dialogue (TABD) - European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association e altri. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra cui cito una serie di nomi noti: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che fa anche armi), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Microsoft, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche , Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori…
Mi fermo. Il rischio nel continuare è che si perda di vista il punto capitale, ovvero l’assedio che i lobbisti pongono alla politica. Esso, oltre a dimostrare ancora una volta che il potere reale sta nei primi e non nella seconda, è un vero e proprio attentato alla democrazia. Poiché ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi delle maggioranze dei cittadini e tutelare le minoranze, non essere gli stuoini delle elite e dei loro ‘suggeritori’.

Quarto organo: Think Tanks
Letteralmente “serbatoi di pensiero” nella traduzione in italiano, le Think Tanks sono esattamente ciò, ovvero fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto che apre questa mia trattazione, e cioè che sono le idee a dominare sia la Storia che la politica, e di conseguenza la nostra vita, in particolare l’idea economica. Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle elite e alla fine della democrazia partecipativa dei cittadini (si legga ‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info). Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura qui, volendo dire che se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero le prime Think Tanks, come la Heritage Foundation , il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo tutto. Per darvi un’idea di che razza di impatto queste Think Tanks sono riuscite ad avere, cito alcuni fatti. Nel solo campo del Libero Mercato, cioè dell’idea economica del vero Potere, ve ne sono oggi 336, piazzate oltre che nei Paesi ricchi anche in nazioni strategiche come l’Argentina e il Brasile, l’Est Europa, l’Africa, l’India, la Cina , le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, oltre che in Italia (Adam Smith Soc., CMSS, ICER, Ist. Bruno Leoni, Acton Ist.). Alcune hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government , la The Boss , o la Philanthropy Roundtable ; una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti”. Di nuovo, il fatto è sempre lo stesso: la politica è la marionetta, o, al meglio, è il braccio esecutivo del vero Potere. Infatti, l’osservatore attento avrà notato che assai spesso i nostri ministri economici, i nostri banchieri centrali, ma anche presidenti del consiglio (Draghi e Prodi su tutti) si trovano a cene o convegni presso queste fondazioni/Think Tanks, di cui in qualche raro caso i Tg locali danno notizia. In apparenza cerimonie paludate e noiose, in realtà ciò che vi accade è che ministri, banchieri e premier vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982, l’Adam Smith pubblicò il notorio Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite di lavoratori ordinari, e dove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per il business e governi più marginali (sic)”. In altre parole tutto ciò che ha già divorato la vita pubblica in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e che sta oggi “sulla soglia del Parlamento” in Italia.

Quinto organo: l’Europa dei burocrati non eletti
Non mi ripeto, poiché questo capitolo è già esaustivamente descritto qui http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139. Ma ribadisco il punto centrale: dopo la ratifica del “colpo di Stato in Europa” che prende il nome di Trattato di Lisbona, 500 milioni di europei saranno a breve governati da elite di burocrati non eletti secondo principi economici, politici e sociali interamente schierati dalla parte del vero Potere di cui si sta trattando qui, e che nessuno di noi ha potuto scegliere né discutere. Il governo italiano ha ratificato questo obbrobrio giuridico senza fiatare, obbedendo come sempre.

Sesto Organo: il Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali
Era il 16 Settembre del 1992, un mercoledì. Quel giorno un singolo individuo decise di spezzare la schiena alla Gran Bretagna. Si badi bene, non al Burkina Faso, alla Gran Bretagna. E lo fece. George Soros, un investitore e speculatore internazionale, vendette di colpo qualcosa come 10 miliardi di sterline, causando il collasso del valore della moneta inglese che fu così espulsa dal Sistema Monetario Europeo. Soros si intascò oltre 1 miliardo di dollari, ma milioni di inglesi piansero lacrime amare e il governo di Londra ne fu umiliato.
Era l’agosto del 1998, e nel caldo torrido di New York un singolo individuo contemplò il crollo dei mercati mondiali per causa sua. John Meriwether, un investitore e speculatore internazionale, aveva giocato sporco per anni e irretito praticamente tutte le maggiori banche del mondo con 4,6 miliardi di dollari ad alto rischio. La sua compagnia, Long-Term Capital Management, era nota a Wall Street perché i suoi manager si fregiavano del titolo di ‘I padroni dell’universo’, cioè pochi individui ubriachi del proprio potere. Meriwether perse tutto, e i mercati del mondo, che alla fine sono i nostri posti di lavoro, tremarono. La Federal Reserve di New York dovette intervenire in emergenza col solito salvataggio a spese dei contribuenti.
Era l’anno scorso, e in un ufficio londinese dell’assicurazione americana AIG, un singolo individuo, di nuovo un investitore e speculatore internazionale di nome Joseph Cassano, dovette prender su la cornetta del telefono e dire alla Casa Bianca “… ho mandato al diavolo la vostra economia, sorry”. E lo aveva veramente fatto. Questa volta la truffa dei suoi investimenti era di 500 miliardi di dollari, le solite banche internazionali (italiane incluse) vi erano dentro fino al collo con cifre da migliaia di miliardi di dollari a rischio. Panico mondiale, fine del credito al mondo del lavoro di quasi tutto il pianeta e, sul piatto di noi cittadini, ecco servita la crisi economica più pericolosa dal 1929 a oggi. Ovvero le solite lacrime amare, veramente amare, per le famiglie di Toronto come per quelle di Perugia, per quelle di Cincinnati come per quelle di Lione, a Vercelli come a Madrid ecc. Per non parlare degli ultimi della Terra…

Tre storie terribilmente vere, che descrivono chiaro, anzi, chiarissimo, cosa si intende per il ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, e quale sia il loro sterminato potere nel mondo di oggi. Altro che Tremonti o Confindustria. Nel mondo odierno esiste una comunità di singoli individui privati capaci di movimentare quantità di ricchezze talmente colossali da scardinare in poche ore l’economia di un Paese ricco, o le economie di centinaia di milioni di lavoratori che per esse hanno faticato un’intera vita, cioè famiglie sul lastrico, aziende che chiudono. Le loro decisioni sono come sentenze planetarie. Inappellabili. Si pensi, se è possibile pensare un’enormità simile, che costoro stanno facendo oscillare sul Pianeta qualcosa come 525 mila miliardi di dollari in soli prodotti finanziari ‘derivati’, cioè denaro ad altissimo rischio di bancarotta improvvisa. 525 mila miliardi… Vi offro un termine di paragone per capire: il Prodotto Interno Lordo degli USA è di 14 mila miliardi di dollari. Rende l’idea? L’Italia dipende come qualsiasi altra nazione dagli investitori esteri, per cifre che si aggirano sui 40 miliardi di euro all’anno, cioè più di due finanziarie dello Stato messe assieme. Immaginate se una cifra simile dovesse sparire dalla nostra economia oggi. Nel 2008 è quasi successo, infatti ne sono scomparsi di colpo più della metà (57%) col risultato in termini di perdita di posti di lavoro, precarizzazione, e relativo effetto domino sull’economia di cui ci parla la cronaca. Ripeto: qualcuno che non sta a palazzo Chigi, decide che all’Italia va sottratto il valore di oltre un’intera finanziaria. Così, da un anno all’altro, una cifra pari a tutto quello che lo Stato riesce a spendere per i cittadini gli viene sottratta dal ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, a capriccio. Questa tirannia del vero Potere prende il nome tecnico di Capital Flight (letteralmente capitali che prendono il volo), ed è interessante constatare il candore con cui il ‘Tribunale’ descrive la pratica: basta leggere Investors.com là dove dice che “Capital Flight è lo spostamento di denaro in cerca di maggiori profitti… cioè flussi enormi di capitali in uscita da un Paese… spesso così enormi da incidere su tutto il sistema finanziario di una nazione”. Peccato che di mezzo ci siano i soliti ingombranti esseri umani a milioni. Oltre al caso italiano, si pensi alla Francia, altro Stato ricco e potente, ma non a sufficienza per sfuggire alle sentenze del ‘Tribunale’, che ha punito l’Eliseo con una fuga di capitali pari a 125 miliardi di dollari per aver legiferato una singola tassa sgradita al business.

Conclusione
Gli organi esecutivi del vero Potere non si limitano a questi sei, vi si potrebbe aggiungere il World Economic Forum, il Codex Alimentarius, l’FMI, il sistema delle Banche Centrali, le multinazionali del farmaco. Ma quelli menzionati sono gli essenziali da conoscere, i primari. Un’ultima brevissima nota va dedicata alle mafie regionali, che sono spesso erroneamente annoverate fra i poteri forti (e non posso purtroppo entrare qui nel perché siano un così caratteristico fenomeno italiano). La lotta ad esse è sacrosanta, ma il potere che gli verrebbe sottratto da una eventuale vittoria della società civile è prima nulla a confronto di quanto illustrato sopra, e in secondo luogo è comunque un potere concessogli da altri. Traffico di droga, prostituzione, traffico d’armi, e riciclaggio di rifiuti tossici sono servizi che le mafie praticano per conto di committenti sempre riconducibili al vero Potere, o perché da esso condizionati oppure perché suoi ingranaggi importanti. Serva qui quanto mostrato nel 1994 dal programma d’inchiesta ‘Panorama’ della BBC, dove un insider della criminalità organizzata britannica si rese disponibile a condurre il reporter nel cuore della “mafia più potente del mondo”, a Londra. L’auto su cui viaggiavano con telecamera nascosta si fermò a destinazione… nel centro della City finanziaria della capitale. Indicando dal finestrino i grattacieli dei giganti del business internazionale, il pentito disse: “Eccoli, stanno tutti lì”. (si pensi che il giro d’affari mondiale delle Cosche è stimato sugli 80 miliardi di dollari, che sono un terzo del giro d’affari di una singola multinazionale del farmaco come la Pfizer )

Se queste mie righe sono state efficaci, a questo punto i lettori dovrebbero volgere lo sguardo a quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano le sera nei nostri Tg con il prefisso On., o il suffisso PDL, PD, UDC, e dovrebbero averne, non dico pietà, ma almeno vederli per quello che sono: le marionette di un altro Potere. Ma soprattutto, i lettori dovrebbero finalmente poter connettere i punti del puzzle, e aver capito da dove vengono in realtà i problemi capitali della nostra vita di cittadini, o addirittura i drammi quotidiani che tante famiglie di lavoratori patiscono, cioè chi li decise, chi li decide oggi e come si chiamano costoro. Da qui una semplice considerazione: se vi sta a cuore la democrazia, la giustizia sociale, e la vostra economia quotidiana di lavoro e di servizi essenziali alla persona, allora dovete colpire chi veramente opera per sottrarceli, cioè il vero Potere. Ci si organizzi per svelarlo al grande pubblico e per finalmente bloccarlo. Ora lo conoscete, e soprattutto ora sapete che razza di macchina micidiale, immensa e possente esso è. Risulta ovvio da ciò che gli attuali metodi di lotta dei Movimenti sono pietosamente inadeguati, infantili chimere, fuochi di paglia, che mai un singolo attimo hanno impensierito quel vero Potere. Di conseguenza lancio un appello ancora una volta:

VA COMPRESO CHE PER ARGINARE UN TITANO DI QUELLA POSTA L’UNICA SPERANZA E’ OPPORGLI UN’ORGANIZZAZIONE DI ATTIVISTI E DI COMUNICATORI ECCEZIONALMENTE COMPATTA, FINANZIATA, FERRATA, DISCIPLINATA, SU TUTTO IL TERRITORIO, AL LAVORO SEMPRE, IMPLACABILE, NEI LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, PER ANNI.
Paolo Barnard

06 dicembre 2009

La crisi di Dubai è la crisi del sistema dei "salvataggi" centrato a Londra


Quella che viene chiamata la "crisi di Dubai" è in realtà il crollo del sistema monetario globale centrato a Londra. Lungi dall'essere un luogo periferico, Dubai svolge un ruolo chiave nell'organizzazione di riciclaggio dei proventi criminali dell'impero.

La cosiddetta crisi è diventata ufficiale il 25 novembre, quando Dubai World, l'azienda della famiglia reale dell'Emirato, ha chiesto una moratoria sui debiti di sei mesi. Dubai World ha circa 60 miliardi di dollari di debiti, la metà dei quali verso le banche europee. L'annuncio ha ovviamente provocato una frana nei mercati azionari di tutto il mondo, colpendo particolarmente i titoli bancari.

I debiti di Dubai World hanno finanziato una delle fantasie più bizzarre dell'attuale bisca finanziaria: trasformare il Dubai in un centro ricreativo internazionale creando isole artificiali, centri commerciali, hotel di lusso e torri vertiginose piene di ogni amenità, tranne che il buon gusto. Il sistema è sembrato funzionare per un po', ma poi il sistema finanziario è scoppiato, e i valori immobiliari sono crollati del 50%.

Ma l'ammontare del debito e dei valori immobiliari è quasi triviale, paragonato ai flussi di denaro sotterranei che formano l'economia di Dubai. Questo piccolo emirato è il centro del mercato nero dell'impero, la capitale finanziaria del flusso di denaro sporco della droga e di altre attività illecite. Dubai oggi svolge un ruolo simile a quello di Hong Kong all'inizio dell'Impero Britannico, e ospita nei suoi grattacieli i più potenti narcotrafficanti, tra cui i signori della droga dell'Afghanistan. Questo è il segreto della sua fortuna come centro finanziario.

Dubai è gestito completamente da Londra, costruito con soldi della City e da imprese di costruzione del Regno Unito. La maggior parte degli enti governativi ha un membro della famiglia reale come titolare, e un suddito britannico come vice e vero manager. Non dovrebbe sorprendere che lo sceicco Mohammed, il sovrano di Dubai, si è recato a Londra per incontrare la Regina Elisabetta, il Primo ministro Gordon Brown e altri dignitari della City nei giorni immediatamente precedenti all'annuncio di moratoria. Come ha poi dichiarato lo stesso sceicco, la cosa è stata "accuratamente pianificata in anticipo".

by Movisol

05 dicembre 2009

Seminare il pessimismo per dominare le masse

In questi giorni sto scrivendo parecchio di politica perche’ stanno iniziando a nascere i germogli di eventi molto violenti. Come capita in queste situazioni, tutti quelli che hanno un avversario si illudono che la violenza colpira’ principalmente l’avversario, e non si rendono conto del limite intrinseco dei potenti.

Nessun potente, infatti, sa distinguere tra un proprio simile ed un proprio strumento.

LA situazione politica italiana odierna e’ frutto di una strategia fin troppo visibile, che consiste nel rendere il popolo docile ed incapace di produrre progetti positivi di cambiamento. Lo si fa seminando il pessimismo. Non ci vuole molto: con la scusa dell’opposizione, la classe politica inizia a propagandare ogni difetto del sistema, ogni suo malfunzionamento, ogni suo piccolo o grande fallimento. Li amplifica, cosicche’ il piccolo fallimento locale venga percepito come un fallimento del sistema intero. Un pessimismo su scala sistemica.

Mediante questo bombardamento , la popolazione si convince lentamente di essere in una gabbia dalla quale non puo’ uscire. Si convince lentamente di essere intrinsecamente predestinata al fallimento. Una volta convinti interiormente di essere condannati al fallimento, essi accettano come alternativa solo qualcosa che non possa fallire: cio’ che non c’e’.

Cosi’, quei pochi che ancora lottano , lo fanno per delle utopie, per dei principi irrealizzabili, sostenendo qualcosa che non c’e'; sia una tecnologia alternativa per lo smaltimento dei rifiuti, sia un’idea di moralizzazione che non appartiene a questo mondo. Il pessimismo indotto dai media prosegue in questa direzione fino ad un punto di non ritorno.

Quello in cui la nazione perde il potere di pensare bene di se’ stessa nel suo complesso.

Dico che e’ un punto di non ritorno perche’ in questo momento collassa la societa’: gli individui pensano ognuno tutto il male possibile degli altri, e si convincono lentamente che , viste le infime caratteristiche di ogni loro condizionale (o della maggioranza), le cose non cambieranno mai. Lo stesso capita ai pochi gruppi organizzati locali: essi vivono nella convinzione che la condanna di tutti sia la stessa esistenza di ogni altro gruppo. In questo momento la nazione ha perso il potere di pensare bene di se’ stessa. La societa’ a quel punto collassa, e gli individui diventano atomi in agitazione senza relazioni con gli altri, e non solo: spesso impegnati nella via della solitudine, al solo scopo di evitare le relazioni con gli altri.

IN questo stato il popolo non accetta alcun progetto positivo come tale, perche’ ritiene che ci sia qualcosa di inevitabilmente fallimentare, che condannerebbe anche questo progetto al fallimento. Preferisce cosi’ lottare contro coloro che ritiene responsabili di tale pessimistica condanna al fallimento, ma non troppo, perche’ il pessimismo infuso dai media fa si’ che nessuno creda troppo nemmeno in questa vittoria. Tutti i progetti positivi cessano , e con essi la possibilita’ politica di proporli, annegati nel pessimismo diffuso dai mass media.

Quando la nazione perde il potere di pensare bene di se’ stessa nel suo complesso, cioe’ quando il singolo gruppo perde la capacita’ di ritenere positivo anche il contributo altrui, la propaganda ha terminato il suo lavoro; perche’ ha ottenuto un popolo che si ritiene condannato a fallire, ed e’ disposto (quando ancora decide di lottare) a lottare solo contro qualcun altro, di un altro pezzo di nazione.

In questo momento la casta al potere ha raggiunto il massimo della sua incontrastata potenza, perche’ il popolo essendo condannato dal pessimismo a non fidarsi di alcun progetto positivo non riuscira’ ad unirsi per spodestarla.

Paradossalmente, si e’ condannata a morte proprio in quel momento.

Il pessimismo che deriva dalla convinzione di essere condannati al fallimento, la rabbia di chi crede di vivere in una gabbia dalla quale non puo’ uscire, produce inazione. L’inazione porta gli individui alla poverta’ : laddove un immigrato vede il bengodi riesce a migliorare la propria condizione, milioni di cittadini del posto, ormai intrisi dell’inazione che viene dal pessimismo, scivolano verso la poverta’.

Il pessimismo e la poverta’ hanno una sola risultante: la violenza.

Non ho bisogno di dati laddove basta la logica(1), e so che in questo momento in italia masse di giovani si consegnano al pessimismo ed all’inazione, convinti che non ci sia modo alcuno di cambiare alcunche’, e per questo diventano sempre piu’ violenti. Il numero di atti di violenza tra giovani e’ destinato ad aumentare, e siccome questi giovani diventeranno adulti, anche il numero di atti violenti degli adulti e’ destinato ad aumentare, allo stesso ritmo della poverta’ (anche se non necessariamente tra le stesse persone) .

Il secondo sottoprodotto di pessimismo e poverta’ e’ il mito.

Quando l’essere umano pensa che al mondo non ci sia possibilita’ di cambiare nulla, inizia a rifugiarsi fuori dal mondo stesso. Ed inizia a partorire, in astratto, l’idea fissa della specie umana: il salvatore. Il salvatore e’ un essere mitologico , che puo’ essere un leader religioso o meno , che non essendo parte di questo mondo (almeno in parte, essendo un mito) sembra sfuggire alla condanna al fallimento cui i seguaci credono di essere inevitabilmente condannati.

Il mitico leader e’ un uomo, e spesso e’ un semplice dittatore con una buona propaganda (diventa un religioso se decide di usare la religione come strumento di governo) , e viene da un’area marginalissima,e poco visibile, della nazione. Quando dico poco visibile non intendo dire necessariamente “nascosta”, perche’ niente e’ piu’ nascosto di quello che non vogliamo guardare, come per esempio la poverta’.

Il leader prende la forma di mito (e per fare questo deve impedire ai media di avvicinarsi troppo a lui, in modo da controllare l’informazione su di se’ alla sorgente) mediante una propaganda che non lo dipinge come essere superiore, ma parla come se avesse carisma.

Il carisma e’ la capacita’ di rinunciare al proprio volto per indossare la maschera di qualche altissimo ente. Non importa, a questo punto, se l’ente sia davvero altissimo: una propaganda che indossa il suo volto al posto del proprio lo rende tale. Se qualcuno e’ disposto a perdere il proprio volto per indossare quello di X, allora questo X e’ davvero grande.(2)

Questo uomo-mito deve agire in un modo molto semplice.

Per prima cosa, occorre che i mass media abbiano un volto orribile. Occorre che il livello dello scontro mediatico diventi cosi’ infimo e orrendo da costringere la stampa a considerare i vantaggi di parlare con un altro volto. Quello dell’uomo-mito.

E’ quello che sta accadendo: la stampa e i mass media stanno cadendo sempre piu’ in basso, perdendo continuamente credibilita’. Da giornalisti sono diventati paparazzi, e stanno per diventare semplici guardoni. Quando tutti disprezzeranno abbastanza la stampa, la stampa avra’ bisogno di un volto nuovo. Il nostro uomo-mito gli prestera’ il proprio, e questo sara’ carisma.

Una volta creato il mito, si spezza il senso del pessimismo: il pessimismo condanna tutta la nazione al fallimento, e’ vero. Ma non tocca il mito, che essendo superiore ed astratto non subisce la stessa condanna. Cosi’, una popolazione e’ stata educata al pessimismo e crede di non poter produrre niente di buono da se’, per cui si affida al mito, che essendo mito non subisce la stessa maledizione.

Abbiamo dato all’uomo-mito una schiera di fanatici incorruttibili, perche’ essi non credendo ai propri simili non accetteranno alcun progetto venga da loro , e ritenendo l’uomo-mito al di sopra di questa regola, accetteranno come tale soltanto il suo progetto. Inoltre, parliamo di una massa disperata , disperata perche’ pensa di non aver via di scampo al fallimento per via del pessimismo che gli abbiamo indotto, e contemporaneamente portata a credere che il mito, non obbedendo a questa legge ed essendo unico, sia un’occasione imperdibile ed unica. Ed essendo unica, va difesa ad ogni costo.

Con tutta la violenza della quale una massa simile e’ capace.

Il processo e’ in atto, e siamo quasi agli atti finali. Compaiono diversi uomini che si propongono come “miti”, cioe’ come persone “esterne” a quel mondo che e’ ritenuto condannato al fallimento. Sono i movimenti “di protesta”, quelli “anti-sistema”. Hanno iniziato lentamente, prima Bossi , poi Di Pietro, e Grillo, e cosi’ via.

Tutti questi falliscono per una semplice ragione: la lentezza dei loro movimenti e’ tale che le masse hanno il tempo di osservare i leader. Di sapere tutto di loro. Di riconoscerli come uno dei loro. Una volta che l’uomo-mito e’ spogliato del mito, diventa solo un uomo, e allora le masse si allontanano da lui perche’ nel loro pessimismo lo ritengono egualmente condannato al fallimento sistemico.

Finche’ non arriva un uomo-mito particolare: quello privo di inibizioni verso la violenza. La lentezza che permette alle masse (ed agli avversari) di mostrare l’umanita’ dell’ uomo-mito e’ quella della politica. Grazie a questa lentezza le persone possono percepire l’umanita’ del loro mito, vederlo invecchiare, la stessa lentezza della politica fa sembrare che l’uomo mito abbia le mani legate. I media possono investigare su di lui e mostrarne l’umanita’, che nel pessimismo generale e’ sinonimo di condanna.

Questo non vale per chi usi la violenza, perche’ la violenza e’ veloce. L’uomo-mito senza inibizioni verso la violenza , oggi, deve solo aspettare che la societa’ diventi ancora piu’ violenta per via del pessimismo che la pervade , e manifestarsi in maniera veloce. Deve aspettare che ci sia una gioventu’ ancora piu’ violenta della nostra (ci siamo quasi) e poi avra’ i suoi fanatici.

Se riesce (ovviamente con la violenza) a tenere lontane le telecamere dei mass media (basta ammazzare di botte uno-due giornalisti, alla fine) e ad agire con una certa velocita’ contro la politica, diciamo a produrre un grosso evento violento e traumatico entro un anno di attivita’ politica (anche un evento “fasullo”, come la marcia su Roma, puo’ bastare) , e l’evento politico appare appoggiato dal “popolo”, la violenza dilaga.

E nel pessimismo , nel mutismo e nella rassegnazione che la classe dirigente riteneva sufficienti a fermare una sommossa, nasce la peggiore delle sommosse, ovvero la furia di un popolo fanatico e violento.

Non vi illudete, perche’ il momento e’ vicino.

Il prossimo leader “anti-sistema” non fara’ piu’ politica. Non fara’ nemmeno anti-politica.

Si limitera’ ad uccidere.

E’ solo questione di tempo, il tempo necessario a sviluppare una gioventu’ sempre piu’ violenta ed accecata dal pessimismo. E no, non potete farci nulla, perche’ non avete capito nulla di politica.

L’unica situazione stabile, in politica, e’ il cambiamento. Quando si dice che tutto debba cambiare perche’ nulla cambi si dice proprio questo. Ma non significa che il cambiamento sia una delle vie per preservare l’esistente.

Significa che e’ l’ UNICA via. Mentre voi avete pensato che, seminando il pessimismo, si sarebbe ottenuta una stabilita’ senza cambiamento.

Presto vedrete arrivare un uomo. La stampa, gia’ sfigurata, iniziera’ a parlare a nome suo pur di indossare un volto migliore. Una schiera di violenti al suo servizio mettera’ a tacere ogni altra stampa terrorizzando i giornalisti mediante la violenza e la brutalita’(3). Si proporra’ come moralizzatore , e una stampa ormai immorale avra’ agio di schierarsi a suo favore. Poiche’ si proporra’ come moralizzatore, dovra’ giudicare. E per questo non tollerera’ alcuna altra classe di giudici. Preti e magistrati saranno i primi bersagli della violenza dei suoi seguaci. Rifiutera’ le interviste. I suoi seguaci saranno violentissimi e crudeli. Prima che la politica riesca , nei suoi tempi, a rallentarlo, abbattera’ il governo in carica.

E i suoi seguaci, furenti, ammazzeranno con estrema facilita’ e con un divertito senso di futilita’. Anche quella stampa che ha parlato col suo viso, anche e specialmente quelli che hanno creduto di poter cavalcare la tigre.

E’ solo questione di tempo, il tempo che la violentissima gioventu’ che si vede in giro cresca di numero e di eta’.Poi, l’uomo-mito arrivera’ con tutta la violenza delle sue schiere di fanatici.

Leggete un libro di storia e lo vedrete: arriva SEMPRE.

(1) Non sto dicendo che la logica possa sempre sostituire i dati. Sto dicendo che a volte possa farlo. In quel caso, non servono dati.

(2) In realta’, molto spesso il volto di questo qualcuno e’ cosi’ orribile che qualsiasi scambio gli risulta conveniente. La stampa e’ destinata a peggiorare fino al momento in cui avra’ bisogno di un nuovo volto per nascondere il proprio.

(3) Il giornalista non teme la forza ne’ il pericolo. Teme pero’ la brutalita’. La brutalita’ e’ il segreto per terrorizzare i giornalisti.

di Uriel

04 dicembre 2009

I bonds sequestrati a Chiasso: clamorosi sviluppi




Vi ricordate la vicenda dei 138 miliardi di dollari di Bonds USA sequestrati a Giugno dalla Guardia di finanza di Chiasso? Siamo stati tra i primi a parlarne, ed anche diffusamente. Da un nostro post è perfino scaturita una interrogazione parlamentare al Ministro Tremonti, rimasta per ora senza risposta.

Se vi ricordate vi erano due fonti che erano apparse, fin dall'inizio, bene informate; Asia News, diretta da padre Cervellera e il blog di un losco individuo, ">Hal Turner, un suprematista bianco titolare anche di una web-radio e non nuovo ad indiscrezioni clamorose, da insider, sulla tenuta del sistema finanziario americano.

Negli ultimi mesi, dopo un caso apparentemente analogo di sequestro, verificatosi all'aeroporto di Malpensa con i bond prontamente (e semplicisticamente, come vedremo) riconosciuti come falsi, era stata messa la sordina a tutta la vicenda.

Silenzio e buio totali.

Anzi, da parte americana avevano fatto qualcosa di più che mettere la sordina al misterioso Hal Turner: l'avevano arrestato, con accuse alquanto capziose, tanto che lo stesso Hal in questo accorato appello, risalente al giorno dell'arresto, avanzava l'ipotesi che fosse tutto un pretesto e che volessero fermarlo per le sue rivelazioni sul dollaro e sui bonds di Chiasso. (si ascolti dal minuto 7.49).

Farneticazioni di un fanatico?

Mica tanto.

Nei mesi successivi, tramite il blog di famiglia era riuscito a raccogliere poche misere decine di dollari di donazioni per la sua liberazione, ma improvvisamente, circa due mesi fa, è riuscito a trovare 500.000 dollari (in bonds !!) per il suo rilascio su cauzione (con lo strano diveto di usare internet o qualunqe altro mezzo di comunicazione). Da dove siano arrivati non è difficile capirlo. Si tratta di un bell'aiutino dalla stessa FBI, di cui in effetti era, provatamente, un informatore. Il motivo è presto detto: il suo diretto superiore è nel frattempo diventato il Governatore del New Jersey ed aver finanziato con cifre intorno ai 100.000 dollari/anno un tipo come Hal è in effetti il primo serio scandalo politico in cui è coinvolto.

Ricapitolo: Esplode lo scandalo dei bonds di Chiasso anche sui media americani, uno strano soggetto, sicuramente ben informato e/o con ottime entrature ad alto livello, pubblica riservatissime foto dei bonds e dei passaporti dei due giapponesi fermati ( e rilasciati!!) dalla nostra guardia di finanza, foto che potevano essere a disposizione solo dell'US Secret Service, incaricato dell'indagine, e viene immediatamente arrestato con accuse del tutto capziose. In seguito, grazie alle indagini, si scopre che il tipo è un informatore storico della FBI, con ottime entrature in strani circoli antisemiti e suprematisti, oltre che con notevoli accessi a fonti superiservate, tra cui l'attuale governatore del New Jersey.

Nel tentativo di tacitarlo lo si rilascia su cauzione, con l'espresso e pubblico, stranissimo, vincolo al silenzio, ma "purtroppo" la cosa è ormai scappata di mano e va ingigantendosi di ora in ora.

E l'altra beninformata fonte, Asia News?

Beh, a quanto pare si è deciso di usare i grossi calibri, da questo lato, un segno che si vuole dare autorevolezza al lavoro svolto sottotraccia, attingendo a fonti chiaramente ben informate.

E' infatti intervenuto, con un articolo ricco di informazioni, L'Avvenire, il quotidiano cattolico per eccellenza, insieme al cattedratico "L'Osservatore Romano".

Si parla di "intrigo mondiale" e giustamente.

Nonostante le buone premesse, nell'articolo si ricostruisce, a partire da buone informazioni, una storiella che non sta in piedi nemmeno con le stampelle.

Sarebbero, i Bonds, dei "falsi autentici", ovvero VERI bonds, fraudolentemente realizzati da funzionari infedeli della Federal Reserve o del Governo Americano. Questo per cercare, in qualche disperato modo, di trovare una spiegazione al fatto, ormai evidente, che NON SI TRATTA DI FALSI.

Giova qui ricordare che, da un lato l'Italia ha un DISPERATO BISOGNO dei 38 miliardi di euro di penale che potrebbe legittimamente esigere sui bonds sequestrati e dall'altro, anche prendendo per buona la stiracchiatissima ipotesi formulata, pare evidente che vi sia in circolazione una ENORME quantità di denaro e/o titoli "autentici", stampati senza controllo (poco importa se da funzionari "deviati" o scrupolosi), circolanti per vie traverse e segrete, in cambio di servigi altrettanto trasversali e misteriosi ed in barba a qualunque garanzia.

Uh, ma guarda. E pensare che c'e' chi insiste a ritenere che tenere segreto il totale del circolante in dollari, come fa la Federal da qualche anno, non sia poi cosi importante.

A me invece pare che tutto si leghi, ma non voglio ripetermi ancora. Quel che avevo da scrivere, anche senza le ultime novità, che danno maggior forza alle mie convinzioni in merito, l'ho scritto qui.

di Pietro Cambi

03 dicembre 2009

La Morgan Stanley teme la crisi del debito nel Regno Unito per il 2010




L’Inghilterra rischia di diventare la prima nazione del G10 a rischiare la fuga dei capitali e una crisi sul debito nei prossimi mesi, secondo una nota di Morgan Stanley.

La banca d’investimento ha dichiarato che sussiste il rischio che il mix tossico di problemi inglesi arriveranno al capolinea presto, il prossimo anno, attivato dalla paura che Westminster potrebbe dimostrarsi incapace di restaurare credibilità fiscale.

“I crescenti timori di un parlamento senza una maggioranza stabile probabilmente peseranno sia sulla valuta sia sui rendimenti dei Gilt (titoli del debito), dal momento che sarà in un certo senso un salto nel buio, ed aumenterà la probabilità che alcune delle agenzie di rating toglieranno lo status di AAA al Regno Unito”, si legge nel report scritto dalla banca d’investimento europea, di Roman Carr, Teun Draaisma e Graham Secker



“in una situazione estrema, una crisi fiscale potrebbe portare ad una fuga dei capitali interni, grave debolezza del Pound e una svendita di buoni del tesoro inglesi. La Banca d’Inghilterra potrebbe sentirsi costretta ad alzare i tassi per sostenere la fiducia nella politica monetaria e stabilizzare la moneta, minacciando la fragile ripresa economica”, hanno dichiarato.

Morgan Stanley ha dichiarato che questi eventi a catena potrebbero alzare i rendimenti del Gilt a 10 anni di 150 punti base.

Questo farebbe alzare il costo dei prestiti ben oltre il 5% - il livello che ora affronta la Grecia, e ben più alto dei costi di Italia, Messico e Brasile (NDFC: l’affezionato lettore avrà tristemente notato l’accostamento del nostro paese ad altri che percepiamo come lontani).

I migliori titoli di debito di aziende come BP, GSK, o Tesco, potrebbero portare un rischio premium inferiore al debito sovrano inglese – semplicemente impensabile in passato.

Una impennata dei rendimenti dei bond potrebbero complicare molto l’obiettivo di finanziare il deficit di budget, che è atteso per essere il peggiore di tutto il gruppo OSCE l’anno prossimo, al 13.3% del PIL.

Per un certo tempo gli investitori sono stati preoccupati, in privato, del fatto che la Banca d’Inghilterra avrebbe dovuto alzare i tassi prima di essere pronta a farlo – rischiando una recessione a W , ed una incipiente spirale di pagamento del debito – ma questa è la prima volta che una principale società di investimenti solleva un warning così forte.

Nessuna nazione del G10 ha visto la sua abilità di fornire uno stimolo di emergenza severamente limitato da forze esterne dall’inizio della crisi del credito.

Non è chiaro come i mercati potrebbero rispondere se iniziassero a mettere in discussione l’efficacia del potere statale (NDFC: vogliamo tirare a indovinare?)

Morgan Stanley dichiara che la sterlina potrebbe cadere di un altro 10% in termini di potere d’acquisto. Questo completerebbe il più aspro declino del Pound dai tempi della rivoluzione industriale, superiore al calo del 30% dopo che l’Inghilterra uscì dal Gold Standard nelle cataclismiche circostanze del 1931.

Le azioni inglesi performerebbero ragionevolmente bene.

Un buon 65% dei guadagni delle aziende della borsa inglese vengono dall’estero, quindi godrebbero di vantaggi della caduta della moneta.

Anche se il report “Tempi più duri nel 2010” non è collegato alla debacle di Dubai , ci ricorda che le nazioni hanno a malapena comprato tempo durante la crisi per rivolgersi agli stimoli fiscali e travasare le perdite private sui libri contabili pubblici.

I salvataggi – per quanto necessari – non hanno risolto il problema sottostante del debito. Hanno accumulato un secondo insieme di problemi, degradagando il debito sovrano in buona parte del mondo.

Morgan Stanley ha dichiarato che il travaglio inglese è una delle tre “sorprese” attese per il 2010.

Le altre due sono

* Rimbalzo del dollaro
* Forti performance delle azioni delle compagnie farmaceutiche (NDFC: “...!”)

David Buik, di BGC Partners, ha dichiarato che l’Inghilterra è particolarmente fuori forma perchè i ritorni fiscali sono soggetti ad una forte leva sul ciclo economico globale: i servizi finanziari hanno fornito il 27% dei ritorni in fase di boom, ma ora sono crollati.

Gli inglesi hanno mancato di mettere da parte denaro negli anni delle vacche grasse per bilanciare questo ciclo fiscale giunto al momento della verità. Hanno avuto un deficit del 3% del PIL al massimo del boom, mentre le nazioni prudenti come la Finlandia e perfino la Spagna avevano un surplus di più del 2%.

“Dobbiamo alzare l’IVA al 20% e fare tagli seriamente drammatici nei servizi che vanno oltre tutto cio’ di cui stanno parlando Alistair Darling o David Cameron. Nessuno sembra avere il coraggio di fronteggiare questo” , ha dichiarato Buik.

Il report coincide con le notizie che l’Inghilterra è ora ufficialmente la sola nazione del G20 ad essere ancora in recessione. Il Canada ha riportato che la sua economia è cresciuta dello 0,1% nel terzo trimestre. L’inghilterra, per contro, si è contratta dello 0,3%, secondo le più recenti stime.
di Ambrose Evans-Pritchard

02 dicembre 2009

Wto: l'unica certezza è che il modello (perdente) non si cambia

La fine della WTO, tante volte decretata, quante respinta e negata. E così le Ministeriali si continuano a fare, senza troppa passione e con sempre meno pubblicità, ma sempre con il pericolo che qualche infausta decisione passi sopra la testa delle popolazioni aggravandone di più la già pesante situazione.

Su quest'ultima in anticipo ci si è affrettati a dire che non si sarebbe negoziato nulla, ma poi invece nella conferenza stampa d'apertura hanno dichiarato di volere una conclusione "rapida e di successo" per il ciclo di negoziati "dello sviluppo" lanciato dalla Wto nel 2001 a Doha, ma anche che il contenuto di sviluppo si è annacquato nei testi in discussione, e che ad esso è appeso, però, il risultato finale delle trattative.

Sono giunti a Ginevra oltre 2.700 delegati, di cui solo 139 su 153 membri dell'organizzazione, 350 giornalisti e circa 500 rappresentanti della società civile, e dopo la giornata di sabato dedicata ad una manifestazione antiWTO con anche alcuni dei protagonisti della "Battaglia di Seattle", che si è snodata per la città con tanto di trattori, ed imbarcazioni dei pescatori trasportate su dei carri - ma purtroppo anche preceduta da un po' di bande giovanili più casseurs forse che veri black bloc, che hanno fatto razzia di vetrine ed auto parcheggiate - domenica invece e' stata utilizzata dai ministri al commercio di Brasile, Argentina, Sudafrica, e alcuni tra gli Stati emergenti più influenti del G20, che in ambito Wto guidano il raggruppamento del G33, per "posizionarsi" rispetto a Europa e Stati Uniti in vista dell'apertura.

I Paesi in via di sviluppo affermano infatti di voler tenere in vita questo ciclo di negoziati e volerlo concludere presto e con successo, specificando però che per successo intendono che lo vogliono amico dello sviluppo. La Wto, ha il peccato originale di essere nato come club dei Paesi ricchi che negli anni è anche molto cambiato, il Doha round infatti è stato lanciato per aiutare i paesi poveri a migliorare le proprie condizioni attraverso un commercio più libero, ma il processo è lungo e resta ancora tanta strada da fare nel negoziato perché questo proposito diventi realtà.

Sembrerebbe esserci un accordo chiuso all'80% secondo lo stesso segretario generale Pascal Lamy, ma rimangono grandi differenze, su come esattamente i membri taglieranno le proprie tariffe sui prodotti agricoli e industriali, elimineranno i sussidi in agricoltura e apriranno il mercato dei servizi.
Il gruppo dei G20 in ambito Wto, coordinato dal Brasile, sostiene la necessità di una maggiore apertura dei mercati agricoli a Nord ma anche a Sud, e ha lanciato in direzione della ministeriale un documento nel quale ha affermato che l'agricoltura deve essere tema centrale in ogni accordo per via di come i sussidi dei Paesi ricchi stanno schiacciando i più poveri fuori dal mercato.

Un altro comunicato dei G33, gruppo coordinato dall'Indonesia che combatte per assicurare che i Paesi più poveri siano protetti in qualche modo dagli effetti più destabilizzanti dell'apertura dei mercati, hanno chiarito però in un proprio documento che ogni accordo debba proteggere i mezzi di sussistenza dei piccoli produttori soprattutto agricoli. Ma il negoziatore statunitense al commercio Ron Kirk, prima della partenza per Ginevra, ha chiarito che il suo Paese si sente impegnato, insieme ad altri, a giocare un ruolo di leadership nella Wto per spingere le esportazioni americane e far crescere il numero dei posti di lavoro ben pagati che gli americani vogliono e di cui hanno bisogno.

Un posizionamento chiaro che da solo getta un'ombra di grande incertezza sulla ministeriale che si apre in questi momenti.
Questo è pure un vertice diverso da tutti gli altri perché arriva in piena crisi economica, finanziaria, sociale ed ambientale, ma mentre nelle riunioni di G8 e G20 i leaders globali fanno a gara per mettere faccia e firme sotto proposte di ri-regolazione di borse e mercati finanziari, qui non si presentano e quasi alla chetichella tentano di chiudere un nuovo pacchetto di liberalizzazioni che ha perso tutti i suoi contenuti di riequilibrio Nord-Sud, che rischia di rafforzare il predominio di pochi interessi forti, a Nord come a Sud, alle spese dei diritti di tutti gli altri.

La Wto si è arenata da anni nell'esame di 17 diversi trattati, un pugno dei quali si occupa davvero di barriere doganali, tariffe e protezionismo, mentre la maggior parte cerca di limitare la capacità degli Stati di sostenere le produzioni "pulite" e i piccoli e medi produttori agricoli e manifatturieri, di vietare la costruzione di fondi nazionali di stimolo alla ripresa, che aiutino le imprese e i lavoratori del proprio Paese, di fissare parametri di gestione dei servizi pubblici perché siano prevalentemente in mano ai privati senza che i Parlamenti nazionali possano dire niente al riguardo.

L'ultima crisi economico finanziaria ha dimostrato l'insostenibilità di un sistema dove la finanza ed i capitali si sganciano dall'economia reale, dove persino il cibo diventa oggetto di speculazione finanziaria condannando alla fame oltre un miliardo di persone e questa crisi complessa ha dimostrato come i fallimenti del mercato siano alla base dei peggiori squilibri del pianeta, e come le ricette per curare questi disastri non possano essere le stesse proposte e riproposte da quasi trent'anni.

La soluzione alle attuali crisi alimentare, produttiva e climatica richiede un profondo e radicale spostamento da un'agricoltura e un modello energetico, industriale, produttivo, di distribuzione ed orientato all'esportazione, verso un'economia attenta ai bisogni del territorio, a Nord come a Sud. Non è più il momento di stare a guardare, è a rischio la stabilità e la sopravvivenza di intere comunità per gli anni a venire.

di Maurizio Gubbiotti

15 dicembre 2009

Che fine ha fatto il futuro?


marc augè_ fondo magazineAlcuni anni fa era una sorta di moda. Erano comparsi articoli sui giornali e libri che davano indicazioni su come comportarsi e su cosa fare per aderire alla nascente corrente di pensiero. Un vero e proprio movimento che sosteneva la necessità, durante il corso della propria vita di buttare via tutto. In primo luogo il guardaroba. Non con le forme soft a noi note, dettate dalla moda che segue un’oscillazione semestrale che ci impone di modificare solo in parte il nostro vestiario ma con interventi ben più radicali che prevedevano non solo la messa a discarica completa del proprio guardaroba, ma anche lo svuotamento della casa da tutte quelle suppellettili e oggetti che nel corso degli anni tendono a colonizzare tutti gli spazi disponibili sopra i mobili, sulle pareti, sui tavolini, sugli scaffali, perfino in terra.

Questa scuola di pensiero si spingeva a dire che oltre al guardaroba e alla casa bisognava cambiare giro di amicizie, il lavoro, se possibile, fino a ipotizzare un reset pressoché completo del proprio personal computer per espungere tutti quei documenti che, anche qui, in forma virtuale, si condensano come un sottile strato di polvere che tende a riempire tutto, sommergendo ogni cosa senza possibilità di ritrovare quello che è stato sepolto.

Insomma, condensando, una specie di filosofia minimalista che si opponeva a quella cascata di cose che si affollano nella nostra memoria. Una filosofia della scopa che tende a spazzare via la presunta polvere accumulata negli anni. Una filosofia dell’acciaio cromato pronta a ripulire da tutte le incrostazioni il nostro ambiente, il nostro corpo, la nostra mente. Un tentativo lodevole, credevo, di tirare di nuovo a lucido la nostra vita che lentamente si arena con gli anni. Una sorta d’invito alla ripartenza di sacchiana memoria. Abbandonare tutte le meline. Recuperare l’iniziativa e la palla. Buttarsi verso la porta avversaria con rinnovato entusiasmo.

Così, inizialmente, quest’idea mi aveva solleticato. Tra l’altro nel frattempo era uscito Nudi e crudi di Alan Bennett che narra una stravagante storia anche divertente che inizia con i due protagonisti che devono, nello straniamento più totale, reinventarsi un’intera vita e uno stile dopo che sono stati svaligiati in uno strano modo. Tutta la loro casa viene svuotata. Nessun mobile, nessun vestito, nessun quadro, nessuna fotografia viene lasciata. Un azzeramento completo, uno svuotamento che dovrebbe rappresentare, almeno per i fedeli di questa nuova filosofia, un inizio colmo di aspettative e futuro.

Poi, come sempre mi succede, ho cominciato a ruotare intorno a questa idea, con la solita lenta, incessante traiettoria obliqua che disegna centri concentrici. Come uno squalo che ha puntato la preda e si attarda circospetto prima di azzannarla, questa storia del disfarsi di tutto, del resettare, mi è cominciata ad apparire sotto la sua vera luce. Una luce da incubo. Come quelle luci al neon degli obitori, bianche, irreali, fredde. Quelle luci che fanno chiarore ma che ti mettono un brivido nella schiena. Quelle luci cariche di buio insomma, foriere di angoscia.

In fin dei conti, mi sono detto, io non sarei mai capace di disfarmi di tutta quella robaccia inutile che conservo e che non ha nessuna utilità se non ricordarmi un volto, un giorno, una voce.

Mi disturbava soprattutto, in questa nuova filosofia di vita, il reset del personal computer che mi è apparso sotto il suo vero e perverso cono di luce.

Il reset del PC equivale a quella pratica immonda che veniva dispensata a quelli che si chiamavano i matti per indurli ad azzerare il loro io e per riportare la loro mente torturata ad uno stato di tabula rasa su cui poi riedificare una personalità nuova e non più identica all’intricato coacervo di meandri che rappresentava però la loro specificità e ragione: l’elettrochoc. Il reset del PC mi è apparso appunto come l’infamia inferta dall’elettrochoc su quelle menti con le quali non posso che non solidarizzare.

Insomma la nuova filosofia in nome di una novella promessa di vita ci vuole scippare il passato senza prospettarci un futuro.

Tutto questo mi è affiorato alla mente dopo aver letto Che fine ha fatto il futuro? di Marc Augé edito da Eleuthera che tratta appunto del tempo e di come al tempo della surmodernità il futuro appaia appunto scomparso, scippato da un’accelerazione imposta che lo ha risucchiato sottraendocelo.

In realtà il titolo originale Où est passé l’avenir? molto più di quello dell’edizione italiana pone l’accento sul vero problema del nostro tempo surmodernizzato. Sia il passato che il futuro vengono ingoiati dal nostro tempo che ci regala quella che può ben essere definita come una vera e propria dittatura del presente.

Intendiamoci subito. Che il presente sia l’unica epoca che c’è dato vivere è fuori dubbio, ma che possa, nelle attuali condizioni, essere configurata come una dittatura è altrettanto inequivocabile.

Il presente si può ovviamente eternare, fissando l’attimo e dilatandolo all’infinito per riempire tutto e per fermare il tempo. Splendida rappresentazione di questa benedizione del presente, tra le molte citabili, resta Giosuè che chiede al suo Dio di fermare il corso del sole. “E il sole si fermò”. Rallentandone il ritmo, il tempo rallenta e si dilata permettendoci una piena vita qui e ora. Ma il punto di partenza del testo di Augè è diametralmente opposto a questo rallentamento. La surmodernità impone un’accelerazione sempre maggiore al tempo presente e costringe noi a seguirla se non vogliamo essere espulsi da questo vortice.

L’accelerazione comporta, oltre una certa soglia, che il presente s’imballi, come quando le gambe di un podista, arrivate al loro punto massimo di spinta, non riescono più a mordere il terreno, sprofondando in una sorta di sabbie mobili. È in questa situazione che l’attimo presente, invece di dilatarsi fino a fermare il tempo, diventa solo e semplicemente una scheggia impazzita, inserita in un divenire vorticoso composto di singoli momenti pulsanti sempre meno collegati tra di loro. È come se il film della nostra storia fosse proiettato da una cinepresa che non è in grado di riprodurre tutti i fotogrammi che si susseguono nella pellicola che scorre troppo velocemente per le sue possibilità tecniche. Il proiettore “imballato” ci farà assistere a una proiezione di singoli fotogrammi che vanno sovrapponendosi uno all’altro, ma che sono tra loro scollegati, impedendoci di percepirne il senso. È così che, nell’accelerazione della surmodernità, il nostro racconto si frammenta, si scollega dal passato, non ha più proiezioni sul futuro. L’accelerazione, dopo aver inghiottito il passato e rarefatto il futuro, sminuzza, in singoli atti insignificanti (nel senso di privi di senso), il nostro presente. In questo modo si assiste alla frantumazione del racconto e della storia (individuale e collettiva) in tante schegge, che ci scippano non solo del passato e del futuro ma che trasformano il nostro presente in una corsa, sempre più impazzita, verso un dove che non esiste più. Viviamo come in una comica dei tempi del cinema muto in cui l’esasperato movimento dei protagonisti induceva alle risa. Ognuno di noi assume la tragica maschera priva di sorriso di Buster Keaton.

Marc Augé, dopo aver analizzato in maniera cristallina, la perdita di senso che la surmodernità ha nei confronti dei luoghi, trasformati in non luoghi proprio dalla perdita del loro senso, si fa carico di descrivere anche l’altro parametro fondamentale delle nostre vite: il tempo, fissandone, anche qui, in maniera non equivoca la sua perdita di senso.

Ciò che appare chiaro è che la nascita del non luogo e del non tempo è necessaria alla struttura della surmodernità, che non saprebbe che farsene d’individui ancorati al luogo e al tempo. La surmodernità ha ricreato un tessuto spaziotemporale privo di senso proprio perché ha necessità di avere a disposizione individui privi di senso, o meglio con un unico senso totalitario: quell’uomo a una dimensione che è un dimensione a due teste il produttore/consumatore anonimo che, deprivato del senso dello spazio e del tempo, può essere impiegato (schiavizzato) in qualunque luogo ed in qualunque contesto temporale senza che ne risenta affatto. Si procede dunque verso la più totale e straniante delle trasformazioni, dall’individuo al non-individuo, un accessorio della produzione nonché un tubo digerente inserito nel nuovo panorama del non-spazio e del non-tempo.

Il capitolo finale è riservato da Augé a una speranza positiva e progressiva che corrisponde probabilmente all’ottimismo illuminista che ancora un po’ permea il suo pensiero e che io invece non condivido. Il compito di ristabilire il senso della storia e della nostra storia spetterebbe, per Augè, alla scuola che, come ultimo baluardo dell’insegnamento, dovrebbe preservare, trasferendola, la conoscenza che per sua definizione si opporrebbe all’accelerazione distruttrice di ogni sapere della surmodernità.

È questa flebile speranza di Augé che mi trova in assoluto dissenso.

In un mondo sempre più accelerato, in cui il mito della flessibilità ha travolto ogni cosa, il valore percepito della scuola è cambiato profondamente e il suo annullamento è testimoniato dall’autorità nulla che hanno i professori che almeno formalmente ne sono i sacerdoti.

Il sapere in un mondo ultraflessibile è un impedimento, una tara, un peso che non può essere sopportato da un individuo cui è richiesta l’acquisizione di sempre nuove competenze. L’aggiornamento professionale spinto all’eccesso genera una pletora di analfabeti di ritorno. Individui che non hanno nessun interesse a ricordare le loro sapienze del giorno prima che sono viste come un inutile orpello e un impedimento all’apprendere quello che è necessario oggi. La scuola che, per far sedimentare una qualsivoglia nozione nelle menti degli studenti, deve basare il suo metodo sul ricordo, si scontra apertamente (perdendo la partita) con il nuovo mondo surmoderno che costringe all’apprendimento di nuove competenze con una velocità che non permette la sedimentazione della conoscenza. La surmodernità non cerca il ricordo, ingombrante e impegnativo, ma l’oblio che ci rende vergini per nuove conoscenze ma mutilati e privi di personalità e spessore.

Il metodo è quello del continuo reset delle nostre menti che permette, da un lato, di liberarci dalle conoscenze passate non più utili e, dall’altro, di fare spazio in una mente per forza di cose limitata.

In fin dei conti se si chiede agli abitatori della surmodernità di cambiare lavoro, competenze, casa e abitudini ogni tre mesi non è pensabile adottare un modello di vita che privilegi il lavoro stabile, le relazioni sociali durature, le conoscenze acquisite e sedimentate nella testa. Quello che serve non è una biblioteca nella propria casa, fatta di libri ingombranti, pesanti, difficili da trasferire spazialmente. Quello che serve è un instant book non più cartaceo ma digitale, che può essere letto, utilizzato, dimenticato senza che questo lasci tracce durature in noi. Questo modello ha bisogno di TV e non di libri, di talk show e non di giornali con pagine di approfondimento.

Un tempo si diceva che passato il periodo dei sogni (l’adolescenza) si entrava nel periodo dei segni (l’età adulta) e che ci si doveva alla fine confrontare con le proprie rughe e con le proprie cicatrici interiori. La surmodernità con una promessa fallace: l’eterna giovinezza (considerata come l’indefinita estensione dell’adolescenza), raggiunta con il moto perpetuo patologico della vita precarizzata, con le lusinghe della chirurgia estetica, con le promesse della chimica, ci crocifigge alla ruota incessante del Karma che vorticosamente gira accelerando, trasformandoci in una battigia spazzata dalle onde dove ogni orma impressa nella sabbia dura solo per l’intervallo tra un’onda e un’altra senza lasciar traccia di nessun passaggio.

Così ci vogliono (e a questo bisogna ribellarsi).

di Mario Grossi

08 dicembre 2009

Questo è il Potere

Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?”, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici…”. Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.
Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere. E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro.
Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti”. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.

E’ nell’aria
Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene gli coli addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.
Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati. Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.

Primo organo: Il Club
Il primo organo del Potere è il Club, cioè il raggruppamento in posti precisi ed esclusivi dei veri potenti. Chi sono? Sono finanzieri, industriali, ministri, avvocati, intellettuali, militari, politici scelti con cura. Fate attenzione: questo Club non sta mai nei luoghi che noi crediamo siano i luoghi del potere, cioè nei parlamenti, nelle presidenze, nelle magistrature, nei ministeri o nei business. Esso è formato da uomini e da donne provenienti da quei luoghi, ma che si riuniscono sempre all’esterno di essi ed in privato. Come dire: quando quegli uomini e quelle donne siedono nelle istituzioni democratiche sono solo esecutori di atti (leggi, investimenti, tagli…) che erano stati da loro stessi decisi nel Club. Esso assume nomi diversi a seconda del luogo in cui si riunisce. Ad esempio: prende il nome di Commissione Trilaterale se i suoi membri si riuniscono a Washington, a Tokio o a Parigi (ma talvolta in altre capitali UE). I fatti principali della Trilaterale: nasce nel 1973 come gruppo di potenti cittadini americani, europei e giapponesi; dopo soli due anni stila le regole per la distruzione globale delle sinistre e la morte delle democrazie partecipative, realmente avvenute; afferma la supremazia della guida delle elite sulle masse di cittadini che devono essere “apatici” e su altre nazioni; ha 390 membri, fra cui i più noti sono (passato e presente) Henry Kissinger, Jimmy Carter, David Rockefeller, Zbigniev Brzezinski, Giovanni Agnelli, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Peter Sutherland, Alfonso Cortina, Takeshi Watanabe , Ferdinando Salleo; assieme ad accademici (Harvard, Korea University Seoul, Nova University at Lisbon, Bocconi, Princeton University…), governatori di banche (Goldman Sachs, Banque Industrielle et Mobilière Privée, Japan Development Bank, Mediocredito Centrale, Bank of Tokyo-Mitsubishi, Chase Manhattan Bank, Barclays…) ambasciatori, petrolieri (Royal Dutch Shell, Exxon…), ministri, industriali (Solvay, Mitsubishi Corporation, The Coca Cola co. Texas Instruments, Hewlett-Packard, Caterpillar, Fiat, Dunlop…) fondazioni (Bill & Melinda Gates Foundation, The Brookings Institution, Carnegie Endowment…). Costoro deliberano ogni anno su temi come ‘il sistema monetario’, ‘il governo globale’, ‘dirigere il commercio internazionale’, ‘affrontare l’Iran’, ‘il petrolio’, ‘energia, sicurezza e clima’, ‘rafforzare le istituzioni globali’, ‘gestire il sistema internazionale in futuro’. Cioè tutto, e leggendo i rapporti che stilano si comprende come i loro indirizzi siano divenuti realtà nelle nostre politiche nazionali con una certezza sconcertante.

Quando il Club necessita di maggior riservatezza, si dà appuntamento in luoghi meno visibili dei palazzi delle grandi capitali, e in questo caso prende il nome di Gruppo Bilderberg, dal nome dell’hotel olandese che ne ospitò il primo meeting nel 1954. I fatti principali di questa organizzazione: si tratta in gran parte degli stessi personaggi di cui sopra più molti altri a rotazione, ma con una cruciale differenza poiché a questo Gruppo hanno accesso anche politici o monarchi attualmente in carica, mentre nella Commissione Trilaterale sono di regola ex. Parliamo in ogni caso sempre della stessa stirpe, al punto che fu una costola del Bilderberg a fondare nel 1973 la Commissione Trilaterale. Il Gruppo è però assai più ‘carbonaro’ della Trilaterale, e questo perché la sua originaria specializzazione erano gli affari militari e strategici. Infatti, in esso sono militati diversi segretari generali della NATO e non si prodiga facilmente nel lavoro di lobbistica come invece fa la Commissione. La peculiarità dirompente del Bilderberg è che al suo interno i potenti possono, come dire, levarsi le divise ed essere in libertà, cioè dichiarare ciò che veramente pensano o vorrebbero privi del tutto degli obblighi istituzionali e di ruolo. Precisamente in questo sta il pericolo di ciò che viene discusso nel Gruppo, poiché in esso i desideri più intimi del Potere non trovano neppure quello straccio di freno che l’istituzionalità impone. Da qui la tradizione di mantenere attorno al Bilderberg un alone di segretezza assoluto. I partecipanti sono i soliti noti, fra cui una schiera di italiani in posizioni chiave nell’economia nazionale, cultura e politica. Non li elenco perché non esistendo liste ufficiali si va incontro solo a una ridda di smentite (una lista si trova comunque su Wikipedia). Un fatto non smentibile invece, e assai rilevante, è la cristallina dichiarazione del Viscount Etienne Davignon, che nel 2005 fu presidente del Bilderberg, rilasciata alla BBC: “Agli incontri annuali, abbiamo automaticamente attorno ai nostri tavoli gli internazionalisti… coloro che sostengono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea.” Cioè: i primatisti del Libero Mercato con potere sovranazionale ( si veda sotto), e i padrini del Trattato di Lisbona, cioè il colpo di Stato europeo con potere sovranazionale che ci ha trasformati in cittadini che verranno governati da burocrati non eletti. Di nuovo, i soliti padroni della nostra vita, che significa decisioni inappellabili su lavoro, previdenza, servizi sociali, tassi dei mutui, costo della vita ecc., prese non a Palazzo Chigi o all’Eliseo, ma a Ginevra o a Brussell o nelle banche centrali, dopo essere state discusse al Bilderberg.
Per darvi un’idea concreta di come questi Club e gli altri organi del Potere siano in realtà un unico blocco che si scambia sempre gli stessi personaggi, vi sottopongo la figura di Peter Sutherland. Costui lo si è trovato a dirigere la British Petroleum , la super banca Goldman Sachs, l’università The London School of Economics (una delle fucine mondiali di ministri dell’economia), ed è stato anche Rappresentante Speciale dell’ONU per l’immigrazione e lo sviluppo, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (secondo organo del Potere), membro della Commissione Europea (il super-governo d’Europa), e ministro della Giustizia d’Irlanda. E, ovviamente, membro sia della Commissione Trilaterale che del Gruppo Bilderberg.

Secondo organo: Il colosso di Ginevra
Si chiama Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nacque nel 1994 ed è più potente di qualsiasi nazione o parlamento. Riunisce 153 Paesi in un’unica sede a Ginevra, dove essi dettano le regole del commercio internazionale, e ciò dicendo capirete che stiamo parlando di praticamente tutta l’economia del mondo produttivo, che lì viene decisa. Cioè fette enormi dei nostri posti di lavoro, di ciò che compriamo, mangiamo, con cui ci curiamo ecc., cose della nostra vita quotidiana, non astratte e lontane. Le decidono loro, e come nel caso della nuova Europa del Trattato di Lisbona, anche al WTO le regole emanate, dette Accordi, sono sovranazionali, cioè più potenti delle leggi nazionali. E come nel caso del Trattato, diviene perciò cruciale che regole così forti siano decise in modo democratico. Nel Trattato non lo sono, e al WTO? Neppure. Infatti la sua organizzazione di voto è falsata dallo strapotere dei soliti Paesi ricchi nel seguente modo: i Paesi poveri o meno sviluppati non posseggono le risorse economiche e il personale qualificato in numeri sufficienti per poter seguire il colossale lavoro di stesura degli Accordi del WTO (27.000 pagine di complicatissima legalità internazionale, 2.000 incontri annui), per cui ne sono tagliati fuori. Chi sta al timone è il cosiddetto gruppo QUAD, formato da Usa, Giappone, Canada ed Europa. Ma l'Europa intera è rappresentata al tavolo delle trattative del WTO dalla Commissione Europea, che nessun cittadino elegge, e per essere ancora più precisi vi dico che in realtà chi decide per tutti noi europei è un numero ancora più ristretto di burocrati: il misterioso Comitato 133 della Commissione, formato da specialisti ancor meno legittimati. La politica italiana di norma firma gli Accordi senza neppure leggerli.
Se un Paese si oppone a una regola del WTO può essere processato da un tribunale al suo interno (Dispute Settlement Body), dotato di poteri enormi. Questo tribunale è formato da tre (sic) individui di estrazione economico-finanziaria, le cui sentenze finali sono inappellabili. Una sentenza del WTO può penalizzare o persino ribaltare le scelte democratiche di milioni di cittadini, anche nei Paesi ricchi. Per esempio, tutta l’Europa è stata condannata a risarcire gli USA con milioni di euro perché si è rifiutata di importare la carne americana agli ormoni. Neppure gli Stati Uniti hanno potere sulle decisioni del WTO. Il presidente Obama, sotto pressione dai cittadini a causa della catastrofe finanziaria dello scorso anno, aveva deciso di imporre nuove regole restrittive delle speculazioni selvagge delle banche (la causa della crisi). Ma gli è stato sbarrato il passo proprio da una regola del WTO, che si chiama Accordo sui Servizi Finanziari, e che sancisce l’esatto contrario, cioè proibisce alla Casa Bianca e al Congresso di regolamentare quelle mega banche. E sapete chi, anni fa, negoziò quell’accordo al WTO? Timothy Geithner, attuale ministro del Tesoro USA, che è uno dei membri del Gruppo Bilderberg. Fa riflettere.

Vi do ancora un’idea rapida del potere del WTO. Gli Accordi che ha partorito:

1) hanno il potere di esautorare le politiche sanitarie di qualunque Paese, incrinando il vecchio Principio di Precauzione che ci tutela dallo scambio di merci pericolose (WTO: Accordo Sanitario- Fitosanitario).

2) tolgono al cittadino la libertà di sapere in quali condizioni sono fatte le merci che acquista e con che criteri sono fatte, inoltre ostacolano l’uso delle etichette a tutela del consumatore (WTO: Accordo Sanitario-Fitosanitario & Accordo Barriere Tecniche al Commercio, con implicazioni sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dell'ambiente).

3) impongono ai politici di concedere alle multinazionali estere le stesse condizioni richieste alle aziende nazionali nelle gare d’appalto, a prescindere dalla necessità di favorire l’occupazione nazionale; e minacciano le scelte degli amministratori locali nel caso volessero facilitare l'inserimento di gruppi di lavoratori svantaggiati, poiché tali politiche sono considerate discriminazioni al Libero Mercato (WTO: Accordo Governativo sugli Appalti - Principio del Trattamento Nazionale ecc.).

4) accentrano nelle mani di poche multinazionali i brevetti della maggioranza dei principi attivi e delle piante che si usano per i farmaci o per l'agricoltura, poiché permettono la brevettabilità privata delle forme viventi e tutelano quei brevetti per 20 anni. Inoltre, il fatto che i brevetti siano protetti dal WTO per 20 anni sta alla base anche della mancanza di farmaci salva vita nei Paesi poveri. (WTO: Accordo TRIPS sulla Proprietà Intellettuale).

5) stanno promuovendo a tutto spiano la privatizzazione e l’apertura al Libero Mercato estero di praticamente tutti i servizi alla cittadinanza, anche di quelli essenziali come sanità, acqua, istruzione, assistenza agli anziani ecc., con regole che impediranno di fatto agli amministratori locali la tutela dei cittadini meno abbienti che non possono permettersi servizi privati (WTO: Accordo GATS in fase di negoziazione).
E ricordo, se ce ne fosse bisogno, che questi Accordi sono vincolanti su qualsiasi legge nazionale, esautorando quindi i nostri politici dalla gestione della nostra economia nei capitoli che contano.

Terzo organo: I suggeritori.
Prendete un disegno di legge e un decreto in campo economico, persino una finanziaria. Pensateli nelle mani dei politici che li attuano, e ora immaginate cosa gli sta dietro. Cosa? I ‘suggeritori’. Chi sono? Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.
In ordine di potenza di fuoco, vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane. Parto da queste ultime. Va detto subito che nel nostro Paese l’interferenza dei ‘suggeritori’ non ha mai raggiunto i livelli di strapotere degli omologhi americani o europei, il cui operato tuttavia detta legge per contagio anche in casa nostra. Ma nondimeno essa c’è, e non va trascurata, anche perché in Italia esiste un vuoto normativo totale sull’attività delle lobbies: dopo decine di proposte di legge, nessuna di esse è mai approdata alla Gazzetta Ufficiale. I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti , fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’Alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni Istituzionali, Burson-Marsteller, Beretta-Di Lorenzo & partners…). La proiezione per il futuro dei ‘suggeritori’ italiani è di almeno diecimila unità entro dieci anni, almeno secondo le richieste dei gruppi più noti. In assenza di regole, dunque, le cose funzionano così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. In questo modo, con una stima basata sui bilanci passati, si calcola che il denaro sommerso versato alla politica italiana ammonti a diverse decine di milioni di euro all’anno, provenienti dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone). Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure; è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.

I ‘suggeritori’ americani… che dire. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. Troppo da raccontare, una storia immensa, che posso però riassumere con alcuni sketch. Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), montagne di morti (oltre 2 milioni), crimini di guerra, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? Risposta: i membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil; a servizio di Shell, Mobil, Union Carbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana, con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari.
Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama: nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il deretano dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei gaglioffi finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner gli hanno offerto una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose gli andranno bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti; se invece andranno male, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). E’ il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “Priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? Risposta: 38 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?

Poi ci sono i 45 milioni di americani senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi, ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Risposta: oltre 20 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina al punto da spingere uno di loro,
Robert L. Livingston, a sbottare entusiasta “Ci sono affari senza limiti per noi là fuori!”, mentre dalle finestre del suo ufficio spiava le sedi del Congresso USA.
Ma l’ultimo sketch del potere dei ‘suggeritori’, sempre in ambito americano, è quello delle lobby ebraiche. Qui il dibattito è aperto, fra coloro che sostengono che sono quelle lobby a gestire interamente la politica statunitense nel teatro mediorientale, e coloro che lo negano. Personalmente credo più alla prima ipotesi, ma la sostanza non cambia: di fatto ci troviamo ancora una volta di fronte alla dimostrazione che neppure il governo più potente del mondo può sottrarsi ai condizionamenti del Potere vero. Ecco un paio di illustri esempi: nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano reinvadeva i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma inaspettatamente durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America), AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”, in riferimento alle generose donazioni che quei gruppi elargiscono ai due maggiori partiti d’oltreoceano.

Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele, che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.
E in ultimo l’Europa, cioè l’Unione Europea. Che alla fine significa Brussell, cioè la Commissione Europea , che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo non eletto di tutti noi, con poteri immensi. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare.
E come sempre, eccovi i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Business Dialogue (TABD) - European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association e altri. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra cui cito una serie di nomi noti: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che fa anche armi), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Microsoft, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche , Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori…
Mi fermo. Il rischio nel continuare è che si perda di vista il punto capitale, ovvero l’assedio che i lobbisti pongono alla politica. Esso, oltre a dimostrare ancora una volta che il potere reale sta nei primi e non nella seconda, è un vero e proprio attentato alla democrazia. Poiché ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi delle maggioranze dei cittadini e tutelare le minoranze, non essere gli stuoini delle elite e dei loro ‘suggeritori’.

Quarto organo: Think Tanks
Letteralmente “serbatoi di pensiero” nella traduzione in italiano, le Think Tanks sono esattamente ciò, ovvero fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto che apre questa mia trattazione, e cioè che sono le idee a dominare sia la Storia che la politica, e di conseguenza la nostra vita, in particolare l’idea economica. Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle elite e alla fine della democrazia partecipativa dei cittadini (si legga ‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info). Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura qui, volendo dire che se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero le prime Think Tanks, come la Heritage Foundation , il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo tutto. Per darvi un’idea di che razza di impatto queste Think Tanks sono riuscite ad avere, cito alcuni fatti. Nel solo campo del Libero Mercato, cioè dell’idea economica del vero Potere, ve ne sono oggi 336, piazzate oltre che nei Paesi ricchi anche in nazioni strategiche come l’Argentina e il Brasile, l’Est Europa, l’Africa, l’India, la Cina , le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, oltre che in Italia (Adam Smith Soc., CMSS, ICER, Ist. Bruno Leoni, Acton Ist.). Alcune hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government , la The Boss , o la Philanthropy Roundtable ; una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti”. Di nuovo, il fatto è sempre lo stesso: la politica è la marionetta, o, al meglio, è il braccio esecutivo del vero Potere. Infatti, l’osservatore attento avrà notato che assai spesso i nostri ministri economici, i nostri banchieri centrali, ma anche presidenti del consiglio (Draghi e Prodi su tutti) si trovano a cene o convegni presso queste fondazioni/Think Tanks, di cui in qualche raro caso i Tg locali danno notizia. In apparenza cerimonie paludate e noiose, in realtà ciò che vi accade è che ministri, banchieri e premier vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982, l’Adam Smith pubblicò il notorio Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite di lavoratori ordinari, e dove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per il business e governi più marginali (sic)”. In altre parole tutto ciò che ha già divorato la vita pubblica in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e che sta oggi “sulla soglia del Parlamento” in Italia.

Quinto organo: l’Europa dei burocrati non eletti
Non mi ripeto, poiché questo capitolo è già esaustivamente descritto qui http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139. Ma ribadisco il punto centrale: dopo la ratifica del “colpo di Stato in Europa” che prende il nome di Trattato di Lisbona, 500 milioni di europei saranno a breve governati da elite di burocrati non eletti secondo principi economici, politici e sociali interamente schierati dalla parte del vero Potere di cui si sta trattando qui, e che nessuno di noi ha potuto scegliere né discutere. Il governo italiano ha ratificato questo obbrobrio giuridico senza fiatare, obbedendo come sempre.

Sesto Organo: il Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali
Era il 16 Settembre del 1992, un mercoledì. Quel giorno un singolo individuo decise di spezzare la schiena alla Gran Bretagna. Si badi bene, non al Burkina Faso, alla Gran Bretagna. E lo fece. George Soros, un investitore e speculatore internazionale, vendette di colpo qualcosa come 10 miliardi di sterline, causando il collasso del valore della moneta inglese che fu così espulsa dal Sistema Monetario Europeo. Soros si intascò oltre 1 miliardo di dollari, ma milioni di inglesi piansero lacrime amare e il governo di Londra ne fu umiliato.
Era l’agosto del 1998, e nel caldo torrido di New York un singolo individuo contemplò il crollo dei mercati mondiali per causa sua. John Meriwether, un investitore e speculatore internazionale, aveva giocato sporco per anni e irretito praticamente tutte le maggiori banche del mondo con 4,6 miliardi di dollari ad alto rischio. La sua compagnia, Long-Term Capital Management, era nota a Wall Street perché i suoi manager si fregiavano del titolo di ‘I padroni dell’universo’, cioè pochi individui ubriachi del proprio potere. Meriwether perse tutto, e i mercati del mondo, che alla fine sono i nostri posti di lavoro, tremarono. La Federal Reserve di New York dovette intervenire in emergenza col solito salvataggio a spese dei contribuenti.
Era l’anno scorso, e in un ufficio londinese dell’assicurazione americana AIG, un singolo individuo, di nuovo un investitore e speculatore internazionale di nome Joseph Cassano, dovette prender su la cornetta del telefono e dire alla Casa Bianca “… ho mandato al diavolo la vostra economia, sorry”. E lo aveva veramente fatto. Questa volta la truffa dei suoi investimenti era di 500 miliardi di dollari, le solite banche internazionali (italiane incluse) vi erano dentro fino al collo con cifre da migliaia di miliardi di dollari a rischio. Panico mondiale, fine del credito al mondo del lavoro di quasi tutto il pianeta e, sul piatto di noi cittadini, ecco servita la crisi economica più pericolosa dal 1929 a oggi. Ovvero le solite lacrime amare, veramente amare, per le famiglie di Toronto come per quelle di Perugia, per quelle di Cincinnati come per quelle di Lione, a Vercelli come a Madrid ecc. Per non parlare degli ultimi della Terra…

Tre storie terribilmente vere, che descrivono chiaro, anzi, chiarissimo, cosa si intende per il ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, e quale sia il loro sterminato potere nel mondo di oggi. Altro che Tremonti o Confindustria. Nel mondo odierno esiste una comunità di singoli individui privati capaci di movimentare quantità di ricchezze talmente colossali da scardinare in poche ore l’economia di un Paese ricco, o le economie di centinaia di milioni di lavoratori che per esse hanno faticato un’intera vita, cioè famiglie sul lastrico, aziende che chiudono. Le loro decisioni sono come sentenze planetarie. Inappellabili. Si pensi, se è possibile pensare un’enormità simile, che costoro stanno facendo oscillare sul Pianeta qualcosa come 525 mila miliardi di dollari in soli prodotti finanziari ‘derivati’, cioè denaro ad altissimo rischio di bancarotta improvvisa. 525 mila miliardi… Vi offro un termine di paragone per capire: il Prodotto Interno Lordo degli USA è di 14 mila miliardi di dollari. Rende l’idea? L’Italia dipende come qualsiasi altra nazione dagli investitori esteri, per cifre che si aggirano sui 40 miliardi di euro all’anno, cioè più di due finanziarie dello Stato messe assieme. Immaginate se una cifra simile dovesse sparire dalla nostra economia oggi. Nel 2008 è quasi successo, infatti ne sono scomparsi di colpo più della metà (57%) col risultato in termini di perdita di posti di lavoro, precarizzazione, e relativo effetto domino sull’economia di cui ci parla la cronaca. Ripeto: qualcuno che non sta a palazzo Chigi, decide che all’Italia va sottratto il valore di oltre un’intera finanziaria. Così, da un anno all’altro, una cifra pari a tutto quello che lo Stato riesce a spendere per i cittadini gli viene sottratta dal ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, a capriccio. Questa tirannia del vero Potere prende il nome tecnico di Capital Flight (letteralmente capitali che prendono il volo), ed è interessante constatare il candore con cui il ‘Tribunale’ descrive la pratica: basta leggere Investors.com là dove dice che “Capital Flight è lo spostamento di denaro in cerca di maggiori profitti… cioè flussi enormi di capitali in uscita da un Paese… spesso così enormi da incidere su tutto il sistema finanziario di una nazione”. Peccato che di mezzo ci siano i soliti ingombranti esseri umani a milioni. Oltre al caso italiano, si pensi alla Francia, altro Stato ricco e potente, ma non a sufficienza per sfuggire alle sentenze del ‘Tribunale’, che ha punito l’Eliseo con una fuga di capitali pari a 125 miliardi di dollari per aver legiferato una singola tassa sgradita al business.

Conclusione
Gli organi esecutivi del vero Potere non si limitano a questi sei, vi si potrebbe aggiungere il World Economic Forum, il Codex Alimentarius, l’FMI, il sistema delle Banche Centrali, le multinazionali del farmaco. Ma quelli menzionati sono gli essenziali da conoscere, i primari. Un’ultima brevissima nota va dedicata alle mafie regionali, che sono spesso erroneamente annoverate fra i poteri forti (e non posso purtroppo entrare qui nel perché siano un così caratteristico fenomeno italiano). La lotta ad esse è sacrosanta, ma il potere che gli verrebbe sottratto da una eventuale vittoria della società civile è prima nulla a confronto di quanto illustrato sopra, e in secondo luogo è comunque un potere concessogli da altri. Traffico di droga, prostituzione, traffico d’armi, e riciclaggio di rifiuti tossici sono servizi che le mafie praticano per conto di committenti sempre riconducibili al vero Potere, o perché da esso condizionati oppure perché suoi ingranaggi importanti. Serva qui quanto mostrato nel 1994 dal programma d’inchiesta ‘Panorama’ della BBC, dove un insider della criminalità organizzata britannica si rese disponibile a condurre il reporter nel cuore della “mafia più potente del mondo”, a Londra. L’auto su cui viaggiavano con telecamera nascosta si fermò a destinazione… nel centro della City finanziaria della capitale. Indicando dal finestrino i grattacieli dei giganti del business internazionale, il pentito disse: “Eccoli, stanno tutti lì”. (si pensi che il giro d’affari mondiale delle Cosche è stimato sugli 80 miliardi di dollari, che sono un terzo del giro d’affari di una singola multinazionale del farmaco come la Pfizer )

Se queste mie righe sono state efficaci, a questo punto i lettori dovrebbero volgere lo sguardo a quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano le sera nei nostri Tg con il prefisso On., o il suffisso PDL, PD, UDC, e dovrebbero averne, non dico pietà, ma almeno vederli per quello che sono: le marionette di un altro Potere. Ma soprattutto, i lettori dovrebbero finalmente poter connettere i punti del puzzle, e aver capito da dove vengono in realtà i problemi capitali della nostra vita di cittadini, o addirittura i drammi quotidiani che tante famiglie di lavoratori patiscono, cioè chi li decise, chi li decide oggi e come si chiamano costoro. Da qui una semplice considerazione: se vi sta a cuore la democrazia, la giustizia sociale, e la vostra economia quotidiana di lavoro e di servizi essenziali alla persona, allora dovete colpire chi veramente opera per sottrarceli, cioè il vero Potere. Ci si organizzi per svelarlo al grande pubblico e per finalmente bloccarlo. Ora lo conoscete, e soprattutto ora sapete che razza di macchina micidiale, immensa e possente esso è. Risulta ovvio da ciò che gli attuali metodi di lotta dei Movimenti sono pietosamente inadeguati, infantili chimere, fuochi di paglia, che mai un singolo attimo hanno impensierito quel vero Potere. Di conseguenza lancio un appello ancora una volta:

VA COMPRESO CHE PER ARGINARE UN TITANO DI QUELLA POSTA L’UNICA SPERANZA E’ OPPORGLI UN’ORGANIZZAZIONE DI ATTIVISTI E DI COMUNICATORI ECCEZIONALMENTE COMPATTA, FINANZIATA, FERRATA, DISCIPLINATA, SU TUTTO IL TERRITORIO, AL LAVORO SEMPRE, IMPLACABILE, NEI LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, PER ANNI.
Paolo Barnard

06 dicembre 2009

La crisi di Dubai è la crisi del sistema dei "salvataggi" centrato a Londra


Quella che viene chiamata la "crisi di Dubai" è in realtà il crollo del sistema monetario globale centrato a Londra. Lungi dall'essere un luogo periferico, Dubai svolge un ruolo chiave nell'organizzazione di riciclaggio dei proventi criminali dell'impero.

La cosiddetta crisi è diventata ufficiale il 25 novembre, quando Dubai World, l'azienda della famiglia reale dell'Emirato, ha chiesto una moratoria sui debiti di sei mesi. Dubai World ha circa 60 miliardi di dollari di debiti, la metà dei quali verso le banche europee. L'annuncio ha ovviamente provocato una frana nei mercati azionari di tutto il mondo, colpendo particolarmente i titoli bancari.

I debiti di Dubai World hanno finanziato una delle fantasie più bizzarre dell'attuale bisca finanziaria: trasformare il Dubai in un centro ricreativo internazionale creando isole artificiali, centri commerciali, hotel di lusso e torri vertiginose piene di ogni amenità, tranne che il buon gusto. Il sistema è sembrato funzionare per un po', ma poi il sistema finanziario è scoppiato, e i valori immobiliari sono crollati del 50%.

Ma l'ammontare del debito e dei valori immobiliari è quasi triviale, paragonato ai flussi di denaro sotterranei che formano l'economia di Dubai. Questo piccolo emirato è il centro del mercato nero dell'impero, la capitale finanziaria del flusso di denaro sporco della droga e di altre attività illecite. Dubai oggi svolge un ruolo simile a quello di Hong Kong all'inizio dell'Impero Britannico, e ospita nei suoi grattacieli i più potenti narcotrafficanti, tra cui i signori della droga dell'Afghanistan. Questo è il segreto della sua fortuna come centro finanziario.

Dubai è gestito completamente da Londra, costruito con soldi della City e da imprese di costruzione del Regno Unito. La maggior parte degli enti governativi ha un membro della famiglia reale come titolare, e un suddito britannico come vice e vero manager. Non dovrebbe sorprendere che lo sceicco Mohammed, il sovrano di Dubai, si è recato a Londra per incontrare la Regina Elisabetta, il Primo ministro Gordon Brown e altri dignitari della City nei giorni immediatamente precedenti all'annuncio di moratoria. Come ha poi dichiarato lo stesso sceicco, la cosa è stata "accuratamente pianificata in anticipo".

by Movisol

05 dicembre 2009

Seminare il pessimismo per dominare le masse

In questi giorni sto scrivendo parecchio di politica perche’ stanno iniziando a nascere i germogli di eventi molto violenti. Come capita in queste situazioni, tutti quelli che hanno un avversario si illudono che la violenza colpira’ principalmente l’avversario, e non si rendono conto del limite intrinseco dei potenti.

Nessun potente, infatti, sa distinguere tra un proprio simile ed un proprio strumento.

LA situazione politica italiana odierna e’ frutto di una strategia fin troppo visibile, che consiste nel rendere il popolo docile ed incapace di produrre progetti positivi di cambiamento. Lo si fa seminando il pessimismo. Non ci vuole molto: con la scusa dell’opposizione, la classe politica inizia a propagandare ogni difetto del sistema, ogni suo malfunzionamento, ogni suo piccolo o grande fallimento. Li amplifica, cosicche’ il piccolo fallimento locale venga percepito come un fallimento del sistema intero. Un pessimismo su scala sistemica.

Mediante questo bombardamento , la popolazione si convince lentamente di essere in una gabbia dalla quale non puo’ uscire. Si convince lentamente di essere intrinsecamente predestinata al fallimento. Una volta convinti interiormente di essere condannati al fallimento, essi accettano come alternativa solo qualcosa che non possa fallire: cio’ che non c’e’.

Cosi’, quei pochi che ancora lottano , lo fanno per delle utopie, per dei principi irrealizzabili, sostenendo qualcosa che non c’e'; sia una tecnologia alternativa per lo smaltimento dei rifiuti, sia un’idea di moralizzazione che non appartiene a questo mondo. Il pessimismo indotto dai media prosegue in questa direzione fino ad un punto di non ritorno.

Quello in cui la nazione perde il potere di pensare bene di se’ stessa nel suo complesso.

Dico che e’ un punto di non ritorno perche’ in questo momento collassa la societa’: gli individui pensano ognuno tutto il male possibile degli altri, e si convincono lentamente che , viste le infime caratteristiche di ogni loro condizionale (o della maggioranza), le cose non cambieranno mai. Lo stesso capita ai pochi gruppi organizzati locali: essi vivono nella convinzione che la condanna di tutti sia la stessa esistenza di ogni altro gruppo. In questo momento la nazione ha perso il potere di pensare bene di se’ stessa. La societa’ a quel punto collassa, e gli individui diventano atomi in agitazione senza relazioni con gli altri, e non solo: spesso impegnati nella via della solitudine, al solo scopo di evitare le relazioni con gli altri.

IN questo stato il popolo non accetta alcun progetto positivo come tale, perche’ ritiene che ci sia qualcosa di inevitabilmente fallimentare, che condannerebbe anche questo progetto al fallimento. Preferisce cosi’ lottare contro coloro che ritiene responsabili di tale pessimistica condanna al fallimento, ma non troppo, perche’ il pessimismo infuso dai media fa si’ che nessuno creda troppo nemmeno in questa vittoria. Tutti i progetti positivi cessano , e con essi la possibilita’ politica di proporli, annegati nel pessimismo diffuso dai mass media.

Quando la nazione perde il potere di pensare bene di se’ stessa nel suo complesso, cioe’ quando il singolo gruppo perde la capacita’ di ritenere positivo anche il contributo altrui, la propaganda ha terminato il suo lavoro; perche’ ha ottenuto un popolo che si ritiene condannato a fallire, ed e’ disposto (quando ancora decide di lottare) a lottare solo contro qualcun altro, di un altro pezzo di nazione.

In questo momento la casta al potere ha raggiunto il massimo della sua incontrastata potenza, perche’ il popolo essendo condannato dal pessimismo a non fidarsi di alcun progetto positivo non riuscira’ ad unirsi per spodestarla.

Paradossalmente, si e’ condannata a morte proprio in quel momento.

Il pessimismo che deriva dalla convinzione di essere condannati al fallimento, la rabbia di chi crede di vivere in una gabbia dalla quale non puo’ uscire, produce inazione. L’inazione porta gli individui alla poverta’ : laddove un immigrato vede il bengodi riesce a migliorare la propria condizione, milioni di cittadini del posto, ormai intrisi dell’inazione che viene dal pessimismo, scivolano verso la poverta’.

Il pessimismo e la poverta’ hanno una sola risultante: la violenza.

Non ho bisogno di dati laddove basta la logica(1), e so che in questo momento in italia masse di giovani si consegnano al pessimismo ed all’inazione, convinti che non ci sia modo alcuno di cambiare alcunche’, e per questo diventano sempre piu’ violenti. Il numero di atti di violenza tra giovani e’ destinato ad aumentare, e siccome questi giovani diventeranno adulti, anche il numero di atti violenti degli adulti e’ destinato ad aumentare, allo stesso ritmo della poverta’ (anche se non necessariamente tra le stesse persone) .

Il secondo sottoprodotto di pessimismo e poverta’ e’ il mito.

Quando l’essere umano pensa che al mondo non ci sia possibilita’ di cambiare nulla, inizia a rifugiarsi fuori dal mondo stesso. Ed inizia a partorire, in astratto, l’idea fissa della specie umana: il salvatore. Il salvatore e’ un essere mitologico , che puo’ essere un leader religioso o meno , che non essendo parte di questo mondo (almeno in parte, essendo un mito) sembra sfuggire alla condanna al fallimento cui i seguaci credono di essere inevitabilmente condannati.

Il mitico leader e’ un uomo, e spesso e’ un semplice dittatore con una buona propaganda (diventa un religioso se decide di usare la religione come strumento di governo) , e viene da un’area marginalissima,e poco visibile, della nazione. Quando dico poco visibile non intendo dire necessariamente “nascosta”, perche’ niente e’ piu’ nascosto di quello che non vogliamo guardare, come per esempio la poverta’.

Il leader prende la forma di mito (e per fare questo deve impedire ai media di avvicinarsi troppo a lui, in modo da controllare l’informazione su di se’ alla sorgente) mediante una propaganda che non lo dipinge come essere superiore, ma parla come se avesse carisma.

Il carisma e’ la capacita’ di rinunciare al proprio volto per indossare la maschera di qualche altissimo ente. Non importa, a questo punto, se l’ente sia davvero altissimo: una propaganda che indossa il suo volto al posto del proprio lo rende tale. Se qualcuno e’ disposto a perdere il proprio volto per indossare quello di X, allora questo X e’ davvero grande.(2)

Questo uomo-mito deve agire in un modo molto semplice.

Per prima cosa, occorre che i mass media abbiano un volto orribile. Occorre che il livello dello scontro mediatico diventi cosi’ infimo e orrendo da costringere la stampa a considerare i vantaggi di parlare con un altro volto. Quello dell’uomo-mito.

E’ quello che sta accadendo: la stampa e i mass media stanno cadendo sempre piu’ in basso, perdendo continuamente credibilita’. Da giornalisti sono diventati paparazzi, e stanno per diventare semplici guardoni. Quando tutti disprezzeranno abbastanza la stampa, la stampa avra’ bisogno di un volto nuovo. Il nostro uomo-mito gli prestera’ il proprio, e questo sara’ carisma.

Una volta creato il mito, si spezza il senso del pessimismo: il pessimismo condanna tutta la nazione al fallimento, e’ vero. Ma non tocca il mito, che essendo superiore ed astratto non subisce la stessa condanna. Cosi’, una popolazione e’ stata educata al pessimismo e crede di non poter produrre niente di buono da se’, per cui si affida al mito, che essendo mito non subisce la stessa maledizione.

Abbiamo dato all’uomo-mito una schiera di fanatici incorruttibili, perche’ essi non credendo ai propri simili non accetteranno alcun progetto venga da loro , e ritenendo l’uomo-mito al di sopra di questa regola, accetteranno come tale soltanto il suo progetto. Inoltre, parliamo di una massa disperata , disperata perche’ pensa di non aver via di scampo al fallimento per via del pessimismo che gli abbiamo indotto, e contemporaneamente portata a credere che il mito, non obbedendo a questa legge ed essendo unico, sia un’occasione imperdibile ed unica. Ed essendo unica, va difesa ad ogni costo.

Con tutta la violenza della quale una massa simile e’ capace.

Il processo e’ in atto, e siamo quasi agli atti finali. Compaiono diversi uomini che si propongono come “miti”, cioe’ come persone “esterne” a quel mondo che e’ ritenuto condannato al fallimento. Sono i movimenti “di protesta”, quelli “anti-sistema”. Hanno iniziato lentamente, prima Bossi , poi Di Pietro, e Grillo, e cosi’ via.

Tutti questi falliscono per una semplice ragione: la lentezza dei loro movimenti e’ tale che le masse hanno il tempo di osservare i leader. Di sapere tutto di loro. Di riconoscerli come uno dei loro. Una volta che l’uomo-mito e’ spogliato del mito, diventa solo un uomo, e allora le masse si allontanano da lui perche’ nel loro pessimismo lo ritengono egualmente condannato al fallimento sistemico.

Finche’ non arriva un uomo-mito particolare: quello privo di inibizioni verso la violenza. La lentezza che permette alle masse (ed agli avversari) di mostrare l’umanita’ dell’ uomo-mito e’ quella della politica. Grazie a questa lentezza le persone possono percepire l’umanita’ del loro mito, vederlo invecchiare, la stessa lentezza della politica fa sembrare che l’uomo mito abbia le mani legate. I media possono investigare su di lui e mostrarne l’umanita’, che nel pessimismo generale e’ sinonimo di condanna.

Questo non vale per chi usi la violenza, perche’ la violenza e’ veloce. L’uomo-mito senza inibizioni verso la violenza , oggi, deve solo aspettare che la societa’ diventi ancora piu’ violenta per via del pessimismo che la pervade , e manifestarsi in maniera veloce. Deve aspettare che ci sia una gioventu’ ancora piu’ violenta della nostra (ci siamo quasi) e poi avra’ i suoi fanatici.

Se riesce (ovviamente con la violenza) a tenere lontane le telecamere dei mass media (basta ammazzare di botte uno-due giornalisti, alla fine) e ad agire con una certa velocita’ contro la politica, diciamo a produrre un grosso evento violento e traumatico entro un anno di attivita’ politica (anche un evento “fasullo”, come la marcia su Roma, puo’ bastare) , e l’evento politico appare appoggiato dal “popolo”, la violenza dilaga.

E nel pessimismo , nel mutismo e nella rassegnazione che la classe dirigente riteneva sufficienti a fermare una sommossa, nasce la peggiore delle sommosse, ovvero la furia di un popolo fanatico e violento.

Non vi illudete, perche’ il momento e’ vicino.

Il prossimo leader “anti-sistema” non fara’ piu’ politica. Non fara’ nemmeno anti-politica.

Si limitera’ ad uccidere.

E’ solo questione di tempo, il tempo necessario a sviluppare una gioventu’ sempre piu’ violenta ed accecata dal pessimismo. E no, non potete farci nulla, perche’ non avete capito nulla di politica.

L’unica situazione stabile, in politica, e’ il cambiamento. Quando si dice che tutto debba cambiare perche’ nulla cambi si dice proprio questo. Ma non significa che il cambiamento sia una delle vie per preservare l’esistente.

Significa che e’ l’ UNICA via. Mentre voi avete pensato che, seminando il pessimismo, si sarebbe ottenuta una stabilita’ senza cambiamento.

Presto vedrete arrivare un uomo. La stampa, gia’ sfigurata, iniziera’ a parlare a nome suo pur di indossare un volto migliore. Una schiera di violenti al suo servizio mettera’ a tacere ogni altra stampa terrorizzando i giornalisti mediante la violenza e la brutalita’(3). Si proporra’ come moralizzatore , e una stampa ormai immorale avra’ agio di schierarsi a suo favore. Poiche’ si proporra’ come moralizzatore, dovra’ giudicare. E per questo non tollerera’ alcuna altra classe di giudici. Preti e magistrati saranno i primi bersagli della violenza dei suoi seguaci. Rifiutera’ le interviste. I suoi seguaci saranno violentissimi e crudeli. Prima che la politica riesca , nei suoi tempi, a rallentarlo, abbattera’ il governo in carica.

E i suoi seguaci, furenti, ammazzeranno con estrema facilita’ e con un divertito senso di futilita’. Anche quella stampa che ha parlato col suo viso, anche e specialmente quelli che hanno creduto di poter cavalcare la tigre.

E’ solo questione di tempo, il tempo che la violentissima gioventu’ che si vede in giro cresca di numero e di eta’.Poi, l’uomo-mito arrivera’ con tutta la violenza delle sue schiere di fanatici.

Leggete un libro di storia e lo vedrete: arriva SEMPRE.

(1) Non sto dicendo che la logica possa sempre sostituire i dati. Sto dicendo che a volte possa farlo. In quel caso, non servono dati.

(2) In realta’, molto spesso il volto di questo qualcuno e’ cosi’ orribile che qualsiasi scambio gli risulta conveniente. La stampa e’ destinata a peggiorare fino al momento in cui avra’ bisogno di un nuovo volto per nascondere il proprio.

(3) Il giornalista non teme la forza ne’ il pericolo. Teme pero’ la brutalita’. La brutalita’ e’ il segreto per terrorizzare i giornalisti.

di Uriel

04 dicembre 2009

I bonds sequestrati a Chiasso: clamorosi sviluppi




Vi ricordate la vicenda dei 138 miliardi di dollari di Bonds USA sequestrati a Giugno dalla Guardia di finanza di Chiasso? Siamo stati tra i primi a parlarne, ed anche diffusamente. Da un nostro post è perfino scaturita una interrogazione parlamentare al Ministro Tremonti, rimasta per ora senza risposta.

Se vi ricordate vi erano due fonti che erano apparse, fin dall'inizio, bene informate; Asia News, diretta da padre Cervellera e il blog di un losco individuo, ">Hal Turner, un suprematista bianco titolare anche di una web-radio e non nuovo ad indiscrezioni clamorose, da insider, sulla tenuta del sistema finanziario americano.

Negli ultimi mesi, dopo un caso apparentemente analogo di sequestro, verificatosi all'aeroporto di Malpensa con i bond prontamente (e semplicisticamente, come vedremo) riconosciuti come falsi, era stata messa la sordina a tutta la vicenda.

Silenzio e buio totali.

Anzi, da parte americana avevano fatto qualcosa di più che mettere la sordina al misterioso Hal Turner: l'avevano arrestato, con accuse alquanto capziose, tanto che lo stesso Hal in questo accorato appello, risalente al giorno dell'arresto, avanzava l'ipotesi che fosse tutto un pretesto e che volessero fermarlo per le sue rivelazioni sul dollaro e sui bonds di Chiasso. (si ascolti dal minuto 7.49).

Farneticazioni di un fanatico?

Mica tanto.

Nei mesi successivi, tramite il blog di famiglia era riuscito a raccogliere poche misere decine di dollari di donazioni per la sua liberazione, ma improvvisamente, circa due mesi fa, è riuscito a trovare 500.000 dollari (in bonds !!) per il suo rilascio su cauzione (con lo strano diveto di usare internet o qualunqe altro mezzo di comunicazione). Da dove siano arrivati non è difficile capirlo. Si tratta di un bell'aiutino dalla stessa FBI, di cui in effetti era, provatamente, un informatore. Il motivo è presto detto: il suo diretto superiore è nel frattempo diventato il Governatore del New Jersey ed aver finanziato con cifre intorno ai 100.000 dollari/anno un tipo come Hal è in effetti il primo serio scandalo politico in cui è coinvolto.

Ricapitolo: Esplode lo scandalo dei bonds di Chiasso anche sui media americani, uno strano soggetto, sicuramente ben informato e/o con ottime entrature ad alto livello, pubblica riservatissime foto dei bonds e dei passaporti dei due giapponesi fermati ( e rilasciati!!) dalla nostra guardia di finanza, foto che potevano essere a disposizione solo dell'US Secret Service, incaricato dell'indagine, e viene immediatamente arrestato con accuse del tutto capziose. In seguito, grazie alle indagini, si scopre che il tipo è un informatore storico della FBI, con ottime entrature in strani circoli antisemiti e suprematisti, oltre che con notevoli accessi a fonti superiservate, tra cui l'attuale governatore del New Jersey.

Nel tentativo di tacitarlo lo si rilascia su cauzione, con l'espresso e pubblico, stranissimo, vincolo al silenzio, ma "purtroppo" la cosa è ormai scappata di mano e va ingigantendosi di ora in ora.

E l'altra beninformata fonte, Asia News?

Beh, a quanto pare si è deciso di usare i grossi calibri, da questo lato, un segno che si vuole dare autorevolezza al lavoro svolto sottotraccia, attingendo a fonti chiaramente ben informate.

E' infatti intervenuto, con un articolo ricco di informazioni, L'Avvenire, il quotidiano cattolico per eccellenza, insieme al cattedratico "L'Osservatore Romano".

Si parla di "intrigo mondiale" e giustamente.

Nonostante le buone premesse, nell'articolo si ricostruisce, a partire da buone informazioni, una storiella che non sta in piedi nemmeno con le stampelle.

Sarebbero, i Bonds, dei "falsi autentici", ovvero VERI bonds, fraudolentemente realizzati da funzionari infedeli della Federal Reserve o del Governo Americano. Questo per cercare, in qualche disperato modo, di trovare una spiegazione al fatto, ormai evidente, che NON SI TRATTA DI FALSI.

Giova qui ricordare che, da un lato l'Italia ha un DISPERATO BISOGNO dei 38 miliardi di euro di penale che potrebbe legittimamente esigere sui bonds sequestrati e dall'altro, anche prendendo per buona la stiracchiatissima ipotesi formulata, pare evidente che vi sia in circolazione una ENORME quantità di denaro e/o titoli "autentici", stampati senza controllo (poco importa se da funzionari "deviati" o scrupolosi), circolanti per vie traverse e segrete, in cambio di servigi altrettanto trasversali e misteriosi ed in barba a qualunque garanzia.

Uh, ma guarda. E pensare che c'e' chi insiste a ritenere che tenere segreto il totale del circolante in dollari, come fa la Federal da qualche anno, non sia poi cosi importante.

A me invece pare che tutto si leghi, ma non voglio ripetermi ancora. Quel che avevo da scrivere, anche senza le ultime novità, che danno maggior forza alle mie convinzioni in merito, l'ho scritto qui.

di Pietro Cambi

03 dicembre 2009

La Morgan Stanley teme la crisi del debito nel Regno Unito per il 2010




L’Inghilterra rischia di diventare la prima nazione del G10 a rischiare la fuga dei capitali e una crisi sul debito nei prossimi mesi, secondo una nota di Morgan Stanley.

La banca d’investimento ha dichiarato che sussiste il rischio che il mix tossico di problemi inglesi arriveranno al capolinea presto, il prossimo anno, attivato dalla paura che Westminster potrebbe dimostrarsi incapace di restaurare credibilità fiscale.

“I crescenti timori di un parlamento senza una maggioranza stabile probabilmente peseranno sia sulla valuta sia sui rendimenti dei Gilt (titoli del debito), dal momento che sarà in un certo senso un salto nel buio, ed aumenterà la probabilità che alcune delle agenzie di rating toglieranno lo status di AAA al Regno Unito”, si legge nel report scritto dalla banca d’investimento europea, di Roman Carr, Teun Draaisma e Graham Secker



“in una situazione estrema, una crisi fiscale potrebbe portare ad una fuga dei capitali interni, grave debolezza del Pound e una svendita di buoni del tesoro inglesi. La Banca d’Inghilterra potrebbe sentirsi costretta ad alzare i tassi per sostenere la fiducia nella politica monetaria e stabilizzare la moneta, minacciando la fragile ripresa economica”, hanno dichiarato.

Morgan Stanley ha dichiarato che questi eventi a catena potrebbero alzare i rendimenti del Gilt a 10 anni di 150 punti base.

Questo farebbe alzare il costo dei prestiti ben oltre il 5% - il livello che ora affronta la Grecia, e ben più alto dei costi di Italia, Messico e Brasile (NDFC: l’affezionato lettore avrà tristemente notato l’accostamento del nostro paese ad altri che percepiamo come lontani).

I migliori titoli di debito di aziende come BP, GSK, o Tesco, potrebbero portare un rischio premium inferiore al debito sovrano inglese – semplicemente impensabile in passato.

Una impennata dei rendimenti dei bond potrebbero complicare molto l’obiettivo di finanziare il deficit di budget, che è atteso per essere il peggiore di tutto il gruppo OSCE l’anno prossimo, al 13.3% del PIL.

Per un certo tempo gli investitori sono stati preoccupati, in privato, del fatto che la Banca d’Inghilterra avrebbe dovuto alzare i tassi prima di essere pronta a farlo – rischiando una recessione a W , ed una incipiente spirale di pagamento del debito – ma questa è la prima volta che una principale società di investimenti solleva un warning così forte.

Nessuna nazione del G10 ha visto la sua abilità di fornire uno stimolo di emergenza severamente limitato da forze esterne dall’inizio della crisi del credito.

Non è chiaro come i mercati potrebbero rispondere se iniziassero a mettere in discussione l’efficacia del potere statale (NDFC: vogliamo tirare a indovinare?)

Morgan Stanley dichiara che la sterlina potrebbe cadere di un altro 10% in termini di potere d’acquisto. Questo completerebbe il più aspro declino del Pound dai tempi della rivoluzione industriale, superiore al calo del 30% dopo che l’Inghilterra uscì dal Gold Standard nelle cataclismiche circostanze del 1931.

Le azioni inglesi performerebbero ragionevolmente bene.

Un buon 65% dei guadagni delle aziende della borsa inglese vengono dall’estero, quindi godrebbero di vantaggi della caduta della moneta.

Anche se il report “Tempi più duri nel 2010” non è collegato alla debacle di Dubai , ci ricorda che le nazioni hanno a malapena comprato tempo durante la crisi per rivolgersi agli stimoli fiscali e travasare le perdite private sui libri contabili pubblici.

I salvataggi – per quanto necessari – non hanno risolto il problema sottostante del debito. Hanno accumulato un secondo insieme di problemi, degradagando il debito sovrano in buona parte del mondo.

Morgan Stanley ha dichiarato che il travaglio inglese è una delle tre “sorprese” attese per il 2010.

Le altre due sono

* Rimbalzo del dollaro
* Forti performance delle azioni delle compagnie farmaceutiche (NDFC: “...!”)

David Buik, di BGC Partners, ha dichiarato che l’Inghilterra è particolarmente fuori forma perchè i ritorni fiscali sono soggetti ad una forte leva sul ciclo economico globale: i servizi finanziari hanno fornito il 27% dei ritorni in fase di boom, ma ora sono crollati.

Gli inglesi hanno mancato di mettere da parte denaro negli anni delle vacche grasse per bilanciare questo ciclo fiscale giunto al momento della verità. Hanno avuto un deficit del 3% del PIL al massimo del boom, mentre le nazioni prudenti come la Finlandia e perfino la Spagna avevano un surplus di più del 2%.

“Dobbiamo alzare l’IVA al 20% e fare tagli seriamente drammatici nei servizi che vanno oltre tutto cio’ di cui stanno parlando Alistair Darling o David Cameron. Nessuno sembra avere il coraggio di fronteggiare questo” , ha dichiarato Buik.

Il report coincide con le notizie che l’Inghilterra è ora ufficialmente la sola nazione del G20 ad essere ancora in recessione. Il Canada ha riportato che la sua economia è cresciuta dello 0,1% nel terzo trimestre. L’inghilterra, per contro, si è contratta dello 0,3%, secondo le più recenti stime.
di Ambrose Evans-Pritchard

02 dicembre 2009

Wto: l'unica certezza è che il modello (perdente) non si cambia

La fine della WTO, tante volte decretata, quante respinta e negata. E così le Ministeriali si continuano a fare, senza troppa passione e con sempre meno pubblicità, ma sempre con il pericolo che qualche infausta decisione passi sopra la testa delle popolazioni aggravandone di più la già pesante situazione.

Su quest'ultima in anticipo ci si è affrettati a dire che non si sarebbe negoziato nulla, ma poi invece nella conferenza stampa d'apertura hanno dichiarato di volere una conclusione "rapida e di successo" per il ciclo di negoziati "dello sviluppo" lanciato dalla Wto nel 2001 a Doha, ma anche che il contenuto di sviluppo si è annacquato nei testi in discussione, e che ad esso è appeso, però, il risultato finale delle trattative.

Sono giunti a Ginevra oltre 2.700 delegati, di cui solo 139 su 153 membri dell'organizzazione, 350 giornalisti e circa 500 rappresentanti della società civile, e dopo la giornata di sabato dedicata ad una manifestazione antiWTO con anche alcuni dei protagonisti della "Battaglia di Seattle", che si è snodata per la città con tanto di trattori, ed imbarcazioni dei pescatori trasportate su dei carri - ma purtroppo anche preceduta da un po' di bande giovanili più casseurs forse che veri black bloc, che hanno fatto razzia di vetrine ed auto parcheggiate - domenica invece e' stata utilizzata dai ministri al commercio di Brasile, Argentina, Sudafrica, e alcuni tra gli Stati emergenti più influenti del G20, che in ambito Wto guidano il raggruppamento del G33, per "posizionarsi" rispetto a Europa e Stati Uniti in vista dell'apertura.

I Paesi in via di sviluppo affermano infatti di voler tenere in vita questo ciclo di negoziati e volerlo concludere presto e con successo, specificando però che per successo intendono che lo vogliono amico dello sviluppo. La Wto, ha il peccato originale di essere nato come club dei Paesi ricchi che negli anni è anche molto cambiato, il Doha round infatti è stato lanciato per aiutare i paesi poveri a migliorare le proprie condizioni attraverso un commercio più libero, ma il processo è lungo e resta ancora tanta strada da fare nel negoziato perché questo proposito diventi realtà.

Sembrerebbe esserci un accordo chiuso all'80% secondo lo stesso segretario generale Pascal Lamy, ma rimangono grandi differenze, su come esattamente i membri taglieranno le proprie tariffe sui prodotti agricoli e industriali, elimineranno i sussidi in agricoltura e apriranno il mercato dei servizi.
Il gruppo dei G20 in ambito Wto, coordinato dal Brasile, sostiene la necessità di una maggiore apertura dei mercati agricoli a Nord ma anche a Sud, e ha lanciato in direzione della ministeriale un documento nel quale ha affermato che l'agricoltura deve essere tema centrale in ogni accordo per via di come i sussidi dei Paesi ricchi stanno schiacciando i più poveri fuori dal mercato.

Un altro comunicato dei G33, gruppo coordinato dall'Indonesia che combatte per assicurare che i Paesi più poveri siano protetti in qualche modo dagli effetti più destabilizzanti dell'apertura dei mercati, hanno chiarito però in un proprio documento che ogni accordo debba proteggere i mezzi di sussistenza dei piccoli produttori soprattutto agricoli. Ma il negoziatore statunitense al commercio Ron Kirk, prima della partenza per Ginevra, ha chiarito che il suo Paese si sente impegnato, insieme ad altri, a giocare un ruolo di leadership nella Wto per spingere le esportazioni americane e far crescere il numero dei posti di lavoro ben pagati che gli americani vogliono e di cui hanno bisogno.

Un posizionamento chiaro che da solo getta un'ombra di grande incertezza sulla ministeriale che si apre in questi momenti.
Questo è pure un vertice diverso da tutti gli altri perché arriva in piena crisi economica, finanziaria, sociale ed ambientale, ma mentre nelle riunioni di G8 e G20 i leaders globali fanno a gara per mettere faccia e firme sotto proposte di ri-regolazione di borse e mercati finanziari, qui non si presentano e quasi alla chetichella tentano di chiudere un nuovo pacchetto di liberalizzazioni che ha perso tutti i suoi contenuti di riequilibrio Nord-Sud, che rischia di rafforzare il predominio di pochi interessi forti, a Nord come a Sud, alle spese dei diritti di tutti gli altri.

La Wto si è arenata da anni nell'esame di 17 diversi trattati, un pugno dei quali si occupa davvero di barriere doganali, tariffe e protezionismo, mentre la maggior parte cerca di limitare la capacità degli Stati di sostenere le produzioni "pulite" e i piccoli e medi produttori agricoli e manifatturieri, di vietare la costruzione di fondi nazionali di stimolo alla ripresa, che aiutino le imprese e i lavoratori del proprio Paese, di fissare parametri di gestione dei servizi pubblici perché siano prevalentemente in mano ai privati senza che i Parlamenti nazionali possano dire niente al riguardo.

L'ultima crisi economico finanziaria ha dimostrato l'insostenibilità di un sistema dove la finanza ed i capitali si sganciano dall'economia reale, dove persino il cibo diventa oggetto di speculazione finanziaria condannando alla fame oltre un miliardo di persone e questa crisi complessa ha dimostrato come i fallimenti del mercato siano alla base dei peggiori squilibri del pianeta, e come le ricette per curare questi disastri non possano essere le stesse proposte e riproposte da quasi trent'anni.

La soluzione alle attuali crisi alimentare, produttiva e climatica richiede un profondo e radicale spostamento da un'agricoltura e un modello energetico, industriale, produttivo, di distribuzione ed orientato all'esportazione, verso un'economia attenta ai bisogni del territorio, a Nord come a Sud. Non è più il momento di stare a guardare, è a rischio la stabilità e la sopravvivenza di intere comunità per gli anni a venire.

di Maurizio Gubbiotti