13 ottobre 2012

Monti, i mercati e le alternative ai tecnocrati

Con le elezioni politiche all’orizzonte, nel dibattito pubblico non c’è traccia di una riflessione profonda sui contenuti e sui programmi sui quali gli italiani saranno chiamati a votare. Per questo abbiamo chiesto ad Augusto Grandi, giornalista del Sole24Ore, di commentare per Barbadillo.it le mosse di Mario Monti e i tentennamenti dei partiti, intimoriti dalla grisaglia dell’accademico milanese. Grandi è autore con Daniele Lazzeri e Andrea Marcigliano de “Il Grigiocrate” (fuorionda), un ritratto controcorrente dell’attuale presidente del Consiglio. Grandi, nell’ultimo mese – dall’inaugurazione della Fiera del Levante fino al Forum della Cooperazione di Milano – il presidente del Consiglio Mario Monti ha lanciato messaggi contraddittori in merito alla sua disponibilita’ a ricevere un nuovo incarico di governo. Da cosa nascono queste fibrillazioni? Da un lato i mercati, i veri padroni di Monti, vorrebbero la garanzia assoluta di essere tutelati e di poter continuare ad incassare i lauti interessi sul debito italiano. Per questo premono per la riconferma. Dall’altro il professore è perfettamente consapevole che il popolo italiano, quello che per lui rappresenta un fastidio ed un ingombro, non ha per nulla apprezzato le stangate del governo. Che hanno depredato i cittadini senza ridurre il debito (che è aumentato) e facendo crescere la disoccupazione mentre il Pil è crollato. Dunque c’è il timore di contare i sostenitori. Meglio il solito percorso: Monti si ritira, i “mercati” mettono l’Italia sotto attacco ed i partiti hanno l’alibi per richiamare il professore al governo. L’attuale esecutivo, pur appoggiato con linearità parlamentare da Udc, Pd e Pdl, registra a destra e tra i democratici forti critiche all’eventualità di un Monti bis. E’ un tema che potrebbe dividere le coalizioni che si stanno formando per le prossime politiche? In teoria sì. Ma dall’idea all’azione il passo è lungo. L’ala sinistra del Pd, oltre all’eventuale alleato Vendola, si rende perfettamente conto che le manovre di Monti sono fallimentari in assoluto e hanno costi altissimi per chi non fa parte della sedicente élite. Se le primarie le vincesse Bersani, riuscirebbe a tenere unito il Pd su una posizione di finta critica, con cambi modesti rispetto alla politica economica dei tecnocrati. Ma in caso di successo di Renzi, il Pd potrebbe ritrovarsi con ampie sacche di malcontento, a partire dall’ampio settore legato alla Cgil ed alla Fiom. Quanto al centrodestra, la voglia di fuga dal Pdl di parte della componente ex An è nota. Ma non può aver successo un nuovo partito che punti su vecchi personaggi. Inutile rifare An, o pensare al Movimento sociale, riproponendo ai vertici i responsabili del disastro attuale, tutti coloro che hanno rinnegato la provenienza politica, l’appartenenza, e che ora vorrebbero i voti dei “camerati”, dopo averli scaricati in ogni occasione pubblica. E poi i “colonnelli” hanno paura di tornare a confrontarsi in campo aperto, senza la comoda protezione di Berlusconi. L’Italia e i parametri europei: Monti è riuscito ad alleggerire la morsa tedesca sui conti italiani? Il problema non è la morsa tedesca, ma la servitù di Monti nei confronti delle banche e della speculazione. I tedeschi vogliono un’Italia meno competitiva sul fronte industriale e Monti sta distruggendo la manifattura italiana. Per far questo serve impoverire il Paese ed il Grigiocrate presidente del Consiglio sta eseguendo alla perfezione il compito che gli hanno affidato. Quanto peserà il fiscal compact sulle prossime politiche economiche italiane? Che margini di manovra restano per chi vincerà le elezioni? Il margine di manovra sarebbe ampio, se ci fossero politici competenti, coraggiosi, indipendenti. Politici in grado di strappare questo immondo accordo e rinegoziare il tutto. Ma politici così non abbondano. Quanto al peso sulle elezioni, sarà poco più che nullo. Pd, Pdl e Udc hanno votato il fiscal compact (con lodevoli eccezioni interne), dunque non avranno interesse a parlarne. Lega Nord e Grillini potranno anche parlarne a lungo, ma i media al servizio dei poteri forti non daranno certo molto spazio alle loro posizioni. Quale e’ stato il livello del dibattito parlamentare su un tema così delicato per gli anni futuri? Un livello inesistente, ed ignobile le rare volte in cui si è discusso. L’Italia verrà massacrata di tasse nei prossimi anni (45 miliardi di euro all’anno) e nessuno ha fiatato. Poche righe sui giornali e scarsissimi dibattiti. Nello scacchiere politico si preparano le alleanze in vista delle prossime elezioni. Che scelta potranno avere sulla scheda gli elettori che non hanno condiviso l’operato dell’esecutivo Monti? Le scelte sono limitate. Certo, parte della protesta confluirà sul Movimento 5 stelle, e non ha caso è stato subito messo sotto attacco con la consueta trafila di illazioni, polemiche interne, delazioni. Tutto già visto ogni volta che un movimento nuovo si è presentato sulla scena. Poi c’è la Lega Nord , alle prese con le squallide vicende interne (emerse, non a caso, appena la Lega si è schierata contro Monti) e con una gestione Maroni che non ha ancora individuato la propria strada. E anche l’Idv, coraggiosa su alcune scelte ma ampiamente reticente su altre. E con il problema, non da poco, delle candidature. Va bene il ruspante Di Pietro, ma altri personaggi – tra l’isterico ed il patetico _ sono francamente impresentabili. La Destra resta un’incognita, perché non basta avere un ottimo candidato in Sicilia per ottenere consensi ovunque. La classe dirigente del partito di Storace lascia molto a desiderare, in varie parti d’Italia. E con gli attacchi, orchestrati, contro i politici, sarà importante anche la figura di chi verrà presentato. Non basteranno le idee. di Augusto Grandi - Michele De Feudis

12 ottobre 2012

Si scrive “Italia”, si legge “la truffa eretta a sistema”

Ogni giorno se ne sente o se ne legge una “nuova”. Una più grave dell’altra, al punto che non esiste quasi più spazio per lo sbalordimento. Anche questo deve far parte del piano delle élite: assuefarci ad una sequela di “scandali” e “cose dell’altro mondo”, in maniera da far sembrare “normale” anche l’abominio più conclamato. Ma ogni tanto qualcosa riesce ancora a far drizzare i capelli. Da privati cittadini italiani è stata infatti depositata una dettagliata denuncia su una questione che riguarda tutti. Ma tutti davvero. Ascoltate attentamente quanto viene detto e rendiamoci conto di che cosa viene architettato da una ventina d’anni, di quali raggiri fraudolenti sono oramai capaci Lorsignori, per taglieggiare la gente: DENUNCIA - ESAUTORATI I CONCORSISTI PER METTERE I NOMINATI PER SVENDERE L'ITALIA Ora, che solo un manipolo d’impavidi patrioti (riuniti sotto la sigla “Albamed – Alba Mediterranea”) riesca a far emergere quello che dovrebbe uscire, coralmente, dall’animo di un popolo sano, non è una cosa da “paese normale”. Ma da una ventina d’anni, ormai, da quando hanno inscenato a più riprese la farsa della “moralizzazione”, che nei fatti – al di là dello spettacolo delle “inchieste” e degli “avvisi di garanzia” - si traduce nel sistematico saccheggio dello Stato, ci gabellano per “paese normale” una marea di assurde cretinate e di patenti falsità. Ne cito una che vale come paradigma della malafede di sedicenti “opinionisti” ed “esperti”. Alcuni ricorderanno che per un po’ di tempo hanno avuto libera circolazione “autorevoli pareri” a senso unico, in stile lavaggio del cervello, sulla “anormalità” del fatto che in Italia la maggioranza del “debito pubblico” fosse detenuta da creditori nazionali. “Non è una cosa da paese normale”, “in Europa, nei paesi avanzati (nello sfacelo!), fanno così e cosà”, sfoggiando la consueta sicumera di chi fa intendere “ma che ne volete sapere voi, noi siamo gli esperti!”. Bene, sono riusciti, con leggi-truffa (mentre dei “nominati” venivano piazzati al posto di chi ricopriva un ruolo dirigenziale dopo un concorso vinto), l’euro, la BCE e tutti i “trattati” cosiddetti (imposizioni), a ribaltare le percentuali del “debito pubblico” detenute da soggetti nazionali e non, a tutto vantaggio dei secondi; nello specifico, le medesime “banche d’affari” che poi si occupano, una volta fatto scoppiare il tal “scandalo” e fatto salire lo “spread”, di occuparsi della svendita dei “gioielli di famiglia”… Se a rendersi conto del livello della truffa in atto sono solo pochi coraggiosi italiani - e sottolineo italiani perché l’Italia bisogna anche amarla - armati unicamente del loro coraggio e dei residui spazi di libertà esistenti, mentre la maggioranza va dietro a questioni di nessuna importanza anche quando crede di “impegnarsi” (tipico il caso dell’odio indotto verso “la casta”), si può affermare di non essere più un “paese normale”. Che cosa fa invece il popolo? La mitica “maggioranza” che in “democrazia”, per definizione, “ha sempre ragione”? Bofonchia e tira a campare. Considera questi eroi dei nostri tempi come dei “mattacchioni” o “gente che non c’ha un c… da fare”. Degli “illusi” che battagliano coi mulini a vento. Al massimo dello slancio che può produrre, quest’ingombrante massa abituata a pane e circo, non vede l’ora di fare come in Spagna e in Grecia: scendere in piazza a “protestare”! Ma contro che cosa? Contro “la casta”? E in nome di che cosa, se non ha capito un fico secco di come viene truffata? Ma quando mai la “rivoluzione” la si fa nelle “piazze” e con la “presa della Bastiglia”? La “rivoluzione” comincia quando capisci dove e come ti stanno fregando. Che sei immerso in una truffa eretta a sistema. Bisogna lavorare per un cambiamento del paradigma dominante. Adesso ce n’è uno, perfettamente integrato nelle sue “parti” e a suo modo “coerente”, che sorregge, nella sua cerchia esterna, tutto quest’apparato di potere (“la casta”) che i più individuano come “il problema”. Ma quello è solo la scorza. Il problema vero è il nocciolo, la sostanza, altrimenti non sarebbe così difficile “cambiare le cose”. Basterebbe “indignarsi” e “protestare”, no? È difficile perché dentro, anche in quelli che “si oppongono”, circolano le medesime convinzioni, o meglio suggestioni, di fondo: più “democrazia”, più “diritti”, bla… bla… bla. Mai che ciascuno reclamasse di starsene finalmente al suo posto, nella posizione che la sua specifica natura gli ha assegnato. Sproloquiano di “casta” ma non hanno alcuna idea di che cosa significhi essenzialmente una vera casta: qui tutt’al più esiste solo una sterminata ed amorfa massa desiderante senza un alto e un basso. E poi, la fisima dell’onestà! Va bene che in democrazia i peggiori – i più arrivisti, i più scaltri, i più famelici – si piazzano sulla “poltrona”… Ma se chiedi “più democrazia” te la danno eccome, non vedono l’ora! Tutto questo “moralismo” non può produrre alcunché di buono perché la “morale” è solo un elemento, importante quanto si vuole, ma solo un pezzo di un mosaico che va ricomposto per intero a partire dalle sue tessere più importanti, che sono dentro di noi. Se l’ego vuole da mangiare, ci sarà sempre cibo in abbondanza. No, non è quella delle “piazze” la via. Bisogna ridare forma ai “valori tradizionali”, gli unici che – declinati in vario modo secondo le condizioni di tempo e luogo (la “tradizione” non è “immobilismo” né “conservatorismo”) - hanno permesso a tutte le comunità umane di funzionare bene e in ordine, con una legge certa, autorevole e rispettata a partire da chi dovrebbe dare l’esempio. L’esatto opposto della discrezionalità, dell’abuso e della truffa eretta a sistema, di questa parvenza di “legalità” contraddetta platealmente nei fatti (ma all’insaputa dei gonzi), così come impietosamente ed esemplarmente è stato messo a nudo dagli autori di questa denuncia, la quale, proprio perché non siamo un “paese normale”, verrà bellamente ignorata, a partire dagli organi preposti a prenderla in esame e a darle seguito. di Enrico Galoppini

11 ottobre 2012

Tutti con la carta di credito

Lo sapete? Entro pochissimi anni, si avvererà uno dei tanti sogni dei banksters: tutti dovremo avere la carta di credito per acquistare beni e oggetti che eccedono i 50 euro di spesa. Io non sono un esperto del sistema finanziario, né uno studioso di economia, ma certe considerazioni, per farle, basta un minimo di osservazione, esperienza e ragionamento. Del resto le “spiegazioni” dei tecnici mi interessano molto poco visto che so ben valutare da solo, il dare e avere che ne consegue. Vediamo: ripercorriamo questi ultimi anni, più o meno dalla Seconda Repubblica in avanti, dove passo dopo passo, ma con una pianificazione evidente, anche se poco percepibile dall’opinione pubblica, si portò avanti un progetto di adeguamento di tutta l’economia e la finanza del paese al sistema bancario nazionale e internazionale, favorendone i loro interessi. Iniziarono, guarda caso, i governi Amato e Ciampi (non sentite un tintinnio di squadre, finanza e compassi?), sostenuti indirettamente dalla sinistra post comunista, oramai liberal (quella che gira con La Repubblica in tasca) ad incentivare tutto quello che era possibile incentivare per adeguare l’economia e la società italiana al sistema bancario. Ma anche i governi di centro destra non furono da meno, indice di una subordinazione trasversale di tutti i politici alla City di Londra e a Wall Street. Ricordate quando, come fumo negli occhi, ci fu il “regalino” ai correntisti che i libretti di assegni non si sarebbero più pagati? Tutto non iniziò proprio da lì, ma noi possiamo benissimo prendere quell’avvenimento come punto di partenza. Ovviamente le banche in cambio dei foglietto di assegno gratuiti ebbero tanti e tali altri vantaggi da compensare ampiamente quei risibili costi, cosicchè i clienti in pochi anni si videro lievitare a dismisura le spese di tenuta del conto corrente, fino ad arrivare all’assurdo che un normale cliente che deposita una modesta somma in banca, ma poi neppure troppo modesta, a fine anno, tra costi di ogni natura e quel poco di interesse che ci prende, non compensa la spesa annua per questo suo deposito, mentre le banche, proprio con i soldi del cliente, moltiplicati per centinaia di migliaia di altri “castelletti” simili, li investe o li presta a sua volta con ben altre remunerazioni. Se non fosse tragico, ci sarebbe da ridere. E che ci fosse stato uno statista che intervenisse e mettesse un freno a questo sconcio, a questa rapina legalizza! Mai. Comunque sia, in quegli anni ‘90, in men che non si dica, si fece in modo di ridimensionare il valore del “mattone”, storico rifugio dei risparmiatori; i depositi bancari abbassarono a livelli irrisori l’interesse sui depositi; i libretti postali, altro storico rifugio di un popolo che è sempre stato amante del risparmio, dovettero adeguarsi per legge a quelli bancari; si tese a forzare l’indicizzazione delle rate dei mutui, e tante e altre disposizioni simili, furono introdotte, sotto traccia, nella nostra società: tutte gradite e utili alle banche. Tanto si sono impinguate e tanto potere anno eroso che non è un caso che oggi, ogni cento metri e spesso meno, trovate lussuosi sportelli bancari, a 5 o 6 porte, tutti blindati e super computerizzati, ma quasi privi di clienti: come è stato possibile? Non credete che un business e un motivo importante ci sia? Ma torniamo a quegli anni ’90 dove, nel frattempo il mercato azionario, da sempre visto con diffidenza dal nostro popolo, venne sponsrizzato alla grande e gli italiani che avevano qualche risparmio, di fronte ad un “mattone” che non dava più rendite e sicurezza e i conti correnti a risparmio che rendevano poco e nulla, si trovarono quasi costretti ad investire in titoli azionari. Anche le liberalizzazioni che nel frattempo spogliavano il paese di ogni sua risorsa, regalandola ai privati e alle banche d’affari internazionali, offrivano la possibilità di ampliare a dismisura gli investimenti in titoli azionari da parte dei cittadini. E tutti furono invogliati verso promettenti “offerte pubbliche” e la mecca della Borsa, con la messa in vendita di Azioni di importanti e conosciutissime aziende o imprese. Tutta una economia “virtuale” esplose alla grande, con immensa gioia di finanzieri e speculatori e amari pianti di chi, entro pochi anni, vide tutti i suoi risparmi e liquidazioni di anni di lavoro, svanire nel nulla: per dieci che ci guadagnavano, centro andavano sul lastrico. A simbolo di una nuova Era la figura del promotore finanziario prese decisamente quota, furono istituiti apposti albi e corsi, e i cittadini dovettero sorbirsi, pur se non richiesto, anche con telefonate a casa, “consigli” interessati per invogliarli investire il loro denaro. Al contempo, tutto il paese venne progressivamente invaso da proposte di accedere a prestiti, di acquistare beni di consumo con la formula del finanziamento facile: compri oggi e paghi in comode rate, iniziando tra sei mesi; le carte di credito vennero elargite con disinvoltura. Le cassette delle poste si riempirono di reclame per accedere ad un prestito, ad un finanziamento o per fare una carta di credito. Se anni prima, per ottenere un prestito, occorreva non essere protestati e poter dare garanzie, ora non c’erano più problemi: bastava una busta paga, ma poi, sarebbe anche bastato avere un conto in banca. Tra sub prime e ricollocazione di investimenti e prestiti a forte rischio, il mondo finanziario sapeva bene come far fruttare anche il giro di denaro virtuale, senza rimetterci. Neppure un mago ci sarebbe riuscito. L’obiettivo era chiaro: gli storici risparmi degli italiani facevano gola ai banksters e le speculazioni, in uno Stato che nulla provvedeva, ne legiferava, per proteggere i cittadini da questi avvoltoi, non avevano più freni. Da allora se ne è fatta di strada, del resto la Seconda Repubblica era nata proprio con questi presupposti: trasformare i partiti in aggregati di potere, puro e semplice, spogliandoli di ogni orpello ideologico e di rappresentativa sociale, adeguare il più possibile le Istituzioni al sistema anglosassone, il più idoneo a garantire il potere a lobby e consorterie. E quando parliamo di Lobby e Consorterie, quelle di genere finanziario sono le più importanti. Il resto lo conosciamo: i grandi Organismi mondialisti: dalla Banca Mondiale, al FMI, alla BCE, vigilavano, ricattavano e obbligavano i governi a sottomettersi all’usura da loro stessi messa in atto, a prendere “prestiti” per la nazione, fatti passare come aiuti, costringendo questi governi a distogliere ingenti risorse finanziarie per pagare i debiti contratti con questi malfattori. Il debito pubblico, tra signoraggio monetario, usura bancaria e imposizioni mondialiste non sarebbe mai più stato possibile azzerarlo, anzi non poteva che lievitare progressivamente determinando un cappio attorno al collo dei popoli, irreversibile. In ogni caso, intorno al 2007, l’economia virtuale crollò miseramente e non è peregrino ritenere che il “botto” venne anche “aiutato” a determinarsi per oscure manovre messe in atto dalla stessa Alta Finanza internazionale, anche se qualche banca ci rimetteva le penne. Quando si parla di Alta Finanza internazionale, infatti, seppur ci si riferisce ad una miriade di banche, credito, assicurazioni, ecc., in realtà il vero potere è concentrato in pochissime storiche famiglie che fanno e disfanno tutto il sistema a loro tornaconto speculativo e di potere. Il potere dei banksters comunque era così forte che subito Presidenti e Governi, quelli della stessa America compresi, hanno varato provvedimenti di “salvataggio delle banche”, devolvendo enormi capitali pubblici verso il mondo bancario, proprio quello che aveva determinato la crisi. E il popolo? Cornuto e mazziato! Comunque sia il “giocattolo” si era rotto: le “bolle” degli investimenti a rischio girati e rigirati erano scoppiate e al contempo nelle Nazioni l’economia e la finanza, stremate dal signoraggio monetario e dall’usura legalizzata, entravano in crisi costringendo i banksters a fare quello che non avevano mai fatto. Pensate forse che i banksters ritennero di limitare e rivedere le speculazioni, le imposizioni ricattatorie e lo strozzinaggio? Ma quando mai, anzi decuplicarono le imposizioni. Da sempre, infatti, il potere dell’Alta Finanza si era esercitato con discrezione, attraverso i politici e i partiti compiacenti, non a caso definiti i camerieri dei banchieri, e i banksters facevano un pò quello che hanno sempre fatto i Rothschild durante la loro rapace esistenza: essere i veri padroni di tutto, ma per interposta persona, non apparire mai direttamente e fare in modo che si parlasse di loro il meno possibile. Ora però la crisi finanziaria internazionale aveva determinato il rischio che qualche governo nazionale, sotto la pressante richiesta mondialista di devolvere tutto il bilancio statale al pagamento degli usurai, emanando misure lacrime e sangue, poteva tergiversare o non spingere, come preteso, la lama dei tagli fino all’osso del popolo. Tagli di ogni genere alle pensioni, tagli alla sanità, licenziamenti nel settore pubblico, limitazioni di spesa per tutte quelle necessità di cui uno Stato e i cittadini hanno bisogno. Niente, tutto deve essere devoluto per pagare il debito pubblico (una vera e propria invenzione dei banksters), per impinguare le casse del sistema bancario. Anzi occorreva anche introdurre una Legge, come è stato fatto, che rendesse obbligatorio per il bilancio dello Stato, tenere conto di questo famigerato debito pubblico obbligando il governo ad adeguarsi di conseguenza. Per far questo si imponeva però di mettere al governo i cosiddetti “tecnici”, tutti uomini usciti dal mondo bancari0 e finanziario, ma dovevano mantenersi per il tempo necessario e con il consenso dei partiti senza più diatribe, per esempio, tra un Prodi o un Berlusconi. I banksters erano costretti ad uscire allo scoperto. Potete ben immaginare quale era il compito assegnato ai “tecnici”, visto che questi soggetti, mai eletti da nessuno, a nessuno dovevano dar conto e quindi potevano emanare i provvedimenti più impensabili e restrittivi. Del resto ai politici tradizionali, ai cosiddetti partiti, come abbiamo detto, oramai ridotti ad aggregati di potere e centrali di corruzione, non gli pareva vero di lasciar fare il lavoro sporco ai “tecnici”, e non dover essere loro costretti a farlo. Da qui il sostegno bipartisan a questi governi diretta espressione dei banksters. Quello che hanno fatto in Grecia è sotto gli occhi di tutti, ma anche da noi non hanno scherzato e ancora hanno da fare, come per esempio ridurre gli stipendi e le pensioni anche direttamente e non solo indirettamente come hanno fatto fino ad oggi. Tanto per fare un altro esempio, il loro sogno, il sogno dei banksters, è quello che ogni cittadino, dalla culla alla bara, abbia la sua carta di credito e quella usi invece che il denaro contante. Un sogno che fa il paio con quello di obbligare tutti ad avere un conto in banca e che già negli anni passati costrinse coloro che esercitano una qualsiasi attività commerciale ad averne almeno uno. Il nostro Monti, ovviamente, appena messo al governo, provvide subito a costringere anziani e pensionati, spesso recalcitranti e diffidenti verso le banche (del resto i C/C sono ben lungi da essere gratuiti come si vuol far credere), a farsi il loro bel conto corrente bancario, mettendo un limite al prelievo in contanti delle loro pensioni. Ma questo per le banche era solo un palliativo L’ideale per loro è quello di costringere tutte le persone che acquistano o trattano un bene qualsiasi, un oggetto qualsiasi a pagarlo con la carta di credito. Che pacchia: un tempo lontanissimo le banche potevano emettere banconote in base alle riserve aure, poi questa proporzione fu lasciata cadere ed emettevano banconote eccedendo e di molto la copertura aurea, poi il sistema dei titoli e dei conti correnti prese sempre più a sostituire la carta moneta, ora si vorrebbe che questa scomparisse, in modo che tutto il giro di acquisti e vendite sarebbe regolato dalle carte di credito, da un clic del mouse, con grandi profitti per il mondo bancario e un evidente controllo su le spese del cliente. Per esaudire questi desiderata dei banksters, Monti ha però riscontrato alcune resistenze, causate dalle abitudini e dalla costituzione sociale della nostra economia, ma di certo non ci ha rinunciato, del resto proprio quello è uno dei compiti primari che gli è stato affidato. Non si dimentichi infatti che tutta l’economia una volta che sarà totalmente regolata dal sistema bancaria, amplierà a dismisura il potere dei banksters. Quindi verso questo obiettivo ci si arriverà gradualmente. Intanto è stato introdotto, a partire dal 1° gennaio 2014, per gli esercizi commerciali e non solo, l’obbligo di accettare carte di credito, per ogni pagamento eccedente i 50 euro. Capita la furbizia? Si comincia a preparare il terreno in modo che tutto sia predisposto, anche tecnicamente, per far poi scattare l’obbligo a tutti, acquirenti e venditori, di usare la carta di credito per ogni spesa oltre i 50 euro. L’obbligo vero e proprio, invece, quello che limita l’uso del contante solo sotto i 50 euro, è stato provvisoriamente rimandato a uno o più decreti del Ministero dello Sviluppo economico di concerto con il Ministero dell’Economia (meglio sarebbe stato chiamarli: Ministero dello Sviluppo economico delle Banche e Ministero dell’Economia bancaria). E’ così la carta di credito, marchingegno che dovendo comunque vivere in questa società dei consumi, poteva anche avere i suoi vantaggi, ma ovviamente come libera scelta del cittadino e non come imposizione e soprattutto se garantita da disposizioni di legge che ne limitano le speculazioni bancarie, di fatto, diverrà obbligatoria. Signori il gioco è fatto: cominciate a farvi almeno un paio di carte di credito, visto che una sola, per un qualsiasi motivo, potrebbe non bastare, e rassegnatevi ad essere sempre più avvolti nella ragnatela stesa su quasi tutto il pianeta dai banksters. Ma finchè c’è la fila, formatasi notte tempo, davanti ai negozi che vendono l’Ipod5, a chi gliene frega qualcosa? E poi c’è sempre qualche imbecille che ripete il mantra dei governi tecnici: sono provvedimenti atti a combattere il riciclaggio e le transazioni in nero. Beh, sapete che vi dico: che avendo la pistola puntata alla tempia, soppesando i pro e i contro, penso proprio che all’usura del signoraggio bancario, e preferibile quella del pizzo mafioso, e agli arricchimenti a dismisura delle banche, è preferibile che si arricchisca chi ricicla e tratta in nero. Senza dubbio. Ma fino a quando dovremo avere questa pistola puntata alla tempia? di Maurizio Barozzi

10 ottobre 2012

La Monti-dipendenza è un altro modo di chiamare l’Italia-impotenza

1) Stiamo vivendo in una fase di recessione economica, che ha reso manifesta la crisi della società civile, con l’eclissi della partecipazione politica delle masse, il degrado delle strutture statuali, il processo di disgregazione morale e civile di una società postideologica, rifondata, dalla fine del XX° secolo su una cultura e un sistema politico ispirato alla liberaldemocrazia occidentale. Il fenomeno della disgregazione sociale e politica di questa società era già latente negli ultimi due decenni, ma oggi si manifesta in tutta la sua drammaticità, con il declino economico, la disoccupazione, l’assenza di prospettive materiali e ideali per le giovani generazioni. Si riscontrano in questo stato di crisi epocale alcune evidenti contraddizioni. Le crisi sono fenomeni ricorrenti nel campo economico, tuttavia, sulla base della esperienza storica della società capitalistica, il sistema economico e politico è sopravvissuto alle sue crisi. Ma la presente crisi, oltre che l’economia, coinvolge anche le istituzioni politiche e gli equilibri sociali: trattasi di una crisi del sistema capitalista globale, che potrebbe non sopravvivere a se stesso. A tale stato di disgregazione sistemica, fa però riscontro l’immobilismo, sia individuale che collettivo di una società che assiste immobile e passiva alla disintegrazione di se stessa. Le crisi strutturali hanno sempre determinato storicamente la fine di sistemi politici e sociali ormai anacronistici, innescando processi di trasformazione politica, con relativo sconvolgimento degli equilibri sociali preesistenti: sono le crisi a porre i presupposti dei fenomeni rivoluzionari. Questo immobilismo sociale e politico, dovuto alla mancanza di reattività dei popoli (specie europei), dinanzi alla propria dissoluzione, è dovuto innanzi tutto alla falsa coscienza diffusa della crisi in atto, quale fenomeno congenito ai cicli economici di un sistema capitalista resosi assoluto, che, proprio per la mancanza di idee e prospettive diverse, trova in se stesso gli strumenti della propria rigenerazione. Nell’ottica del liberismo economico anzi, le crisi costituiscono fasi di trasformazione necessarie di un sistema di per se mai immobile, ma progressivo ed evolutivo. L’immobilismo sociale del presente è il frutto più maturo dell’individualismo generalizzato, che negli ultimi 30 anni ha mutato profondamente l’antropologia sociale dei popoli occidentali. Il sistema economico globale, in perenne mobilità e mutamento, per perpetuarsi ha necessità di oggetti individuali ed immobili, in quanto indifferenziati, fungibili, e sempre uguali a se stessi, da plasmare e integrare nella produzione e nel consumo del mercato globale. L’individualismo, in questo contesto, è astorico, immutabile incontestabile fondamento della natura umana. L’individualismo preclude la coesione e la solidarietà sociale, quei fenomeni cioè, in cui si può realizzare una reazione allo stato di cose presenti, quali elementi da contrapporre alla disgregazione della società. Il rapporto sociale è considerato con diffidenza e paura. L’essere sociale dell’uomo assume una connotazione negativa: se il mondo è capovolto, lo è anche la natura umana nella società contemporanea. Si avverte paura verso ciò che oggi non si conosce più, dato che l’individualismo è alla base della competizione liberista generalizzata e della selettività darwiniana sui sono soggetti gli individui nella perenne concorrenza selvaggia. La competizione, nelle fasi di crisi si accentua e accelera la disgregazione sociale, perché con la recessione la concorrenza diviene lotta per la sopravvivenza. L’individuo è immobile perché da almeno due generazioni le sue prospettive di vita sono solo di natura materiale ed individuale, ristrette cioè agli orizzonti del consumo, del proprio status sociale, delle ambizioni individuali, in una giungla sociale dominata dalla lotta per la sopravvivenza. Vorrei già cogliere in questa prima risposta il nucleo teorico espressivo delle tue riflessioni, in modo che le altre tre risposte siano soltanto articolazioni analitiche. Ti farò subito un elogio ed una critica. Un elogio, perché è vero che il paradosso del nostro tempo è proprio la compresenza, razionalmente contraddittoria ma esistenzialmente dolorosa, di un mutamento storico epocale, e quindi non di una sola crisi economica ricorsiva analoga a crisi precedenti e ben note, e di un immobilismo sociale apparentemente assurdo, perché in generale ad un momento storico “di mutamento e di trapasso (Hegel) si è sempre accompagnato anche un fiorire intellettuale di riflessioni. Una critica, perché tu sembri rifugiarti in una spiegazione largamente tautologica, quella dell’individualismo antropologico di massa. Non nego infatti che quest’ultimo esista, ed è proprio per questo che ho dedicato lunghi studi all’elogio del comunitarismo. Ma la progressiva costituzione antropologica dell’ “individuo immobile” (ottima definizione) non sta in fondo alla “catena dei perché. Cerchiamo allora di ricostruire, sia pure sommariamente, questa catena dei perché. Vedremo che (come cercherò di chiarire nella mia ultima quarta risposta) in questo modo potremo anche in parte illuminare l’enigma attuale della Monti-dipendenza degli italiani. Partiamo da un fatto, il fatto cioè che questa società sembra assistere immobile ed indifferente alla palese disgregazione di se stessa. Evidentemente non solo questa crisi non è percepita come irreversibile, ma si vuol credere ad una prossima ripresa della “crescita” (termine che ha ormai assunto un carattere religioso). Tuttavia, questi fenomeni illusionistici di massa non sono una novità. Negli anni Trenta gli ebrei europei non si aspettavano di essere sterminati. Volevano credere e si sforzavano di credere che oltre ad un certo grado di vessazioni non si sarebbe andati. Non possiamo allora spiegare questo immobilismo con l’individualismo di massa, anche se quest’ultimo ne è certamente concausa, che mi guardo bene dal negare. A mio avviso il vecchio capitalismo borghese, nato anch’esso in modo aleatorio a metà Settecento, è veramente giunto al termine, e non si tratta allora soltanto di una crisi ciclica e di una recessione temporanea, come recita la teologia liberale di Monti e di Draghi. Nello stesso tempo, il capitalismo in quanto tale non è affatto giunto al termine, e bisogna evitare di ricadere nelle illusioni “stadiali” che il marxismo ha intrattenuto per più di un secolo. Mi scuserei se insisto, ma so che tu sei stato biograficamente estraneo a quella particolare forma di religione imperfettamente laicizzata chiamata “marxismo”, mentre io ne sono stato un “credente” per decenni. Sebbene il baraccone del comunismo storico novecentesco (l’unico realmente esistito, perché non intendo calcolarvi i salotti romani Ingrao-Rossanda e le cooperative emiliane pre-bersaniane) sia ormai caduto da più di vent’anni, sono ancora vivi presso il ceto intellettuale gli effetti depressivi, relativistici e nichilistici di questo crollo inatteso. Con questo crollo è crollata anche la concezione stadiale della storia, basata sul mito borghese del progresso. Il nazionalismo cinese ed il post-modernismo europeo non ne sono che temporanei succedanei, in cui però il “temporaneo” può durare decenni. Tu stesso noti che il “rapporto sociale è considerato con diffidenza e paura”. Proprio così. Le generazioni del secolo breve (1914 - 1991 di Hobsbawm) e del secolo brevissimo (1914 - 1975 di Bontempelli, vedi Koiné in Il respiro del Novecento) hanno puntato tutte le loro speranze nel rapporto sociale, variamente interpretato a destra, al centro o a sinistra. Non è pertanto strano che le oligarchie oggi al potere puntino, per riaffermare il loro dominio, non in una nuova interpretazione di destra, centro o sinistra del rapporto sociale, ma sulla abolizione tendenziale del carattere normativo del rapporto sociale stesso. Resta l’apparenza normativa della legittimazione elettorale, che viene anzi estesa con bombardamenti ed embarghi nel mondo che non l’aveva ancora conosciuta, ma è sempre più svuotata di effettività politica, e la dicotomia bipolare viene reimposta come protesi di manipolazione per tifosi dipendenti dagli inputs del circo mediatico, prevalentemente televisivo. Questa società è quindi ad un tempo disintegrata ed immobile. Ed è immobile non tanto e non solo per ragioni di individualismo antropologico, quanto per il venir meno di una prospettiva visibile ed immaginabile di mutamento “verso il meglio”. Oggi prevale la sensazione di un futuro probabile “mutamento verso il peggio” e questo provoca paralisi. Non a caso chi sa di non poter affrontare con speranza di successo uno scontro fisico si copre gli occhi e la testa con le mani chiedendo al massimo pietà al vincitore. Anche oggi, in Italia, si spera che Monti e Draghi non infieriranno troppo. La prima analogia che mi viene in mente per descrivere l’attuale società è quella di “zattera alla deriva”. Immaginiamoci allora una zattera, in cui i naufraghi non dispongono neppure di rami, remi e pagaie per poterla minimamente dirigerla. Essi sono completamente in balia delle onde in tempesta (incarnate oggi dal cosiddetto “giudizio dei mercati”, “entità” che è del tutto al di là sia di Dio che del Progresso) ed è del tutto normale che diventino “individualisti”. Ma allora l’individualismo non è altro che un modo di ribattezzare il “grado zero della sopravvivenza”. Scrivo tutto questo con vero dispiacere. Non ho mai infatti aderito psicologicamente al fatalismo snobistico sulla insensatezza del mondo, ed ho sempre pensato che si trattasse di un lusso riservato ai ceti benestanti. In fondo, l’insensatezza totale della storia fu già teorizzata in modo insuperabile da Schopenhauer nel lontano 1819, ed ogni ripresentazione postmoderna di questo pessimismo non riesce ad aggiungervi nulla. Ma oggi l’immagine della zattera alla deriva ha perso ogni carattere letterario, ed è diventata la descrizione realistica di quanto ci sta circondando. E’ lo stadio ultimo della storia? Certamente no. Dio ci guardi e liberi dagli stadi ultimi della storia. Ma la zattera alla deriva può continuare ad andare alla deriva può continuare ad andare alla deriva per decenni, spinta dall’approdo al consumo di sterminate masse asiatiche e dall’incredibile quantità di capitali concentrati nelle mani delle oligarchie finanziarie. Certo avrai sentito parlare delle “profezie che si autorealizzano”. E’ forse il caso della vecchia darwiniana lotta per la vita e la sopravvivenza delle specie. Nel mondo della natura, però, molto spesso le specie sono solidali e collaborative al loro interno. Noi siamo invece riusciti a creare un mondo in cui si parla in teoria di uomo sociale e di ente naturale generico, ma nei fatti si è affermato lo stato di natura di Hobbes della guerra di tutti contro tutti. Il fatto è che lo scenario in cui stiamo vivendo, la compresenza di disgregazione sociale e di immobilismo politico, è una relativa novità storica, che richiederebbe un nuovo apparato concettuale di spiegazione. Proprio quello che giornalisti e professori universitari non ci daranno mai. E non solo non ce lo daranno, ma faranno un infernale fuoco di sbarramento di artiglieria chi si azzarderebbe a proporlo. 2) Il nostro presente, in una prospettiva storica, potrebbe essere considerato come la fase terminale di un processo di decadenza della civiltà e della società occidentale. Certo è che l’Europa e l’Occidente sono due entità storiche e culturali ben distinte e non assimilabili, ma tuttavia, dobbiamo oggi prendere atto che l’Europa non esiste (e soprattutto non è la UE), perché fagocitata ed omologata all’occidente americano. Pertanto, la crisi dell’Europa coincide con quella dell’Occidente e del primato americano irreversibilmente decadente. Ma anche l’analisi della presente realtà storica, conduce necessariamente a considerare, alla luce del decadimento culturale, morale e politico europeo, la crisi attuale come nella prospettiva di una fase finale di un lungo periodo di decadenza europea protrattosi per circa un secolo. La decadenza europea è un fenomeno presente nella coscienza delle generazioni che si sono succedute dal secondo dopoguerra in poi. La nostra generazione è forse l’ultima testimone dell’esistenza di una società in cui sopravvivevano valori, concetti, stili di vita estranei alla dinamica della società di mercato. Si può parlare dunque, alla luce di quei valori ormai quasi estinti, di una decadenza intesa come un’epoca di disgregazione sociale scaturita dall’avvento del sistema di produzione e di consumo proprio del capitalismo. Varie generazioni europee hanno convissuto con la decadenza. La loro cultura i loro stili di vita, il loro modo di essere nella società è stato permeato da questo spirito decadente. Ma la decadenza non ha suscitato reazioni di rilevo per arginarla, o tentativi di capovolgere questo presunto destino storico vissuto come ineluttabile. Gli stesi furori ideologici degli anni ’70 hanno rappresentato con evidenza la degenerazione storica di culture e fedi ideologiche ormai estranee alla realtà storica. La decadenza è invece l’immagine vivente di uno spirito di assuefazione passiva a destini storici prestabiliti dalla egemonia delle classi egemoni del capitalismo, le sole sopravvissute alla lotta di classe e quindi in grado di imporre il loro corso e il loro senso alla storia. Nella decadenza l’uomo si rifugia nella sua solitudine individualista, si estranea dai processi di trasformazione sociale in atto. Nella decadenza possiamo rinvenire la genesi dell’individualismo contemporaneo, dell’uomo autoreferente di se stesso, di una visione del mondo, di una prospettiva di esistenza limitata a vicende solipsistiche destinate ad esaurirsi in se stesse, senza lasciare traccia. Decadenza è sinonimo di rinuncia ad un senso della vita, di oblio dell’essere, di estraneazione dell’uomo da se stesso. Il tramonto dell’Occidente non deriva da una necessità storica, ma da uno stato della coscienza nichilistico, che si identifica nella alienazione di un uomo estraniato dalla società e dalla storia. Nella decadenza l’uomo occidentale ha comunque vissuto in uno stato di benessere, nel disimpegno morale, perché la decadenza comporta la assenza di creatività e di spirito di trasformazione. La decadenza ha aspetti economici, sociali e culturali del tutto analoghi. Si è vissuti di un capitale accumulato dalle precedenti generazioni, nei risparmi familiari, nelle strutture dello stato sociale, nel patrimonio culturale e storico oggi considerato come un insieme di beni obsoleti e quindi destinati alla musealità. Le capitali europee non sono forse dei musei viventi? La nostra società ha consumato le proprie risorse morali, culturali ed economiche senza essere capace di riprodurle ed il loro esaurimento è ormai un dato di fatto. Il capitalismo ha potuto prevalere attraverso l’abile impiego per i propri fini di tali risorse, generate da un passato anche premoderno, per imporre il proprio potere assoluto. Ma questa eredità si è adesso estinta. Lo steso capitalismo ha distrutto, secondo la logica del consumo illimitato, risorse naturali, materiali e morali rese ad esso funzionali, ma ora non più riproducibili. In questa crisi immanente, cosa rimarrà del capitalismo stesso, se porta in dote per il futuro solo i relitti della sua sistematica opera di distruzione della società, della storia, della civiltà? A proposito del concetto, della percezione e della realtà della decadenza, ne vorrei subito distinguere tre livelli: una decadenza personale o individuale, una decadenza generazionale ed infine una decadenza storica definibile in qualche modo “oggettivo”. La decadenza personale o individuale viene con il decadimento fisico legato all’età (uno dei fatti più comuni e nello stesso tempo più rimossi), e soprattutto con l’inaridimento delle proprie capacità creative, cui non basta ovviare con l’infinita ripetizione di ciò che è già stato detto in un tempo precedente. Questo decadimento è uno dei fenomeni più dolorosi che possano avvenire, ma ciò non la ovviamente nulla a che fare con un concetto storico “oggettivo” di decadenze. La decadenza generazionale è invece un fenomeno maggiormente storico, anche se intrecciato con una sensibilità esistenziale. Fra i quindici ed i trenta anni ci si socializza all’interno di determinate prospettive politiche e culturali, che inevitabilmente cambiano, perché raramente queste configurazioni sociali durano più di venti anni. A questo punto, giunti da una certa età, assomigliamo a dei poveri pedoni che si sforzano di correre per prendere l’autobus. Le porte dell’autobus sono ancora aperte e ci sono persino delle mani generose che si tendono per aiutarci a salire, ma sono le nostre gambe che non ce la fanno più ed allora vediamo l’autobus allontanarsi inesorabilmente. Personalmente, ho sempre questa impressione quando apro la televisione per sentire le notizie. Il senso di estraneità domina ormai sullo stesso sdegno per i continui scandali. Certo, si ha a che fare anche con un processo di assuefazione, come avveniva per il veleno, assunto dal re Mitridate. Ormai, se venissi a sapere che l’intera spesa pubblica italiana dedicata alla sanità è stata spesa in una sola grande orgia del ceto politico non riuscirei neppure più ad indignarmi, come sarebbe peraltro buono e giusto. Gli italiani si sono ormai “mitridatizzati” ed io con loro. Esistono solo alcuni giornalisti che si sdegnano moralisticamente a contratto, ma solamente quando la vergogna tocca la parte politica avversa. Tu proponi invece una nozione discutibile, ma “oggettiva” di decadenza, rilevando soprattutto due dimensioni. In primo luogo, il fatto che la nostra generazione è forse l’ultima testimone della sopravvivenza di valori in qualche modo “premoderni”, precedenti la dinamica della società integrale del mercato. In secondo luogo, il fatto che lo stesso capitalismo aveva fino ad oggi potuto riprodursi sfruttando elementi sociali e culturali pre-capitalistici, ed appunto pre-moderni. Potrei dire di me quello che ad un certo punto il critico francese Roland Barthes ha detto di se stesso: “Improvvisamente non mi ha interessato più nulla essere moderno”. La coazione dell’adeguamento forzoso ad una presunta e mai ben definita “modernità” ha caratterizzato gli ultimi decenni e lo stesso post-moderno nonostante la sua fondamentale ipocrisia ne è stato a suo modo una reazione. Nata con le migliori intenzioni, la modernità si è rovesciata dialetticamente in decadenza. Questa diagnosi era già perfettamente presente in Nietzsche, ma la sua comprensione è stata resa difficile dalla tendenza politicistica ad incasellare Nietzsche a destra o a sinistra. Il disincanto illuministico del mondo, salutato come un grande progresso umano universale, ha soltanto portato alla luce la “sventura” (non ricordo se lo abbia scritto Benjamin o Adorno, o tutti e due). Oggi viviamo in questa conclamata sventura. E’ importante capire che si tratta di una novità storica. A mio avviso, la riproduzione allargata di questa decadenza è ormai irreversibile, salvo improvvise ed imprevedibili catastrofi. Questo sistema del resto ha come principale sua base di legittimazione il ricatto “o me o la catastrofe”. Del resto, chi vuole riflettere filosoficamente su quella che tu chiami la “Monti-dipendenza” in Italia, non potrà che arrivarci da solo. Monti ha azzerato tutte le ideologie con cui per mezzo secolo erano stati addomesticati gli Italiani. Resta soltanto o il ricatto dell’Euro o l’elogio della zoccola (ho in testa la Minetti, ma non solo). Quando Erasmo da Rotterdam scrisse l’Elogio della pazzia, in realtà voleva mettere in guardia paradossalmente dalla pazzia stessa. Oggi, invece, i soli “oggetti” visibili sono il denaro e la fica. Tutta la polemica di origine sessantottina contro il moralismo borghese e piccolo-borghese ha distrutto i ruoli precedenti, con l’inevitabile ipocrisia che si portavano dietro. Se penso che Formigoni aveva fatto il voto di castità e di povertà, e la Chiesa ha sempre fatto finta di non accorgersene, ne concludo che ci meritiamo il gioco delle parti fra Vendola e Renzi, il matrimonio gay e l’autopromozione del fighetto in carriera. 3) La grave situazione economica italiana ed in larga parte europea non può essere superata tramite le strategie di salvataggio della BCE, né tantomeno con la devoluzione, di fatto della sovranità degli stati agli organi finanziari della UE. Appare chiara a molti l’irreversibilità di una crisi sia economica che politica. Solo mutamenti sistemici di vasta portata potrebbero creare nuovi orizzonti nell’avvenire delle nuove generazioni europee. In questo contesto di disfacimento degli stati e della società, solo un evento rivoluzionario potrebbe rappresentare la definitiva rottura con l’ordine capitalista assoluto. Ma una rivoluzione è oggi possibile? Le rivoluzioni sono eventi legati alle ideologie novecentesche, quindi, ad un periodo storico ormai esaurito. Ma non sarebbe possibile oggi la nascita di nuove ideologie compatibili con le esigenze, le contraddizioni, i problemi irrisolti della società del XXI° secolo? In realtà l’ideologia è una forma di interpretazione generalizzata della società e della storia: concezione oggi ritenuta superata, in considerazione delle fallimentari esperienze totalitarie del secolo XX°. Il credo ideologico, al pari della fede religiosa, per sussistere richiede riferimenti culturali e antropologici legati alla cultura europea classica, idealista e premoderna, oggi ritenuta non compatibile con lo sviluppo della società aperta della globalizzazione economica. Occorrerebbe dunque richiamarsi a forme di pensiero che trascendano l’economicismo autoreferente del nostro tempo, che prefigurino cioè una storia che non si identifichi necessariamente con il progresso illimitato, che generino quella utopia creatrice capace di restituire senso e finalità alla vita degli individui e dei popoli del nostro tempo. Ma ideologie e fedi religiose sono state emarginate e condannate come retaggi di secoli passati, come forme di pensiero atte a prefigurare fughe mistiche e orizzonti storici smentiti dallo sviluppo materiale di una società i cui valori si identificano con le certezze empiriche della scienza, della tecnologia, della economia del mercato globale. L’uomo contemporaneo è un individuo compiuto nella misura in cui si sia liberato della credulità mistico - ideologica dei secoli bui e assassini e soprattutto si sia liberato dal problema del senso di se stesso e della storia. Ma oggi è proprio la realtà materiale, fattuale, empirica a smentire le premesse di questo pseudo illuminismo riciclato come modernità del secolo XXI°. Anziché sviluppo c’è recessione, diseguaglianza e privilegi diffusi annullano di fatto ogni principio di eguaglianza, le libertà politiche vengono sempre più compresse dalle esigenze della competitività economica. La contraddizione è evidente, ma l’incapacità di ribellione allo stato delle cose presenti è dovuta proprio a quella mancanza di senso che pervade l’odierna società. E’ questa impossibilità anche solo di immaginare una società diversa e/o alternativa alla presente realtà storica a troncare le radici di ogni possibile rivoluzione e consente a questo capitalismo assoluto di sopravvivere ancora a se stesso: le macerie morali e culturali da esso prodotte sono i fondamenti della sua resistenza e sussistenza. La rivoluzione è diventata impensabile ed inimmaginabile proprio quando è ormai necessaria. L’immaginario politico occidentale da circa due secoli ruota intorno al concetto di rivoluzione, dando infatti luogo ai due campi simbolici complementari dei rivoluzionari e dei contro-rivoluzionari. I fatti del triennio 1989-1991, hanno inaugurato in Europa un’epoca che ha abolito il concetto di rivoluzione, identificato o con i fiumi di sangue dei fanatici o con le code per comprare salsicce e carta igienica. Solo uno sciocco privo di spirito dialettico poteva però pensare che l’abolizione della rivoluzione dall’immaginario sociale non comportasse anche conseguenze telluriche nella cultura complessiva. Molte proposte politiche, oggi, non incitano più alla rivoluzione (come hanno fatto per quasi un secolo i movimenti comunisti e neo-fascisti), ma ad una sorta di “conversione”. Pensiamo ad esempio alle recenti conferenze italiane di Serge Latouche, il profeta della decrescita. Latouche, con tutte le sue palesi buone intenzioni, non è in grado di chiarire in che modo possa iniziare a livello mondiale un processo equilibrato e democraticamente controllabile di decrescita e si limita a spiegare le ragioni per cui sarebbe auspicabile. In questo modo, di fatto, il suo discorso diventa religioso, simile a quello che fa Ratzinger, quando esorta a convertirsi. Del resto, non è certo la prima volta nella storia in cui l’eclissi di una prospettiva rivoluzionaria comporta il passaggio ad una generalizzata esortazione alla conversione. E’ invece la prima volta che sembra imporsi nella coscienza sociale una vera e propria irrappresentabilità del mutamento. In un esame comparato della storia mondiale nelle varie epoche, il mutamento mi è sempre sembrato costantemente rappresentabile. Un popolo era dominato da un altro e pensava, progettava o sognava di come liberarsene. Si potrebbero fare molti esempi di questo tipo, ma tutti arriverebbero alla conclusione del mantenimento di una prospettiva di uscita da una situazione ritenuta negativa. E’ evidente che tu imposti correttamente il problema quando parli letteralmente di forme di pensiero che trascendano l’economicismo. Dal punto di vista della teoria filosofica, è veramente così. Ma ad esempio anche la teoria della decrescita trascende l’economicismo, eppure non riesce a passare dall’invito alla conversione all’organizzazione della rivoluzione. L’economia si è evoluta da scienza particolare della produzione e della distribuzione della ricchezza a fondamento filosofico unico della riproduzione umana. A suo tempo, Roger Garaudy parlò opportunamente di monoteismo del mercato. Lo stesso pensiero di Marx, peraltro non privo di errori e di previsioni smentite dal processo storico, non intendeva dare vita ad una scuola economica, ma ad una critica generale e complessiva dell’interna società in quanto con la “critica dell’economia politica” intendeva una critica complessiva della società capitalistica. Non posseggo ovviamente la formula del superamento della visione economicistica del mondo. Riesco soltanto a pensarne le dimensioni geopolitiche legate alla sovranità nazionale e questo significa respingere in qualche modo la logica della globalizzazione. I cosiddetti movimenti no-global, peraltro non a caso in via di sparizione, sono in proposito del tutto inutili, perché rappresentano l’estrema propaggine storica della mentalità avanguardistica del Sessantotto. Essi affermano di non volere la globalizzazione e poi non vogliono cominciare dal ristabilimento della sovranità nazionale sull’economia, passo non certo sufficiente, ma almeno necessario per cominciare. Credo quindi che soltanto una catastrofe, o una serie di catastrofi, possa portare ad una inversione di tendenza. Non le auspico certamente, al contrario. Non lo vorrei, e vorrei invece una somma di conversione filosofica e rivoluzione sociale. Ma le oligarchie economiche hanno spinto a tale punto le cose da far diventare difficilmente pensabile un tale auspicabile scenario di transizione pacifica. In ogni caso, si tratterà di un problema che affronteranno le generazioni a venire, su basi teoriche che noi non possiamo neppure probabilmente immaginare. 4) Osservando la realtà politica italiana, quale viene rappresentata dai media, si ha l’impressione che l’Italia sia un paese Monti - dipendente. L’avvento del governo tecnico di Monti rappresenterebbe dunque un fatto epocale nella storia recente del nostro paese da cui non si possa prescindere nel futuro. In realtà non esiste una Italia ante - Monti e un’altra post - Monti. Il personaggio Monti è un tecnico, un uomo cioè imposto dalle oligarchie finanziarie della BCE e, con procedure poco ortodosse dal punto di vista costituzionale dal presidente Napolitano, al fine di compiere quelle manovre di austerity economico - sociale imposte dalla UE. Egli è dunque solo un tecnico, un materiale esecutore di quanto altrove deliberato per l’Italia. Si è fatto ricorso al tecnico Monti per attuare provvedimenti che i governi politici, anche se in stato di limitata sovranità ed eterodiretti dalla UE, si erano dimostrati incapaci di mettere in atto. Ma le linee fondamentali della politica italiana degli ultimi 20 anni sono rimaste identiche. L’esproprio della sovranità politica italiana in favore della UE ha avuto quasi definitivo compimento ma questa è solo la fase ultima di un lungo processo iniziato con la seconda repubblica. Se Monti succederà a Monti o gli subentreranno altri personaggi politici o tecnici, è una questione di scarsa rilevanza. Certo è che sia l’abbassamento dello spread che i rialzi delle borse degli ultimi tempi, non sono argomenti che interessino molto il cittadino medio italiano, dato l’espandersi della disoccupazione, l’innalzamento della età pensionabile, il potere d’acquisto dei salari sempre più ridotto, unito all’inasprimento senza limiti della pressione fiscale. Il mondo finanziario, causa prima del declino economico e sociale italiano, è sempre più lontano ed estraneo alla realtà quotidiana in cui si dibatte il popolo italiano. Nonostante tutto, la maggioranza degli italiani è ancora convinta della positività della esperienza governativa di Monti, forse terrorizzata dalla esperienza greca e/o da scenari apocalittici diffusi dai media in caso di fuoriuscita dall’euro. Forse il disfacimento del sistema non è giunto ancora al punto critico di non ritorno, forse in Italia non si è ancora diffusa sufficientemente nella collettività la coscienza della irreversibilità della crisi, perché possano delinearsi scenari di trasformazione rivoluzionaria di un sistema ormai condannato alla ineluttabile decadenza. Certo è che episodi come la probabile chiusura della Alcoa e le prospettive di dismissione degli investimenti della Fiat in Italia, potrebbero accelerare il corso di eventi ancora impensabili per la maggioranza della popolazione. A proposito della cosiddetta Monti-dipendenza (mi congratulo con te per l’ottima e sintetica definizione) credo che abbiamo a che fare col vero nucleo teorico del problema. E definirò questo nucleo teorico come una generalizzata perdita di controllo conoscitiva del presente inteso come storia. Permettimi di disaggregare concettualmente la definizione: generalizzata perché riguarda tutti, anche se è veicolata ideologicamente dal ceto corrotto degli intellettuali, frazione dominata dalla classe dominante (che resta la sola oligarchia finanziaria); perdita di controllo conoscitiva significa perdita di capacità di analisi strutturale dei meccanismi di riproduzione (capitale finanziario) e di legittimazione (simulazioni elettorali periodiche prive di sovranità politica); presente inteso come storia significa che anche il presente, prima di essere cronaca, è innanzitutto storia, anche se ovviamente manca la necessaria prospettiva temporale che sola permette i bilanci storici seri. Voglio fare due esempi pittoreschi di questa Monti-dipendenza, uno riguardante l’attore romano Carlo Verdone e l’altro l’intellettuale torinese della sinistra politicamente corretta (politicamente corretta=operaismo testimoniale + azionismo moralistico) Marco Revelli. Interpellato dal quotidiano “La Stampa” (21.09.2012), Verdone prende spunto dalle ultime maialate del ceto politico professionale romano “di destra” (Fiorito eccetera), le condanna con virtuosi accenti alla Beppe Grillo, afferma che costoro non hanno solo rubato la torta, ma addirittura svuotato la pasticceria, e poi finisce in bellezza dicendo: “E meno male che abbiamo Monti, almeno sta facendo il possibile per mettere toppe, e poi dobbiamo anche ringraziare Mario Draghi”. Si dirà che Verdone è un attore comico, e non possiamo pretendere da lui analisi strutturali. Ma passiamo a Revelli, storico-sociologo di professione, intellettuale invitato permanente dal “Manifesto”, dal TG3, e da Rai News. Quando Monti fu insediato, lo vidi che ne faceva un elogio sperticato in nome del fatto che “almeno ci farà fare bella figura all’estero”, in quanto il puttaniere maialone Berlusconi con i suoi volgari apprezzamenti sul culone della Merkel era ormai impresentabile. Se fosse rimasto anche solo un briciolo di capacità di analisi strutturali del presente storico, si sarebbe capito che così come dietro il livello delle orge di Tiberio e Nerone ci stavano i problemi strutturali della produzione schiavistica, analogamente dietro le maialate di Berlusconi ci stava la sua incapacità di far passare misure antipopolari di massa, per cui ci voleva un “tecnico” anglofono percepito come indipendente con le mani pulite. E pazienza se l’attore Verdone non lo capisce. Ma che non lo capisca lo sputasentenze Revelli significa che ormai che ogni capacità di analisi strutturale è perduta. Nella mia prima risposta che qui non riprendo nei particolari mi sono già chiesto se questa crisi sia o no irreversibile. Ricorderai che ho risposto in modo intermedio: questa crisi non è una semplice crisi ciclica come quelle che l’hanno storicamente preceduta, ma nello stesso tempo non bisogna illudersi sul fatto che sia una “crisi finale”, destinata a dare luogo ad un mondo in qualche modo nuovo. Ora in questa mia quarta risposta vorrei tornare a questa impostazione calibrandola proprio sul caso della Monti-dipendenza. L’Italia è davvero oggi un anello debole dell’Europa. Ma il termine “anello debole” non deve essere inteso nel senso di Lenin, come eccezione che può favorire una rivoluzione (nei termini del trotzkista Pasquinelli, una sollevazione). L’Italia è un anello debole perché è un paese in via di progressiva deindustrializzazione, che ha un ceto politico parassitario strutturale (particolarmente volgare a destra, “ipocrita” al centro ma ben radicato anche a sinistra) che evidentemente non si riesce a togliere né con Mani Pulite, né con altri accorgimenti giudiziari. Si tratta probabilmente dell’eredità sociologica della Prima Repubblica (1946-1992), in cui il gonfiamento degli apparati politici era funzionale alla stabilità strategica di un paese di “frontiera dell’Occidente”. Il ventennio berlusconiano (1993-2011) non ha potuto cambiare le cose sul piano strutturale, ma ha permesso alla “destra” di legittimarsi e di mostrare la sua vera faccia (quella delle maschere di maiale dei festini della destra romana della Regione Lazio), ed alla “sinistra” di riciclarsi facendo dimenticare con l’anti-berlusconismo ossessivo di essersi legittimata per decenni ingannando le masse con la prospettiva illusoria della via italiana al socialismo. Il “bonapartismo” di Monti appare inspiegabile al di fuori di questo vuoto pneumatico di cultura, di ideologia e di prospettiva. Abituati da lungo tempo a non pensare più con la propria testa, Monti semplicemente è il successore di una lunga serie precedente, Giolitti, Mussolini, Togliatti, Andreotti, Craxi, Berlusconi, etc. Più esattamente, non credo basti dire che l’Italia è oggi Monti-dipendente. L’Italia è oggi un paese ad amministrazione controllata, in quando la sua intera sovranità economica è avocata dalla Troika e l’intera sovranità militare dall’alleanza NATO. In Grecia (Samaras) ed in Spagna (Rajoy) è stato possibile delegare l’amministrazione controllata ad esponenti del ceto politico tradizionale di centro-destra, ma in Italia questo si è rivelato impossibile per il doppio e concomitante fenomeno del berlusconismo, da un lato, e l’interminabile riciclaggio dell’ex-PCI, dall’altro. Fenomeni ridicoli come Vendola (a sinistra) e Renzi (a destra), al di là degli aspetti di superficie (rottamazione generazionale, matrimoni gay, eccetera), sono semplicemente la superficie di assestamenti geologici di lungo periodo e di normalizzazione dell’elefante-PCI. La Monti-dipendenza non è che la manifestazione del fatto che le tare storiche della modernizzazione italiane non potevano essere colmate da forze sovrane, come sono pur sempre Berlusconi e Bersani. Succederà Monti a se stesso nel 2013? Scrivendo queste righe nel settembre 2012 non posso certo saperlo, perché non ho la sfera di cristallo. Ma se i particolari di quando avverrà fra qualche mese sono ancora oscuri, non lo è la politica economica eterodiretta che il cosiddetto impegno europeo ci chiederà. Un Monti con Monti o un Monti senza Monti può essere interessante per i maneggi del ceto politico, ma non per l’italiano qualunque. A proposito del corpo elettorale, una parte si asterrà perché ha capito di non essere più sovrano (ed anche perché ci saranno sempre meno soldi a pioggia per le clientele fameliche), una parte voterà Grillo, e la parte restante si dividerà nelle collaudate tifoserie di destra e di sinistra, tifoserie che rendono possibile la legittimazione politica dell’attuale riproduzione oligarchica. Personalmente sono d’accordo con i sovranisti (vedi l’economista Bagnai), ma non credo che gli italiani siano pronti per il sovranismo. Ne avrebbero troppa paura. I giornali sono sempre pieni di scandali e scandaletti (ormai la “Repubblica” è diventata asfissiante, sembra che al mondo ci siano solo Formigoni e la Regione Lazio), ma sono i dati fondamentali dell’economia quelli che contano ed essi non sono forse ancora catastrofici, ma vanno inesorabilmente in discesa. La Monti-dipendenza è un altro modo di chiamare l’Italia-impotenza di Costanzo Preve - Luigi Tedeschi

05 ottobre 2012

Meglio morti subito che ancora Monti dopo

Alla Trimurti della Trilaterale, del Bilderberg e della Goldman Sachs, cioè TriMonti, vorrebbero concedere il bis, ovvero a lui il bissamento al Governo e all’Italia l’inabissamento nella cloaca della Storia, passando per il peggiore dei Gabinetti dei poteri sporchi che il nostro Paese abbia mai avuto. Ma Monti la Trinità, non passerà, non lascerà e non raddoppierà, bensì, essendo nessuno eppure trino, sobria divinità gonfiata come un palloncino di gomma dalla carta stampata globale e da investitori stranieri, interessati ad accaparrarsi gli ultimi pezzi dell’argenteria di famiglia, triplicherà i panni sporchi, i sacrifici, le tasse, le bollette e farà sparire i pezzi grossi dell’industria di Stato, sui quali si sono già scatenati i pescicani internazionali. Tutto questo decadimento che sta facendo precipitare l’Italia tra le nazioni pezzenti del capitalismo occidentale e tra i Paesi con le più basse prospettive di crescita del continente, i nostri giornaloni lo chiamano necessità epocale; inoltre, a loro modo di non vedere la realtà, l’opinione pubblica continuerebbe a preferire il Trinariciuto dei poteri storti, al ritorno del trenino dei partiti, responsabile prima dello stazionamento sui binari morti della stagnazione e poi del deragliamento nella letale recessione. I pennivendoli di regime scrivono che quest’astrazione chiamata opinione generale, la quale non ha mai avuto un’idea propria in vita sua, essendo una creazione di chi controlla i mezzi d’informazione, voglia tenersi TriMonti per non finire in fondo al mare poiché, dato lo sfasciamento del sistema politico attuale, solo un Dio ci potrà salvare. Ma ciò che ha i tratti apparenti della discontinuità tra il vecchio ed il nuovo – che per chiamarlo tale ci vuole davvero tanta fantasia essendo i due principali artefici di questa presunta svolta due bisnonni (Napolitano e Monti) – è soltanto un’illusione ottica in quanto questo Esecutivo nominato dal Colle, appoggiato dalla partitocrazia screditata e tenuta per il collo dalle indagini della magistratura, approvato e reclamato dalle cancellerie mondiali, i cui membri sono stati selezionati tra personalità che hanno scalato i gradini della professione leccando i culi coronati del sistema bancario, finanziario e politico di mezzo mondo, è espressione dei soliti apparati invisibili i quali appaiono sulla scena unicamente quando la democrazia formalistica, con le sue opzioni fintamente alternative, passanti per stanche consultazioni elettorali e falsi coinvolgimenti della società civile, s’inceppa e non garantisce più la perpetuazione dei loro meccanismi riproduttivi. A fortiori quando per continuare ad esistere, in quanto conglomerato di poteri smorti al cospetto dei veri dominanti della fase, occorre mettere sul mercato organi strategici che aiutano loro a fare cassa ed il popolo ad entrare nella cassa da morto. Per queste ragioni, quello che fino a ieri era un totem sacro, le elezioni che rendono il popolo esteriormente sovrano, diventano persino una iattura da allontanare al fine di accorciare la filiera decisionale ed accelerare le svendite. Chiamiamoli allora, questi liquidatori di indipendenza nazionale per la prosecuzione della loro misera sopravvivenza, poteri corti, cioè le élite irriformabili di uno Stato mandato all’ammasso con una visione ristrettissima dei processi storici e delle congiunture economiche e con le mani allungate sulle nostre speranze ad arraffare un futuro che non vedrà la luce. Perciò, anziché sottostare a questo lungo stillicidio di sottrazioni del patrimonio pubblico, di smembramento delle proprietà statali e di completa distruzione dell’autonomia della repubblica, c’è da augurarsi un immediato scollamento del tessuto sociale con tutte le conseguenze del caso, nella speranza che dal caos venga fuori qualcosa di meno orribile della tremenda fine in lento avvicinamento. Insomma, meglio Morti subito che ancora Monti dopo, meglio morire ora da uomini semiliberi per rinascere come corpo sovrano che prolungare questa esistenza cadaverica da vili e da servi. di Gianni Petrosillo

04 ottobre 2012

Capitalismo, il virus che intossica i mercati

Udite udite: dalla Bocconi escono cervelli critici, non soltanto dogmaticamente liberal-liberisti come l’esimio Mario Monti. Insegnano storia economica nella famosa università milanese, i professori Massimo Amato e Luca Fantacci, autori di un consigliatissimo libretto pubblicato dalla Donzelli nel luglio scorso, “Come salvare il mercato dal capitalismo”. Il titolo può mettere in sospetto il lettore anti-sistema: non è che questi due, giocando sui concetti di mercato e capitalismo, in realtà hanno l’intenzione di salvare lo status quo che nei fatti vede i due termini come sinonimi? Economia liquida Il fondamento su cui i due bocconiani costruiscono la loro analisi consiste, al contrario, nel disconoscere la sinonimia abituale. Il mercato è l’economia dello scambio misurato attraverso la moneta, il capitalismo è il mercato dominato dalla finanza. Il primo è da salvaguardare, il secondo da combattere e abolire perché rende lo scambio succube della mercificazione del credito. Leggiamo: «Economia di mercato e capitalismo … a ben vedere, sono anzi incompatibili. Il capitalismo è un’economia di mercato con un mercato di troppo: il mercato della moneta e del credito». Di troppo, nel doppio senso negativo che riveste la liquidità o finanziarizzazione: «da una parte, è il carattere del credito, nella misura in cui può essere comprato e venduto su un mercato, il mercato finanziario, come quel luogo dove si investe senza responsabilità e tutti ci guadagnano. D’altra parte la liquidità è anche il carattere eminente della moneta capitalistica, nella misura in cui è una moneta che può essere trattenuta indefinitamente, come forma suprema della ricchezza, come rifugio sicuro in tempi di incertezza, quando non ci si può più fidare di nessuno». In altre parole, il male originario del sistema capitalistico sarebbe nel suo fondarsi sull’illusione del profitto illimitato e abbordabile da tutti, resa possibile da una moneta basata sul debito. Il problema a monte, insomma, è l’economia liquida, è la liquidità definita come «il principio per cui i debiti non sono fatti per essere pagati ma per essere comprati e venduti su quel mercato sui generis che è il mercato finanziario. La liquidità trasforma il rischio inerente a ogni atto di credito… in un rischio ben differente: il rischio che i titoli che rappresentano i debiti non trovino più acquirenti». Che è esattamente la tipica situazione di insolvenza riscontrata nella crisi mondiale di questi anni. Creditore fa rima con debitore Ma, secondo Amato e Fantacci, neppure la finanza è un male di per sé. A patto di intenderla come si dovrebbe intendere l’intera economia: come una relazione di cooperazione, e non di concorrenza. Una cooperazione non certo moralisticamente compassionevole, sia chiaro: il creditore ha interesse che il debitore possa pagare il suo debito, e il debitore ha interesse a pagarlo per non diventarne schiavo. La liquidità o finanziarizzazione opera una scissione, perché rende la relazione una merce, un pezzo di carta rivendibile, e rivendibile in tempi sempre più brevi e veloci (la famosa speculazione). D’altronde questo fa la finanza sanguisuga: compra, vende e rivende, impacchettati e spacchettati, i debiti. E infatti la famigerata crisi greca è scoppiata quando i titoli di debito ellenici hanno smesso di essere vendibili, perché pagabili non lo erano stati mai. Aver mercificato il rapporto creditore-debitore «gli toglie la sua caratteristica di solidarietà intrinseca facendone un titolo negoziabile, toglie alla moneta il suo carattere di misura comune per renderlo un fattore di accumulazione, toglie al lavoro la dignità che si matura nella competenza per consegnarlo alla precarietà». È la lezione del caro vecchio Marx che torna a galla dall’oblio. Peccato che gli ultimi marxisti dei nostri tempi non tocchino mai, paurosi di scottarsi, il tema monetario e creditizio. Invece chi si oppone al lavoro-merce non può non opporsi al credito-merce. Cosa che non avviene perché a sinistra si è dimenticato pure Keynes, che nel capitolo 12 della Teoria generale condanna senza mezzi termini la liquidità come un «feticcio anti-sociale». E allora bisogna chiamare le cose con il loro nome, e qui sta la parte concettualmente più coraggiosa, benché non certo rivoluzionaria, del libro in esame: «l’idea che la moneta sia ricchezza e che il fatto stesso di prestarla meriti di essere premiato è la radice di un male endemico, sociale e insieme umano. Chiamatela come vi pare. Fino a un paio di secoli fa si chiamava usura. Poi gli economisti classici l’hanno chiamata rendita. E l’hanno aspramente criticata. Oggi si chiama tasso d’interesse». Usura e cooperazione La schiavitù dell’interesse è, come avrebbe detto Aristotele, “odiosa” perché costituisce un prelievo forzoso alla fonte sui redditi, perché vampirizza il lavoro e l’impresa togliendo risorse per una sterile accumulazione puramente monetaria (la deflazione, in cui le banche sguazzano facendosi in pratica regalare miliardi dalla Bce senza girarli alle aziende), perché, con la foglia di fico della “finanza democratica” (i fondi gestiti dalle banche), fa credere al comune risparmiatore di poter guadagnare senza lavorare. E così si finisce col far lavorare senza guadagnare, come dimostra la proletarizzazione del ceto medio diffuso. Come se ne esce? Politicamente1, è chiaro. Ma non certo limitandosi a indignarsi, come è in voga dire oggi. Innanzitutto bisogna fare chiarezza teorica su quali sono gli obbiettivi di un’altra finanza: «La finanza deve assolvere due compiti essenziali: finanziare gli scambi e finanziare gli investimenti. Nessuno dei due compiti richiede il mercato del credito o il prestito a interesse. Il finanziamento degli scambi può avvenire attraverso sistemi di compensazione (improntati non alla crescita indefinita delle operazioni finanziarie, ma all’equilibrio degli scambi). Il finanziamento degli investimenti e dell’innovazione può avvenire attraverso forme di compartecipazione alle perdite e ai profitti (all’interno dei quali la crescita non è obbligata, ma semplicemente possibile)». Gli autori chiudono il libro, infatti, con una proposta innovativa: l’introduzione di un doppio corso, con un Euro a vocazione globale – perché piaccia o no la globalizzazione bisogna fronteggiarla – e una moneta di conto complementare, che rifletta i tessuti sociali ed economici locali. E si tratta di un’idea nient’affatto peregrina, dato che esistono numerosi esempi, antichi e attuali, di una felice assenza di mercati finanziari col prestito a interesse: dalle fiere dei cambi rinascimentali alle banche mutualistiche e cooperative, dalla finanza islamica al venture capital, dagli esperimenti di denaro a scadenza durante la Grande Depressione ad alcuni esperimenti di monete locali. Essere ragionevoli è rivoluzionario In concreto, la nuova divisa complementare sarebbe connessa all’istituzione di una camera di compensazione locale, una banca pubblica per piccole e medie imprese che abbiano almeno una parte di clienti e fornitori sul territorio. Ma pubblica non perché usa capitali pubblici ma perché pubblica è la logica che adotta e pubblico è il servizio che rende. Una specie di credito cooperativo, in quanto i partecipanti si concedono il credito mutualmente. «Ciò che caratterizza lo spirito della cooperazione non è il fatto che tutti sempre ‘si vinca’, ma piuttosto il fatto che, si vinca o si perda, il vantaggio e il peso sono sopportati insieme e secondo proporzione.» Banale e un po’ ingenuo riformismo? Mica tanto. Mettere in discussione l’idolatria dei “mercati” signori e padroni è già un atto rivoluzionario. Così come mettere all’indice il ricatto politico ed economico delle banche private come frutto di un vizio strutturale che ha il preciso nome di usura. Solo, non si può soltanto abbaiare alla luna2. Occorre sforzarsi di proporre alternative ragionevoli, imperfette e perfettibili come tutte le proposte. Ma è la direzione che conta. E a me pare quella giusta. Note L’ideologia dominante, quella liberal-capitalistica, l’unica rimasta sul terreno dopo la sconfitta del suo alter ego social-comunista, finora ha impedito di rompere il muro d’omertà sulla dittatura finanziaria: “la finanza ha potuto usurpare lo spazio della politica e asservire l’economia reale solo perché l’ideologia del mercato ha occupato lo spazio della finanza. Frutto di questa ideologia che nessuno, da trent’anni, ha saputo contrastare adeguatamente, il mercato finanziario in quanto tale è un problema. È un problema economico, politico e, infine, umano. È un problema perché ha preteso di fare mercato di una relazione sociale e umana fondamentale, quella fra debitore e creditore. Se solo la poniamo così, l’assurdità del proposito emerge da sola. Occorre dunque una riforma della finanza che le tolga lo spazio usurpato e la riannodi al compito mancato. Togliere alla finanza la forma del mercato, significa rimetterla al servizio dell’economia di mercato. E questo è un compito politico” (Amato-Fantacci, op. cit, pag. 6). Anche perché siamo tutti complici, volontariamente o involontariamente, della mistificazione finanziaria: “il colpevole non è «qualcun altro», giacché i mercati finanziari siamo tutti noi, nella misura in cui condividiamo, socialmente e individualmente, i presupposti antisociali del loro funzionamento. In questo odioso regime dei creditori siamo tutti implicati. Innanzitutto, perché siamo tutti creditori: basta avere un conto in banca per contribuire a creare quella pressione sul debitore che può diventare intollerabile. Ma soprattutto, e più profondamente, perché anche chi non investe in borsa, talvolta perfino chi protesta contro lo strapotere di Wall Street, difficilmente mette in discussione ciò su cui i mercati finanziari si fondano: il dogma della liquidità. Ossia l’idea, apparentemente naturale, secondo cui il denaro contante (la liquidità, appunto) è la forma più sicura di risparmio e, di conseguenza, si può accettare di privarsene solo in cambio di un investimento che sia ugualmente liquido o che frutti un interesse adeguato. Detto altrimenti, questo è il credo generalizzato a cui tutti implicitamente ci atteniamo: la moneta è il sommo bene, e deve generare interesse nella misura in cui è data a credito. Chi accumula denaro, si aspetta che conservi il suo valore. Chi lo cede in prestito, si aspetta di riceverlo aumentato. Lo dà per scontato. E in effetti è scontato, letteralmente, in termini contabili. Così opera il dogma trinitario della liquidità: moneta-credito-interesse, uni e trini, inseparabili” (Amato-Fantacci, op. cit, pag. 10). di Alessio Mannino

03 ottobre 2012

Discorso integrale di Ahmadinejad all'ONU

E’ l’ottavo discorso di Mahmoud Ahmadinejad all’Onu, il più bello, il più emozionante, il più completo. Il presidente dell’Iran non tralascia un solo problema del mondo senza averne parlato; parla di tutto quello che non va, in tutto il mondo ed in questo senso il suo discorso è realmente qualcosa di unico. Ecco la traduzione della versione integrale del suo discorso, un’esclusiva di Radio Italia IRIB. “Io vengo dall’Iran, dalla terra della bellezza e dell’imponenza, dalla terra della scienza e della cultura, la terra della saggezza e delle virtù, dalla culla della filosofia e dello gnosticismo, dalla patria del sole e della luce, la terra degli scienziati, dei saggi, dei filosofi, degli gnostici, dei letterati, la terra di Avicenna, Ferdowsi, Rumi, Hafez, Attar, Khayyam e Shahriar; sono quì in veste di rappresentante di un popolo grande e dignitoso, tra i fondatori della cultura umana e tra gli eredi di essa; sono il rappresentante di gente saggia, innamorata della libertà e della pace, affettuosa, che ha assaggiato il sapore amaro delle guerre e delle aggressioni e che ama la pace e la serenità. Il messaggio dell’Iran Oggi sono quì con voi fratelli e sorelle provenienti da tutto il mondo per parlare per l’ottava volta in otto anni di servizio al popolo del mio paese, e dimostrare al mondo intero che il dignitoso popolo dell’Iran, proprio come il suo passato splendente, ha ancora oggi un pensiero rivolto a tutto il mondo e non rinuncerà a qualsiasi sforzo per lo sviluppo ed il rafforzamento della pace, della sicurezza e della stabilità nel mondo; e l’Iran sa che questo non sarà possibile se non con la cooperazione e l’aiuto degli altri. Sono quì per riferire a voi rispettabili presenti il messaggio divino degli uomini e delle donne del mio paese. Un messaggio che il maestro dell’orazione della terra d’Iran, Saadi di Shiraz, ha reso immortale in questi due versi: I figli di Adamo sono uno parte dell’altro, dato che sono creati da un unico gioiello quando la vita reca male ad una di queste parti, le altre parti perdono la propria quiete. Nei sette anni precedenti ho parlato delle sfide e delle soluzioni e dell’orizzonte dinanzi al mondo ed oggi voglio osservare questo argomento da un’altra angolatura. Passano migliaia di anni dalla diffusione sulla terra dei figli di Adamo, figli che con colori, gusti, lingue e tradizioni differenti hanno tutti sognato la costruzione di una società piena di amore, per raggiungere una vita più bella e stabilire il benessere, la pace e la sicurezza. Come sarebbe il mondo se… Nonostante lo zelo incessante dei buoni e dei grandi riformatori e degli amanti della giustizia e nonostante i tanti sacrifici delle masse popolari per raggiungere la felicità e la vittoria, tranne delle piccole eccezioni, la storia dell’umanità è stata piena di sconfitte e fatti amari. Immaginatevi cosa sarebbe successo se gli egoismi, le mancanze di fiducia, le dittature, non ci fossero state e se nessuno avesse usurpato i diritti altrui? Se invece della ricchezza e del consumo, il rispetto ad una persona dipendesse dalle sue virtù? Se l’uomo non avesse attraversato il periodo nero del medioevo, se i potenti non avessero impedito il progresso in quel periodo? Se non ci fossero state le crociate, ed il periodo dello schiavismo, ed il colonialismo? Se non ci fossero stati i due conflitti mondiali e le guerre in Corea e Vietnam e non ci fossero state le guerre che ci sono state in Africa, America Latina e nei Balcani? Se invece dell’occupazione della Palestina e l’imposizione di un falso regime ad essa e la costrinzione di migliaia di persone a lasciare le proprie case si fosse fatto dell’altro? Se non ci fosse stata la guerra di Saddam contro l’Iran ed i potenti di quel tempo invece del sostegno a Saddam avessero sostenuto i diritti del popolo iraniano? Se non si fosse verificato l’amaro fatto dell’11 Settembre e se non ci fossero state le aggressioni contro Iraq ed Afghanistan e se invece di gettare a mare il corpo di un imputato ucciso senza processo si avesse deciso di processarlo in modo che la verità venisse a galla? Se non si fosse usato il terrorismo e l’estremismo per portare avanti politiche espansioniste? Se le armi si fossero trasformate in penne per scrivere e se i budget militari fossero stati usati per il benessere e l’amicizia tra i popoli? Se non si scatenasse in continuazione il tam tam delle divergenze etniche, religiose e razziali e se queste divergenze non venissero usate per raggiungere scopi politici ed economici? Se invece del finto sostegno alla libertà di espressione quando si tratta di offendere le sacralità umane ed i messaggeri divini - che sono gli uomini più puri ed affettuosi e sono i più grandi doni di Dio all’umanità - si permettesse la critica alle politiche di dominio ed alle azioni del sionismo internazionale? Se le agenzie di stampa mondiali potessero diffondere liberamente le verità? Se il Consiglio di Sicurezza non fosse sotto il dominio di pochi paesi e se l’Onu fosse in grado di agire in maniera veramente indipendente? Se gli istituti economici mondiali non fossero sotto pressione e riuscissero ad esprimersi veramente sulla base delle indicazioni dei propri esperti? Se i capitalisti mondiali non sacrificassero l’economia dei paesi deboli per i propri interessi? Se questa gente non sacrificasse la gente per rimediare ai propri errori? Se a dominare le relazioni internazionali fosse stata la sincerità e tutti i popoli e governi avessero potuto partecipare alla gestione del mondo in maniera giusta e con eguaglianza? E se non ci fossero decine di altre situazioni inconvenienti per l’umanità, immaginatevi che bella vita avremmo oggi e che bella storia avrebbe l’essere umano. Ma ora bisogna dare pure uno sguardo alla situazione odierna del mondo. La situazione del mondo di oggi a) Situazione economica La povertà ed il divario tra ricchi e poveri aumentano. Il debito estero dei 18 paesi maggiormente industrializzati del mondo ha oltrepassato i 60 mila miliardi di dollari e pensare che solo la retribuzione della metà di questo debito agli altri popoli risolverebbe per sempre il problema della povertà nel mondo. L’economia basata sul consumismo ha portato solo alla schiavitù dei popoli a favore di un gruppo limitato. La creazione di asset di carta, facendo leva sulla potenza e sul dominio sui centri economici mondiali, è la più grande frode della storia ed uno degli elementi che ha originato la crisi economica mondiale. Un rapporto dimostra che un solo governo ha creato 32 mila miliardi di dollari di averi ‘di carta’. La programmazione dello sviluppo sulla base del capitalismo, conduce in un vicolo cieco, e crea competizione distruttiva che in pratica ha dimostrato di essere fallimentare. b) Situazione culturale Le virtù morali come la lealtà, la purezza, la sincerità, l’affetto, l’altruismo dal punto di vista dei politici che dominano i centri di potere del mondo, sono tutti concetti superati ed un ostacolo al raggiungimento dei loro obbiettivi. Si dice ufficialmente che la politica e la società non c’entra con la moralità e l’etica. Le culture originali e preziose che sono l’esito di secoli di sforzi e sono il punto d’incontro dell’amicizia degli uomini e dei popoli e sono motivo di varietà e di ricchezza culturale e sociale sono minacciate ed in via di estinzione. Con l’umiliazione e la distruzione sistematica delle identità culturali si propina alla gente un tipo di vita senza identità personale e sociale. La famiglia, che è il più prezioso centro per l’educazione degli uomini ed è il nucleo della creazione e della diffusione dell’amore e dell’umanità è stata indebolita a dismisura ed il suo ruolo costruttivo sta per essere distrutto. La personalità ed il ruolo centrale della donna, che è un essere celestiale ed il simbolo della bellezza e dell’affetto di Dio e la colonna della stabilità della società, è stata strumentalizzata e danneggiata da ricchi e potenti. Lo spirito umano è triste e la vera essenza dell’uomo è stata annichilita ed umiliata. c) Situazione di politica e sicurezza L’unilateralismo ed i doppi standard, l’imposizione delle guerre e della mancanza di sicurezza e dell’occupazione per soddisfare interessi economici o esigenze di dominio, è divenuta pratica abituale. La corsa alle armi e la minaccia con le armi atomiche e le armi di distruzione di massa attraverso le grandi potenze è diventato una pratica abituale. La sperimentazione di armi sempre più devastanti, super moderne e il minacciare gli altri dicendo che si possiedono queste armi e la promessa dell’uso di queste al momento opportuno, ha dato vita ad una nuova forma di espressione al livello politico che serve a terrorizzare i popoli e sottometterli. Minacciare di una aggressione militare ai danni del grande popolo dell’Iran, ad opera dei sionisti senza cultura, è un esempio palese di quest’amara verità. La mancanza di fiducia domina le relazioni internazionali e non vi è un punto di riferimento realmente giusto ed equo a cui poter fare riferimento per risolvere le contese. Persino coloro che hanno migliaia di bombe atomiche e tutta una gamma di armi spaventose, non si sentono al sicuro. d) Situazione ambientale L’ambiente è la ricchezza comune di tutti noi ed appartiene a tutta l’umanità ed è la garanzia per il proseguimento della vita umana; ma per via delle ambizioni e delle scorrerie di un gruppo di sprovveduti e irresponsabili, per lo più capitalisti, sta subendo i peggiori danni e come esito, la siccità, le inondazioni, i sismi ed i diversi tipi di inquinamento, stanno mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza umana. Lo scontento è generale Amici! Come osservate nonostante il progresso raggiunto, i figli di Adamo non hanno ancora realizzato i loro sogni. C’è qualcuno tra di voi che pensi che l’attuale ordine mondiale possa regalare la felicità alla società umana? Tutti sono insoddisfatti delle condizioni attuali e del sistema dominante a livello internazionale e per di più non hanno nemmeno tante speranze nel futuro. Di chi è la colpa? Cari colleghi! Gli uomini non si meritano una situazione del genere e Dio, il Buono, il Saggio, ama tutti gli uomini e non ha certo voluto per noi una condizione simile. Egli ha chiesto all’uomo, che è il migliore delle sue creature, di vivere sulla terra nel migliore dei modi e con bellezza, giustizia, amore e dignità. Ed allora pensiamoci. Sinceramente, chi è responsabile della situazione attuale? Alcuni cercano di definire ‘naturale’ questa situazione ed addirittura definirla volere di Dio e per giunta puntano il dito contro la gente, contro i popoli e presentano loro come i responsabili. Dicono: “Sono i popoli che accettano l’ineguaglianza e l’ingiustizia. Sono i popoli che sono disposti a farsi sottomettere dalle dittature e dall’avidità di alcuni. Sono i popoli che si arrendono al volere ‘imperiale’ e di dominio di alcuni. Sono i popoli che si fanno ingannare dalla propaganda di gruppi di potere e quindi alla fine, ciò che capita di male alla comunità internazionale è l’esito dell’operato dei popoli”. Questo è il ragionamento di coloro che addossano la colpa ai popoli per giustificare le azioni odiose e distruttive di una cricca che domina il mondo. Anche se queste pretese fossero state verità, non avrebbero giustificato lo stesso la permanenza di un sistema ingiusto al livello internazionale. Ecco come sono fatti veramente i popoli Tutti si ricordino che la verità è che la povertà e la debolezza viene imposta ai popoli e che le ambizioni e la brama di ricchezza dei dominatori del mondo vengono esauditi a scapito dei popoli, con l’inganno ed alle volte con la forza delle armi. Loro per giustificare le loro azioni anti-umane usano la teoria della sopravvivenza del più forte e parlano della ‘razza superiore’. Ciò mentre la maggior parte delle persone in tutto il mondo aspira alla giustizia ed è sempre pronta ad accettare la giustizia ed insegue assolutamente la dignità, il benessere, l’amore. Le masse popolari non hanno mai desiderato fare conquiste ed ottenere con la guerra ricchezze mitiche. I popoli non hanno divergenze, non hanno avuto nessuna colpa nei fatti amari della storia, sono stati solo ‘le vittime’. Io non credo che le masse musulmane, cristiane, ebraiche, induiste, buddiste ed ecc… abbiano dei problemi fra di loro. Loro si amano facilmente, vivono in una atmosfera di amicizia, e vogliono tutti purezza giustizia ed affetto. In generale le richieste dei popoli sono sempre state positive e l’aspetto comune tra di loro, è la loro propensione per istinto verso la bellezza e le virtù divine ed i valori umani. È giusto dire quindi che la responsabilità dei fatti amari della storia e delle condizioni inconvenienti di oggi, è della gestione del mondo e dei potenti del mondo che hanno venduto l’anima a Satana. L’ordine mondiale di oggi è un ordine che ha le sue radici nel pensiero anti-umano dello schiavismo, nel colonialismo vecchio e nuovo, ed è responsabile della povertà, della corruzione, dell’ignoranza, dell’ingiustizia e della discriminazione diffusa in tutte le parti del mondo. L’ordine mondiale attuale La gestione attuale del mondo ha delle caratteristiche ed io ne voglio citare qualcuna. Primo: è basata sul pensiero materiale e per questo non sente il dovere di rispettare i principi morali. Secondo: è basato sull'egoismo, l'inganno e l'odio. Terzo: effettua una classificazione degli uomini, umilia certi popoli, usurpa i diritti di altri ed è basata sul dominio. Quarto: è alla ricerca della diffusione del dominio attraverso l'intensificazione delle divisioni e delle divergenze tra i popoli e le nazioni. Quinto: cerca di concentrare nelle mani di pochi paesi il potere, la ricchezza, la scienza e la tecnologia umana. Sesto: l'organizzazione politica dei centri principali del potere mondiale, è basata sul dominio e sulla forza che un paese ha e che è superiore a quella di altri paesi. Gli enti internazionali pertanto sono centri per acquisire potere, ma non per creare pace e servire tutti i popoli. Settimo: il sistema che domina il mondo è discriminatorio e basato sull'ingiustizia. Cenno alle elezioni negli Stati Uniti ed al movimento del 99% - E voi, credete che solo per servire l'umanità, un gruppo sia disposto a spendere centinaia di milioni di dollari per la campagna elettorale? - Anche se ci sono grandi partiti nei paesi maggiormente industrializzati, in questi paesi spendere nella campagna di un candidato è diventata un investimento. - In questi paesi la gente è costretta a scegliere i partiti; ma ciò mentre una parte minimale della gente ha il tesserino dei partiti ed è membro di essi. - La volontà della gente, negli Stati Uniti ed in Europa, ha una minima influenza sulle politiche interne ed estere e la gente non sa dove sbattere la testa; anche se la gente forma il 99% della sua società, non può partecipare alla gestione del paese. - I valori umani e morali vengono sacrificati sull'altare delle elezioni e si fanno solo promesse alla gente per strappare il voto. Come deve essere il nuovo ordine mondiale? Amici e colleghi cari! Cosa bisogna fare? Qual'è la soluzione? Non c'è dubbio che il mondo ha bisogno di nuovo pensiero e nuovo ordine. Un ordine in cui: 1- L'uomo venga riconsiderato la più eccelsa creatura divina e ad esso venga riconosciuto il diritto di avere una vita caratterizzata da aspetti sia materiali che morali e venga riconosciuto il valore elevato della sua anima e venga riconosciuta legittima la sua propensione istintiva alla giustizia ed alla verità. 2- Invece dell'umiliazione e della classificazione degli uomini e delle nazioni, si pensi alla rinascita della dignità e del carattere sacro dell'uomo. 3- Si cerchi di creare, in tutto il mondo, pace, sicurezza stabile e benessere. 4- La nuova struttura venga costruita sulla base della fiducia e dell'amore tra gli uomini, si cerchi di avvicinare i cuori, le menti, le mani ed i governanti imparino ad amare la gente. 5- Venga applicato un unico standard nelle leggi e tutti i popoli vengano presi in considerazione alla pari. 6- Coloro che gestiscono il mondo si sentano al servizio della gente e non superiori alla gente. 7- La gestione venga considerato un incarico sacro affidato dalla gente alle persone e non una opportunità per arricchirsi. Come si realizza il nuovo ordine? Signor Segretario, Signore e Signori! - Un ordine del genere può realizzarsi senza la cooperazione di tutti alla gestione del mondo? - È chiaro che queste speranze avranno una probabilità per avverarsi solo quando tutte le nazioni inizieranno a pensare in dimensione internazionale e saranno seriamente decise a partecipare all'amministrazione del mondo. - Con l'aumento del livello di consapevolezza, ci sarà sempre una maggiore richiesta per una nuova gestione del mondo. - Questa è l'era dei popoli e la loro volontà sarà determinante per il domani del mondo. Pertanto è degno un impegno collettivo in queste direzioni: 1) Fare affidamento al Signore ed opporsi con tutta la forza alle ambizioni ed a coloro che vogliono più di quanto spetta loro per isolarli ed indurli a rinunciare al vizio di voler decidere al posto dei popoli. 2) Credere nell'aiuto divino e cercare di compattare ed avvicinare le comunità umane. I popoli ed i governi eletti dai popoli devono credere fermamente nelle proprie capacità e devono avere la forza per lottare contro il sistema ingiusto vigente e difendere i diritti umani. 3) Insistere nell'applicazione della giustizia in tutte le relazioni e rafforzare l'unità e l'amicizia, ampliare le relazioni culturali, sociali, economiche e politiche nell'ambito delle ong e delle organizzazione specializzate, in modo da preparare il terreno fertile per l'amministrazione collettiva del mondo. 4) Riformare la struttura dell'Onu sulla base degli interessi di tutti ed il bene del mondo intero. Bisogna ricordare che l'Onu appartiene a tutti i popoli e per questo discriminare i membri è una grande offesa alle nazioni. L'esistenza di differenze, vantaggi, diritti e privilegi non può essere accettabile, in nessuna forma ed in nessuna misura. 5) Cercare di produrre leggi e strutture basate sempre più sulla letteratura dell'amore, della giustizia e della libertà. L'amministrazione collettiva del mondo è una garanzia per la pace stabile. Il Movimento dei Non Allineati, il più grande ente internazionale dopo l'Assemblea Generale dell'Onu, comprendendo l'importanza di questo argomento e con una profonda comprensione del ruolo svolto dalla cattiva gestione del mondo nei problemi di oggi, ha dedicato il suo 16esimo summit, a Teheran, alla "amministrazione collettiva mondiale". In questo summit alla quale hanno partecipato attivamente i rispettabili rappresentanti di oltre 120 paesi, è stata ribadita l'importanza della partecipazione seria dei popoli nell'amministrazione mondiale. Siamo giunti al punto di svolta della storia - Fortunatamente siamo ormai giunti al punto di svolta della storia. Da una parte il sistema marxista non ha più posto nel mondo e di fatto è stato cancellato dalla scienza amministrativa e dall'altra parte anche il sistema capitalista è impantanato in una palude che ha creato con le sue stesse mani e non ha nemmeno una via d'uscita; non ha soluzioni per i problemi economici, politici, di sicurezza e culturali del mondo e pertanto è in un vicolo cieco sotto il profilo amministrativo. Il Nam ha l'onore di dichiarare ancora una volta che la sua storica decisione, e cioè quella di negare i poli del potere e le loro dottrine, è stata esatta. - Oggi, il qui presente, come rappresentante del Movimento dei Non Allineati, invita tutte le nazioni del mondo a svolgere un ruolo più attivo nella gestione del mondo e ad impegnarsi affinché ciò si possa avverare. La necessità di superare gli ostacoli che si presentano dinanzi a questa prospettiva si sente più che mai. - L'Onu, oggi, ha perso la sua efficienza e di questo andamento, presto nessuno crederà più negli enti internazionali per difendere i diritti dei popoli. Questo sarebbe un danno gravissimo per il nostro mondo. - Le Nazioni Unite sono state fondate con l'obbiettivo di creare giustizia e tutelare i diritti di tutti. Ma questa stessa organizzazione oggi è affetta da discriminazione ed è diventata uno strumento, per pochi paesi, per imporre la loro ingiustizia a tutto il mondo. Il diritto di veto e la concentrazione del potere nel Consiglio di Sicurezza, impedisce di fatto che i diritti dei popoli vengano difesi realmente. - La necessità di riformare la struttura è un argomento importante di cui hanno parlato moltissimo i rappresentanti di diversi paesi, ma finora nessuna modifica è stata apportata. - Quì pertanto, chiedo ai membri dell'Assemblea Generale ed al Segretario ed ai suoi colleghi di seguire con serietà l'argomento delle riforme e ideare una prassi adeguata per l'attuazione di queste. In quest'ambito, il movimento dei Non Allineati sarà disposto a dare il proprio aiuto e supporto. …Lui verrà Signor Segretario, amici e colleghi cari! - Far dominare la pace e la stabilità sulla terra e creare una vita felice per gli esseri umani, è una missione grande e storica, ma possibile. Dio, il Benevole, non ci ha lasciati soli in questa missione ed ha affermato che quel giorno, in cui l'uomo raggiungerà la perfezione, arriverà di sicuro, perché se non arrivasse ciò sarebbe in contrasto con la Saggezza divina. - Dio ha promesso l'arrivo in terra di un uomo fatto di amore, che ama la gente, che porterà la giustizia, e che si chiamerà Mahdi (che Dio affretti la sua venuta/ndr) e che verrà accompagnato da Gesù (la pace sia con lui) e da altri grandi riformatori che usando le capacità degli uomini e delle donne di questa terra e di tutti i popoli: ripeto usando le capacità degli uomini e delle donne di tutti i popoli, guiderà la società umana nel raggiungimento della felicità. - L'arrivo del Salvatore sarà una nuova nascita, una nuova vita. Sarà l'inizio della vera vita e della pace e della sicurezza duratura. - Il suo arrivo sarà la fine dell'ingiustizia, del male, della povertà, della discriminazione e l'inizio del bene, della giustizia, dell'amore, della fratellanza. - Lui verrà per dare inizio al periodo di vero progresso e di gioia dell'uomo. - Lui verrà per cancellare gli ostacoli dell'ignoranza e delle superstizioni e per aprire le porte della scienza e della conoscenza, creando un mondo pieno di sapere, nella quale tutti partecipano alla gestione del mondo. - Lui verrà per regalare a tutti gli uomini l'affetto, la speranza, la dignità. - Lui verrà affinché tutti gli uomini assaggino il sapore dolce dell'essere umani e del vivere insieme agli altri. - Lui verrà perché le mani si stringano col calore ed i cuori siano pieni di amore e le menti piene di pensieri puri, tutto al servizio della sicurezza, del benessere e della felicità umana. - Lui verrà affinché tutti i figli neri, bianchi, rossi e gialli di Adamo tornino a vivere insieme in una casa dopo un lungo e buio periodo di lontananza. - L'arrivo del Salvatore, di Gesù e dei loro compagni non sarà accompagnato dalla guerra, ma si realizzerà attraverso la presa di coscienza dei popoli, con la diffusione dell'amore, e loro determineranno il futuro eternamente felice dell'umanità con il sole della scienza e della libertà e ciò risveglierà dall'inverno il corpo gelato del nostro mondo. Lui regalerà la Primavera all'umanità. Lui è la Primavera stessa e con il suo arrivo l'inverno dell'esistenza umana, incatenato dall'ignoranza, la povertà e la guerra, rinascerà facendo fiorire l'imponenza dell'uomo. - Sin da ora si può sentire nell'aria il buon profumo della Primavera. Un Primavera che è iniziata e non appartiene a nessuna razza, popolo o zona particolare e che presto investirà tutte le terre, l'Asia, l'Europa, l'Africa e le Americhe. - Lui è la Primavera di tutti coloro che vogliono la giustizia, la libertà e che credono nei profeti del Signore. Lui è la Primavera dell'uomo e lo sfarzo di tutti i tempi. Venite tutti ad aiutare e ad agevolare la sua venuta. Che sia lodata la Primavera, che sia lodata la Primavera ed ancora, che sia lodata la Primavera!

13 ottobre 2012

Monti, i mercati e le alternative ai tecnocrati

Con le elezioni politiche all’orizzonte, nel dibattito pubblico non c’è traccia di una riflessione profonda sui contenuti e sui programmi sui quali gli italiani saranno chiamati a votare. Per questo abbiamo chiesto ad Augusto Grandi, giornalista del Sole24Ore, di commentare per Barbadillo.it le mosse di Mario Monti e i tentennamenti dei partiti, intimoriti dalla grisaglia dell’accademico milanese. Grandi è autore con Daniele Lazzeri e Andrea Marcigliano de “Il Grigiocrate” (fuorionda), un ritratto controcorrente dell’attuale presidente del Consiglio. Grandi, nell’ultimo mese – dall’inaugurazione della Fiera del Levante fino al Forum della Cooperazione di Milano – il presidente del Consiglio Mario Monti ha lanciato messaggi contraddittori in merito alla sua disponibilita’ a ricevere un nuovo incarico di governo. Da cosa nascono queste fibrillazioni? Da un lato i mercati, i veri padroni di Monti, vorrebbero la garanzia assoluta di essere tutelati e di poter continuare ad incassare i lauti interessi sul debito italiano. Per questo premono per la riconferma. Dall’altro il professore è perfettamente consapevole che il popolo italiano, quello che per lui rappresenta un fastidio ed un ingombro, non ha per nulla apprezzato le stangate del governo. Che hanno depredato i cittadini senza ridurre il debito (che è aumentato) e facendo crescere la disoccupazione mentre il Pil è crollato. Dunque c’è il timore di contare i sostenitori. Meglio il solito percorso: Monti si ritira, i “mercati” mettono l’Italia sotto attacco ed i partiti hanno l’alibi per richiamare il professore al governo. L’attuale esecutivo, pur appoggiato con linearità parlamentare da Udc, Pd e Pdl, registra a destra e tra i democratici forti critiche all’eventualità di un Monti bis. E’ un tema che potrebbe dividere le coalizioni che si stanno formando per le prossime politiche? In teoria sì. Ma dall’idea all’azione il passo è lungo. L’ala sinistra del Pd, oltre all’eventuale alleato Vendola, si rende perfettamente conto che le manovre di Monti sono fallimentari in assoluto e hanno costi altissimi per chi non fa parte della sedicente élite. Se le primarie le vincesse Bersani, riuscirebbe a tenere unito il Pd su una posizione di finta critica, con cambi modesti rispetto alla politica economica dei tecnocrati. Ma in caso di successo di Renzi, il Pd potrebbe ritrovarsi con ampie sacche di malcontento, a partire dall’ampio settore legato alla Cgil ed alla Fiom. Quanto al centrodestra, la voglia di fuga dal Pdl di parte della componente ex An è nota. Ma non può aver successo un nuovo partito che punti su vecchi personaggi. Inutile rifare An, o pensare al Movimento sociale, riproponendo ai vertici i responsabili del disastro attuale, tutti coloro che hanno rinnegato la provenienza politica, l’appartenenza, e che ora vorrebbero i voti dei “camerati”, dopo averli scaricati in ogni occasione pubblica. E poi i “colonnelli” hanno paura di tornare a confrontarsi in campo aperto, senza la comoda protezione di Berlusconi. L’Italia e i parametri europei: Monti è riuscito ad alleggerire la morsa tedesca sui conti italiani? Il problema non è la morsa tedesca, ma la servitù di Monti nei confronti delle banche e della speculazione. I tedeschi vogliono un’Italia meno competitiva sul fronte industriale e Monti sta distruggendo la manifattura italiana. Per far questo serve impoverire il Paese ed il Grigiocrate presidente del Consiglio sta eseguendo alla perfezione il compito che gli hanno affidato. Quanto peserà il fiscal compact sulle prossime politiche economiche italiane? Che margini di manovra restano per chi vincerà le elezioni? Il margine di manovra sarebbe ampio, se ci fossero politici competenti, coraggiosi, indipendenti. Politici in grado di strappare questo immondo accordo e rinegoziare il tutto. Ma politici così non abbondano. Quanto al peso sulle elezioni, sarà poco più che nullo. Pd, Pdl e Udc hanno votato il fiscal compact (con lodevoli eccezioni interne), dunque non avranno interesse a parlarne. Lega Nord e Grillini potranno anche parlarne a lungo, ma i media al servizio dei poteri forti non daranno certo molto spazio alle loro posizioni. Quale e’ stato il livello del dibattito parlamentare su un tema così delicato per gli anni futuri? Un livello inesistente, ed ignobile le rare volte in cui si è discusso. L’Italia verrà massacrata di tasse nei prossimi anni (45 miliardi di euro all’anno) e nessuno ha fiatato. Poche righe sui giornali e scarsissimi dibattiti. Nello scacchiere politico si preparano le alleanze in vista delle prossime elezioni. Che scelta potranno avere sulla scheda gli elettori che non hanno condiviso l’operato dell’esecutivo Monti? Le scelte sono limitate. Certo, parte della protesta confluirà sul Movimento 5 stelle, e non ha caso è stato subito messo sotto attacco con la consueta trafila di illazioni, polemiche interne, delazioni. Tutto già visto ogni volta che un movimento nuovo si è presentato sulla scena. Poi c’è la Lega Nord , alle prese con le squallide vicende interne (emerse, non a caso, appena la Lega si è schierata contro Monti) e con una gestione Maroni che non ha ancora individuato la propria strada. E anche l’Idv, coraggiosa su alcune scelte ma ampiamente reticente su altre. E con il problema, non da poco, delle candidature. Va bene il ruspante Di Pietro, ma altri personaggi – tra l’isterico ed il patetico _ sono francamente impresentabili. La Destra resta un’incognita, perché non basta avere un ottimo candidato in Sicilia per ottenere consensi ovunque. La classe dirigente del partito di Storace lascia molto a desiderare, in varie parti d’Italia. E con gli attacchi, orchestrati, contro i politici, sarà importante anche la figura di chi verrà presentato. Non basteranno le idee. di Augusto Grandi - Michele De Feudis

12 ottobre 2012

Si scrive “Italia”, si legge “la truffa eretta a sistema”

Ogni giorno se ne sente o se ne legge una “nuova”. Una più grave dell’altra, al punto che non esiste quasi più spazio per lo sbalordimento. Anche questo deve far parte del piano delle élite: assuefarci ad una sequela di “scandali” e “cose dell’altro mondo”, in maniera da far sembrare “normale” anche l’abominio più conclamato. Ma ogni tanto qualcosa riesce ancora a far drizzare i capelli. Da privati cittadini italiani è stata infatti depositata una dettagliata denuncia su una questione che riguarda tutti. Ma tutti davvero. Ascoltate attentamente quanto viene detto e rendiamoci conto di che cosa viene architettato da una ventina d’anni, di quali raggiri fraudolenti sono oramai capaci Lorsignori, per taglieggiare la gente: DENUNCIA - ESAUTORATI I CONCORSISTI PER METTERE I NOMINATI PER SVENDERE L'ITALIA Ora, che solo un manipolo d’impavidi patrioti (riuniti sotto la sigla “Albamed – Alba Mediterranea”) riesca a far emergere quello che dovrebbe uscire, coralmente, dall’animo di un popolo sano, non è una cosa da “paese normale”. Ma da una ventina d’anni, ormai, da quando hanno inscenato a più riprese la farsa della “moralizzazione”, che nei fatti – al di là dello spettacolo delle “inchieste” e degli “avvisi di garanzia” - si traduce nel sistematico saccheggio dello Stato, ci gabellano per “paese normale” una marea di assurde cretinate e di patenti falsità. Ne cito una che vale come paradigma della malafede di sedicenti “opinionisti” ed “esperti”. Alcuni ricorderanno che per un po’ di tempo hanno avuto libera circolazione “autorevoli pareri” a senso unico, in stile lavaggio del cervello, sulla “anormalità” del fatto che in Italia la maggioranza del “debito pubblico” fosse detenuta da creditori nazionali. “Non è una cosa da paese normale”, “in Europa, nei paesi avanzati (nello sfacelo!), fanno così e cosà”, sfoggiando la consueta sicumera di chi fa intendere “ma che ne volete sapere voi, noi siamo gli esperti!”. Bene, sono riusciti, con leggi-truffa (mentre dei “nominati” venivano piazzati al posto di chi ricopriva un ruolo dirigenziale dopo un concorso vinto), l’euro, la BCE e tutti i “trattati” cosiddetti (imposizioni), a ribaltare le percentuali del “debito pubblico” detenute da soggetti nazionali e non, a tutto vantaggio dei secondi; nello specifico, le medesime “banche d’affari” che poi si occupano, una volta fatto scoppiare il tal “scandalo” e fatto salire lo “spread”, di occuparsi della svendita dei “gioielli di famiglia”… Se a rendersi conto del livello della truffa in atto sono solo pochi coraggiosi italiani - e sottolineo italiani perché l’Italia bisogna anche amarla - armati unicamente del loro coraggio e dei residui spazi di libertà esistenti, mentre la maggioranza va dietro a questioni di nessuna importanza anche quando crede di “impegnarsi” (tipico il caso dell’odio indotto verso “la casta”), si può affermare di non essere più un “paese normale”. Che cosa fa invece il popolo? La mitica “maggioranza” che in “democrazia”, per definizione, “ha sempre ragione”? Bofonchia e tira a campare. Considera questi eroi dei nostri tempi come dei “mattacchioni” o “gente che non c’ha un c… da fare”. Degli “illusi” che battagliano coi mulini a vento. Al massimo dello slancio che può produrre, quest’ingombrante massa abituata a pane e circo, non vede l’ora di fare come in Spagna e in Grecia: scendere in piazza a “protestare”! Ma contro che cosa? Contro “la casta”? E in nome di che cosa, se non ha capito un fico secco di come viene truffata? Ma quando mai la “rivoluzione” la si fa nelle “piazze” e con la “presa della Bastiglia”? La “rivoluzione” comincia quando capisci dove e come ti stanno fregando. Che sei immerso in una truffa eretta a sistema. Bisogna lavorare per un cambiamento del paradigma dominante. Adesso ce n’è uno, perfettamente integrato nelle sue “parti” e a suo modo “coerente”, che sorregge, nella sua cerchia esterna, tutto quest’apparato di potere (“la casta”) che i più individuano come “il problema”. Ma quello è solo la scorza. Il problema vero è il nocciolo, la sostanza, altrimenti non sarebbe così difficile “cambiare le cose”. Basterebbe “indignarsi” e “protestare”, no? È difficile perché dentro, anche in quelli che “si oppongono”, circolano le medesime convinzioni, o meglio suggestioni, di fondo: più “democrazia”, più “diritti”, bla… bla… bla. Mai che ciascuno reclamasse di starsene finalmente al suo posto, nella posizione che la sua specifica natura gli ha assegnato. Sproloquiano di “casta” ma non hanno alcuna idea di che cosa significhi essenzialmente una vera casta: qui tutt’al più esiste solo una sterminata ed amorfa massa desiderante senza un alto e un basso. E poi, la fisima dell’onestà! Va bene che in democrazia i peggiori – i più arrivisti, i più scaltri, i più famelici – si piazzano sulla “poltrona”… Ma se chiedi “più democrazia” te la danno eccome, non vedono l’ora! Tutto questo “moralismo” non può produrre alcunché di buono perché la “morale” è solo un elemento, importante quanto si vuole, ma solo un pezzo di un mosaico che va ricomposto per intero a partire dalle sue tessere più importanti, che sono dentro di noi. Se l’ego vuole da mangiare, ci sarà sempre cibo in abbondanza. No, non è quella delle “piazze” la via. Bisogna ridare forma ai “valori tradizionali”, gli unici che – declinati in vario modo secondo le condizioni di tempo e luogo (la “tradizione” non è “immobilismo” né “conservatorismo”) - hanno permesso a tutte le comunità umane di funzionare bene e in ordine, con una legge certa, autorevole e rispettata a partire da chi dovrebbe dare l’esempio. L’esatto opposto della discrezionalità, dell’abuso e della truffa eretta a sistema, di questa parvenza di “legalità” contraddetta platealmente nei fatti (ma all’insaputa dei gonzi), così come impietosamente ed esemplarmente è stato messo a nudo dagli autori di questa denuncia, la quale, proprio perché non siamo un “paese normale”, verrà bellamente ignorata, a partire dagli organi preposti a prenderla in esame e a darle seguito. di Enrico Galoppini

11 ottobre 2012

Tutti con la carta di credito

Lo sapete? Entro pochissimi anni, si avvererà uno dei tanti sogni dei banksters: tutti dovremo avere la carta di credito per acquistare beni e oggetti che eccedono i 50 euro di spesa. Io non sono un esperto del sistema finanziario, né uno studioso di economia, ma certe considerazioni, per farle, basta un minimo di osservazione, esperienza e ragionamento. Del resto le “spiegazioni” dei tecnici mi interessano molto poco visto che so ben valutare da solo, il dare e avere che ne consegue. Vediamo: ripercorriamo questi ultimi anni, più o meno dalla Seconda Repubblica in avanti, dove passo dopo passo, ma con una pianificazione evidente, anche se poco percepibile dall’opinione pubblica, si portò avanti un progetto di adeguamento di tutta l’economia e la finanza del paese al sistema bancario nazionale e internazionale, favorendone i loro interessi. Iniziarono, guarda caso, i governi Amato e Ciampi (non sentite un tintinnio di squadre, finanza e compassi?), sostenuti indirettamente dalla sinistra post comunista, oramai liberal (quella che gira con La Repubblica in tasca) ad incentivare tutto quello che era possibile incentivare per adeguare l’economia e la società italiana al sistema bancario. Ma anche i governi di centro destra non furono da meno, indice di una subordinazione trasversale di tutti i politici alla City di Londra e a Wall Street. Ricordate quando, come fumo negli occhi, ci fu il “regalino” ai correntisti che i libretti di assegni non si sarebbero più pagati? Tutto non iniziò proprio da lì, ma noi possiamo benissimo prendere quell’avvenimento come punto di partenza. Ovviamente le banche in cambio dei foglietto di assegno gratuiti ebbero tanti e tali altri vantaggi da compensare ampiamente quei risibili costi, cosicchè i clienti in pochi anni si videro lievitare a dismisura le spese di tenuta del conto corrente, fino ad arrivare all’assurdo che un normale cliente che deposita una modesta somma in banca, ma poi neppure troppo modesta, a fine anno, tra costi di ogni natura e quel poco di interesse che ci prende, non compensa la spesa annua per questo suo deposito, mentre le banche, proprio con i soldi del cliente, moltiplicati per centinaia di migliaia di altri “castelletti” simili, li investe o li presta a sua volta con ben altre remunerazioni. Se non fosse tragico, ci sarebbe da ridere. E che ci fosse stato uno statista che intervenisse e mettesse un freno a questo sconcio, a questa rapina legalizza! Mai. Comunque sia, in quegli anni ‘90, in men che non si dica, si fece in modo di ridimensionare il valore del “mattone”, storico rifugio dei risparmiatori; i depositi bancari abbassarono a livelli irrisori l’interesse sui depositi; i libretti postali, altro storico rifugio di un popolo che è sempre stato amante del risparmio, dovettero adeguarsi per legge a quelli bancari; si tese a forzare l’indicizzazione delle rate dei mutui, e tante e altre disposizioni simili, furono introdotte, sotto traccia, nella nostra società: tutte gradite e utili alle banche. Tanto si sono impinguate e tanto potere anno eroso che non è un caso che oggi, ogni cento metri e spesso meno, trovate lussuosi sportelli bancari, a 5 o 6 porte, tutti blindati e super computerizzati, ma quasi privi di clienti: come è stato possibile? Non credete che un business e un motivo importante ci sia? Ma torniamo a quegli anni ’90 dove, nel frattempo il mercato azionario, da sempre visto con diffidenza dal nostro popolo, venne sponsrizzato alla grande e gli italiani che avevano qualche risparmio, di fronte ad un “mattone” che non dava più rendite e sicurezza e i conti correnti a risparmio che rendevano poco e nulla, si trovarono quasi costretti ad investire in titoli azionari. Anche le liberalizzazioni che nel frattempo spogliavano il paese di ogni sua risorsa, regalandola ai privati e alle banche d’affari internazionali, offrivano la possibilità di ampliare a dismisura gli investimenti in titoli azionari da parte dei cittadini. E tutti furono invogliati verso promettenti “offerte pubbliche” e la mecca della Borsa, con la messa in vendita di Azioni di importanti e conosciutissime aziende o imprese. Tutta una economia “virtuale” esplose alla grande, con immensa gioia di finanzieri e speculatori e amari pianti di chi, entro pochi anni, vide tutti i suoi risparmi e liquidazioni di anni di lavoro, svanire nel nulla: per dieci che ci guadagnavano, centro andavano sul lastrico. A simbolo di una nuova Era la figura del promotore finanziario prese decisamente quota, furono istituiti apposti albi e corsi, e i cittadini dovettero sorbirsi, pur se non richiesto, anche con telefonate a casa, “consigli” interessati per invogliarli investire il loro denaro. Al contempo, tutto il paese venne progressivamente invaso da proposte di accedere a prestiti, di acquistare beni di consumo con la formula del finanziamento facile: compri oggi e paghi in comode rate, iniziando tra sei mesi; le carte di credito vennero elargite con disinvoltura. Le cassette delle poste si riempirono di reclame per accedere ad un prestito, ad un finanziamento o per fare una carta di credito. Se anni prima, per ottenere un prestito, occorreva non essere protestati e poter dare garanzie, ora non c’erano più problemi: bastava una busta paga, ma poi, sarebbe anche bastato avere un conto in banca. Tra sub prime e ricollocazione di investimenti e prestiti a forte rischio, il mondo finanziario sapeva bene come far fruttare anche il giro di denaro virtuale, senza rimetterci. Neppure un mago ci sarebbe riuscito. L’obiettivo era chiaro: gli storici risparmi degli italiani facevano gola ai banksters e le speculazioni, in uno Stato che nulla provvedeva, ne legiferava, per proteggere i cittadini da questi avvoltoi, non avevano più freni. Da allora se ne è fatta di strada, del resto la Seconda Repubblica era nata proprio con questi presupposti: trasformare i partiti in aggregati di potere, puro e semplice, spogliandoli di ogni orpello ideologico e di rappresentativa sociale, adeguare il più possibile le Istituzioni al sistema anglosassone, il più idoneo a garantire il potere a lobby e consorterie. E quando parliamo di Lobby e Consorterie, quelle di genere finanziario sono le più importanti. Il resto lo conosciamo: i grandi Organismi mondialisti: dalla Banca Mondiale, al FMI, alla BCE, vigilavano, ricattavano e obbligavano i governi a sottomettersi all’usura da loro stessi messa in atto, a prendere “prestiti” per la nazione, fatti passare come aiuti, costringendo questi governi a distogliere ingenti risorse finanziarie per pagare i debiti contratti con questi malfattori. Il debito pubblico, tra signoraggio monetario, usura bancaria e imposizioni mondialiste non sarebbe mai più stato possibile azzerarlo, anzi non poteva che lievitare progressivamente determinando un cappio attorno al collo dei popoli, irreversibile. In ogni caso, intorno al 2007, l’economia virtuale crollò miseramente e non è peregrino ritenere che il “botto” venne anche “aiutato” a determinarsi per oscure manovre messe in atto dalla stessa Alta Finanza internazionale, anche se qualche banca ci rimetteva le penne. Quando si parla di Alta Finanza internazionale, infatti, seppur ci si riferisce ad una miriade di banche, credito, assicurazioni, ecc., in realtà il vero potere è concentrato in pochissime storiche famiglie che fanno e disfanno tutto il sistema a loro tornaconto speculativo e di potere. Il potere dei banksters comunque era così forte che subito Presidenti e Governi, quelli della stessa America compresi, hanno varato provvedimenti di “salvataggio delle banche”, devolvendo enormi capitali pubblici verso il mondo bancario, proprio quello che aveva determinato la crisi. E il popolo? Cornuto e mazziato! Comunque sia il “giocattolo” si era rotto: le “bolle” degli investimenti a rischio girati e rigirati erano scoppiate e al contempo nelle Nazioni l’economia e la finanza, stremate dal signoraggio monetario e dall’usura legalizzata, entravano in crisi costringendo i banksters a fare quello che non avevano mai fatto. Pensate forse che i banksters ritennero di limitare e rivedere le speculazioni, le imposizioni ricattatorie e lo strozzinaggio? Ma quando mai, anzi decuplicarono le imposizioni. Da sempre, infatti, il potere dell’Alta Finanza si era esercitato con discrezione, attraverso i politici e i partiti compiacenti, non a caso definiti i camerieri dei banchieri, e i banksters facevano un pò quello che hanno sempre fatto i Rothschild durante la loro rapace esistenza: essere i veri padroni di tutto, ma per interposta persona, non apparire mai direttamente e fare in modo che si parlasse di loro il meno possibile. Ora però la crisi finanziaria internazionale aveva determinato il rischio che qualche governo nazionale, sotto la pressante richiesta mondialista di devolvere tutto il bilancio statale al pagamento degli usurai, emanando misure lacrime e sangue, poteva tergiversare o non spingere, come preteso, la lama dei tagli fino all’osso del popolo. Tagli di ogni genere alle pensioni, tagli alla sanità, licenziamenti nel settore pubblico, limitazioni di spesa per tutte quelle necessità di cui uno Stato e i cittadini hanno bisogno. Niente, tutto deve essere devoluto per pagare il debito pubblico (una vera e propria invenzione dei banksters), per impinguare le casse del sistema bancario. Anzi occorreva anche introdurre una Legge, come è stato fatto, che rendesse obbligatorio per il bilancio dello Stato, tenere conto di questo famigerato debito pubblico obbligando il governo ad adeguarsi di conseguenza. Per far questo si imponeva però di mettere al governo i cosiddetti “tecnici”, tutti uomini usciti dal mondo bancari0 e finanziario, ma dovevano mantenersi per il tempo necessario e con il consenso dei partiti senza più diatribe, per esempio, tra un Prodi o un Berlusconi. I banksters erano costretti ad uscire allo scoperto. Potete ben immaginare quale era il compito assegnato ai “tecnici”, visto che questi soggetti, mai eletti da nessuno, a nessuno dovevano dar conto e quindi potevano emanare i provvedimenti più impensabili e restrittivi. Del resto ai politici tradizionali, ai cosiddetti partiti, come abbiamo detto, oramai ridotti ad aggregati di potere e centrali di corruzione, non gli pareva vero di lasciar fare il lavoro sporco ai “tecnici”, e non dover essere loro costretti a farlo. Da qui il sostegno bipartisan a questi governi diretta espressione dei banksters. Quello che hanno fatto in Grecia è sotto gli occhi di tutti, ma anche da noi non hanno scherzato e ancora hanno da fare, come per esempio ridurre gli stipendi e le pensioni anche direttamente e non solo indirettamente come hanno fatto fino ad oggi. Tanto per fare un altro esempio, il loro sogno, il sogno dei banksters, è quello che ogni cittadino, dalla culla alla bara, abbia la sua carta di credito e quella usi invece che il denaro contante. Un sogno che fa il paio con quello di obbligare tutti ad avere un conto in banca e che già negli anni passati costrinse coloro che esercitano una qualsiasi attività commerciale ad averne almeno uno. Il nostro Monti, ovviamente, appena messo al governo, provvide subito a costringere anziani e pensionati, spesso recalcitranti e diffidenti verso le banche (del resto i C/C sono ben lungi da essere gratuiti come si vuol far credere), a farsi il loro bel conto corrente bancario, mettendo un limite al prelievo in contanti delle loro pensioni. Ma questo per le banche era solo un palliativo L’ideale per loro è quello di costringere tutte le persone che acquistano o trattano un bene qualsiasi, un oggetto qualsiasi a pagarlo con la carta di credito. Che pacchia: un tempo lontanissimo le banche potevano emettere banconote in base alle riserve aure, poi questa proporzione fu lasciata cadere ed emettevano banconote eccedendo e di molto la copertura aurea, poi il sistema dei titoli e dei conti correnti prese sempre più a sostituire la carta moneta, ora si vorrebbe che questa scomparisse, in modo che tutto il giro di acquisti e vendite sarebbe regolato dalle carte di credito, da un clic del mouse, con grandi profitti per il mondo bancario e un evidente controllo su le spese del cliente. Per esaudire questi desiderata dei banksters, Monti ha però riscontrato alcune resistenze, causate dalle abitudini e dalla costituzione sociale della nostra economia, ma di certo non ci ha rinunciato, del resto proprio quello è uno dei compiti primari che gli è stato affidato. Non si dimentichi infatti che tutta l’economia una volta che sarà totalmente regolata dal sistema bancaria, amplierà a dismisura il potere dei banksters. Quindi verso questo obiettivo ci si arriverà gradualmente. Intanto è stato introdotto, a partire dal 1° gennaio 2014, per gli esercizi commerciali e non solo, l’obbligo di accettare carte di credito, per ogni pagamento eccedente i 50 euro. Capita la furbizia? Si comincia a preparare il terreno in modo che tutto sia predisposto, anche tecnicamente, per far poi scattare l’obbligo a tutti, acquirenti e venditori, di usare la carta di credito per ogni spesa oltre i 50 euro. L’obbligo vero e proprio, invece, quello che limita l’uso del contante solo sotto i 50 euro, è stato provvisoriamente rimandato a uno o più decreti del Ministero dello Sviluppo economico di concerto con il Ministero dell’Economia (meglio sarebbe stato chiamarli: Ministero dello Sviluppo economico delle Banche e Ministero dell’Economia bancaria). E’ così la carta di credito, marchingegno che dovendo comunque vivere in questa società dei consumi, poteva anche avere i suoi vantaggi, ma ovviamente come libera scelta del cittadino e non come imposizione e soprattutto se garantita da disposizioni di legge che ne limitano le speculazioni bancarie, di fatto, diverrà obbligatoria. Signori il gioco è fatto: cominciate a farvi almeno un paio di carte di credito, visto che una sola, per un qualsiasi motivo, potrebbe non bastare, e rassegnatevi ad essere sempre più avvolti nella ragnatela stesa su quasi tutto il pianeta dai banksters. Ma finchè c’è la fila, formatasi notte tempo, davanti ai negozi che vendono l’Ipod5, a chi gliene frega qualcosa? E poi c’è sempre qualche imbecille che ripete il mantra dei governi tecnici: sono provvedimenti atti a combattere il riciclaggio e le transazioni in nero. Beh, sapete che vi dico: che avendo la pistola puntata alla tempia, soppesando i pro e i contro, penso proprio che all’usura del signoraggio bancario, e preferibile quella del pizzo mafioso, e agli arricchimenti a dismisura delle banche, è preferibile che si arricchisca chi ricicla e tratta in nero. Senza dubbio. Ma fino a quando dovremo avere questa pistola puntata alla tempia? di Maurizio Barozzi

10 ottobre 2012

La Monti-dipendenza è un altro modo di chiamare l’Italia-impotenza

1) Stiamo vivendo in una fase di recessione economica, che ha reso manifesta la crisi della società civile, con l’eclissi della partecipazione politica delle masse, il degrado delle strutture statuali, il processo di disgregazione morale e civile di una società postideologica, rifondata, dalla fine del XX° secolo su una cultura e un sistema politico ispirato alla liberaldemocrazia occidentale. Il fenomeno della disgregazione sociale e politica di questa società era già latente negli ultimi due decenni, ma oggi si manifesta in tutta la sua drammaticità, con il declino economico, la disoccupazione, l’assenza di prospettive materiali e ideali per le giovani generazioni. Si riscontrano in questo stato di crisi epocale alcune evidenti contraddizioni. Le crisi sono fenomeni ricorrenti nel campo economico, tuttavia, sulla base della esperienza storica della società capitalistica, il sistema economico e politico è sopravvissuto alle sue crisi. Ma la presente crisi, oltre che l’economia, coinvolge anche le istituzioni politiche e gli equilibri sociali: trattasi di una crisi del sistema capitalista globale, che potrebbe non sopravvivere a se stesso. A tale stato di disgregazione sistemica, fa però riscontro l’immobilismo, sia individuale che collettivo di una società che assiste immobile e passiva alla disintegrazione di se stessa. Le crisi strutturali hanno sempre determinato storicamente la fine di sistemi politici e sociali ormai anacronistici, innescando processi di trasformazione politica, con relativo sconvolgimento degli equilibri sociali preesistenti: sono le crisi a porre i presupposti dei fenomeni rivoluzionari. Questo immobilismo sociale e politico, dovuto alla mancanza di reattività dei popoli (specie europei), dinanzi alla propria dissoluzione, è dovuto innanzi tutto alla falsa coscienza diffusa della crisi in atto, quale fenomeno congenito ai cicli economici di un sistema capitalista resosi assoluto, che, proprio per la mancanza di idee e prospettive diverse, trova in se stesso gli strumenti della propria rigenerazione. Nell’ottica del liberismo economico anzi, le crisi costituiscono fasi di trasformazione necessarie di un sistema di per se mai immobile, ma progressivo ed evolutivo. L’immobilismo sociale del presente è il frutto più maturo dell’individualismo generalizzato, che negli ultimi 30 anni ha mutato profondamente l’antropologia sociale dei popoli occidentali. Il sistema economico globale, in perenne mobilità e mutamento, per perpetuarsi ha necessità di oggetti individuali ed immobili, in quanto indifferenziati, fungibili, e sempre uguali a se stessi, da plasmare e integrare nella produzione e nel consumo del mercato globale. L’individualismo, in questo contesto, è astorico, immutabile incontestabile fondamento della natura umana. L’individualismo preclude la coesione e la solidarietà sociale, quei fenomeni cioè, in cui si può realizzare una reazione allo stato di cose presenti, quali elementi da contrapporre alla disgregazione della società. Il rapporto sociale è considerato con diffidenza e paura. L’essere sociale dell’uomo assume una connotazione negativa: se il mondo è capovolto, lo è anche la natura umana nella società contemporanea. Si avverte paura verso ciò che oggi non si conosce più, dato che l’individualismo è alla base della competizione liberista generalizzata e della selettività darwiniana sui sono soggetti gli individui nella perenne concorrenza selvaggia. La competizione, nelle fasi di crisi si accentua e accelera la disgregazione sociale, perché con la recessione la concorrenza diviene lotta per la sopravvivenza. L’individuo è immobile perché da almeno due generazioni le sue prospettive di vita sono solo di natura materiale ed individuale, ristrette cioè agli orizzonti del consumo, del proprio status sociale, delle ambizioni individuali, in una giungla sociale dominata dalla lotta per la sopravvivenza. Vorrei già cogliere in questa prima risposta il nucleo teorico espressivo delle tue riflessioni, in modo che le altre tre risposte siano soltanto articolazioni analitiche. Ti farò subito un elogio ed una critica. Un elogio, perché è vero che il paradosso del nostro tempo è proprio la compresenza, razionalmente contraddittoria ma esistenzialmente dolorosa, di un mutamento storico epocale, e quindi non di una sola crisi economica ricorsiva analoga a crisi precedenti e ben note, e di un immobilismo sociale apparentemente assurdo, perché in generale ad un momento storico “di mutamento e di trapasso (Hegel) si è sempre accompagnato anche un fiorire intellettuale di riflessioni. Una critica, perché tu sembri rifugiarti in una spiegazione largamente tautologica, quella dell’individualismo antropologico di massa. Non nego infatti che quest’ultimo esista, ed è proprio per questo che ho dedicato lunghi studi all’elogio del comunitarismo. Ma la progressiva costituzione antropologica dell’ “individuo immobile” (ottima definizione) non sta in fondo alla “catena dei perché. Cerchiamo allora di ricostruire, sia pure sommariamente, questa catena dei perché. Vedremo che (come cercherò di chiarire nella mia ultima quarta risposta) in questo modo potremo anche in parte illuminare l’enigma attuale della Monti-dipendenza degli italiani. Partiamo da un fatto, il fatto cioè che questa società sembra assistere immobile ed indifferente alla palese disgregazione di se stessa. Evidentemente non solo questa crisi non è percepita come irreversibile, ma si vuol credere ad una prossima ripresa della “crescita” (termine che ha ormai assunto un carattere religioso). Tuttavia, questi fenomeni illusionistici di massa non sono una novità. Negli anni Trenta gli ebrei europei non si aspettavano di essere sterminati. Volevano credere e si sforzavano di credere che oltre ad un certo grado di vessazioni non si sarebbe andati. Non possiamo allora spiegare questo immobilismo con l’individualismo di massa, anche se quest’ultimo ne è certamente concausa, che mi guardo bene dal negare. A mio avviso il vecchio capitalismo borghese, nato anch’esso in modo aleatorio a metà Settecento, è veramente giunto al termine, e non si tratta allora soltanto di una crisi ciclica e di una recessione temporanea, come recita la teologia liberale di Monti e di Draghi. Nello stesso tempo, il capitalismo in quanto tale non è affatto giunto al termine, e bisogna evitare di ricadere nelle illusioni “stadiali” che il marxismo ha intrattenuto per più di un secolo. Mi scuserei se insisto, ma so che tu sei stato biograficamente estraneo a quella particolare forma di religione imperfettamente laicizzata chiamata “marxismo”, mentre io ne sono stato un “credente” per decenni. Sebbene il baraccone del comunismo storico novecentesco (l’unico realmente esistito, perché non intendo calcolarvi i salotti romani Ingrao-Rossanda e le cooperative emiliane pre-bersaniane) sia ormai caduto da più di vent’anni, sono ancora vivi presso il ceto intellettuale gli effetti depressivi, relativistici e nichilistici di questo crollo inatteso. Con questo crollo è crollata anche la concezione stadiale della storia, basata sul mito borghese del progresso. Il nazionalismo cinese ed il post-modernismo europeo non ne sono che temporanei succedanei, in cui però il “temporaneo” può durare decenni. Tu stesso noti che il “rapporto sociale è considerato con diffidenza e paura”. Proprio così. Le generazioni del secolo breve (1914 - 1991 di Hobsbawm) e del secolo brevissimo (1914 - 1975 di Bontempelli, vedi Koiné in Il respiro del Novecento) hanno puntato tutte le loro speranze nel rapporto sociale, variamente interpretato a destra, al centro o a sinistra. Non è pertanto strano che le oligarchie oggi al potere puntino, per riaffermare il loro dominio, non in una nuova interpretazione di destra, centro o sinistra del rapporto sociale, ma sulla abolizione tendenziale del carattere normativo del rapporto sociale stesso. Resta l’apparenza normativa della legittimazione elettorale, che viene anzi estesa con bombardamenti ed embarghi nel mondo che non l’aveva ancora conosciuta, ma è sempre più svuotata di effettività politica, e la dicotomia bipolare viene reimposta come protesi di manipolazione per tifosi dipendenti dagli inputs del circo mediatico, prevalentemente televisivo. Questa società è quindi ad un tempo disintegrata ed immobile. Ed è immobile non tanto e non solo per ragioni di individualismo antropologico, quanto per il venir meno di una prospettiva visibile ed immaginabile di mutamento “verso il meglio”. Oggi prevale la sensazione di un futuro probabile “mutamento verso il peggio” e questo provoca paralisi. Non a caso chi sa di non poter affrontare con speranza di successo uno scontro fisico si copre gli occhi e la testa con le mani chiedendo al massimo pietà al vincitore. Anche oggi, in Italia, si spera che Monti e Draghi non infieriranno troppo. La prima analogia che mi viene in mente per descrivere l’attuale società è quella di “zattera alla deriva”. Immaginiamoci allora una zattera, in cui i naufraghi non dispongono neppure di rami, remi e pagaie per poterla minimamente dirigerla. Essi sono completamente in balia delle onde in tempesta (incarnate oggi dal cosiddetto “giudizio dei mercati”, “entità” che è del tutto al di là sia di Dio che del Progresso) ed è del tutto normale che diventino “individualisti”. Ma allora l’individualismo non è altro che un modo di ribattezzare il “grado zero della sopravvivenza”. Scrivo tutto questo con vero dispiacere. Non ho mai infatti aderito psicologicamente al fatalismo snobistico sulla insensatezza del mondo, ed ho sempre pensato che si trattasse di un lusso riservato ai ceti benestanti. In fondo, l’insensatezza totale della storia fu già teorizzata in modo insuperabile da Schopenhauer nel lontano 1819, ed ogni ripresentazione postmoderna di questo pessimismo non riesce ad aggiungervi nulla. Ma oggi l’immagine della zattera alla deriva ha perso ogni carattere letterario, ed è diventata la descrizione realistica di quanto ci sta circondando. E’ lo stadio ultimo della storia? Certamente no. Dio ci guardi e liberi dagli stadi ultimi della storia. Ma la zattera alla deriva può continuare ad andare alla deriva può continuare ad andare alla deriva per decenni, spinta dall’approdo al consumo di sterminate masse asiatiche e dall’incredibile quantità di capitali concentrati nelle mani delle oligarchie finanziarie. Certo avrai sentito parlare delle “profezie che si autorealizzano”. E’ forse il caso della vecchia darwiniana lotta per la vita e la sopravvivenza delle specie. Nel mondo della natura, però, molto spesso le specie sono solidali e collaborative al loro interno. Noi siamo invece riusciti a creare un mondo in cui si parla in teoria di uomo sociale e di ente naturale generico, ma nei fatti si è affermato lo stato di natura di Hobbes della guerra di tutti contro tutti. Il fatto è che lo scenario in cui stiamo vivendo, la compresenza di disgregazione sociale e di immobilismo politico, è una relativa novità storica, che richiederebbe un nuovo apparato concettuale di spiegazione. Proprio quello che giornalisti e professori universitari non ci daranno mai. E non solo non ce lo daranno, ma faranno un infernale fuoco di sbarramento di artiglieria chi si azzarderebbe a proporlo. 2) Il nostro presente, in una prospettiva storica, potrebbe essere considerato come la fase terminale di un processo di decadenza della civiltà e della società occidentale. Certo è che l’Europa e l’Occidente sono due entità storiche e culturali ben distinte e non assimilabili, ma tuttavia, dobbiamo oggi prendere atto che l’Europa non esiste (e soprattutto non è la UE), perché fagocitata ed omologata all’occidente americano. Pertanto, la crisi dell’Europa coincide con quella dell’Occidente e del primato americano irreversibilmente decadente. Ma anche l’analisi della presente realtà storica, conduce necessariamente a considerare, alla luce del decadimento culturale, morale e politico europeo, la crisi attuale come nella prospettiva di una fase finale di un lungo periodo di decadenza europea protrattosi per circa un secolo. La decadenza europea è un fenomeno presente nella coscienza delle generazioni che si sono succedute dal secondo dopoguerra in poi. La nostra generazione è forse l’ultima testimone dell’esistenza di una società in cui sopravvivevano valori, concetti, stili di vita estranei alla dinamica della società di mercato. Si può parlare dunque, alla luce di quei valori ormai quasi estinti, di una decadenza intesa come un’epoca di disgregazione sociale scaturita dall’avvento del sistema di produzione e di consumo proprio del capitalismo. Varie generazioni europee hanno convissuto con la decadenza. La loro cultura i loro stili di vita, il loro modo di essere nella società è stato permeato da questo spirito decadente. Ma la decadenza non ha suscitato reazioni di rilevo per arginarla, o tentativi di capovolgere questo presunto destino storico vissuto come ineluttabile. Gli stesi furori ideologici degli anni ’70 hanno rappresentato con evidenza la degenerazione storica di culture e fedi ideologiche ormai estranee alla realtà storica. La decadenza è invece l’immagine vivente di uno spirito di assuefazione passiva a destini storici prestabiliti dalla egemonia delle classi egemoni del capitalismo, le sole sopravvissute alla lotta di classe e quindi in grado di imporre il loro corso e il loro senso alla storia. Nella decadenza l’uomo si rifugia nella sua solitudine individualista, si estranea dai processi di trasformazione sociale in atto. Nella decadenza possiamo rinvenire la genesi dell’individualismo contemporaneo, dell’uomo autoreferente di se stesso, di una visione del mondo, di una prospettiva di esistenza limitata a vicende solipsistiche destinate ad esaurirsi in se stesse, senza lasciare traccia. Decadenza è sinonimo di rinuncia ad un senso della vita, di oblio dell’essere, di estraneazione dell’uomo da se stesso. Il tramonto dell’Occidente non deriva da una necessità storica, ma da uno stato della coscienza nichilistico, che si identifica nella alienazione di un uomo estraniato dalla società e dalla storia. Nella decadenza l’uomo occidentale ha comunque vissuto in uno stato di benessere, nel disimpegno morale, perché la decadenza comporta la assenza di creatività e di spirito di trasformazione. La decadenza ha aspetti economici, sociali e culturali del tutto analoghi. Si è vissuti di un capitale accumulato dalle precedenti generazioni, nei risparmi familiari, nelle strutture dello stato sociale, nel patrimonio culturale e storico oggi considerato come un insieme di beni obsoleti e quindi destinati alla musealità. Le capitali europee non sono forse dei musei viventi? La nostra società ha consumato le proprie risorse morali, culturali ed economiche senza essere capace di riprodurle ed il loro esaurimento è ormai un dato di fatto. Il capitalismo ha potuto prevalere attraverso l’abile impiego per i propri fini di tali risorse, generate da un passato anche premoderno, per imporre il proprio potere assoluto. Ma questa eredità si è adesso estinta. Lo steso capitalismo ha distrutto, secondo la logica del consumo illimitato, risorse naturali, materiali e morali rese ad esso funzionali, ma ora non più riproducibili. In questa crisi immanente, cosa rimarrà del capitalismo stesso, se porta in dote per il futuro solo i relitti della sua sistematica opera di distruzione della società, della storia, della civiltà? A proposito del concetto, della percezione e della realtà della decadenza, ne vorrei subito distinguere tre livelli: una decadenza personale o individuale, una decadenza generazionale ed infine una decadenza storica definibile in qualche modo “oggettivo”. La decadenza personale o individuale viene con il decadimento fisico legato all’età (uno dei fatti più comuni e nello stesso tempo più rimossi), e soprattutto con l’inaridimento delle proprie capacità creative, cui non basta ovviare con l’infinita ripetizione di ciò che è già stato detto in un tempo precedente. Questo decadimento è uno dei fenomeni più dolorosi che possano avvenire, ma ciò non la ovviamente nulla a che fare con un concetto storico “oggettivo” di decadenze. La decadenza generazionale è invece un fenomeno maggiormente storico, anche se intrecciato con una sensibilità esistenziale. Fra i quindici ed i trenta anni ci si socializza all’interno di determinate prospettive politiche e culturali, che inevitabilmente cambiano, perché raramente queste configurazioni sociali durano più di venti anni. A questo punto, giunti da una certa età, assomigliamo a dei poveri pedoni che si sforzano di correre per prendere l’autobus. Le porte dell’autobus sono ancora aperte e ci sono persino delle mani generose che si tendono per aiutarci a salire, ma sono le nostre gambe che non ce la fanno più ed allora vediamo l’autobus allontanarsi inesorabilmente. Personalmente, ho sempre questa impressione quando apro la televisione per sentire le notizie. Il senso di estraneità domina ormai sullo stesso sdegno per i continui scandali. Certo, si ha a che fare anche con un processo di assuefazione, come avveniva per il veleno, assunto dal re Mitridate. Ormai, se venissi a sapere che l’intera spesa pubblica italiana dedicata alla sanità è stata spesa in una sola grande orgia del ceto politico non riuscirei neppure più ad indignarmi, come sarebbe peraltro buono e giusto. Gli italiani si sono ormai “mitridatizzati” ed io con loro. Esistono solo alcuni giornalisti che si sdegnano moralisticamente a contratto, ma solamente quando la vergogna tocca la parte politica avversa. Tu proponi invece una nozione discutibile, ma “oggettiva” di decadenza, rilevando soprattutto due dimensioni. In primo luogo, il fatto che la nostra generazione è forse l’ultima testimone della sopravvivenza di valori in qualche modo “premoderni”, precedenti la dinamica della società integrale del mercato. In secondo luogo, il fatto che lo stesso capitalismo aveva fino ad oggi potuto riprodursi sfruttando elementi sociali e culturali pre-capitalistici, ed appunto pre-moderni. Potrei dire di me quello che ad un certo punto il critico francese Roland Barthes ha detto di se stesso: “Improvvisamente non mi ha interessato più nulla essere moderno”. La coazione dell’adeguamento forzoso ad una presunta e mai ben definita “modernità” ha caratterizzato gli ultimi decenni e lo stesso post-moderno nonostante la sua fondamentale ipocrisia ne è stato a suo modo una reazione. Nata con le migliori intenzioni, la modernità si è rovesciata dialetticamente in decadenza. Questa diagnosi era già perfettamente presente in Nietzsche, ma la sua comprensione è stata resa difficile dalla tendenza politicistica ad incasellare Nietzsche a destra o a sinistra. Il disincanto illuministico del mondo, salutato come un grande progresso umano universale, ha soltanto portato alla luce la “sventura” (non ricordo se lo abbia scritto Benjamin o Adorno, o tutti e due). Oggi viviamo in questa conclamata sventura. E’ importante capire che si tratta di una novità storica. A mio avviso, la riproduzione allargata di questa decadenza è ormai irreversibile, salvo improvvise ed imprevedibili catastrofi. Questo sistema del resto ha come principale sua base di legittimazione il ricatto “o me o la catastrofe”. Del resto, chi vuole riflettere filosoficamente su quella che tu chiami la “Monti-dipendenza” in Italia, non potrà che arrivarci da solo. Monti ha azzerato tutte le ideologie con cui per mezzo secolo erano stati addomesticati gli Italiani. Resta soltanto o il ricatto dell’Euro o l’elogio della zoccola (ho in testa la Minetti, ma non solo). Quando Erasmo da Rotterdam scrisse l’Elogio della pazzia, in realtà voleva mettere in guardia paradossalmente dalla pazzia stessa. Oggi, invece, i soli “oggetti” visibili sono il denaro e la fica. Tutta la polemica di origine sessantottina contro il moralismo borghese e piccolo-borghese ha distrutto i ruoli precedenti, con l’inevitabile ipocrisia che si portavano dietro. Se penso che Formigoni aveva fatto il voto di castità e di povertà, e la Chiesa ha sempre fatto finta di non accorgersene, ne concludo che ci meritiamo il gioco delle parti fra Vendola e Renzi, il matrimonio gay e l’autopromozione del fighetto in carriera. 3) La grave situazione economica italiana ed in larga parte europea non può essere superata tramite le strategie di salvataggio della BCE, né tantomeno con la devoluzione, di fatto della sovranità degli stati agli organi finanziari della UE. Appare chiara a molti l’irreversibilità di una crisi sia economica che politica. Solo mutamenti sistemici di vasta portata potrebbero creare nuovi orizzonti nell’avvenire delle nuove generazioni europee. In questo contesto di disfacimento degli stati e della società, solo un evento rivoluzionario potrebbe rappresentare la definitiva rottura con l’ordine capitalista assoluto. Ma una rivoluzione è oggi possibile? Le rivoluzioni sono eventi legati alle ideologie novecentesche, quindi, ad un periodo storico ormai esaurito. Ma non sarebbe possibile oggi la nascita di nuove ideologie compatibili con le esigenze, le contraddizioni, i problemi irrisolti della società del XXI° secolo? In realtà l’ideologia è una forma di interpretazione generalizzata della società e della storia: concezione oggi ritenuta superata, in considerazione delle fallimentari esperienze totalitarie del secolo XX°. Il credo ideologico, al pari della fede religiosa, per sussistere richiede riferimenti culturali e antropologici legati alla cultura europea classica, idealista e premoderna, oggi ritenuta non compatibile con lo sviluppo della società aperta della globalizzazione economica. Occorrerebbe dunque richiamarsi a forme di pensiero che trascendano l’economicismo autoreferente del nostro tempo, che prefigurino cioè una storia che non si identifichi necessariamente con il progresso illimitato, che generino quella utopia creatrice capace di restituire senso e finalità alla vita degli individui e dei popoli del nostro tempo. Ma ideologie e fedi religiose sono state emarginate e condannate come retaggi di secoli passati, come forme di pensiero atte a prefigurare fughe mistiche e orizzonti storici smentiti dallo sviluppo materiale di una società i cui valori si identificano con le certezze empiriche della scienza, della tecnologia, della economia del mercato globale. L’uomo contemporaneo è un individuo compiuto nella misura in cui si sia liberato della credulità mistico - ideologica dei secoli bui e assassini e soprattutto si sia liberato dal problema del senso di se stesso e della storia. Ma oggi è proprio la realtà materiale, fattuale, empirica a smentire le premesse di questo pseudo illuminismo riciclato come modernità del secolo XXI°. Anziché sviluppo c’è recessione, diseguaglianza e privilegi diffusi annullano di fatto ogni principio di eguaglianza, le libertà politiche vengono sempre più compresse dalle esigenze della competitività economica. La contraddizione è evidente, ma l’incapacità di ribellione allo stato delle cose presenti è dovuta proprio a quella mancanza di senso che pervade l’odierna società. E’ questa impossibilità anche solo di immaginare una società diversa e/o alternativa alla presente realtà storica a troncare le radici di ogni possibile rivoluzione e consente a questo capitalismo assoluto di sopravvivere ancora a se stesso: le macerie morali e culturali da esso prodotte sono i fondamenti della sua resistenza e sussistenza. La rivoluzione è diventata impensabile ed inimmaginabile proprio quando è ormai necessaria. L’immaginario politico occidentale da circa due secoli ruota intorno al concetto di rivoluzione, dando infatti luogo ai due campi simbolici complementari dei rivoluzionari e dei contro-rivoluzionari. I fatti del triennio 1989-1991, hanno inaugurato in Europa un’epoca che ha abolito il concetto di rivoluzione, identificato o con i fiumi di sangue dei fanatici o con le code per comprare salsicce e carta igienica. Solo uno sciocco privo di spirito dialettico poteva però pensare che l’abolizione della rivoluzione dall’immaginario sociale non comportasse anche conseguenze telluriche nella cultura complessiva. Molte proposte politiche, oggi, non incitano più alla rivoluzione (come hanno fatto per quasi un secolo i movimenti comunisti e neo-fascisti), ma ad una sorta di “conversione”. Pensiamo ad esempio alle recenti conferenze italiane di Serge Latouche, il profeta della decrescita. Latouche, con tutte le sue palesi buone intenzioni, non è in grado di chiarire in che modo possa iniziare a livello mondiale un processo equilibrato e democraticamente controllabile di decrescita e si limita a spiegare le ragioni per cui sarebbe auspicabile. In questo modo, di fatto, il suo discorso diventa religioso, simile a quello che fa Ratzinger, quando esorta a convertirsi. Del resto, non è certo la prima volta nella storia in cui l’eclissi di una prospettiva rivoluzionaria comporta il passaggio ad una generalizzata esortazione alla conversione. E’ invece la prima volta che sembra imporsi nella coscienza sociale una vera e propria irrappresentabilità del mutamento. In un esame comparato della storia mondiale nelle varie epoche, il mutamento mi è sempre sembrato costantemente rappresentabile. Un popolo era dominato da un altro e pensava, progettava o sognava di come liberarsene. Si potrebbero fare molti esempi di questo tipo, ma tutti arriverebbero alla conclusione del mantenimento di una prospettiva di uscita da una situazione ritenuta negativa. E’ evidente che tu imposti correttamente il problema quando parli letteralmente di forme di pensiero che trascendano l’economicismo. Dal punto di vista della teoria filosofica, è veramente così. Ma ad esempio anche la teoria della decrescita trascende l’economicismo, eppure non riesce a passare dall’invito alla conversione all’organizzazione della rivoluzione. L’economia si è evoluta da scienza particolare della produzione e della distribuzione della ricchezza a fondamento filosofico unico della riproduzione umana. A suo tempo, Roger Garaudy parlò opportunamente di monoteismo del mercato. Lo stesso pensiero di Marx, peraltro non privo di errori e di previsioni smentite dal processo storico, non intendeva dare vita ad una scuola economica, ma ad una critica generale e complessiva dell’interna società in quanto con la “critica dell’economia politica” intendeva una critica complessiva della società capitalistica. Non posseggo ovviamente la formula del superamento della visione economicistica del mondo. Riesco soltanto a pensarne le dimensioni geopolitiche legate alla sovranità nazionale e questo significa respingere in qualche modo la logica della globalizzazione. I cosiddetti movimenti no-global, peraltro non a caso in via di sparizione, sono in proposito del tutto inutili, perché rappresentano l’estrema propaggine storica della mentalità avanguardistica del Sessantotto. Essi affermano di non volere la globalizzazione e poi non vogliono cominciare dal ristabilimento della sovranità nazionale sull’economia, passo non certo sufficiente, ma almeno necessario per cominciare. Credo quindi che soltanto una catastrofe, o una serie di catastrofi, possa portare ad una inversione di tendenza. Non le auspico certamente, al contrario. Non lo vorrei, e vorrei invece una somma di conversione filosofica e rivoluzione sociale. Ma le oligarchie economiche hanno spinto a tale punto le cose da far diventare difficilmente pensabile un tale auspicabile scenario di transizione pacifica. In ogni caso, si tratterà di un problema che affronteranno le generazioni a venire, su basi teoriche che noi non possiamo neppure probabilmente immaginare. 4) Osservando la realtà politica italiana, quale viene rappresentata dai media, si ha l’impressione che l’Italia sia un paese Monti - dipendente. L’avvento del governo tecnico di Monti rappresenterebbe dunque un fatto epocale nella storia recente del nostro paese da cui non si possa prescindere nel futuro. In realtà non esiste una Italia ante - Monti e un’altra post - Monti. Il personaggio Monti è un tecnico, un uomo cioè imposto dalle oligarchie finanziarie della BCE e, con procedure poco ortodosse dal punto di vista costituzionale dal presidente Napolitano, al fine di compiere quelle manovre di austerity economico - sociale imposte dalla UE. Egli è dunque solo un tecnico, un materiale esecutore di quanto altrove deliberato per l’Italia. Si è fatto ricorso al tecnico Monti per attuare provvedimenti che i governi politici, anche se in stato di limitata sovranità ed eterodiretti dalla UE, si erano dimostrati incapaci di mettere in atto. Ma le linee fondamentali della politica italiana degli ultimi 20 anni sono rimaste identiche. L’esproprio della sovranità politica italiana in favore della UE ha avuto quasi definitivo compimento ma questa è solo la fase ultima di un lungo processo iniziato con la seconda repubblica. Se Monti succederà a Monti o gli subentreranno altri personaggi politici o tecnici, è una questione di scarsa rilevanza. Certo è che sia l’abbassamento dello spread che i rialzi delle borse degli ultimi tempi, non sono argomenti che interessino molto il cittadino medio italiano, dato l’espandersi della disoccupazione, l’innalzamento della età pensionabile, il potere d’acquisto dei salari sempre più ridotto, unito all’inasprimento senza limiti della pressione fiscale. Il mondo finanziario, causa prima del declino economico e sociale italiano, è sempre più lontano ed estraneo alla realtà quotidiana in cui si dibatte il popolo italiano. Nonostante tutto, la maggioranza degli italiani è ancora convinta della positività della esperienza governativa di Monti, forse terrorizzata dalla esperienza greca e/o da scenari apocalittici diffusi dai media in caso di fuoriuscita dall’euro. Forse il disfacimento del sistema non è giunto ancora al punto critico di non ritorno, forse in Italia non si è ancora diffusa sufficientemente nella collettività la coscienza della irreversibilità della crisi, perché possano delinearsi scenari di trasformazione rivoluzionaria di un sistema ormai condannato alla ineluttabile decadenza. Certo è che episodi come la probabile chiusura della Alcoa e le prospettive di dismissione degli investimenti della Fiat in Italia, potrebbero accelerare il corso di eventi ancora impensabili per la maggioranza della popolazione. A proposito della cosiddetta Monti-dipendenza (mi congratulo con te per l’ottima e sintetica definizione) credo che abbiamo a che fare col vero nucleo teorico del problema. E definirò questo nucleo teorico come una generalizzata perdita di controllo conoscitiva del presente inteso come storia. Permettimi di disaggregare concettualmente la definizione: generalizzata perché riguarda tutti, anche se è veicolata ideologicamente dal ceto corrotto degli intellettuali, frazione dominata dalla classe dominante (che resta la sola oligarchia finanziaria); perdita di controllo conoscitiva significa perdita di capacità di analisi strutturale dei meccanismi di riproduzione (capitale finanziario) e di legittimazione (simulazioni elettorali periodiche prive di sovranità politica); presente inteso come storia significa che anche il presente, prima di essere cronaca, è innanzitutto storia, anche se ovviamente manca la necessaria prospettiva temporale che sola permette i bilanci storici seri. Voglio fare due esempi pittoreschi di questa Monti-dipendenza, uno riguardante l’attore romano Carlo Verdone e l’altro l’intellettuale torinese della sinistra politicamente corretta (politicamente corretta=operaismo testimoniale + azionismo moralistico) Marco Revelli. Interpellato dal quotidiano “La Stampa” (21.09.2012), Verdone prende spunto dalle ultime maialate del ceto politico professionale romano “di destra” (Fiorito eccetera), le condanna con virtuosi accenti alla Beppe Grillo, afferma che costoro non hanno solo rubato la torta, ma addirittura svuotato la pasticceria, e poi finisce in bellezza dicendo: “E meno male che abbiamo Monti, almeno sta facendo il possibile per mettere toppe, e poi dobbiamo anche ringraziare Mario Draghi”. Si dirà che Verdone è un attore comico, e non possiamo pretendere da lui analisi strutturali. Ma passiamo a Revelli, storico-sociologo di professione, intellettuale invitato permanente dal “Manifesto”, dal TG3, e da Rai News. Quando Monti fu insediato, lo vidi che ne faceva un elogio sperticato in nome del fatto che “almeno ci farà fare bella figura all’estero”, in quanto il puttaniere maialone Berlusconi con i suoi volgari apprezzamenti sul culone della Merkel era ormai impresentabile. Se fosse rimasto anche solo un briciolo di capacità di analisi strutturali del presente storico, si sarebbe capito che così come dietro il livello delle orge di Tiberio e Nerone ci stavano i problemi strutturali della produzione schiavistica, analogamente dietro le maialate di Berlusconi ci stava la sua incapacità di far passare misure antipopolari di massa, per cui ci voleva un “tecnico” anglofono percepito come indipendente con le mani pulite. E pazienza se l’attore Verdone non lo capisce. Ma che non lo capisca lo sputasentenze Revelli significa che ormai che ogni capacità di analisi strutturale è perduta. Nella mia prima risposta che qui non riprendo nei particolari mi sono già chiesto se questa crisi sia o no irreversibile. Ricorderai che ho risposto in modo intermedio: questa crisi non è una semplice crisi ciclica come quelle che l’hanno storicamente preceduta, ma nello stesso tempo non bisogna illudersi sul fatto che sia una “crisi finale”, destinata a dare luogo ad un mondo in qualche modo nuovo. Ora in questa mia quarta risposta vorrei tornare a questa impostazione calibrandola proprio sul caso della Monti-dipendenza. L’Italia è davvero oggi un anello debole dell’Europa. Ma il termine “anello debole” non deve essere inteso nel senso di Lenin, come eccezione che può favorire una rivoluzione (nei termini del trotzkista Pasquinelli, una sollevazione). L’Italia è un anello debole perché è un paese in via di progressiva deindustrializzazione, che ha un ceto politico parassitario strutturale (particolarmente volgare a destra, “ipocrita” al centro ma ben radicato anche a sinistra) che evidentemente non si riesce a togliere né con Mani Pulite, né con altri accorgimenti giudiziari. Si tratta probabilmente dell’eredità sociologica della Prima Repubblica (1946-1992), in cui il gonfiamento degli apparati politici era funzionale alla stabilità strategica di un paese di “frontiera dell’Occidente”. Il ventennio berlusconiano (1993-2011) non ha potuto cambiare le cose sul piano strutturale, ma ha permesso alla “destra” di legittimarsi e di mostrare la sua vera faccia (quella delle maschere di maiale dei festini della destra romana della Regione Lazio), ed alla “sinistra” di riciclarsi facendo dimenticare con l’anti-berlusconismo ossessivo di essersi legittimata per decenni ingannando le masse con la prospettiva illusoria della via italiana al socialismo. Il “bonapartismo” di Monti appare inspiegabile al di fuori di questo vuoto pneumatico di cultura, di ideologia e di prospettiva. Abituati da lungo tempo a non pensare più con la propria testa, Monti semplicemente è il successore di una lunga serie precedente, Giolitti, Mussolini, Togliatti, Andreotti, Craxi, Berlusconi, etc. Più esattamente, non credo basti dire che l’Italia è oggi Monti-dipendente. L’Italia è oggi un paese ad amministrazione controllata, in quando la sua intera sovranità economica è avocata dalla Troika e l’intera sovranità militare dall’alleanza NATO. In Grecia (Samaras) ed in Spagna (Rajoy) è stato possibile delegare l’amministrazione controllata ad esponenti del ceto politico tradizionale di centro-destra, ma in Italia questo si è rivelato impossibile per il doppio e concomitante fenomeno del berlusconismo, da un lato, e l’interminabile riciclaggio dell’ex-PCI, dall’altro. Fenomeni ridicoli come Vendola (a sinistra) e Renzi (a destra), al di là degli aspetti di superficie (rottamazione generazionale, matrimoni gay, eccetera), sono semplicemente la superficie di assestamenti geologici di lungo periodo e di normalizzazione dell’elefante-PCI. La Monti-dipendenza non è che la manifestazione del fatto che le tare storiche della modernizzazione italiane non potevano essere colmate da forze sovrane, come sono pur sempre Berlusconi e Bersani. Succederà Monti a se stesso nel 2013? Scrivendo queste righe nel settembre 2012 non posso certo saperlo, perché non ho la sfera di cristallo. Ma se i particolari di quando avverrà fra qualche mese sono ancora oscuri, non lo è la politica economica eterodiretta che il cosiddetto impegno europeo ci chiederà. Un Monti con Monti o un Monti senza Monti può essere interessante per i maneggi del ceto politico, ma non per l’italiano qualunque. A proposito del corpo elettorale, una parte si asterrà perché ha capito di non essere più sovrano (ed anche perché ci saranno sempre meno soldi a pioggia per le clientele fameliche), una parte voterà Grillo, e la parte restante si dividerà nelle collaudate tifoserie di destra e di sinistra, tifoserie che rendono possibile la legittimazione politica dell’attuale riproduzione oligarchica. Personalmente sono d’accordo con i sovranisti (vedi l’economista Bagnai), ma non credo che gli italiani siano pronti per il sovranismo. Ne avrebbero troppa paura. I giornali sono sempre pieni di scandali e scandaletti (ormai la “Repubblica” è diventata asfissiante, sembra che al mondo ci siano solo Formigoni e la Regione Lazio), ma sono i dati fondamentali dell’economia quelli che contano ed essi non sono forse ancora catastrofici, ma vanno inesorabilmente in discesa. La Monti-dipendenza è un altro modo di chiamare l’Italia-impotenza di Costanzo Preve - Luigi Tedeschi

05 ottobre 2012

Meglio morti subito che ancora Monti dopo

Alla Trimurti della Trilaterale, del Bilderberg e della Goldman Sachs, cioè TriMonti, vorrebbero concedere il bis, ovvero a lui il bissamento al Governo e all’Italia l’inabissamento nella cloaca della Storia, passando per il peggiore dei Gabinetti dei poteri sporchi che il nostro Paese abbia mai avuto. Ma Monti la Trinità, non passerà, non lascerà e non raddoppierà, bensì, essendo nessuno eppure trino, sobria divinità gonfiata come un palloncino di gomma dalla carta stampata globale e da investitori stranieri, interessati ad accaparrarsi gli ultimi pezzi dell’argenteria di famiglia, triplicherà i panni sporchi, i sacrifici, le tasse, le bollette e farà sparire i pezzi grossi dell’industria di Stato, sui quali si sono già scatenati i pescicani internazionali. Tutto questo decadimento che sta facendo precipitare l’Italia tra le nazioni pezzenti del capitalismo occidentale e tra i Paesi con le più basse prospettive di crescita del continente, i nostri giornaloni lo chiamano necessità epocale; inoltre, a loro modo di non vedere la realtà, l’opinione pubblica continuerebbe a preferire il Trinariciuto dei poteri storti, al ritorno del trenino dei partiti, responsabile prima dello stazionamento sui binari morti della stagnazione e poi del deragliamento nella letale recessione. I pennivendoli di regime scrivono che quest’astrazione chiamata opinione generale, la quale non ha mai avuto un’idea propria in vita sua, essendo una creazione di chi controlla i mezzi d’informazione, voglia tenersi TriMonti per non finire in fondo al mare poiché, dato lo sfasciamento del sistema politico attuale, solo un Dio ci potrà salvare. Ma ciò che ha i tratti apparenti della discontinuità tra il vecchio ed il nuovo – che per chiamarlo tale ci vuole davvero tanta fantasia essendo i due principali artefici di questa presunta svolta due bisnonni (Napolitano e Monti) – è soltanto un’illusione ottica in quanto questo Esecutivo nominato dal Colle, appoggiato dalla partitocrazia screditata e tenuta per il collo dalle indagini della magistratura, approvato e reclamato dalle cancellerie mondiali, i cui membri sono stati selezionati tra personalità che hanno scalato i gradini della professione leccando i culi coronati del sistema bancario, finanziario e politico di mezzo mondo, è espressione dei soliti apparati invisibili i quali appaiono sulla scena unicamente quando la democrazia formalistica, con le sue opzioni fintamente alternative, passanti per stanche consultazioni elettorali e falsi coinvolgimenti della società civile, s’inceppa e non garantisce più la perpetuazione dei loro meccanismi riproduttivi. A fortiori quando per continuare ad esistere, in quanto conglomerato di poteri smorti al cospetto dei veri dominanti della fase, occorre mettere sul mercato organi strategici che aiutano loro a fare cassa ed il popolo ad entrare nella cassa da morto. Per queste ragioni, quello che fino a ieri era un totem sacro, le elezioni che rendono il popolo esteriormente sovrano, diventano persino una iattura da allontanare al fine di accorciare la filiera decisionale ed accelerare le svendite. Chiamiamoli allora, questi liquidatori di indipendenza nazionale per la prosecuzione della loro misera sopravvivenza, poteri corti, cioè le élite irriformabili di uno Stato mandato all’ammasso con una visione ristrettissima dei processi storici e delle congiunture economiche e con le mani allungate sulle nostre speranze ad arraffare un futuro che non vedrà la luce. Perciò, anziché sottostare a questo lungo stillicidio di sottrazioni del patrimonio pubblico, di smembramento delle proprietà statali e di completa distruzione dell’autonomia della repubblica, c’è da augurarsi un immediato scollamento del tessuto sociale con tutte le conseguenze del caso, nella speranza che dal caos venga fuori qualcosa di meno orribile della tremenda fine in lento avvicinamento. Insomma, meglio Morti subito che ancora Monti dopo, meglio morire ora da uomini semiliberi per rinascere come corpo sovrano che prolungare questa esistenza cadaverica da vili e da servi. di Gianni Petrosillo

04 ottobre 2012

Capitalismo, il virus che intossica i mercati

Udite udite: dalla Bocconi escono cervelli critici, non soltanto dogmaticamente liberal-liberisti come l’esimio Mario Monti. Insegnano storia economica nella famosa università milanese, i professori Massimo Amato e Luca Fantacci, autori di un consigliatissimo libretto pubblicato dalla Donzelli nel luglio scorso, “Come salvare il mercato dal capitalismo”. Il titolo può mettere in sospetto il lettore anti-sistema: non è che questi due, giocando sui concetti di mercato e capitalismo, in realtà hanno l’intenzione di salvare lo status quo che nei fatti vede i due termini come sinonimi? Economia liquida Il fondamento su cui i due bocconiani costruiscono la loro analisi consiste, al contrario, nel disconoscere la sinonimia abituale. Il mercato è l’economia dello scambio misurato attraverso la moneta, il capitalismo è il mercato dominato dalla finanza. Il primo è da salvaguardare, il secondo da combattere e abolire perché rende lo scambio succube della mercificazione del credito. Leggiamo: «Economia di mercato e capitalismo … a ben vedere, sono anzi incompatibili. Il capitalismo è un’economia di mercato con un mercato di troppo: il mercato della moneta e del credito». Di troppo, nel doppio senso negativo che riveste la liquidità o finanziarizzazione: «da una parte, è il carattere del credito, nella misura in cui può essere comprato e venduto su un mercato, il mercato finanziario, come quel luogo dove si investe senza responsabilità e tutti ci guadagnano. D’altra parte la liquidità è anche il carattere eminente della moneta capitalistica, nella misura in cui è una moneta che può essere trattenuta indefinitamente, come forma suprema della ricchezza, come rifugio sicuro in tempi di incertezza, quando non ci si può più fidare di nessuno». In altre parole, il male originario del sistema capitalistico sarebbe nel suo fondarsi sull’illusione del profitto illimitato e abbordabile da tutti, resa possibile da una moneta basata sul debito. Il problema a monte, insomma, è l’economia liquida, è la liquidità definita come «il principio per cui i debiti non sono fatti per essere pagati ma per essere comprati e venduti su quel mercato sui generis che è il mercato finanziario. La liquidità trasforma il rischio inerente a ogni atto di credito… in un rischio ben differente: il rischio che i titoli che rappresentano i debiti non trovino più acquirenti». Che è esattamente la tipica situazione di insolvenza riscontrata nella crisi mondiale di questi anni. Creditore fa rima con debitore Ma, secondo Amato e Fantacci, neppure la finanza è un male di per sé. A patto di intenderla come si dovrebbe intendere l’intera economia: come una relazione di cooperazione, e non di concorrenza. Una cooperazione non certo moralisticamente compassionevole, sia chiaro: il creditore ha interesse che il debitore possa pagare il suo debito, e il debitore ha interesse a pagarlo per non diventarne schiavo. La liquidità o finanziarizzazione opera una scissione, perché rende la relazione una merce, un pezzo di carta rivendibile, e rivendibile in tempi sempre più brevi e veloci (la famosa speculazione). D’altronde questo fa la finanza sanguisuga: compra, vende e rivende, impacchettati e spacchettati, i debiti. E infatti la famigerata crisi greca è scoppiata quando i titoli di debito ellenici hanno smesso di essere vendibili, perché pagabili non lo erano stati mai. Aver mercificato il rapporto creditore-debitore «gli toglie la sua caratteristica di solidarietà intrinseca facendone un titolo negoziabile, toglie alla moneta il suo carattere di misura comune per renderlo un fattore di accumulazione, toglie al lavoro la dignità che si matura nella competenza per consegnarlo alla precarietà». È la lezione del caro vecchio Marx che torna a galla dall’oblio. Peccato che gli ultimi marxisti dei nostri tempi non tocchino mai, paurosi di scottarsi, il tema monetario e creditizio. Invece chi si oppone al lavoro-merce non può non opporsi al credito-merce. Cosa che non avviene perché a sinistra si è dimenticato pure Keynes, che nel capitolo 12 della Teoria generale condanna senza mezzi termini la liquidità come un «feticcio anti-sociale». E allora bisogna chiamare le cose con il loro nome, e qui sta la parte concettualmente più coraggiosa, benché non certo rivoluzionaria, del libro in esame: «l’idea che la moneta sia ricchezza e che il fatto stesso di prestarla meriti di essere premiato è la radice di un male endemico, sociale e insieme umano. Chiamatela come vi pare. Fino a un paio di secoli fa si chiamava usura. Poi gli economisti classici l’hanno chiamata rendita. E l’hanno aspramente criticata. Oggi si chiama tasso d’interesse». Usura e cooperazione La schiavitù dell’interesse è, come avrebbe detto Aristotele, “odiosa” perché costituisce un prelievo forzoso alla fonte sui redditi, perché vampirizza il lavoro e l’impresa togliendo risorse per una sterile accumulazione puramente monetaria (la deflazione, in cui le banche sguazzano facendosi in pratica regalare miliardi dalla Bce senza girarli alle aziende), perché, con la foglia di fico della “finanza democratica” (i fondi gestiti dalle banche), fa credere al comune risparmiatore di poter guadagnare senza lavorare. E così si finisce col far lavorare senza guadagnare, come dimostra la proletarizzazione del ceto medio diffuso. Come se ne esce? Politicamente1, è chiaro. Ma non certo limitandosi a indignarsi, come è in voga dire oggi. Innanzitutto bisogna fare chiarezza teorica su quali sono gli obbiettivi di un’altra finanza: «La finanza deve assolvere due compiti essenziali: finanziare gli scambi e finanziare gli investimenti. Nessuno dei due compiti richiede il mercato del credito o il prestito a interesse. Il finanziamento degli scambi può avvenire attraverso sistemi di compensazione (improntati non alla crescita indefinita delle operazioni finanziarie, ma all’equilibrio degli scambi). Il finanziamento degli investimenti e dell’innovazione può avvenire attraverso forme di compartecipazione alle perdite e ai profitti (all’interno dei quali la crescita non è obbligata, ma semplicemente possibile)». Gli autori chiudono il libro, infatti, con una proposta innovativa: l’introduzione di un doppio corso, con un Euro a vocazione globale – perché piaccia o no la globalizzazione bisogna fronteggiarla – e una moneta di conto complementare, che rifletta i tessuti sociali ed economici locali. E si tratta di un’idea nient’affatto peregrina, dato che esistono numerosi esempi, antichi e attuali, di una felice assenza di mercati finanziari col prestito a interesse: dalle fiere dei cambi rinascimentali alle banche mutualistiche e cooperative, dalla finanza islamica al venture capital, dagli esperimenti di denaro a scadenza durante la Grande Depressione ad alcuni esperimenti di monete locali. Essere ragionevoli è rivoluzionario In concreto, la nuova divisa complementare sarebbe connessa all’istituzione di una camera di compensazione locale, una banca pubblica per piccole e medie imprese che abbiano almeno una parte di clienti e fornitori sul territorio. Ma pubblica non perché usa capitali pubblici ma perché pubblica è la logica che adotta e pubblico è il servizio che rende. Una specie di credito cooperativo, in quanto i partecipanti si concedono il credito mutualmente. «Ciò che caratterizza lo spirito della cooperazione non è il fatto che tutti sempre ‘si vinca’, ma piuttosto il fatto che, si vinca o si perda, il vantaggio e il peso sono sopportati insieme e secondo proporzione.» Banale e un po’ ingenuo riformismo? Mica tanto. Mettere in discussione l’idolatria dei “mercati” signori e padroni è già un atto rivoluzionario. Così come mettere all’indice il ricatto politico ed economico delle banche private come frutto di un vizio strutturale che ha il preciso nome di usura. Solo, non si può soltanto abbaiare alla luna2. Occorre sforzarsi di proporre alternative ragionevoli, imperfette e perfettibili come tutte le proposte. Ma è la direzione che conta. E a me pare quella giusta. Note L’ideologia dominante, quella liberal-capitalistica, l’unica rimasta sul terreno dopo la sconfitta del suo alter ego social-comunista, finora ha impedito di rompere il muro d’omertà sulla dittatura finanziaria: “la finanza ha potuto usurpare lo spazio della politica e asservire l’economia reale solo perché l’ideologia del mercato ha occupato lo spazio della finanza. Frutto di questa ideologia che nessuno, da trent’anni, ha saputo contrastare adeguatamente, il mercato finanziario in quanto tale è un problema. È un problema economico, politico e, infine, umano. È un problema perché ha preteso di fare mercato di una relazione sociale e umana fondamentale, quella fra debitore e creditore. Se solo la poniamo così, l’assurdità del proposito emerge da sola. Occorre dunque una riforma della finanza che le tolga lo spazio usurpato e la riannodi al compito mancato. Togliere alla finanza la forma del mercato, significa rimetterla al servizio dell’economia di mercato. E questo è un compito politico” (Amato-Fantacci, op. cit, pag. 6). Anche perché siamo tutti complici, volontariamente o involontariamente, della mistificazione finanziaria: “il colpevole non è «qualcun altro», giacché i mercati finanziari siamo tutti noi, nella misura in cui condividiamo, socialmente e individualmente, i presupposti antisociali del loro funzionamento. In questo odioso regime dei creditori siamo tutti implicati. Innanzitutto, perché siamo tutti creditori: basta avere un conto in banca per contribuire a creare quella pressione sul debitore che può diventare intollerabile. Ma soprattutto, e più profondamente, perché anche chi non investe in borsa, talvolta perfino chi protesta contro lo strapotere di Wall Street, difficilmente mette in discussione ciò su cui i mercati finanziari si fondano: il dogma della liquidità. Ossia l’idea, apparentemente naturale, secondo cui il denaro contante (la liquidità, appunto) è la forma più sicura di risparmio e, di conseguenza, si può accettare di privarsene solo in cambio di un investimento che sia ugualmente liquido o che frutti un interesse adeguato. Detto altrimenti, questo è il credo generalizzato a cui tutti implicitamente ci atteniamo: la moneta è il sommo bene, e deve generare interesse nella misura in cui è data a credito. Chi accumula denaro, si aspetta che conservi il suo valore. Chi lo cede in prestito, si aspetta di riceverlo aumentato. Lo dà per scontato. E in effetti è scontato, letteralmente, in termini contabili. Così opera il dogma trinitario della liquidità: moneta-credito-interesse, uni e trini, inseparabili” (Amato-Fantacci, op. cit, pag. 10). di Alessio Mannino

03 ottobre 2012

Discorso integrale di Ahmadinejad all'ONU

E’ l’ottavo discorso di Mahmoud Ahmadinejad all’Onu, il più bello, il più emozionante, il più completo. Il presidente dell’Iran non tralascia un solo problema del mondo senza averne parlato; parla di tutto quello che non va, in tutto il mondo ed in questo senso il suo discorso è realmente qualcosa di unico. Ecco la traduzione della versione integrale del suo discorso, un’esclusiva di Radio Italia IRIB. “Io vengo dall’Iran, dalla terra della bellezza e dell’imponenza, dalla terra della scienza e della cultura, la terra della saggezza e delle virtù, dalla culla della filosofia e dello gnosticismo, dalla patria del sole e della luce, la terra degli scienziati, dei saggi, dei filosofi, degli gnostici, dei letterati, la terra di Avicenna, Ferdowsi, Rumi, Hafez, Attar, Khayyam e Shahriar; sono quì in veste di rappresentante di un popolo grande e dignitoso, tra i fondatori della cultura umana e tra gli eredi di essa; sono il rappresentante di gente saggia, innamorata della libertà e della pace, affettuosa, che ha assaggiato il sapore amaro delle guerre e delle aggressioni e che ama la pace e la serenità. Il messaggio dell’Iran Oggi sono quì con voi fratelli e sorelle provenienti da tutto il mondo per parlare per l’ottava volta in otto anni di servizio al popolo del mio paese, e dimostrare al mondo intero che il dignitoso popolo dell’Iran, proprio come il suo passato splendente, ha ancora oggi un pensiero rivolto a tutto il mondo e non rinuncerà a qualsiasi sforzo per lo sviluppo ed il rafforzamento della pace, della sicurezza e della stabilità nel mondo; e l’Iran sa che questo non sarà possibile se non con la cooperazione e l’aiuto degli altri. Sono quì per riferire a voi rispettabili presenti il messaggio divino degli uomini e delle donne del mio paese. Un messaggio che il maestro dell’orazione della terra d’Iran, Saadi di Shiraz, ha reso immortale in questi due versi: I figli di Adamo sono uno parte dell’altro, dato che sono creati da un unico gioiello quando la vita reca male ad una di queste parti, le altre parti perdono la propria quiete. Nei sette anni precedenti ho parlato delle sfide e delle soluzioni e dell’orizzonte dinanzi al mondo ed oggi voglio osservare questo argomento da un’altra angolatura. Passano migliaia di anni dalla diffusione sulla terra dei figli di Adamo, figli che con colori, gusti, lingue e tradizioni differenti hanno tutti sognato la costruzione di una società piena di amore, per raggiungere una vita più bella e stabilire il benessere, la pace e la sicurezza. Come sarebbe il mondo se… Nonostante lo zelo incessante dei buoni e dei grandi riformatori e degli amanti della giustizia e nonostante i tanti sacrifici delle masse popolari per raggiungere la felicità e la vittoria, tranne delle piccole eccezioni, la storia dell’umanità è stata piena di sconfitte e fatti amari. Immaginatevi cosa sarebbe successo se gli egoismi, le mancanze di fiducia, le dittature, non ci fossero state e se nessuno avesse usurpato i diritti altrui? Se invece della ricchezza e del consumo, il rispetto ad una persona dipendesse dalle sue virtù? Se l’uomo non avesse attraversato il periodo nero del medioevo, se i potenti non avessero impedito il progresso in quel periodo? Se non ci fossero state le crociate, ed il periodo dello schiavismo, ed il colonialismo? Se non ci fossero stati i due conflitti mondiali e le guerre in Corea e Vietnam e non ci fossero state le guerre che ci sono state in Africa, America Latina e nei Balcani? Se invece dell’occupazione della Palestina e l’imposizione di un falso regime ad essa e la costrinzione di migliaia di persone a lasciare le proprie case si fosse fatto dell’altro? Se non ci fosse stata la guerra di Saddam contro l’Iran ed i potenti di quel tempo invece del sostegno a Saddam avessero sostenuto i diritti del popolo iraniano? Se non si fosse verificato l’amaro fatto dell’11 Settembre e se non ci fossero state le aggressioni contro Iraq ed Afghanistan e se invece di gettare a mare il corpo di un imputato ucciso senza processo si avesse deciso di processarlo in modo che la verità venisse a galla? Se non si fosse usato il terrorismo e l’estremismo per portare avanti politiche espansioniste? Se le armi si fossero trasformate in penne per scrivere e se i budget militari fossero stati usati per il benessere e l’amicizia tra i popoli? Se non si scatenasse in continuazione il tam tam delle divergenze etniche, religiose e razziali e se queste divergenze non venissero usate per raggiungere scopi politici ed economici? Se invece del finto sostegno alla libertà di espressione quando si tratta di offendere le sacralità umane ed i messaggeri divini - che sono gli uomini più puri ed affettuosi e sono i più grandi doni di Dio all’umanità - si permettesse la critica alle politiche di dominio ed alle azioni del sionismo internazionale? Se le agenzie di stampa mondiali potessero diffondere liberamente le verità? Se il Consiglio di Sicurezza non fosse sotto il dominio di pochi paesi e se l’Onu fosse in grado di agire in maniera veramente indipendente? Se gli istituti economici mondiali non fossero sotto pressione e riuscissero ad esprimersi veramente sulla base delle indicazioni dei propri esperti? Se i capitalisti mondiali non sacrificassero l’economia dei paesi deboli per i propri interessi? Se questa gente non sacrificasse la gente per rimediare ai propri errori? Se a dominare le relazioni internazionali fosse stata la sincerità e tutti i popoli e governi avessero potuto partecipare alla gestione del mondo in maniera giusta e con eguaglianza? E se non ci fossero decine di altre situazioni inconvenienti per l’umanità, immaginatevi che bella vita avremmo oggi e che bella storia avrebbe l’essere umano. Ma ora bisogna dare pure uno sguardo alla situazione odierna del mondo. La situazione del mondo di oggi a) Situazione economica La povertà ed il divario tra ricchi e poveri aumentano. Il debito estero dei 18 paesi maggiormente industrializzati del mondo ha oltrepassato i 60 mila miliardi di dollari e pensare che solo la retribuzione della metà di questo debito agli altri popoli risolverebbe per sempre il problema della povertà nel mondo. L’economia basata sul consumismo ha portato solo alla schiavitù dei popoli a favore di un gruppo limitato. La creazione di asset di carta, facendo leva sulla potenza e sul dominio sui centri economici mondiali, è la più grande frode della storia ed uno degli elementi che ha originato la crisi economica mondiale. Un rapporto dimostra che un solo governo ha creato 32 mila miliardi di dollari di averi ‘di carta’. La programmazione dello sviluppo sulla base del capitalismo, conduce in un vicolo cieco, e crea competizione distruttiva che in pratica ha dimostrato di essere fallimentare. b) Situazione culturale Le virtù morali come la lealtà, la purezza, la sincerità, l’affetto, l’altruismo dal punto di vista dei politici che dominano i centri di potere del mondo, sono tutti concetti superati ed un ostacolo al raggiungimento dei loro obbiettivi. Si dice ufficialmente che la politica e la società non c’entra con la moralità e l’etica. Le culture originali e preziose che sono l’esito di secoli di sforzi e sono il punto d’incontro dell’amicizia degli uomini e dei popoli e sono motivo di varietà e di ricchezza culturale e sociale sono minacciate ed in via di estinzione. Con l’umiliazione e la distruzione sistematica delle identità culturali si propina alla gente un tipo di vita senza identità personale e sociale. La famiglia, che è il più prezioso centro per l’educazione degli uomini ed è il nucleo della creazione e della diffusione dell’amore e dell’umanità è stata indebolita a dismisura ed il suo ruolo costruttivo sta per essere distrutto. La personalità ed il ruolo centrale della donna, che è un essere celestiale ed il simbolo della bellezza e dell’affetto di Dio e la colonna della stabilità della società, è stata strumentalizzata e danneggiata da ricchi e potenti. Lo spirito umano è triste e la vera essenza dell’uomo è stata annichilita ed umiliata. c) Situazione di politica e sicurezza L’unilateralismo ed i doppi standard, l’imposizione delle guerre e della mancanza di sicurezza e dell’occupazione per soddisfare interessi economici o esigenze di dominio, è divenuta pratica abituale. La corsa alle armi e la minaccia con le armi atomiche e le armi di distruzione di massa attraverso le grandi potenze è diventato una pratica abituale. La sperimentazione di armi sempre più devastanti, super moderne e il minacciare gli altri dicendo che si possiedono queste armi e la promessa dell’uso di queste al momento opportuno, ha dato vita ad una nuova forma di espressione al livello politico che serve a terrorizzare i popoli e sottometterli. Minacciare di una aggressione militare ai danni del grande popolo dell’Iran, ad opera dei sionisti senza cultura, è un esempio palese di quest’amara verità. La mancanza di fiducia domina le relazioni internazionali e non vi è un punto di riferimento realmente giusto ed equo a cui poter fare riferimento per risolvere le contese. Persino coloro che hanno migliaia di bombe atomiche e tutta una gamma di armi spaventose, non si sentono al sicuro. d) Situazione ambientale L’ambiente è la ricchezza comune di tutti noi ed appartiene a tutta l’umanità ed è la garanzia per il proseguimento della vita umana; ma per via delle ambizioni e delle scorrerie di un gruppo di sprovveduti e irresponsabili, per lo più capitalisti, sta subendo i peggiori danni e come esito, la siccità, le inondazioni, i sismi ed i diversi tipi di inquinamento, stanno mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza umana. Lo scontento è generale Amici! Come osservate nonostante il progresso raggiunto, i figli di Adamo non hanno ancora realizzato i loro sogni. C’è qualcuno tra di voi che pensi che l’attuale ordine mondiale possa regalare la felicità alla società umana? Tutti sono insoddisfatti delle condizioni attuali e del sistema dominante a livello internazionale e per di più non hanno nemmeno tante speranze nel futuro. Di chi è la colpa? Cari colleghi! Gli uomini non si meritano una situazione del genere e Dio, il Buono, il Saggio, ama tutti gli uomini e non ha certo voluto per noi una condizione simile. Egli ha chiesto all’uomo, che è il migliore delle sue creature, di vivere sulla terra nel migliore dei modi e con bellezza, giustizia, amore e dignità. Ed allora pensiamoci. Sinceramente, chi è responsabile della situazione attuale? Alcuni cercano di definire ‘naturale’ questa situazione ed addirittura definirla volere di Dio e per giunta puntano il dito contro la gente, contro i popoli e presentano loro come i responsabili. Dicono: “Sono i popoli che accettano l’ineguaglianza e l’ingiustizia. Sono i popoli che sono disposti a farsi sottomettere dalle dittature e dall’avidità di alcuni. Sono i popoli che si arrendono al volere ‘imperiale’ e di dominio di alcuni. Sono i popoli che si fanno ingannare dalla propaganda di gruppi di potere e quindi alla fine, ciò che capita di male alla comunità internazionale è l’esito dell’operato dei popoli”. Questo è il ragionamento di coloro che addossano la colpa ai popoli per giustificare le azioni odiose e distruttive di una cricca che domina il mondo. Anche se queste pretese fossero state verità, non avrebbero giustificato lo stesso la permanenza di un sistema ingiusto al livello internazionale. Ecco come sono fatti veramente i popoli Tutti si ricordino che la verità è che la povertà e la debolezza viene imposta ai popoli e che le ambizioni e la brama di ricchezza dei dominatori del mondo vengono esauditi a scapito dei popoli, con l’inganno ed alle volte con la forza delle armi. Loro per giustificare le loro azioni anti-umane usano la teoria della sopravvivenza del più forte e parlano della ‘razza superiore’. Ciò mentre la maggior parte delle persone in tutto il mondo aspira alla giustizia ed è sempre pronta ad accettare la giustizia ed insegue assolutamente la dignità, il benessere, l’amore. Le masse popolari non hanno mai desiderato fare conquiste ed ottenere con la guerra ricchezze mitiche. I popoli non hanno divergenze, non hanno avuto nessuna colpa nei fatti amari della storia, sono stati solo ‘le vittime’. Io non credo che le masse musulmane, cristiane, ebraiche, induiste, buddiste ed ecc… abbiano dei problemi fra di loro. Loro si amano facilmente, vivono in una atmosfera di amicizia, e vogliono tutti purezza giustizia ed affetto. In generale le richieste dei popoli sono sempre state positive e l’aspetto comune tra di loro, è la loro propensione per istinto verso la bellezza e le virtù divine ed i valori umani. È giusto dire quindi che la responsabilità dei fatti amari della storia e delle condizioni inconvenienti di oggi, è della gestione del mondo e dei potenti del mondo che hanno venduto l’anima a Satana. L’ordine mondiale di oggi è un ordine che ha le sue radici nel pensiero anti-umano dello schiavismo, nel colonialismo vecchio e nuovo, ed è responsabile della povertà, della corruzione, dell’ignoranza, dell’ingiustizia e della discriminazione diffusa in tutte le parti del mondo. L’ordine mondiale attuale La gestione attuale del mondo ha delle caratteristiche ed io ne voglio citare qualcuna. Primo: è basata sul pensiero materiale e per questo non sente il dovere di rispettare i principi morali. Secondo: è basato sull'egoismo, l'inganno e l'odio. Terzo: effettua una classificazione degli uomini, umilia certi popoli, usurpa i diritti di altri ed è basata sul dominio. Quarto: è alla ricerca della diffusione del dominio attraverso l'intensificazione delle divisioni e delle divergenze tra i popoli e le nazioni. Quinto: cerca di concentrare nelle mani di pochi paesi il potere, la ricchezza, la scienza e la tecnologia umana. Sesto: l'organizzazione politica dei centri principali del potere mondiale, è basata sul dominio e sulla forza che un paese ha e che è superiore a quella di altri paesi. Gli enti internazionali pertanto sono centri per acquisire potere, ma non per creare pace e servire tutti i popoli. Settimo: il sistema che domina il mondo è discriminatorio e basato sull'ingiustizia. Cenno alle elezioni negli Stati Uniti ed al movimento del 99% - E voi, credete che solo per servire l'umanità, un gruppo sia disposto a spendere centinaia di milioni di dollari per la campagna elettorale? - Anche se ci sono grandi partiti nei paesi maggiormente industrializzati, in questi paesi spendere nella campagna di un candidato è diventata un investimento. - In questi paesi la gente è costretta a scegliere i partiti; ma ciò mentre una parte minimale della gente ha il tesserino dei partiti ed è membro di essi. - La volontà della gente, negli Stati Uniti ed in Europa, ha una minima influenza sulle politiche interne ed estere e la gente non sa dove sbattere la testa; anche se la gente forma il 99% della sua società, non può partecipare alla gestione del paese. - I valori umani e morali vengono sacrificati sull'altare delle elezioni e si fanno solo promesse alla gente per strappare il voto. Come deve essere il nuovo ordine mondiale? Amici e colleghi cari! Cosa bisogna fare? Qual'è la soluzione? Non c'è dubbio che il mondo ha bisogno di nuovo pensiero e nuovo ordine. Un ordine in cui: 1- L'uomo venga riconsiderato la più eccelsa creatura divina e ad esso venga riconosciuto il diritto di avere una vita caratterizzata da aspetti sia materiali che morali e venga riconosciuto il valore elevato della sua anima e venga riconosciuta legittima la sua propensione istintiva alla giustizia ed alla verità. 2- Invece dell'umiliazione e della classificazione degli uomini e delle nazioni, si pensi alla rinascita della dignità e del carattere sacro dell'uomo. 3- Si cerchi di creare, in tutto il mondo, pace, sicurezza stabile e benessere. 4- La nuova struttura venga costruita sulla base della fiducia e dell'amore tra gli uomini, si cerchi di avvicinare i cuori, le menti, le mani ed i governanti imparino ad amare la gente. 5- Venga applicato un unico standard nelle leggi e tutti i popoli vengano presi in considerazione alla pari. 6- Coloro che gestiscono il mondo si sentano al servizio della gente e non superiori alla gente. 7- La gestione venga considerato un incarico sacro affidato dalla gente alle persone e non una opportunità per arricchirsi. Come si realizza il nuovo ordine? Signor Segretario, Signore e Signori! - Un ordine del genere può realizzarsi senza la cooperazione di tutti alla gestione del mondo? - È chiaro che queste speranze avranno una probabilità per avverarsi solo quando tutte le nazioni inizieranno a pensare in dimensione internazionale e saranno seriamente decise a partecipare all'amministrazione del mondo. - Con l'aumento del livello di consapevolezza, ci sarà sempre una maggiore richiesta per una nuova gestione del mondo. - Questa è l'era dei popoli e la loro volontà sarà determinante per il domani del mondo. Pertanto è degno un impegno collettivo in queste direzioni: 1) Fare affidamento al Signore ed opporsi con tutta la forza alle ambizioni ed a coloro che vogliono più di quanto spetta loro per isolarli ed indurli a rinunciare al vizio di voler decidere al posto dei popoli. 2) Credere nell'aiuto divino e cercare di compattare ed avvicinare le comunità umane. I popoli ed i governi eletti dai popoli devono credere fermamente nelle proprie capacità e devono avere la forza per lottare contro il sistema ingiusto vigente e difendere i diritti umani. 3) Insistere nell'applicazione della giustizia in tutte le relazioni e rafforzare l'unità e l'amicizia, ampliare le relazioni culturali, sociali, economiche e politiche nell'ambito delle ong e delle organizzazione specializzate, in modo da preparare il terreno fertile per l'amministrazione collettiva del mondo. 4) Riformare la struttura dell'Onu sulla base degli interessi di tutti ed il bene del mondo intero. Bisogna ricordare che l'Onu appartiene a tutti i popoli e per questo discriminare i membri è una grande offesa alle nazioni. L'esistenza di differenze, vantaggi, diritti e privilegi non può essere accettabile, in nessuna forma ed in nessuna misura. 5) Cercare di produrre leggi e strutture basate sempre più sulla letteratura dell'amore, della giustizia e della libertà. L'amministrazione collettiva del mondo è una garanzia per la pace stabile. Il Movimento dei Non Allineati, il più grande ente internazionale dopo l'Assemblea Generale dell'Onu, comprendendo l'importanza di questo argomento e con una profonda comprensione del ruolo svolto dalla cattiva gestione del mondo nei problemi di oggi, ha dedicato il suo 16esimo summit, a Teheran, alla "amministrazione collettiva mondiale". In questo summit alla quale hanno partecipato attivamente i rispettabili rappresentanti di oltre 120 paesi, è stata ribadita l'importanza della partecipazione seria dei popoli nell'amministrazione mondiale. Siamo giunti al punto di svolta della storia - Fortunatamente siamo ormai giunti al punto di svolta della storia. Da una parte il sistema marxista non ha più posto nel mondo e di fatto è stato cancellato dalla scienza amministrativa e dall'altra parte anche il sistema capitalista è impantanato in una palude che ha creato con le sue stesse mani e non ha nemmeno una via d'uscita; non ha soluzioni per i problemi economici, politici, di sicurezza e culturali del mondo e pertanto è in un vicolo cieco sotto il profilo amministrativo. Il Nam ha l'onore di dichiarare ancora una volta che la sua storica decisione, e cioè quella di negare i poli del potere e le loro dottrine, è stata esatta. - Oggi, il qui presente, come rappresentante del Movimento dei Non Allineati, invita tutte le nazioni del mondo a svolgere un ruolo più attivo nella gestione del mondo e ad impegnarsi affinché ciò si possa avverare. La necessità di superare gli ostacoli che si presentano dinanzi a questa prospettiva si sente più che mai. - L'Onu, oggi, ha perso la sua efficienza e di questo andamento, presto nessuno crederà più negli enti internazionali per difendere i diritti dei popoli. Questo sarebbe un danno gravissimo per il nostro mondo. - Le Nazioni Unite sono state fondate con l'obbiettivo di creare giustizia e tutelare i diritti di tutti. Ma questa stessa organizzazione oggi è affetta da discriminazione ed è diventata uno strumento, per pochi paesi, per imporre la loro ingiustizia a tutto il mondo. Il diritto di veto e la concentrazione del potere nel Consiglio di Sicurezza, impedisce di fatto che i diritti dei popoli vengano difesi realmente. - La necessità di riformare la struttura è un argomento importante di cui hanno parlato moltissimo i rappresentanti di diversi paesi, ma finora nessuna modifica è stata apportata. - Quì pertanto, chiedo ai membri dell'Assemblea Generale ed al Segretario ed ai suoi colleghi di seguire con serietà l'argomento delle riforme e ideare una prassi adeguata per l'attuazione di queste. In quest'ambito, il movimento dei Non Allineati sarà disposto a dare il proprio aiuto e supporto. …Lui verrà Signor Segretario, amici e colleghi cari! - Far dominare la pace e la stabilità sulla terra e creare una vita felice per gli esseri umani, è una missione grande e storica, ma possibile. Dio, il Benevole, non ci ha lasciati soli in questa missione ed ha affermato che quel giorno, in cui l'uomo raggiungerà la perfezione, arriverà di sicuro, perché se non arrivasse ciò sarebbe in contrasto con la Saggezza divina. - Dio ha promesso l'arrivo in terra di un uomo fatto di amore, che ama la gente, che porterà la giustizia, e che si chiamerà Mahdi (che Dio affretti la sua venuta/ndr) e che verrà accompagnato da Gesù (la pace sia con lui) e da altri grandi riformatori che usando le capacità degli uomini e delle donne di questa terra e di tutti i popoli: ripeto usando le capacità degli uomini e delle donne di tutti i popoli, guiderà la società umana nel raggiungimento della felicità. - L'arrivo del Salvatore sarà una nuova nascita, una nuova vita. Sarà l'inizio della vera vita e della pace e della sicurezza duratura. - Il suo arrivo sarà la fine dell'ingiustizia, del male, della povertà, della discriminazione e l'inizio del bene, della giustizia, dell'amore, della fratellanza. - Lui verrà per dare inizio al periodo di vero progresso e di gioia dell'uomo. - Lui verrà per cancellare gli ostacoli dell'ignoranza e delle superstizioni e per aprire le porte della scienza e della conoscenza, creando un mondo pieno di sapere, nella quale tutti partecipano alla gestione del mondo. - Lui verrà per regalare a tutti gli uomini l'affetto, la speranza, la dignità. - Lui verrà affinché tutti gli uomini assaggino il sapore dolce dell'essere umani e del vivere insieme agli altri. - Lui verrà perché le mani si stringano col calore ed i cuori siano pieni di amore e le menti piene di pensieri puri, tutto al servizio della sicurezza, del benessere e della felicità umana. - Lui verrà affinché tutti i figli neri, bianchi, rossi e gialli di Adamo tornino a vivere insieme in una casa dopo un lungo e buio periodo di lontananza. - L'arrivo del Salvatore, di Gesù e dei loro compagni non sarà accompagnato dalla guerra, ma si realizzerà attraverso la presa di coscienza dei popoli, con la diffusione dell'amore, e loro determineranno il futuro eternamente felice dell'umanità con il sole della scienza e della libertà e ciò risveglierà dall'inverno il corpo gelato del nostro mondo. Lui regalerà la Primavera all'umanità. Lui è la Primavera stessa e con il suo arrivo l'inverno dell'esistenza umana, incatenato dall'ignoranza, la povertà e la guerra, rinascerà facendo fiorire l'imponenza dell'uomo. - Sin da ora si può sentire nell'aria il buon profumo della Primavera. Un Primavera che è iniziata e non appartiene a nessuna razza, popolo o zona particolare e che presto investirà tutte le terre, l'Asia, l'Europa, l'Africa e le Americhe. - Lui è la Primavera di tutti coloro che vogliono la giustizia, la libertà e che credono nei profeti del Signore. Lui è la Primavera dell'uomo e lo sfarzo di tutti i tempi. Venite tutti ad aiutare e ad agevolare la sua venuta. Che sia lodata la Primavera, che sia lodata la Primavera ed ancora, che sia lodata la Primavera!