09 ottobre 2007
L'Antipolitica: i tre livelli
Abbiamo chiarito già che cos'è l'antipolitica la natura strumentale di certe critiche all’antipolitica e soprattutto il suo carattere innovativo.
Ma esiste una fenomenologia sociale dell’antipolitica? Che cos’è antipolitico e che cosa non lo è ? Sussiste una differenziazione dell’antipolitica per livelli qualitativi.
Ad esempio, si è criticato Grillo, per la presa di posizione contro l’immigrazione rumena, definendola antipolitica. Oppure si è liquidata, come tale, la prossima manifestazione del 20 ottobre.
Diciamo, che nei due casi, ci troviamo davanti a un primo, ma embrionale, livello di antipolitica. Dal momento che dietro le posizioni di Grillo e dei manifestanti del 20 ottobre c’è una motivazione, come dire, di puro e semplice buongoverno: la richiesta di una maggiore protezione sociale ed economica. Motivata dalla percezione collettiva che alcune istituzioni (in particolare polizia, partiti, sindacati) ignorino i reali bisogni della gente. Pertanto non è possibile ricondurla nettamente nell'alveo di un' antipolitica come critica al "sistema". Siamo invece davanti alla domanda di poter fruire di alcune libertà sancite costituzionalmente: come la libertà dalla paura di essere uccisi a scopo di rapina o di manifestare per non perdere il posto di lavoro.
Si può invece parlare di un’ antipolitica di secondo livello, - nel senso di una critica alle istituzioni politiche esistenti (governo, parlamento magistratura), tutte di stampo liberaldemocratico - quando la critica del “cittadino qualunque” si concentri sulle istituzioni di cui sopra, non limitandosi ai casi di corruzione, ma alle istituzioni stesse. Ma per ora, per quel che riguarda il caso italiano, non si va oltre la richiesta di una riforma interna alle istituzioni stesse.
Esiste, infine, un terzo livello, quello in cui l’antipolitica può tradursi nella politica di domani. E dunque nella creazione, sull’onda della crescente protesta popolare, di nuove istituzioni, in grado di sostituirsi alle esistenti. E sulla base di valori post-liberali. Il che, naturalmente, non può non essere preceduto da una severa critica al sistema economico capitalistico. Ma questa è un'altra storia...
Riassumendo: per quel che riguarda la situazione italiana, dal punto di vista della fenomenologia sociale dell’antipolitica, qui delineata, per ora si è fermi al primo livello: quello della maggiore richiesta di protezione sociale ed economica, da conseguirsi attraverso una riforma interna alle istituzioni esistenti. Un livello che però può tradursi, se non soddisfatto, nei due successivi. Si tratta di una transizione che può richiedere anni (probabilmente almeno una generazione), e alla quale, una volta avviata, il potere può sempre opporre l’uso della forza legalizzata.
Inoltre, sul fronte dell’antipolitica, la transizione implica un’adeguata preparazione intellettuale e organizzativa rivolta ad elaborare nuove forme istituzionali di gestione più democratica della politica. Perché non bisogna mai dimenticare, che al fondo dell’antipolitica, anche di primo livello, c’è un senso di esclusione politica, drammaticamente avvertito da tutti i cittadini. Sensazione che trae alimento da una mai sopita volontà di potenza sociale, che nella storia si è espressa come volontà di partecipare direttamente alla gestione della cosa pubblica. Provocando sommosse, ribellioni e infine rivoluzioni. Da cui sono sempre nate - fin dai tempi della storia greca e romana - istituzioni capaci di recepire politicamente, di volta in volta, la rivoluzionaria “forza del sociale”.
Si tratta di processi di tipo ciclico, che come tutti i fenomeni sociali, per concretizzarsi hanno necessità di élite dirigenti che sappiano individuare il nemico e recepire il nuovo. Ma anche di progetti politici e intellettuali adeguati ai tempi.
Pertanto il cammino è lungo. Anche se si può ritenere, per quel che riguarda l’Italia e l’ Europa, che con la caduta dell’Unione Sovietica, si sia aperto un nuovo ciclo, nel quale le istituzioni liberali, consolidatesi, nel periodo 1945-1991, rischiano di non essere più adeguate a sostenere la sfida della globalizzazione imperiale a guida americana: una nuova forma di imperialismo politico, militare, culturale ed economico che implica per la sfera europea e l’ Italia solo massicce immigrazioni dall’estero e gravissimi tagli agli investimenti sociali, nonché inutili guerre "in conto terzi”. Fenomeni, ai quali, si assomma la dilagante corruzione e l’inarrestabile servilismo dell’attuali élite dirigenti liberali e socialdemocratiche,
Di qui il ruolo determinante che potrà svolgere un’antipolitica di “terzo livello”, capace di dare, in termini di nuove élite dirigenti e movimenti sociali, direzione e forza politica a un gigantesco processo di liquidazione politica delle sempre più corrotte, incapaci e servili classi politiche europee.
p
Carlo gambescia
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09 ottobre 2007
L'Antipolitica: i tre livelli
Abbiamo chiarito già che cos'è l'antipolitica la natura strumentale di certe critiche all’antipolitica e soprattutto il suo carattere innovativo.
Ma esiste una fenomenologia sociale dell’antipolitica? Che cos’è antipolitico e che cosa non lo è ? Sussiste una differenziazione dell’antipolitica per livelli qualitativi.
Ad esempio, si è criticato Grillo, per la presa di posizione contro l’immigrazione rumena, definendola antipolitica. Oppure si è liquidata, come tale, la prossima manifestazione del 20 ottobre.
Diciamo, che nei due casi, ci troviamo davanti a un primo, ma embrionale, livello di antipolitica. Dal momento che dietro le posizioni di Grillo e dei manifestanti del 20 ottobre c’è una motivazione, come dire, di puro e semplice buongoverno: la richiesta di una maggiore protezione sociale ed economica. Motivata dalla percezione collettiva che alcune istituzioni (in particolare polizia, partiti, sindacati) ignorino i reali bisogni della gente. Pertanto non è possibile ricondurla nettamente nell'alveo di un' antipolitica come critica al "sistema". Siamo invece davanti alla domanda di poter fruire di alcune libertà sancite costituzionalmente: come la libertà dalla paura di essere uccisi a scopo di rapina o di manifestare per non perdere il posto di lavoro.
Si può invece parlare di un’ antipolitica di secondo livello, - nel senso di una critica alle istituzioni politiche esistenti (governo, parlamento magistratura), tutte di stampo liberaldemocratico - quando la critica del “cittadino qualunque” si concentri sulle istituzioni di cui sopra, non limitandosi ai casi di corruzione, ma alle istituzioni stesse. Ma per ora, per quel che riguarda il caso italiano, non si va oltre la richiesta di una riforma interna alle istituzioni stesse.
Esiste, infine, un terzo livello, quello in cui l’antipolitica può tradursi nella politica di domani. E dunque nella creazione, sull’onda della crescente protesta popolare, di nuove istituzioni, in grado di sostituirsi alle esistenti. E sulla base di valori post-liberali. Il che, naturalmente, non può non essere preceduto da una severa critica al sistema economico capitalistico. Ma questa è un'altra storia...
Riassumendo: per quel che riguarda la situazione italiana, dal punto di vista della fenomenologia sociale dell’antipolitica, qui delineata, per ora si è fermi al primo livello: quello della maggiore richiesta di protezione sociale ed economica, da conseguirsi attraverso una riforma interna alle istituzioni esistenti. Un livello che però può tradursi, se non soddisfatto, nei due successivi. Si tratta di una transizione che può richiedere anni (probabilmente almeno una generazione), e alla quale, una volta avviata, il potere può sempre opporre l’uso della forza legalizzata.
Inoltre, sul fronte dell’antipolitica, la transizione implica un’adeguata preparazione intellettuale e organizzativa rivolta ad elaborare nuove forme istituzionali di gestione più democratica della politica. Perché non bisogna mai dimenticare, che al fondo dell’antipolitica, anche di primo livello, c’è un senso di esclusione politica, drammaticamente avvertito da tutti i cittadini. Sensazione che trae alimento da una mai sopita volontà di potenza sociale, che nella storia si è espressa come volontà di partecipare direttamente alla gestione della cosa pubblica. Provocando sommosse, ribellioni e infine rivoluzioni. Da cui sono sempre nate - fin dai tempi della storia greca e romana - istituzioni capaci di recepire politicamente, di volta in volta, la rivoluzionaria “forza del sociale”.
Si tratta di processi di tipo ciclico, che come tutti i fenomeni sociali, per concretizzarsi hanno necessità di élite dirigenti che sappiano individuare il nemico e recepire il nuovo. Ma anche di progetti politici e intellettuali adeguati ai tempi.
Pertanto il cammino è lungo. Anche se si può ritenere, per quel che riguarda l’Italia e l’ Europa, che con la caduta dell’Unione Sovietica, si sia aperto un nuovo ciclo, nel quale le istituzioni liberali, consolidatesi, nel periodo 1945-1991, rischiano di non essere più adeguate a sostenere la sfida della globalizzazione imperiale a guida americana: una nuova forma di imperialismo politico, militare, culturale ed economico che implica per la sfera europea e l’ Italia solo massicce immigrazioni dall’estero e gravissimi tagli agli investimenti sociali, nonché inutili guerre "in conto terzi”. Fenomeni, ai quali, si assomma la dilagante corruzione e l’inarrestabile servilismo dell’attuali élite dirigenti liberali e socialdemocratiche,
Di qui il ruolo determinante che potrà svolgere un’antipolitica di “terzo livello”, capace di dare, in termini di nuove élite dirigenti e movimenti sociali, direzione e forza politica a un gigantesco processo di liquidazione politica delle sempre più corrotte, incapaci e servili classi politiche europee.
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