11 dicembre 2007

Clementina e le penne all’insabbiata


Quando funziona, l’informazione aiuta tutti a vivere e a lavorare meglio. I cittadini, i politici, gli imprenditori, i magistrati. Tutti. Quando non funziona, tutto peggiora. Il peggioramento della politica e dell’impresa e di una parte della cittadinanza non sono una novità. Quella della magistratura, anche quella perbene, incorrotta, insomma la migliore, è invece una novità degli ultimi mesi. Escono sentenze sempre più strane, ma sempre nella stessa direzione: a favore del potere. Si pensi soltanto all’incredibile assoluzione di Berlusconi nel processo Sme-Ariosto, praticamente per aver commesso il fatto. Se l’informazione l’avesse raccontata per quella che era, mettendone alla berlina l’illogicità e l’impermeabilità ai fatti accertati, altri giudici si sarebbero ben guardati dal riprovarci. Ma l’informazione non ne ha proprio parlato. Così la scomparsa dei fatti, dalle pagine dei giornali e dai teleschermi, si trasferisce nelle sentenze. L’altro giorno i giudici di Roma, tanto per cambiare, hanno archiviato l’inchiesta – nata dal lavoro dei loro colleghi di Potenza – a carico di Fabrizio Corona per la presunta estorsione ai danni di Francesco Totti. Se l’informazione fosse una cosa seria, avrebbe ricordato che per Corona hanno chiesto il rinvio a giudizio per una decina di estorsioni le Procure di Torino e di Milano, mentre il reuccio dei paparazzi resta indagato a Potenza per associazione per delinquere. E per questo reato, non per il caso Totti, era stato arrestato. Invece quel sapientone di Francesco Merlo, che vive a Parigi e ammira molto Giuliano Ferrara, scrive su Repubblica che Corona, a causa del pm Woodcock, subì “una galera che non gli spettava” (Merlo ignora che gli arresti li dispongono i gip, non i pm), ragion per cui ora il Csm dovrebbe “riflettere in seduta pubblica su come la sofferenza della galera e l’abuso del diritto riescano a vestire di buon gusto anche il cattivo gusto”. Parole in libertà di un giornalista disinformato sui fatti, che non potranno non condizionare i magistrati (altro che le fiction sulla mafia!) quando dovranno pronunciarsi sulle altre accuse a Corona: se archivieranno, verranno elogiati dal Merlo di turno come “molto saggi”; se rinvieranno a giudizio o condanneranno, saranno complici dei pm manettari che abusano della galera per “vestire di buon gusto anche il cattivo gusto”.

Da Woodcock a Clementina Forleo. Per mesi e mesi l’informazione che conta, salvo rarissime eccezioni, ha avallato le balle assolute che i politici di destra e di sinistra coinvolti nello scandalo delle scalate han raccontato per tutta l’estate e l’autunno su quel gip che “abusa del suo potere”, “calunnia” D’Alema e Latorre, “usurpa il potere della Procura” accusandoli di “complicità nel disegno criminoso” dei furbetti quando i pm non li hanno nemmeno indagati dunque li ritengono innocenti, e via delirando. Solo pochi esperti, come Franco Cordero e Giuseppe D’Avanzo su Repubblica, Michele Ainis sulla Stampa e Francesco Saverio Borrelli spiegarono l’assoluta correttezza dell’operato del gip in base alla demenziale (ora anche incostituzionale) legge Boato. Così ora le stesse bizzarrie si sono trasformate in un “capo di incolpazione” firmato dal Procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli, che ha avviato l’azione disciplinare contro la Forleo perché il Csm la sanzioni adeguatamente, oltre a esaminare (da lunedì) il suo eventuale trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, avendo osato andare addirittura in tv senza mai parlare dei suoi processi (il procuratore di Bari, invece, ha tenuto una conferenza stampa sull’arresto del padre dei bambini di Gravina, il procuratore di Arezzo ne ha tenuta un’altra sulla morte del tifoso della Lazio, ma nessuno ha ricordato loro che i magistrati non devono parlare dei loro processi, né tantomeno li ha proposti per il trasferimento). L’aspetto più stupefacente dell’azione intrapresa dal solerte Pg, sulla scia delle decine di iniziative assunte dai suoi predecessori contro l’intero pool di Milano, è che si basa su convincimenti errati e smentiti dai fatti che, però, sono diventati vulgata comune grazie alla disinfgormatija politico mediatica organizzata intorno allo scandalo delle scalate. Qualche esempio.

1) La Forleo avrebbe commesso una “negligenza grave e inescusabile” chiedendo alla Camera l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni del caso Unipol-Bnl non solo a carico di Giovanni Consorte, ma anche a carico di Massimo D’Alema e Nicola Latorre, sebbene “estranei al procedimento penale in quanto nessuna iniziativa era stata adottata dal pm” nei loro confronti. Ma il Pg forse non sa che il pm, cioè Francesco Greco, dichiarò subito che i politici non erano stati indagati in base alle intercettazioni perché la legge Boato impedisce di utilizzarle come prove finchè il Parlamento non ne abbia autorizzato l’uso. E il pm titolare dell’inchiesta, Luigi Orsi, aveva chiesto al Gip di chiedere il permesso al Parlamento per procedere non solo a carico dei furbetti (già indagati in base ad altri elementi di prova), ma anche nei confronti di “altri da identificare”: cioè gli interlocutori telefonici dei furbetti, cioè i parlamentari. Quindi il gip non è affatto andato al di là della richiesta della Procura, ma s’è limitato a recepirla e a inoltrarla al Parlamento, con le trascrizioni delle telefonate di cui si chiedeva il permesso all’uso e con una nota che spiegava la loro rilevanza penale anche a carico di due parlamentari. I quali appaiono – da quanto emerge dalle loro parole, non dalle congetture del giudice - “complici consapevoli del disegno criminoso”, cioè dell’aggiotaggio di Consorte & C.

2) Secondo il Pg, quello della Forleo su D’Alema e Latorre fu “un abnorme, non richiesto e ultroneo giudizio anticipato, espresso in termini perentori, fortemente connotati da accenti suggestivi e stigmatizzatorii”. Ma quella nota era “richiesta” dalla Procura e dalle legge, oltrechè da un dovere di lealtà nei confronti del Parlamento, che doveva ben sapere quale uso si sarebbe fatto delle telefonate, se autorizzate, e nei confronti di chi, e per quale reato. Il giudizio era tutt’altro che “abnorme”, ma perfettamente aderente alla realtà emersa dalle intercettazioni, come può desumere chiunque legga le parole di D’Alema e Latorre, che trafficano con Consorte, per procurargli le alleanze auspicate in vista dell’acquisizione occulta del 51% di Bnl (con Vito Bonsignore e Francesco Gaetano Caltagirone, entrambi soci di Bnl).

3) Scrive ancora sorprendentemente il Pg che la Forleo ha arrecato ai parlamentari, “arbitrariamente coinvolti, un ingiusto danno… con espressioni che hanno leso i diritti personali (la reputazione, il prestigio, l’immagine) di uomini politici”. Ma i parlamentari in questione si sono coinvolti da soli, partecipando attivamente a una scalata occulta e illegale, in pessima compagnia, e poi mentendo spudoratamente quando hanno negato di aver fatto nient’altro che un semplice, innocuo “tifo” per Unipol. E sono gli stessi parlamentari ad avere pregiudicato la propria reputazione, prestigio e immagine mettendosi in combutta con personaggi del calibro di Consorte, Sacchetti, Bonsignore, Caltagirone, alleati di altre preclare figure come Gnutti, Fiorani, Ricucci, Coppola, tre dei quali poi finiti in galera. Che doveva fare, il gip? Scrivere che quelle telefonate di grande rilevanza penale non avevano rilevanza penale solo per evitare di offendere i politici che le avevano fatte? Se lo specchio riflette una brutta faccia, la colpa è del titolare della faccia medesima, non dello specchio. Che queste cose fingano di non capirle i politici interessati, è comprensibile. Fanno propaganda e sollevano polveroni per nascondere le proprie vergogne. Ma che non lo capisca un alto magistrato come il Pg Delli Piscoli, è davvero allarmante.

4) Clementina Forleo, a suo avviso, va pure punita perché un giorno, avendo visto due poliziotti che pestavano un immigrato reo di non aver pagato il biglietto sulla metropolitana, intervenne a farli smettere gridando “è ora di finirla”, salvando il malcapitato dal pestaggio e poi dichiarando ai giornali che i due agenti “l’hanno sbattuto brutalmente per terra”. Che c’è che non va? Così facendo, secondo il Pg, la Forleo “dapprima offendeva l’onore e il decoro degli agenti” e addirittura “la reputazione dell’intero corpo di Polizia dello Stato”, venendo così meno “ai doveri di correttezza e di equilibrio”. Ecco: doveva lasciare che i due completassero l’opera, e magari venissero promossi dirigenti della Polizia o dei servizi segreti, come i loro colleghi del G8 di Genova. Peccato che il magistrato abbia l’obbligo di denunciare i reati di cui è a conoscenza e, se può, di impedire che vengano commessi. Sembra una macabra barzelletta, ma è anche per aver salvato un magrebino da un pestaggio che Clementina Forleo rischia di essere punita dal Csm (lo stesso Csm che ha reintegrato in Cassazione Corrado Carnevale, quello che cassava le condanne dei mafiosi perché mancava un timbro, che riceveva gli avvocati dei mafiosi in casa sua prima delle camere di consiglio, che insultava Falcone e Borsellino anche appena morti ammazzati). Il fatto che si stesse occupando anche dei possibili reati di Massimo D’Alema è puramente casuale.
M.Travaglio

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11 dicembre 2007

Clementina e le penne all’insabbiata


Quando funziona, l’informazione aiuta tutti a vivere e a lavorare meglio. I cittadini, i politici, gli imprenditori, i magistrati. Tutti. Quando non funziona, tutto peggiora. Il peggioramento della politica e dell’impresa e di una parte della cittadinanza non sono una novità. Quella della magistratura, anche quella perbene, incorrotta, insomma la migliore, è invece una novità degli ultimi mesi. Escono sentenze sempre più strane, ma sempre nella stessa direzione: a favore del potere. Si pensi soltanto all’incredibile assoluzione di Berlusconi nel processo Sme-Ariosto, praticamente per aver commesso il fatto. Se l’informazione l’avesse raccontata per quella che era, mettendone alla berlina l’illogicità e l’impermeabilità ai fatti accertati, altri giudici si sarebbero ben guardati dal riprovarci. Ma l’informazione non ne ha proprio parlato. Così la scomparsa dei fatti, dalle pagine dei giornali e dai teleschermi, si trasferisce nelle sentenze. L’altro giorno i giudici di Roma, tanto per cambiare, hanno archiviato l’inchiesta – nata dal lavoro dei loro colleghi di Potenza – a carico di Fabrizio Corona per la presunta estorsione ai danni di Francesco Totti. Se l’informazione fosse una cosa seria, avrebbe ricordato che per Corona hanno chiesto il rinvio a giudizio per una decina di estorsioni le Procure di Torino e di Milano, mentre il reuccio dei paparazzi resta indagato a Potenza per associazione per delinquere. E per questo reato, non per il caso Totti, era stato arrestato. Invece quel sapientone di Francesco Merlo, che vive a Parigi e ammira molto Giuliano Ferrara, scrive su Repubblica che Corona, a causa del pm Woodcock, subì “una galera che non gli spettava” (Merlo ignora che gli arresti li dispongono i gip, non i pm), ragion per cui ora il Csm dovrebbe “riflettere in seduta pubblica su come la sofferenza della galera e l’abuso del diritto riescano a vestire di buon gusto anche il cattivo gusto”. Parole in libertà di un giornalista disinformato sui fatti, che non potranno non condizionare i magistrati (altro che le fiction sulla mafia!) quando dovranno pronunciarsi sulle altre accuse a Corona: se archivieranno, verranno elogiati dal Merlo di turno come “molto saggi”; se rinvieranno a giudizio o condanneranno, saranno complici dei pm manettari che abusano della galera per “vestire di buon gusto anche il cattivo gusto”.

Da Woodcock a Clementina Forleo. Per mesi e mesi l’informazione che conta, salvo rarissime eccezioni, ha avallato le balle assolute che i politici di destra e di sinistra coinvolti nello scandalo delle scalate han raccontato per tutta l’estate e l’autunno su quel gip che “abusa del suo potere”, “calunnia” D’Alema e Latorre, “usurpa il potere della Procura” accusandoli di “complicità nel disegno criminoso” dei furbetti quando i pm non li hanno nemmeno indagati dunque li ritengono innocenti, e via delirando. Solo pochi esperti, come Franco Cordero e Giuseppe D’Avanzo su Repubblica, Michele Ainis sulla Stampa e Francesco Saverio Borrelli spiegarono l’assoluta correttezza dell’operato del gip in base alla demenziale (ora anche incostituzionale) legge Boato. Così ora le stesse bizzarrie si sono trasformate in un “capo di incolpazione” firmato dal Procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli, che ha avviato l’azione disciplinare contro la Forleo perché il Csm la sanzioni adeguatamente, oltre a esaminare (da lunedì) il suo eventuale trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, avendo osato andare addirittura in tv senza mai parlare dei suoi processi (il procuratore di Bari, invece, ha tenuto una conferenza stampa sull’arresto del padre dei bambini di Gravina, il procuratore di Arezzo ne ha tenuta un’altra sulla morte del tifoso della Lazio, ma nessuno ha ricordato loro che i magistrati non devono parlare dei loro processi, né tantomeno li ha proposti per il trasferimento). L’aspetto più stupefacente dell’azione intrapresa dal solerte Pg, sulla scia delle decine di iniziative assunte dai suoi predecessori contro l’intero pool di Milano, è che si basa su convincimenti errati e smentiti dai fatti che, però, sono diventati vulgata comune grazie alla disinfgormatija politico mediatica organizzata intorno allo scandalo delle scalate. Qualche esempio.

1) La Forleo avrebbe commesso una “negligenza grave e inescusabile” chiedendo alla Camera l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni del caso Unipol-Bnl non solo a carico di Giovanni Consorte, ma anche a carico di Massimo D’Alema e Nicola Latorre, sebbene “estranei al procedimento penale in quanto nessuna iniziativa era stata adottata dal pm” nei loro confronti. Ma il Pg forse non sa che il pm, cioè Francesco Greco, dichiarò subito che i politici non erano stati indagati in base alle intercettazioni perché la legge Boato impedisce di utilizzarle come prove finchè il Parlamento non ne abbia autorizzato l’uso. E il pm titolare dell’inchiesta, Luigi Orsi, aveva chiesto al Gip di chiedere il permesso al Parlamento per procedere non solo a carico dei furbetti (già indagati in base ad altri elementi di prova), ma anche nei confronti di “altri da identificare”: cioè gli interlocutori telefonici dei furbetti, cioè i parlamentari. Quindi il gip non è affatto andato al di là della richiesta della Procura, ma s’è limitato a recepirla e a inoltrarla al Parlamento, con le trascrizioni delle telefonate di cui si chiedeva il permesso all’uso e con una nota che spiegava la loro rilevanza penale anche a carico di due parlamentari. I quali appaiono – da quanto emerge dalle loro parole, non dalle congetture del giudice - “complici consapevoli del disegno criminoso”, cioè dell’aggiotaggio di Consorte & C.

2) Secondo il Pg, quello della Forleo su D’Alema e Latorre fu “un abnorme, non richiesto e ultroneo giudizio anticipato, espresso in termini perentori, fortemente connotati da accenti suggestivi e stigmatizzatorii”. Ma quella nota era “richiesta” dalla Procura e dalle legge, oltrechè da un dovere di lealtà nei confronti del Parlamento, che doveva ben sapere quale uso si sarebbe fatto delle telefonate, se autorizzate, e nei confronti di chi, e per quale reato. Il giudizio era tutt’altro che “abnorme”, ma perfettamente aderente alla realtà emersa dalle intercettazioni, come può desumere chiunque legga le parole di D’Alema e Latorre, che trafficano con Consorte, per procurargli le alleanze auspicate in vista dell’acquisizione occulta del 51% di Bnl (con Vito Bonsignore e Francesco Gaetano Caltagirone, entrambi soci di Bnl).

3) Scrive ancora sorprendentemente il Pg che la Forleo ha arrecato ai parlamentari, “arbitrariamente coinvolti, un ingiusto danno… con espressioni che hanno leso i diritti personali (la reputazione, il prestigio, l’immagine) di uomini politici”. Ma i parlamentari in questione si sono coinvolti da soli, partecipando attivamente a una scalata occulta e illegale, in pessima compagnia, e poi mentendo spudoratamente quando hanno negato di aver fatto nient’altro che un semplice, innocuo “tifo” per Unipol. E sono gli stessi parlamentari ad avere pregiudicato la propria reputazione, prestigio e immagine mettendosi in combutta con personaggi del calibro di Consorte, Sacchetti, Bonsignore, Caltagirone, alleati di altre preclare figure come Gnutti, Fiorani, Ricucci, Coppola, tre dei quali poi finiti in galera. Che doveva fare, il gip? Scrivere che quelle telefonate di grande rilevanza penale non avevano rilevanza penale solo per evitare di offendere i politici che le avevano fatte? Se lo specchio riflette una brutta faccia, la colpa è del titolare della faccia medesima, non dello specchio. Che queste cose fingano di non capirle i politici interessati, è comprensibile. Fanno propaganda e sollevano polveroni per nascondere le proprie vergogne. Ma che non lo capisca un alto magistrato come il Pg Delli Piscoli, è davvero allarmante.

4) Clementina Forleo, a suo avviso, va pure punita perché un giorno, avendo visto due poliziotti che pestavano un immigrato reo di non aver pagato il biglietto sulla metropolitana, intervenne a farli smettere gridando “è ora di finirla”, salvando il malcapitato dal pestaggio e poi dichiarando ai giornali che i due agenti “l’hanno sbattuto brutalmente per terra”. Che c’è che non va? Così facendo, secondo il Pg, la Forleo “dapprima offendeva l’onore e il decoro degli agenti” e addirittura “la reputazione dell’intero corpo di Polizia dello Stato”, venendo così meno “ai doveri di correttezza e di equilibrio”. Ecco: doveva lasciare che i due completassero l’opera, e magari venissero promossi dirigenti della Polizia o dei servizi segreti, come i loro colleghi del G8 di Genova. Peccato che il magistrato abbia l’obbligo di denunciare i reati di cui è a conoscenza e, se può, di impedire che vengano commessi. Sembra una macabra barzelletta, ma è anche per aver salvato un magrebino da un pestaggio che Clementina Forleo rischia di essere punita dal Csm (lo stesso Csm che ha reintegrato in Cassazione Corrado Carnevale, quello che cassava le condanne dei mafiosi perché mancava un timbro, che riceveva gli avvocati dei mafiosi in casa sua prima delle camere di consiglio, che insultava Falcone e Borsellino anche appena morti ammazzati). Il fatto che si stesse occupando anche dei possibili reati di Massimo D’Alema è puramente casuale.
M.Travaglio

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