13 dicembre 2007
La banca d'Inghilterra riduce i tassi, ma il panico aumenta...
Il 6 dicembre la Banca d'Inghilterra ha portato i tassi d'interesse dal 5,75 al 5,50 percento, come da tempo stavano aspettanto tutti coloro che credono che ridurre il costo del denaro possa resuscitare un sistema finanziario morto. I risultati sono stati però deludenti: i tassi del denaro sul mercato sono saliti e le borse sono calate. Sul quotidiano londinese Telegraph sono apparsi titoli come “I mercati temono che la banca abbia 'perso il controllo'”, “Il taglio dei tassi ... non riesce a dissipare i timori”, “un mercato del denaro fuori controllo”, “non basta un taglio dei tassi...”.
Sul Times l'esperto finanziario di turno sentenzia che gli inglesi dovrebbero seguire l'esempio della Fed e continuare a tagliare i tassi: “Il sistema bancario britannico è sull'orlo del tracollo e la catastrofe completa si evita soltanto con la più grande operazione di sostegno mai fornita ad un'impresa privata da qualsiasi governo in qualsiasi parte del mondo”. “La commissione per la politica monetaria della Banca d'Inghiterra impara presto che tutto ciò che può fare è buttare dalla finestra i libri di testo”, ha scritto Edmond Conway sul Daily Telegraph il 7 dicembre in un articolo che spiega che - almeno per il momento - le banche centrali “hanno perso il controllo sulla politica monetaria”. I mercati monetari fanno quello che vogliono e non quello che dice la Commissione, e “i mercati del credito sono rosi dalla paura”.
Dire che nella City di Londra regna il panico sarebbe un understatement. Inevitabilmente i guai finanziari ed economici in Inghilterra si manifestano in anticipo rispetto agli USA. Dalla metà d'agosto il totale degli assets denominati in sterline ha perso circa 500 mila miliardi di sterline, passando da 3.244 miliardi a 2.876 miliardi, come riferisce l'Office for National Statistics. Il volume dei prestiti sul mercato del sistema bancario era a 640 miliardi di sterline ad agosto e si è ridotto a 249 miliardi alla fine di settembre, mostrando come le banche inglesi siano state colpite più duramente di quelle americane, sebbene si voglia far credere che quello dei subprime sia un problema americano.
In Inghilterra c'è anche una fazione impegnata a staccare la spina al dollaro credendo così che questo si trasformi in un “vantaggio relativo” per il sistema britannico, quando tutto va a fondo. I paesi del Medio Oriente e dell'Asia dovrebbero recidere i propri legami con il dollaro, sfruttando l'attuale debolezza del biglietto verde, ha spiegato Gerard Lyons, capo economista della Standard Chartered, una delle banche storiche dell'Impero Britannico. In un commento sul Financial Times Lynos ha scritto che sebbene il recente vertice degli stati del Golfo a Doha non abbia risolto la questione monetaria, su questo fronte sta maturando una svolta epocale della politica mediorientale. Sebbene il mondo sia stato in grado di cavarsela di fronte alla caduta del dollaro grazie a condizioni economiche favorevoli, “adesso il dollaro è vulnerabile e il clima economico è più ostile”, gongola Lyons. I politici asiatici e mediorientali non possono perdere l'opportunità di allentare i rispettivi vincoli con il dollaro, né dovrebbe farlo il settore privato, conclude il portavoce della City di Londra.
Negli USA invece c'è chi comincia a rendersi conto che il sistema non può essere salvato. “Il sistema è un castello di carte ... e sta per venir giù”, ha scritto Steven Pearlstein sul Washington Post. Nonostante “lo scoppio della più grande bolla creditizia mai vista al mondo, fatevelo dire: non avete ancora visto niente”, scrive Perlstein. “Non si tratta semplicemente di una crisi dei mutui o dell'edilizia. I giganti finanziari hanno prodotto, cartolarizzato, quotato e assicurato i titoli emessi sui mutui, crediti immobiliari commerciali, crediti delle carte di credito e credito per le acquisizioni delle attività. È molto improbabile che, in questi settori, siano riuscite a fare meglio di ciò che hanno fatto con i mutui”.
Pearlstein tratta anche il ruolo dei CDO (Obbligazioni di debito collateralizzato) “in questo disastro che si sta ancora svolgendo” della creazione di bonds ad alto rating sulla base di spazzatura. “Si è trattato di una grande operazione di alchimia finanziaria che ha fruttato alle banche di Wall Street ed alle agenzie di rating miliardi di dollari. Vista la grande quantità di denaro preso a prestito nell'acquisto dei mutui originali, le tranches per i CDO e poi le tranches degli stessi CDO, l'intera operazione aveva un rapporto di indebitamento tale da far apparire dei rendimenti che, almeno sulla carta, erano decisamente allettanti”. Adesso l'intero “castello di carte”, sta per “venir giù, con gravi consegeunze non solo per le banche e gli investitori ma per l'economia nel suo complesso”.
fonte: movisol.org
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13 dicembre 2007
La banca d'Inghilterra riduce i tassi, ma il panico aumenta...
Il 6 dicembre la Banca d'Inghilterra ha portato i tassi d'interesse dal 5,75 al 5,50 percento, come da tempo stavano aspettanto tutti coloro che credono che ridurre il costo del denaro possa resuscitare un sistema finanziario morto. I risultati sono stati però deludenti: i tassi del denaro sul mercato sono saliti e le borse sono calate. Sul quotidiano londinese Telegraph sono apparsi titoli come “I mercati temono che la banca abbia 'perso il controllo'”, “Il taglio dei tassi ... non riesce a dissipare i timori”, “un mercato del denaro fuori controllo”, “non basta un taglio dei tassi...”.
Sul Times l'esperto finanziario di turno sentenzia che gli inglesi dovrebbero seguire l'esempio della Fed e continuare a tagliare i tassi: “Il sistema bancario britannico è sull'orlo del tracollo e la catastrofe completa si evita soltanto con la più grande operazione di sostegno mai fornita ad un'impresa privata da qualsiasi governo in qualsiasi parte del mondo”. “La commissione per la politica monetaria della Banca d'Inghiterra impara presto che tutto ciò che può fare è buttare dalla finestra i libri di testo”, ha scritto Edmond Conway sul Daily Telegraph il 7 dicembre in un articolo che spiega che - almeno per il momento - le banche centrali “hanno perso il controllo sulla politica monetaria”. I mercati monetari fanno quello che vogliono e non quello che dice la Commissione, e “i mercati del credito sono rosi dalla paura”.
Dire che nella City di Londra regna il panico sarebbe un understatement. Inevitabilmente i guai finanziari ed economici in Inghilterra si manifestano in anticipo rispetto agli USA. Dalla metà d'agosto il totale degli assets denominati in sterline ha perso circa 500 mila miliardi di sterline, passando da 3.244 miliardi a 2.876 miliardi, come riferisce l'Office for National Statistics. Il volume dei prestiti sul mercato del sistema bancario era a 640 miliardi di sterline ad agosto e si è ridotto a 249 miliardi alla fine di settembre, mostrando come le banche inglesi siano state colpite più duramente di quelle americane, sebbene si voglia far credere che quello dei subprime sia un problema americano.
In Inghilterra c'è anche una fazione impegnata a staccare la spina al dollaro credendo così che questo si trasformi in un “vantaggio relativo” per il sistema britannico, quando tutto va a fondo. I paesi del Medio Oriente e dell'Asia dovrebbero recidere i propri legami con il dollaro, sfruttando l'attuale debolezza del biglietto verde, ha spiegato Gerard Lyons, capo economista della Standard Chartered, una delle banche storiche dell'Impero Britannico. In un commento sul Financial Times Lynos ha scritto che sebbene il recente vertice degli stati del Golfo a Doha non abbia risolto la questione monetaria, su questo fronte sta maturando una svolta epocale della politica mediorientale. Sebbene il mondo sia stato in grado di cavarsela di fronte alla caduta del dollaro grazie a condizioni economiche favorevoli, “adesso il dollaro è vulnerabile e il clima economico è più ostile”, gongola Lyons. I politici asiatici e mediorientali non possono perdere l'opportunità di allentare i rispettivi vincoli con il dollaro, né dovrebbe farlo il settore privato, conclude il portavoce della City di Londra.
Negli USA invece c'è chi comincia a rendersi conto che il sistema non può essere salvato. “Il sistema è un castello di carte ... e sta per venir giù”, ha scritto Steven Pearlstein sul Washington Post. Nonostante “lo scoppio della più grande bolla creditizia mai vista al mondo, fatevelo dire: non avete ancora visto niente”, scrive Perlstein. “Non si tratta semplicemente di una crisi dei mutui o dell'edilizia. I giganti finanziari hanno prodotto, cartolarizzato, quotato e assicurato i titoli emessi sui mutui, crediti immobiliari commerciali, crediti delle carte di credito e credito per le acquisizioni delle attività. È molto improbabile che, in questi settori, siano riuscite a fare meglio di ciò che hanno fatto con i mutui”.
Pearlstein tratta anche il ruolo dei CDO (Obbligazioni di debito collateralizzato) “in questo disastro che si sta ancora svolgendo” della creazione di bonds ad alto rating sulla base di spazzatura. “Si è trattato di una grande operazione di alchimia finanziaria che ha fruttato alle banche di Wall Street ed alle agenzie di rating miliardi di dollari. Vista la grande quantità di denaro preso a prestito nell'acquisto dei mutui originali, le tranches per i CDO e poi le tranches degli stessi CDO, l'intera operazione aveva un rapporto di indebitamento tale da far apparire dei rendimenti che, almeno sulla carta, erano decisamente allettanti”. Adesso l'intero “castello di carte”, sta per “venir giù, con gravi consegeunze non solo per le banche e gli investitori ma per l'economia nel suo complesso”.
fonte: movisol.org
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