09 dicembre 2007
Morire per lavoro: il male peggiore
Alla Thyssen di Torino lavoravano 16 ore al giorno, sapendo che comunque l'azienda sarebbe stata delocalizzata.
Lo difendevano così, il loro posto di lavoro: con le unghie, coi denti, con la pelle.
Produttività altissima, immagino…
Uno si chiede: dove sono i sindacati?
I sindacati rossi che facevano il bello e il cattivo tempo trent'anni fa, i sindacati «operai» che pretendevano il salario come «variabile indipendente»?
Sono al governo o a sostenere il governo.
A sostenere la Casta e gli statali col posto così fisso, che possono anche andarci solo due giorni su tre: 30% di assenze quotidiane in assoluta impunità negli uffici pubblici, mentre alla Thyssen di Torino bisognava accettare anche 8 ore di straordinari al giorno, altrimenti l'azienda faceva rapporti disciplinari.
E gli ispettori pubblici che dovevano sorvegliare sulla sicurezza di Thyssen erano consulenti di Thyssen, sul libro paga di Thyssen: non basta lo stipendio pubblico coi benefici connessi.
Non c'è esempio più chiaro della vera frattura sociale italiana: di chi sono gli sfruttati e chi gli sfruttatori.
Il più elementare senso di giustizia sociale imporrebbe, come «sanzione disciplinare» agli statali assenteisti, e agli ispettori disonesti, di far loro provare otto ore di sgobbo a contatto con l'acciaio liquido: otto ore per ogni giorno di assenza dal posticino dove rubano il denaro dei contribuenti.
Forse si renderebbero conto di essere sulla stessa barca di tutti.
Ma naturalmente questo è un sogno utopico.
La «sinistra» in blocco, per mezzo secolo marxista, ha accettato l'ideologia del liberismo globale, che era prevedibile portasse a questi effetti evidenti: siccome si tratta di competere col lavoratore cinese, il lavoratore italiano deve lavorare di più ed accettare salari calanti verso la Cina.
Mica ha protestato, la «sinistra».
Mica ha scatenato una battaglia, anche internazionale, per imporre il principio che la concorrenza globale si può esercitare solo fra Paesi di analogo livello salariale, previdenziale, sindacale e di libertà politica.
E che dunque bisogna chiudere l'Europa alle merci cinesi, dove i salari sono bassi e i costi inferiori perché non sempre ci sono regole di sicurezza, difesa sindacale e costi previdenziali.
Ma quale battaglia: la sinistra non ha fatto nemmeno una scaramuccia, non il minimo tentativo. Anzi, ha deriso e sputacchiato l'unico uomo politico che ha provato ad avanzare questa obiezione, ossia Giulio Tremonti: ah, ecco il protezionista!
Ecco il «colbertista»!
Quello che osa pensare una cosa «non politicamente corretta», contraria al pensiero unico dominante.
Solo se un giorno lo diranno Goldman Sachs e Rotschild, allora la sinistra comincerà ad accettare le idee diverse, perché avrà capito che quello è il nuovo pensiero unico, il nuovo dogma padronale.
Pare che Hillary Clinton cominci a dire quel che dice Tremonti: speriamo, allora la sinistra accetterà un'idea Made in USA.
Ma non è giusto dire che «la sinistra» non ha previsto gli effetti della globalizzazione.
Li ha previsti.
Tanto bene, che ha preso i provvedimenti necessari: si è messa al sicuro, mettendo al sicuro il blocco sociale che la vota.
Le burocrazie pubbliche inadempienti e corrotte mica si espongono alla competizione globale, mica possiamo importare magistrati e ministeriali indiani o cinesi o romeni (purtroppo).
Mica possiamo delocalizzare Mastella e Padoa Schioppa, o Epifani e Pezzotta.
I loro stipendi non dipendono da alcuna concorrenza, sono in regime di monopolio.
E' per questo che i loro stipendi salgono, mentre i salari operai scendono.
Loro, dalla concorrenza mondiale, si sono messi al riparo.
Loro si sono messi al sicuro sotto l'ombrello d'oro di Stato, parastato e regioni e comuni; e noi fuori a prenderci la tempesta.
Almeno non piangessero, poi, le loro lacrime di coccodrillo.
CGIL-CISL-UIL costano al contribuente 2 mila miliardi di vecchie lire, e non siamo capaci di esigere che facciano almeno un po' il lavoro per cui sono così mostruosamente pagati.
E i sindaci «di sinistra»? e la Torino «di sinistra», che è rinata (dicono) dopo le olimpiadi invernali, piena di «eventi culturali», nonché «scintillante di luci»?
Ma in quale teoria sociale è mai detto che una regione o un comune «di sinistra» deve organizzare anzitutto notti bianche, concerti pop ed eventi-spettacolo?
C'è una teoria che lo spiega.
Non ne ricordo il nome.
Secondo questa teoria, quelli che vivono tra feste, spettacoli e concerti e scintillio di luci, sono - come sempre nella storia - i parassiti.
Quelli che nelle stesse ore sgobbano a turni infernali, minacciati di licenziamento, nelle ferriere private di estintori, senza casco e senza guanti perché troppo ignoranti e affannati, e muoiono bruciati vivi dai getti d'olio ustionanti, sono gli sfruttati.
Riconoscete questa teoria?
«Marxismo!», vi sento esclamare.
«Bisogna tornare a parlare di socialismo», come ha detto Niki Vendola.
Già dal personaggio, si capisce che la diagnosi è sbagliata: il socialismo c'è già in Italia, e come sempre ha creato una nomenklatura separata dalla nazione e dai suoi poveri, esattamente come la nomenklatura leninista che aveva i suoi spacci con caviale e sigarette americane mentre infuriava la carestia.
La nomenklatura socialista, anzitutto, si fa le leggi per sé, per rafforzare la propria impunità, per mettere al sicuro i propri privilegi.
Come dice il compagno Fausto Bertinotti, «non accetto processi da chicchessia»: è il motto della Casta, se un giorno non la processeremo in tribunali speciali rivoluzionari.
In attesa di quel giorno che non verrà, gli operai della Thyssen sopravvissuti lo sappiano: non potranno togliersi il gusto di chiamare Niki Vendola «culattone» e «finocchio», è vietato per legge, come parlar male dell'olocausto, legge Mancino-Mastella.
Lo dovranno chiamare «diversamente fornicante», o magari gay.
E' questo che conta, l'ideologia politicamente corretta, la repressione di un'altra piccola libertà di parola.
Sta tornando il socialismo, compagni: morite contenti, e pagate le tasse per Niki.
Maurizio Blondet
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09 dicembre 2007
Morire per lavoro: il male peggiore
Alla Thyssen di Torino lavoravano 16 ore al giorno, sapendo che comunque l'azienda sarebbe stata delocalizzata.
Lo difendevano così, il loro posto di lavoro: con le unghie, coi denti, con la pelle.
Produttività altissima, immagino…
Uno si chiede: dove sono i sindacati?
I sindacati rossi che facevano il bello e il cattivo tempo trent'anni fa, i sindacati «operai» che pretendevano il salario come «variabile indipendente»?
Sono al governo o a sostenere il governo.
A sostenere la Casta e gli statali col posto così fisso, che possono anche andarci solo due giorni su tre: 30% di assenze quotidiane in assoluta impunità negli uffici pubblici, mentre alla Thyssen di Torino bisognava accettare anche 8 ore di straordinari al giorno, altrimenti l'azienda faceva rapporti disciplinari.
E gli ispettori pubblici che dovevano sorvegliare sulla sicurezza di Thyssen erano consulenti di Thyssen, sul libro paga di Thyssen: non basta lo stipendio pubblico coi benefici connessi.
Non c'è esempio più chiaro della vera frattura sociale italiana: di chi sono gli sfruttati e chi gli sfruttatori.
Il più elementare senso di giustizia sociale imporrebbe, come «sanzione disciplinare» agli statali assenteisti, e agli ispettori disonesti, di far loro provare otto ore di sgobbo a contatto con l'acciaio liquido: otto ore per ogni giorno di assenza dal posticino dove rubano il denaro dei contribuenti.
Forse si renderebbero conto di essere sulla stessa barca di tutti.
Ma naturalmente questo è un sogno utopico.
La «sinistra» in blocco, per mezzo secolo marxista, ha accettato l'ideologia del liberismo globale, che era prevedibile portasse a questi effetti evidenti: siccome si tratta di competere col lavoratore cinese, il lavoratore italiano deve lavorare di più ed accettare salari calanti verso la Cina.
Mica ha protestato, la «sinistra».
Mica ha scatenato una battaglia, anche internazionale, per imporre il principio che la concorrenza globale si può esercitare solo fra Paesi di analogo livello salariale, previdenziale, sindacale e di libertà politica.
E che dunque bisogna chiudere l'Europa alle merci cinesi, dove i salari sono bassi e i costi inferiori perché non sempre ci sono regole di sicurezza, difesa sindacale e costi previdenziali.
Ma quale battaglia: la sinistra non ha fatto nemmeno una scaramuccia, non il minimo tentativo. Anzi, ha deriso e sputacchiato l'unico uomo politico che ha provato ad avanzare questa obiezione, ossia Giulio Tremonti: ah, ecco il protezionista!
Ecco il «colbertista»!
Quello che osa pensare una cosa «non politicamente corretta», contraria al pensiero unico dominante.
Solo se un giorno lo diranno Goldman Sachs e Rotschild, allora la sinistra comincerà ad accettare le idee diverse, perché avrà capito che quello è il nuovo pensiero unico, il nuovo dogma padronale.
Pare che Hillary Clinton cominci a dire quel che dice Tremonti: speriamo, allora la sinistra accetterà un'idea Made in USA.
Ma non è giusto dire che «la sinistra» non ha previsto gli effetti della globalizzazione.
Li ha previsti.
Tanto bene, che ha preso i provvedimenti necessari: si è messa al sicuro, mettendo al sicuro il blocco sociale che la vota.
Le burocrazie pubbliche inadempienti e corrotte mica si espongono alla competizione globale, mica possiamo importare magistrati e ministeriali indiani o cinesi o romeni (purtroppo).
Mica possiamo delocalizzare Mastella e Padoa Schioppa, o Epifani e Pezzotta.
I loro stipendi non dipendono da alcuna concorrenza, sono in regime di monopolio.
E' per questo che i loro stipendi salgono, mentre i salari operai scendono.
Loro, dalla concorrenza mondiale, si sono messi al riparo.
Loro si sono messi al sicuro sotto l'ombrello d'oro di Stato, parastato e regioni e comuni; e noi fuori a prenderci la tempesta.
Almeno non piangessero, poi, le loro lacrime di coccodrillo.
CGIL-CISL-UIL costano al contribuente 2 mila miliardi di vecchie lire, e non siamo capaci di esigere che facciano almeno un po' il lavoro per cui sono così mostruosamente pagati.
E i sindaci «di sinistra»? e la Torino «di sinistra», che è rinata (dicono) dopo le olimpiadi invernali, piena di «eventi culturali», nonché «scintillante di luci»?
Ma in quale teoria sociale è mai detto che una regione o un comune «di sinistra» deve organizzare anzitutto notti bianche, concerti pop ed eventi-spettacolo?
C'è una teoria che lo spiega.
Non ne ricordo il nome.
Secondo questa teoria, quelli che vivono tra feste, spettacoli e concerti e scintillio di luci, sono - come sempre nella storia - i parassiti.
Quelli che nelle stesse ore sgobbano a turni infernali, minacciati di licenziamento, nelle ferriere private di estintori, senza casco e senza guanti perché troppo ignoranti e affannati, e muoiono bruciati vivi dai getti d'olio ustionanti, sono gli sfruttati.
Riconoscete questa teoria?
«Marxismo!», vi sento esclamare.
«Bisogna tornare a parlare di socialismo», come ha detto Niki Vendola.
Già dal personaggio, si capisce che la diagnosi è sbagliata: il socialismo c'è già in Italia, e come sempre ha creato una nomenklatura separata dalla nazione e dai suoi poveri, esattamente come la nomenklatura leninista che aveva i suoi spacci con caviale e sigarette americane mentre infuriava la carestia.
La nomenklatura socialista, anzitutto, si fa le leggi per sé, per rafforzare la propria impunità, per mettere al sicuro i propri privilegi.
Come dice il compagno Fausto Bertinotti, «non accetto processi da chicchessia»: è il motto della Casta, se un giorno non la processeremo in tribunali speciali rivoluzionari.
In attesa di quel giorno che non verrà, gli operai della Thyssen sopravvissuti lo sappiano: non potranno togliersi il gusto di chiamare Niki Vendola «culattone» e «finocchio», è vietato per legge, come parlar male dell'olocausto, legge Mancino-Mastella.
Lo dovranno chiamare «diversamente fornicante», o magari gay.
E' questo che conta, l'ideologia politicamente corretta, la repressione di un'altra piccola libertà di parola.
Sta tornando il socialismo, compagni: morite contenti, e pagate le tasse per Niki.
Maurizio Blondet
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