08 luglio 2009

Il G8 non dà niente



A parere di molti analisti ed esperti di politica internazionale il G8 è ormai un evento senza senso che aderisce ad una formula del tutto vacua e ineffettuale. Touchè!

Quello che inizierà domani all’Aquila non andrà molto lontano da queste prospettive poco confortanti ma fatali, data l’epoca storica nella quale stiamo per affacciarci.

Al centro delle discussioni tra gli 8 Grandi della Terra ci sarà certamente la crisi finanziaria (e industriale), si dice la peggiore dal dopoguerra, più altri temi di contorno quali l’ambiente, la sicurezza alimentare ecc. ecc. che finiranno per catturare l’attenzione della pubblica opinione e quella degli avvoltoi della stampa, i quali potranno speculare sulle oneste intenzioni del vertice per vendere più copie di carta straccia.

Lucio Caracciolo, sull’Espresso, ha sostenuto una tesi cristallina secondo la quale buona parte dell’agenda viene a concentrarsi su temi “artificiali” e modaioli (al quale si aggiunge l’immancabile tentativo per fare uscire l’Africa dal suo sottosviluppo) solo perché così i partecipanti possono meglio aggirare gi interessi centrali (quelli geopolitici) che non si discutono a tavolino ma si fanno valere attraverso azioni e strategie di ben altro tipo.
Dall’incontro dell’Aquila verranno fuori i soliti documenti di una stucchevole armonia d’intenti e si faranno proclami altisonanti sugli accordi raggiunti, si dichiarerà di aver disegnato la cornice virtuosa nella quale troveranno collocazione regole nuove per dare prosperità a tutti, al solo scopo di dimostrare al mondo che con la pace e la buona volontà si ottiene tutto. Dal giorno dopo però, caduti i lustrini, smontate le passerelle mediatiche e spenti i riflettori, ciascuno tornerà a fare di testa propria. Cioè si tornerà al più prosaico bellum omnium contra omnes.

Tuttavia, non è questo che deve destare preoccupazione. Anzi, è del tutto logico che ogni Stato ricerchi la propria via d’uscita alla crisi in maniera autonoma, considerato che sono stati proprio i legami strettissimi tra le varie economie, nella fase della globalizzazione (cioè della massima estensione del modello americano sull’economia e sulla politica mondiale) a trascinare ognuno nelle attuali difficoltà.
La stessa composizione di questo G8 è vetusta e inadeguata, considerando lo spostamento e la ridefinizione dei rapporti di forza che stanno portando in primo piano quelle nazioni in forte recupero di potenza, vedi la Cina o l’India, tuttavia ancora escluse dal consesso dei grandi.
Anche la Russia, ultima arrivata, non ammette più di giocare un ruolo marginale dopo essersi ripresa dal declino dei primi anni ’90. E , soprattutto, non è più disposta ad incassare i colpi sferrati dall’America e dall’Europa restando a guardare.

Tanto per fare un esempio, valutando il solo profilo economico e demografico, i big che si incontreranno nel capoluogo abruzzese rappresentano poco più del 50% del PIL mondiale ed appena il 13% della popolazione.
Abbiamo già detto che l’origine del disastro economico non è da ricercarsi nel lassismo dei mercati e nelle innumerevoli speculazioni che hanno fatto saltare le regole delle borse. Questi elementi rappresentano gli effetti superficiali di uno scontro tra zolle, consequenziali a “scivolamenti” politici ben più sostanziali.
A fortiori, la soluzione a questi problemi non può arrivare da quella formuletta apotropaica che passa, con tanta solennità di bocca in bocca, tra gli sherpa delle delegazioni nazionali: il ripristino di una governance mondiale.

Ma è proprio tale governance, che poi significa guida indiscussa di un solo paese, che non sarà più possibile attivare, stando al nuovo contesto geopolitico. Il mondo è cambiato, gli Usa stanno perdendo appeal ed egemonia e per questo si faranno via via più aggressivi.
Lo attestano l’intensificarsi dello scontro in Afghanistan, le provocazioni ai danni dell’Iran,
quelle in America Latina e le solite ingerenze in Africa, dove c’è pure il problema di una Cina che si fa troppo penetrante nella sua azione commerciale e industriale.

L’attuale multipolarismo potrà sfociare in vero e proprio policentrismo solo allorquando Russia
e Cina (e forse anche l’India, che però attualmente sembra più vicina a Washington), le uniche potenze con aspirazioni mondiali, troveranno tra loro punti di maggiore convergenza in funzione antiegemonica (cioè antistatunitense), attirando nella propria orbita, quelle potenze regionali che gli Usa mirano, invece, a rendere sempre più instabili proprio per impedire sedimentazioni politiche ad essi sfavorevoli.

Mentre l’Europa, sempre più vaso d’argilla tra vasi di ferro, potrebbe impantanarsi nella disputa interna per la leadership sull’UE di Francia e Germania, peraltro entrambe sempre più a rimorchio di Washington.

Queste sono le vere questioni del futuro; non potranno mai essere materia di nessun vertice.

di Gianni Petrosillo

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08 luglio 2009

Il G8 non dà niente



A parere di molti analisti ed esperti di politica internazionale il G8 è ormai un evento senza senso che aderisce ad una formula del tutto vacua e ineffettuale. Touchè!

Quello che inizierà domani all’Aquila non andrà molto lontano da queste prospettive poco confortanti ma fatali, data l’epoca storica nella quale stiamo per affacciarci.

Al centro delle discussioni tra gli 8 Grandi della Terra ci sarà certamente la crisi finanziaria (e industriale), si dice la peggiore dal dopoguerra, più altri temi di contorno quali l’ambiente, la sicurezza alimentare ecc. ecc. che finiranno per catturare l’attenzione della pubblica opinione e quella degli avvoltoi della stampa, i quali potranno speculare sulle oneste intenzioni del vertice per vendere più copie di carta straccia.

Lucio Caracciolo, sull’Espresso, ha sostenuto una tesi cristallina secondo la quale buona parte dell’agenda viene a concentrarsi su temi “artificiali” e modaioli (al quale si aggiunge l’immancabile tentativo per fare uscire l’Africa dal suo sottosviluppo) solo perché così i partecipanti possono meglio aggirare gi interessi centrali (quelli geopolitici) che non si discutono a tavolino ma si fanno valere attraverso azioni e strategie di ben altro tipo.
Dall’incontro dell’Aquila verranno fuori i soliti documenti di una stucchevole armonia d’intenti e si faranno proclami altisonanti sugli accordi raggiunti, si dichiarerà di aver disegnato la cornice virtuosa nella quale troveranno collocazione regole nuove per dare prosperità a tutti, al solo scopo di dimostrare al mondo che con la pace e la buona volontà si ottiene tutto. Dal giorno dopo però, caduti i lustrini, smontate le passerelle mediatiche e spenti i riflettori, ciascuno tornerà a fare di testa propria. Cioè si tornerà al più prosaico bellum omnium contra omnes.

Tuttavia, non è questo che deve destare preoccupazione. Anzi, è del tutto logico che ogni Stato ricerchi la propria via d’uscita alla crisi in maniera autonoma, considerato che sono stati proprio i legami strettissimi tra le varie economie, nella fase della globalizzazione (cioè della massima estensione del modello americano sull’economia e sulla politica mondiale) a trascinare ognuno nelle attuali difficoltà.
La stessa composizione di questo G8 è vetusta e inadeguata, considerando lo spostamento e la ridefinizione dei rapporti di forza che stanno portando in primo piano quelle nazioni in forte recupero di potenza, vedi la Cina o l’India, tuttavia ancora escluse dal consesso dei grandi.
Anche la Russia, ultima arrivata, non ammette più di giocare un ruolo marginale dopo essersi ripresa dal declino dei primi anni ’90. E , soprattutto, non è più disposta ad incassare i colpi sferrati dall’America e dall’Europa restando a guardare.

Tanto per fare un esempio, valutando il solo profilo economico e demografico, i big che si incontreranno nel capoluogo abruzzese rappresentano poco più del 50% del PIL mondiale ed appena il 13% della popolazione.
Abbiamo già detto che l’origine del disastro economico non è da ricercarsi nel lassismo dei mercati e nelle innumerevoli speculazioni che hanno fatto saltare le regole delle borse. Questi elementi rappresentano gli effetti superficiali di uno scontro tra zolle, consequenziali a “scivolamenti” politici ben più sostanziali.
A fortiori, la soluzione a questi problemi non può arrivare da quella formuletta apotropaica che passa, con tanta solennità di bocca in bocca, tra gli sherpa delle delegazioni nazionali: il ripristino di una governance mondiale.

Ma è proprio tale governance, che poi significa guida indiscussa di un solo paese, che non sarà più possibile attivare, stando al nuovo contesto geopolitico. Il mondo è cambiato, gli Usa stanno perdendo appeal ed egemonia e per questo si faranno via via più aggressivi.
Lo attestano l’intensificarsi dello scontro in Afghanistan, le provocazioni ai danni dell’Iran,
quelle in America Latina e le solite ingerenze in Africa, dove c’è pure il problema di una Cina che si fa troppo penetrante nella sua azione commerciale e industriale.

L’attuale multipolarismo potrà sfociare in vero e proprio policentrismo solo allorquando Russia
e Cina (e forse anche l’India, che però attualmente sembra più vicina a Washington), le uniche potenze con aspirazioni mondiali, troveranno tra loro punti di maggiore convergenza in funzione antiegemonica (cioè antistatunitense), attirando nella propria orbita, quelle potenze regionali che gli Usa mirano, invece, a rendere sempre più instabili proprio per impedire sedimentazioni politiche ad essi sfavorevoli.

Mentre l’Europa, sempre più vaso d’argilla tra vasi di ferro, potrebbe impantanarsi nella disputa interna per la leadership sull’UE di Francia e Germania, peraltro entrambe sempre più a rimorchio di Washington.

Queste sono le vere questioni del futuro; non potranno mai essere materia di nessun vertice.

di Gianni Petrosillo

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