13 marzo 2010

GlGli usurai pagavano la repressione: Rex Denariorum


"Interesse: bella parola per usura. Finanza: bella parola per furto." Matthäus Schwarz

Se Marx ed Engels s'erano occupati della guerra dei contadini perfino discutendo, come si è visto, il testo teatrale di Lassalle Franz von Sickingen, certamente volentieri avrebbero letto un la­voro drammatico di quasi trent’anni fa, ricco del senno e delle co­noscenze del poi, e dedicato allo stesso evento.

Nel testo di Bloch, dove tanto si parla di cose occulte, v'è un occulto cui non si fa cenno, ma che veramente sta al di sotto di tut­ta la vicenda dei contadini e delle azioni di Müntzer e Lutero e condiziona la storia della Germania, non solo di allora. Questo oc­culto è il capitale, di cui invano si cercherebbe la traccia in tanti te­sti dedicati alla guerra deí contadinz; che tanto si occupano, invece, di beghe teologali. Va dunque segnalato un testo teatrale di Dieter Forte, scritto negli anni 1968-1970 (e si percepisce benissimo!), che dichiaratamente non tratta di teologia (171), ma, narrando i casi della rivolta, intrecciati con quelli di Lutero e Müntzer, valendosi di documenti "rigorosamente storici'' (172), finalmente mette in scena anche il personaggio del banchiere Jacob Fugger, che di quegli eventi è il deus ex machina. Più precisamente e giustamente, non Jacob, ma il suo capitale, che lo domina e lo fa agire, governa tutta quella storia. Non inserendosi in particolare nella diatriba Lutero/Müntzer e neppure nell'evento della disfatta contadina presso Frankenhausen, ma interagendo anche con esse, in quanto decisi­va potenza mondiale. Alla morte di Jacob Fugger, al termine del 1525, infatti "il capitale totale della società Fugger era (...) il più grande del mondo" (173): dunque superava in potere economico qualsiasi regno ed impero e lo condizionava, come accadde nell'emblematico caso dell'elezione dell'imperatore Carlo V, quando Fugger corruppe gli elettori imperiali con 545.585 fiorini e, da quel momento, ebbe in mano il più potente monarca della terra, suo debitore, come osò ricordargli anche in una famosa let­tera: "È noto ed evidente che senza di me Vostra Maestà non avrebbe potuto ottenere la corona romana, come io posso dimo­strare con lo scritto di tutti i vostri imperiali commissari" (174).

D'altra parte, prestava delicati servizi anche al papa. Asseri­sce Lutero, nelle Tischreden: "Su di un messo che era stato disar­cionato, furono trovate delle lettere papali indirizzate ai Fugger, che contenevano l'invito a dare a Lutero trecento fiorini, perché tacesse" (175)! Se questo finanziamento avesse raggiunto i suoi scopi, la Riforma non sarebbe forse nata, il che svela i profondi rapporti che possono esserci fra banca e religione, capitale e spirito! Non solo Jacob Fugger poteva esclamare: "Ho nella mia borsa Papa e Imperatore" (176( (era primo banchiere e coniatore di monete per la Santa sede, anch'essa ampiamente indebitata con lui), ma poteva imporre e distribuire cariche laiche ed ecclesiastiche a suo piaci­mento. Impone a forza la nomina del vescovo di Augusta, nel 1517 (177). E’ pronto a prestare all'imperatore Massimiliano 300.000 fiorini, perché sia nominato papa, alla morte di Giulio II; solo che quel papa non muore e sfuma la corruzione del collegio cardinalizio (178)... Hutten lo chiama rex dcnariorum e, nei suoi Prae­dones, definisce i Fugger anche re delle puttane: "Essi hanno im­piantato là il loro banco e comperano dal Papa ciò che rivendon poi a più caro prezzo” (179). Hutten allude qui al traffico di bolle, be­nefici ed indulgenze, che erano diventati, con Jacob, nient'altro che interessi bancari.

Da padrone del mondo (e dunque anche della cultura) Ja­cob aveva pure voluto cancellare la nomea di usuraio che gravava sulla sua professione `onorata' di banchiere. Se il suo capo-conta­bile Matthäus Schwarz continuava a scrivere, in un suo Nota bene famulus: "Interesse ist höflich gewuchert. Finanzen ist höflich ge­stohlen (Interesse: bella parola per usura; finanza: bella parola per furto)" (180), Jacob volle manomettere anche la tradizionale teologzà dell'interesse e incaricò, su lauto compenso, Johannes Eck, l'av­versario di Lutero, perché sostenesse che il tasso d'interesse al 5 % era legale. Per questo teologo, profumatamente sovvenzionato, l'interesse altro non era che "compenso per mancato guadagno": Jacob gli pagò un tour universitario (a cominciare da Bologna) che propagandasse le sue tesi economiche. Eck toccò anche le facoltà di Vienna, Lipsia etc. etc. Cosí Jacob ottenne "de jure l'autorizza­zione a prendere interessi e la classe dei mercanti ora poteva cal­ colare apertamente le sue percentuali, senza velarle col nome di fa­tica e rischio. Tuttavia la taccia di usurai nei confronti della società Fugger non veniva messa a tacere. Wuchern e Fuggern furono usa­ti come sinonimi. Ulrich Hutten aveva persino scritto un'opera (...) in cui Fucker vale usuraio” (181).

Ovvio che Martin Lutero, contrarissimo all'usura e al pa­pato, vedesse come fumo negli occhi il rivenditore di indulgenze Fugger e rinfacciasse "ai Fugger di Augusta le compere, le ven­dite, i cambi, i baratti, le menzogne, gli inganni, í furti" (come scrive in Alla nobiltà tedesca) (182); tuttavia anch'egli dipendeva da quei principi che di Jacob, volenti o nolenti, erano sudditi; come il papa, che aveva dovuto farlo appaltatore generale delle indul­genze. E Lutero ben lo sapeva e scriveva che l'interesse è un "uso, che non esiste da molto più di cento anni ed ha già ridotto quasi tutti i principi, le fondazioni, i comuni, la nobiltà e gli eredi in povertà, miseria e rovina. Il diavolo lo ha escogitato e il Papa con la sua approvazione ha fatto del male a tutto il mondo" (183). "Con il prendere interessi - continua Lutero - i Fucker si sono acquistati la loro grande ricchezza": anch'essi dunque emissari del diavolo, diavoli incarnati!

E come gli adepti del diavolo (maghi, streghe etc.) essi im­piegano fornmle magiche adatte alla loro attività. Nel 1538, secon­do le Tischreden, a Lutero si mostrò "una scrittura dei Fugger i quali cambiavano in vari modi la disposizione delle lettere dell'al­fabeto, onde nessuno le potesse leggere. Lutero rispose: `Queste sono invenzioni di ingegni eccezionali e sono strumenti adatti alle età peggiori (...). E dicono che anche il nostro imperatore Carlo, a causa della slealtà dei suoi segretari, scriva sempre nei casi più difficili due lettere di opposto contenuto” (184): magia politica e ma­gia bancaria qui si sovrappongono nell'uso del criptolinguaggio, come osserverà, nel '600, Gabriel Naudé, che di maneggi politici si intenderà a fondo (185).

Ma Jacob Fugger è testimone prezioso anche delle rivolte di poveri e contadini contro signori e mercanti. Contro í Fugger, nella loro stessa città di Augusta, aveva osato predicare, metten­dosi dalla parte dei poveri, il monaco Johannes Schilling, nel 1524. Richiamandosi agli hussiti, i poveri si ribellarono, costitui­rono un comitato rivoluzionario, capeggiato da tre tessitori, che produsse anche un programma, in cui, tra l'altro, "si chiedeva che í mercanti e le società commerciali, che erano colpevoli di tutto il male, dovessero essere tolte di mezzo" (186). Per precauzione, Jacob "mise al sicuro sé e la sua famiglia nei suoi castelli e fece portar via da Augusta il denaro liquido"'"'. In Tirolo accadevano, nel frat­tempo, cose simili. Gli Articoli meranesi testimoniano le richieste dei rivoltosi del 1525: "Poiché - si dice in questi - sono sorte tan­te società, specialmente i Fugger, gli Höchstetter e i Welser, e bi­sogna acquistare dalle società tutto quello di cui si ha bisogno, tutte queste cose, siano piccole o grandi, devono essere abolite; cosí tutte le merci potranno tornare ad un giusto prezzo"(188)! E Michele Geismair, figlio di un minatore di Vipiteno, chiedeva: "Anzitutto tutte le fonderie, miniere d'argento e di rame e dipen­denze, che appartengono alla nobiltà, a mercanti stranieri ed a so­cietà, devono diventare proprietà comune del paese" (189).

Le rivolte si propagano dappertutto, allora, nella Germania meridionale e anche nei domini dei Fugger. Per Jacob si trattava degli effetti della dottrina erronea propagandata dalla riforma lu­terana. Scrive infatti ad un suo agente di Cracovia: "Fanno questo i nuovi predicatori, che predicano che non si deve badare ai co­mandamenti degli uomini; questo era quello che volevano i conta­dini, di non obbedire più ai loro padroni. Questa nuova fede si diffonde ancora in molti luoghi presso di noi. Io non so dove si an­drà a finire" (190). Il signore economico del mondo ha paura di pove­ri, minatori e contadini! E si barcamena come può: in parte con diplomatici accordi coi rivoltosi, in parte con la repressione: per esempio, la lega sveva, finanziata dal Fugger, sventò l'assedio di Weisserhorn, contro cui si erano coalizzati 12.000 contadini. "Le località di Leipheim, Teítheim e tutte le altre che si fossero unite alla massa dei contadini, furono severamente punite per la loro miscredenza eretica, luterana', perdettero i loro diritti"(191). Nel ca­so di Weisserhorn, l'arciduca Ferdinando s'era rivolto diretta­mente a Jacob, perché proteggesse la città. Alla fine "i ribelli furo­no definitivamente sbaragliati e i loro capi giustiziati. Cosí, in po­chi mesi era terminata la rivolta dei contadini nei territori dei Fug­ger" (192). Si è fra il marzo e l'aprile del 1525. In maggio avverrà la di­sfatta di Müntzer e dei suoi. A pochi mesi dalla sua decapitazione, in dicembre, anche Jacob muore, non senza essersi confrontato con una situazione in cui, come scrive a un amico sconsolatamente "il basso popolo ha preso completamente la mano. La plebe desi­dera diventar ricca e nessuno vuol lavorare e i contadini vogliono essere esenti da imposte".

Dal suo trono di barili d'oro (come diceva Lutero) questo re del mondo forse si rende conto, alla fine della vita, che il suo dio/ denaro non è onnipotente (sebbene il suo culto non sia ancor oggi terminato!), che può talvolta deludere ed invia ambigui segni. Scrive Clemens Sender che, prima della morte di Jacob, "il giorno di Natale verso il vespro è apparso ad Augusta sulla Madonna un segno premonitore, un arcobaleno nero, che fu visto da tutti (194). Un arcobaleno aveva presieduto anche alla strage dei contadini di Müntzer, quasi a sottolineare un ironico cinismo del cielo. L'arco­baleno nero sul letto di morte di Jacob Fugger era forse, a sua vol­ta, un memento sulla non eternità della sua potenza e della poten­za del capitale, che, tuttavia, da allora, si è talmente consolidata da apparire un'incombenza insopportabile, anche se gli scricchiolii si avvertono! È questa onnipotenza che viene sottolineata nel testo di Forte, non a caso, perché proprio con Fugger il capitale è diven­tato cosmico! "ll capitale monopolistico (rappresentato da Fugger) (...) regge e muove gli eventi e si individua infine come un'en­tità astratta, assoluta, un Leviatano che vive de se ipso ad se ipsum, in sé circolare, opprimendo e distruggendo ogni moto liberatore dell'uomo nella storia". In sua dipendenza "si dispiega il processo storico di un'età fondamentale per la costruzione del mondo mo­derno". "Il potere politico è nullo di fronte al potere economico (...) che, attraverso l'introduzione delle impersonali leggi della contabilità, diventa una gelida divinità alla quale è asservito lo stesso Fugger" (195).

La marcia trionfale del nuovo dio/denaro (cui si deve non solo il massacro dei contadini e di Müntzer, ma, in ultima analisi, quello contemporaneo di 69 milioni di amerindi) (196), si dispiega, nel lavoro di Forte, in una serie di scene in cui, volta a volta, si vede come Alberto di Brandeburgo, Federico di Sassonia, il papa, le miniere, l'imperatore Massimiliano, le guerre, le elezioni di impe­ratori e papi etc. etc. dipendano dal nuovo Libro, dalla nuova Re­ligione: il Testo della contabilità, che è l'anima del capitale. Tutto passa attraverso questa nuova Bibbia (197), di cui umilissimo servitore e predicatore è Fugger! Con cui sono indebitati principi, papi, im­peratori. Da questo punto di vista, anche le vicende di Lutero prendono un colore inedito. Dice Carlo V (pensando ai suoi debi­ti): "Se condanno Lutero, i principi non mi danno più né un cen­tesimo né un soldato”(198).

Da parte sua, Fugger incrementa il suo capitale col traffico ormai mondiale: "Abbiamo bisogno di miniere nostre in America, e meglio ancora direttamente colonie nostre (...). Purtroppo gli indios non ce la fanno a sopportare a lungo i nostri avanzati meto­di di produzione. Benché si sia introdotta la pausa meridiana, muoiono come mosche (... ) Grazie a Dio i negri si sono dimostra­ti più resistenti, e i negri, com'è noto, vengono consegnati in Afri­ca franco costa (... ). Venderemo i negri in America, porteremo in Europa l'oro e l'argento americano, in compenso venderemo il nostro rame in India, e le spezie indiane le venderemo in Europa. Miei signori, questo globo è prezioso"(199). E all'interno di questa globalizzazione, mediante la quale il capitale si avvia a permeare tutto, che va collocata la guerra dei contadini, anche i cui protago­nisti risentono di quella globalizzazione. Se Lutero dipende dai principi e dall'imperatore Carlo V, l'imperatore dipende da Fug­ger e dalla sua... contabilità. Dice Fugger a Carlo V: "Maestà, se faccio sapere in Borsa che Lei è insolvente, il mercato dei prestiti per Lei è chiuso (...) - Lei parla con l'Imperatore - Io parlo col mio debitore, Lei è maestà perché io ho pagato. Quell’affare che porta sul capo gliel'ho comprato io” (200). Ed estorce all'imperatore la direzione del commercio delle spezie, l'appalto delle miniere d'argento vivo, il monopolio del legno di Guuzàcca (medicina allo­ra eccellente contro la sifilide, di cui v'era grande smercio), termi­nando cosí: "Io Le compero il dominio dell'Europa e Lei mi pro­tegge il capitalismo monopolistico"!

Naturalmente Fugger interviene anche nella lotta di Sickin­gen e dei cavalieri: "Desidero che il partito dei cavalieri venga li­quidato. Completamente"(202). Naturalmente d desiderio è accom­pagnato da competente assegno. Aggiunge il suo braccio destro Schwarz: "Poi non rimarrebbero che i lavoratori e i contadini". Risposta: "Anche loro sono quasi maturi"(203)! E infatti Fugger fo­raggia con armi e denaro i principi in lotta con i contadini, con una raccomandazione: "Non uccidetene troppi, sennò dovrete ararli voi i vostri campi. E mettetevi in mente, una volta per tutte, che la vostra Germania è stata salvata dal mio denaro". Poi, guardando la contabilità, commenta il riporto totale di 25 milioni: "Per cento­mila contadini morti. Questo fa 250 a contadino. È a buon merca­to. Un buon affare (...). Io sono ricco per grazia di Dio" (204)!

Cosí signori e sovrani diventano buoni dipendenti dell'am­ministrazione Fugger (205). D'altra parte, Fugger è, a sua volta, dipen­dente, del proprio capitale, cosa di quella cosa, cui, mentre viene issata su una picca, in fondo alla scena, la testa di Müntzer rivolge questa ispirata preghiera: "Tu principio e fine di ogni cosa / Tu che eri, sei e sarai / Da cui, per cui e in cui tutto esiste/ in cui noi viviamo, ci muoviamo e siamo / Che hai ogni potere in cielo e in terra / Che possiedi le chiavi della morte e dell'inferno / Che hai ordinato tutto secondo peso, ordine e misura / Tu re dei re e si­gnore dei signori / La tua maestà riempie la terra / La tua sapien­za governa possente e tutto amorevolmente ordina. / Abbi pietà di noi / O Capitale. . . "(206)!

È contro questa nuova teologia (e nuova divinità) che fa nau­fragio la guerra dei contadini (e non solo quella, purtroppo). Il merito di Forte è di aver spostato l'interesse, appunto, dalla teolo­gia tradizionale, sulla quale i vecchi storici misuravano le vicende dei contadini e di Müntzer, a questa nuova teologia del dio/dena­ro, tuttora imperante, investendo le antiche vicende della realtà che ancor oggi (e soprattutto oggi) condiziona il non-uomo che tutti siamo. Ovvio che impieghi, nella sua impresa, il linguaggio di oggi, ma mai tradendo i documenti storici cui esattamente si ispi­ra. Certo il suo Müntzer ha perso quasi del tutto l'alone vecchio/ teologico e apocalittico che conserva in Bloch, ma direi che la cosa dipende dall'enfatizzazione che vien data alla nuova divinità, la cui crudissima luce non può non porre in ombra quella della vecchia, assieme ai suoi portatori. Se il sottotitolo del Münzer di Bloch era teologo della rivoluzione, il Martin Lutero e Thomas Müntzer di Dieter Forte ha per sottotitolo L'introduzione della contabilità: quando l'uomo diventa calcolabile, merce, cosa in mano aduna co­sa (il capitale), non v'è più apocalissi o chiliasmo che tengano: è sulla cosa, su come ha potuto trionfare, che vanno diretti i nostri occhi. E Forte lo fa, a mio parere, egregiamente e, proprio per questo, trascura (come gli è stato rimproverato!) la "funzione del­la personalità nella storia"(207). Come la "concreta individuazione delle forze sociali che hanno sorretto quell'importantissimo mo­mento di ristrutturazione della società non soltanto tedesca, che viene connotato come età della Riforma" (208). Ma non esisteva già, in proposito, "la magistrale analisi di Engels" (209)? Sicché non è difetto, ma pregio, che Forte delinei il suo dramma "arcuando (...) su tutto il decorso degli eventi la potenza arcana del capitale monopolistico"(210), che, come s'è visto, è il deus absconditus (ma non troppo) dell'opera e la sua cifra più specifica. Qualcuno lo rimprovera anche del fatto che "oscurando la com­plessità della situazione di classe che sorregge gli esiti della riforma luterana ed elevando la presenza del capitale monopolistico in una sfera destorificata, cosí da conferirgli quasi un'ineluttabile razio­nalità, il Forte finisce per colorare il processo storico da lui raffi­gurato di tratti di cupa fatalità"(211). Una critica del genere era pos­sibile, intorno agli anni settanta, alla luce di recenti studi (Baran e Sweezy) sul capitale monopolistico. Oggi, dopo la caduta del muro di Berlino, con la globalizzazione, non mi pare che la cupa fatalità con cui si può guardare al capitale monopolistico sia trascurabile. La "visione `ideologica' di una società capitalistica neutra e astrat­ta, privata di ogni connotato di classe e dell'evidenza dello sfrutta­mento dell'uomo sull'uomo" (212) è purtroppo diventata ideologia dominante e il testo di Forte ha dunque il merito, semmai, di porla sotto il suo efficace riflettore, lasciando al lettore di trarne l'am­maestramento che desidera.

Ma è ora di passare dalle interpretazioni ai personaggi e alle vicende storiche che li riguardano. Dalle interpretazioni di Münt­zer a Lutero, il suo maggiore ed acerrimo antagonista; alle parole che Lutero ci ha tramandato. Inutile dire che proprio l'argomento che si è scelto di trattare fa privilegiare questi due protagonisti a scapito delle classi e delle masse che essi personificano, ma la pre­sente è una analisi molto più delle idee che degli ambiti sociali che esse vanno esprimendo; d'altra parte, appunto, il diavolo non può essere collocato che in una ideologia.

Da Luciano Parinetto “La rivolta del diavolo. Münt­zer, Lutero e la rivolta dei contadini in Germania e altri saggi” Rusconi, 1999

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13 marzo 2010

GlGli usurai pagavano la repressione: Rex Denariorum


"Interesse: bella parola per usura. Finanza: bella parola per furto." Matthäus Schwarz

Se Marx ed Engels s'erano occupati della guerra dei contadini perfino discutendo, come si è visto, il testo teatrale di Lassalle Franz von Sickingen, certamente volentieri avrebbero letto un la­voro drammatico di quasi trent’anni fa, ricco del senno e delle co­noscenze del poi, e dedicato allo stesso evento.

Nel testo di Bloch, dove tanto si parla di cose occulte, v'è un occulto cui non si fa cenno, ma che veramente sta al di sotto di tut­ta la vicenda dei contadini e delle azioni di Müntzer e Lutero e condiziona la storia della Germania, non solo di allora. Questo oc­culto è il capitale, di cui invano si cercherebbe la traccia in tanti te­sti dedicati alla guerra deí contadinz; che tanto si occupano, invece, di beghe teologali. Va dunque segnalato un testo teatrale di Dieter Forte, scritto negli anni 1968-1970 (e si percepisce benissimo!), che dichiaratamente non tratta di teologia (171), ma, narrando i casi della rivolta, intrecciati con quelli di Lutero e Müntzer, valendosi di documenti "rigorosamente storici'' (172), finalmente mette in scena anche il personaggio del banchiere Jacob Fugger, che di quegli eventi è il deus ex machina. Più precisamente e giustamente, non Jacob, ma il suo capitale, che lo domina e lo fa agire, governa tutta quella storia. Non inserendosi in particolare nella diatriba Lutero/Müntzer e neppure nell'evento della disfatta contadina presso Frankenhausen, ma interagendo anche con esse, in quanto decisi­va potenza mondiale. Alla morte di Jacob Fugger, al termine del 1525, infatti "il capitale totale della società Fugger era (...) il più grande del mondo" (173): dunque superava in potere economico qualsiasi regno ed impero e lo condizionava, come accadde nell'emblematico caso dell'elezione dell'imperatore Carlo V, quando Fugger corruppe gli elettori imperiali con 545.585 fiorini e, da quel momento, ebbe in mano il più potente monarca della terra, suo debitore, come osò ricordargli anche in una famosa let­tera: "È noto ed evidente che senza di me Vostra Maestà non avrebbe potuto ottenere la corona romana, come io posso dimo­strare con lo scritto di tutti i vostri imperiali commissari" (174).

D'altra parte, prestava delicati servizi anche al papa. Asseri­sce Lutero, nelle Tischreden: "Su di un messo che era stato disar­cionato, furono trovate delle lettere papali indirizzate ai Fugger, che contenevano l'invito a dare a Lutero trecento fiorini, perché tacesse" (175)! Se questo finanziamento avesse raggiunto i suoi scopi, la Riforma non sarebbe forse nata, il che svela i profondi rapporti che possono esserci fra banca e religione, capitale e spirito! Non solo Jacob Fugger poteva esclamare: "Ho nella mia borsa Papa e Imperatore" (176( (era primo banchiere e coniatore di monete per la Santa sede, anch'essa ampiamente indebitata con lui), ma poteva imporre e distribuire cariche laiche ed ecclesiastiche a suo piaci­mento. Impone a forza la nomina del vescovo di Augusta, nel 1517 (177). E’ pronto a prestare all'imperatore Massimiliano 300.000 fiorini, perché sia nominato papa, alla morte di Giulio II; solo che quel papa non muore e sfuma la corruzione del collegio cardinalizio (178)... Hutten lo chiama rex dcnariorum e, nei suoi Prae­dones, definisce i Fugger anche re delle puttane: "Essi hanno im­piantato là il loro banco e comperano dal Papa ciò che rivendon poi a più caro prezzo” (179). Hutten allude qui al traffico di bolle, be­nefici ed indulgenze, che erano diventati, con Jacob, nient'altro che interessi bancari.

Da padrone del mondo (e dunque anche della cultura) Ja­cob aveva pure voluto cancellare la nomea di usuraio che gravava sulla sua professione `onorata' di banchiere. Se il suo capo-conta­bile Matthäus Schwarz continuava a scrivere, in un suo Nota bene famulus: "Interesse ist höflich gewuchert. Finanzen ist höflich ge­stohlen (Interesse: bella parola per usura; finanza: bella parola per furto)" (180), Jacob volle manomettere anche la tradizionale teologzà dell'interesse e incaricò, su lauto compenso, Johannes Eck, l'av­versario di Lutero, perché sostenesse che il tasso d'interesse al 5 % era legale. Per questo teologo, profumatamente sovvenzionato, l'interesse altro non era che "compenso per mancato guadagno": Jacob gli pagò un tour universitario (a cominciare da Bologna) che propagandasse le sue tesi economiche. Eck toccò anche le facoltà di Vienna, Lipsia etc. etc. Cosí Jacob ottenne "de jure l'autorizza­zione a prendere interessi e la classe dei mercanti ora poteva cal­ colare apertamente le sue percentuali, senza velarle col nome di fa­tica e rischio. Tuttavia la taccia di usurai nei confronti della società Fugger non veniva messa a tacere. Wuchern e Fuggern furono usa­ti come sinonimi. Ulrich Hutten aveva persino scritto un'opera (...) in cui Fucker vale usuraio” (181).

Ovvio che Martin Lutero, contrarissimo all'usura e al pa­pato, vedesse come fumo negli occhi il rivenditore di indulgenze Fugger e rinfacciasse "ai Fugger di Augusta le compere, le ven­dite, i cambi, i baratti, le menzogne, gli inganni, í furti" (come scrive in Alla nobiltà tedesca) (182); tuttavia anch'egli dipendeva da quei principi che di Jacob, volenti o nolenti, erano sudditi; come il papa, che aveva dovuto farlo appaltatore generale delle indul­genze. E Lutero ben lo sapeva e scriveva che l'interesse è un "uso, che non esiste da molto più di cento anni ed ha già ridotto quasi tutti i principi, le fondazioni, i comuni, la nobiltà e gli eredi in povertà, miseria e rovina. Il diavolo lo ha escogitato e il Papa con la sua approvazione ha fatto del male a tutto il mondo" (183). "Con il prendere interessi - continua Lutero - i Fucker si sono acquistati la loro grande ricchezza": anch'essi dunque emissari del diavolo, diavoli incarnati!

E come gli adepti del diavolo (maghi, streghe etc.) essi im­piegano fornmle magiche adatte alla loro attività. Nel 1538, secon­do le Tischreden, a Lutero si mostrò "una scrittura dei Fugger i quali cambiavano in vari modi la disposizione delle lettere dell'al­fabeto, onde nessuno le potesse leggere. Lutero rispose: `Queste sono invenzioni di ingegni eccezionali e sono strumenti adatti alle età peggiori (...). E dicono che anche il nostro imperatore Carlo, a causa della slealtà dei suoi segretari, scriva sempre nei casi più difficili due lettere di opposto contenuto” (184): magia politica e ma­gia bancaria qui si sovrappongono nell'uso del criptolinguaggio, come osserverà, nel '600, Gabriel Naudé, che di maneggi politici si intenderà a fondo (185).

Ma Jacob Fugger è testimone prezioso anche delle rivolte di poveri e contadini contro signori e mercanti. Contro í Fugger, nella loro stessa città di Augusta, aveva osato predicare, metten­dosi dalla parte dei poveri, il monaco Johannes Schilling, nel 1524. Richiamandosi agli hussiti, i poveri si ribellarono, costitui­rono un comitato rivoluzionario, capeggiato da tre tessitori, che produsse anche un programma, in cui, tra l'altro, "si chiedeva che í mercanti e le società commerciali, che erano colpevoli di tutto il male, dovessero essere tolte di mezzo" (186). Per precauzione, Jacob "mise al sicuro sé e la sua famiglia nei suoi castelli e fece portar via da Augusta il denaro liquido"'"'. In Tirolo accadevano, nel frat­tempo, cose simili. Gli Articoli meranesi testimoniano le richieste dei rivoltosi del 1525: "Poiché - si dice in questi - sono sorte tan­te società, specialmente i Fugger, gli Höchstetter e i Welser, e bi­sogna acquistare dalle società tutto quello di cui si ha bisogno, tutte queste cose, siano piccole o grandi, devono essere abolite; cosí tutte le merci potranno tornare ad un giusto prezzo"(188)! E Michele Geismair, figlio di un minatore di Vipiteno, chiedeva: "Anzitutto tutte le fonderie, miniere d'argento e di rame e dipen­denze, che appartengono alla nobiltà, a mercanti stranieri ed a so­cietà, devono diventare proprietà comune del paese" (189).

Le rivolte si propagano dappertutto, allora, nella Germania meridionale e anche nei domini dei Fugger. Per Jacob si trattava degli effetti della dottrina erronea propagandata dalla riforma lu­terana. Scrive infatti ad un suo agente di Cracovia: "Fanno questo i nuovi predicatori, che predicano che non si deve badare ai co­mandamenti degli uomini; questo era quello che volevano i conta­dini, di non obbedire più ai loro padroni. Questa nuova fede si diffonde ancora in molti luoghi presso di noi. Io non so dove si an­drà a finire" (190). Il signore economico del mondo ha paura di pove­ri, minatori e contadini! E si barcamena come può: in parte con diplomatici accordi coi rivoltosi, in parte con la repressione: per esempio, la lega sveva, finanziata dal Fugger, sventò l'assedio di Weisserhorn, contro cui si erano coalizzati 12.000 contadini. "Le località di Leipheim, Teítheim e tutte le altre che si fossero unite alla massa dei contadini, furono severamente punite per la loro miscredenza eretica, luterana', perdettero i loro diritti"(191). Nel ca­so di Weisserhorn, l'arciduca Ferdinando s'era rivolto diretta­mente a Jacob, perché proteggesse la città. Alla fine "i ribelli furo­no definitivamente sbaragliati e i loro capi giustiziati. Cosí, in po­chi mesi era terminata la rivolta dei contadini nei territori dei Fug­ger" (192). Si è fra il marzo e l'aprile del 1525. In maggio avverrà la di­sfatta di Müntzer e dei suoi. A pochi mesi dalla sua decapitazione, in dicembre, anche Jacob muore, non senza essersi confrontato con una situazione in cui, come scrive a un amico sconsolatamente "il basso popolo ha preso completamente la mano. La plebe desi­dera diventar ricca e nessuno vuol lavorare e i contadini vogliono essere esenti da imposte".

Dal suo trono di barili d'oro (come diceva Lutero) questo re del mondo forse si rende conto, alla fine della vita, che il suo dio/ denaro non è onnipotente (sebbene il suo culto non sia ancor oggi terminato!), che può talvolta deludere ed invia ambigui segni. Scrive Clemens Sender che, prima della morte di Jacob, "il giorno di Natale verso il vespro è apparso ad Augusta sulla Madonna un segno premonitore, un arcobaleno nero, che fu visto da tutti (194). Un arcobaleno aveva presieduto anche alla strage dei contadini di Müntzer, quasi a sottolineare un ironico cinismo del cielo. L'arco­baleno nero sul letto di morte di Jacob Fugger era forse, a sua vol­ta, un memento sulla non eternità della sua potenza e della poten­za del capitale, che, tuttavia, da allora, si è talmente consolidata da apparire un'incombenza insopportabile, anche se gli scricchiolii si avvertono! È questa onnipotenza che viene sottolineata nel testo di Forte, non a caso, perché proprio con Fugger il capitale è diven­tato cosmico! "ll capitale monopolistico (rappresentato da Fugger) (...) regge e muove gli eventi e si individua infine come un'en­tità astratta, assoluta, un Leviatano che vive de se ipso ad se ipsum, in sé circolare, opprimendo e distruggendo ogni moto liberatore dell'uomo nella storia". In sua dipendenza "si dispiega il processo storico di un'età fondamentale per la costruzione del mondo mo­derno". "Il potere politico è nullo di fronte al potere economico (...) che, attraverso l'introduzione delle impersonali leggi della contabilità, diventa una gelida divinità alla quale è asservito lo stesso Fugger" (195).

La marcia trionfale del nuovo dio/denaro (cui si deve non solo il massacro dei contadini e di Müntzer, ma, in ultima analisi, quello contemporaneo di 69 milioni di amerindi) (196), si dispiega, nel lavoro di Forte, in una serie di scene in cui, volta a volta, si vede come Alberto di Brandeburgo, Federico di Sassonia, il papa, le miniere, l'imperatore Massimiliano, le guerre, le elezioni di impe­ratori e papi etc. etc. dipendano dal nuovo Libro, dalla nuova Re­ligione: il Testo della contabilità, che è l'anima del capitale. Tutto passa attraverso questa nuova Bibbia (197), di cui umilissimo servitore e predicatore è Fugger! Con cui sono indebitati principi, papi, im­peratori. Da questo punto di vista, anche le vicende di Lutero prendono un colore inedito. Dice Carlo V (pensando ai suoi debi­ti): "Se condanno Lutero, i principi non mi danno più né un cen­tesimo né un soldato”(198).

Da parte sua, Fugger incrementa il suo capitale col traffico ormai mondiale: "Abbiamo bisogno di miniere nostre in America, e meglio ancora direttamente colonie nostre (...). Purtroppo gli indios non ce la fanno a sopportare a lungo i nostri avanzati meto­di di produzione. Benché si sia introdotta la pausa meridiana, muoiono come mosche (... ) Grazie a Dio i negri si sono dimostra­ti più resistenti, e i negri, com'è noto, vengono consegnati in Afri­ca franco costa (... ). Venderemo i negri in America, porteremo in Europa l'oro e l'argento americano, in compenso venderemo il nostro rame in India, e le spezie indiane le venderemo in Europa. Miei signori, questo globo è prezioso"(199). E all'interno di questa globalizzazione, mediante la quale il capitale si avvia a permeare tutto, che va collocata la guerra dei contadini, anche i cui protago­nisti risentono di quella globalizzazione. Se Lutero dipende dai principi e dall'imperatore Carlo V, l'imperatore dipende da Fug­ger e dalla sua... contabilità. Dice Fugger a Carlo V: "Maestà, se faccio sapere in Borsa che Lei è insolvente, il mercato dei prestiti per Lei è chiuso (...) - Lei parla con l'Imperatore - Io parlo col mio debitore, Lei è maestà perché io ho pagato. Quell’affare che porta sul capo gliel'ho comprato io” (200). Ed estorce all'imperatore la direzione del commercio delle spezie, l'appalto delle miniere d'argento vivo, il monopolio del legno di Guuzàcca (medicina allo­ra eccellente contro la sifilide, di cui v'era grande smercio), termi­nando cosí: "Io Le compero il dominio dell'Europa e Lei mi pro­tegge il capitalismo monopolistico"!

Naturalmente Fugger interviene anche nella lotta di Sickin­gen e dei cavalieri: "Desidero che il partito dei cavalieri venga li­quidato. Completamente"(202). Naturalmente d desiderio è accom­pagnato da competente assegno. Aggiunge il suo braccio destro Schwarz: "Poi non rimarrebbero che i lavoratori e i contadini". Risposta: "Anche loro sono quasi maturi"(203)! E infatti Fugger fo­raggia con armi e denaro i principi in lotta con i contadini, con una raccomandazione: "Non uccidetene troppi, sennò dovrete ararli voi i vostri campi. E mettetevi in mente, una volta per tutte, che la vostra Germania è stata salvata dal mio denaro". Poi, guardando la contabilità, commenta il riporto totale di 25 milioni: "Per cento­mila contadini morti. Questo fa 250 a contadino. È a buon merca­to. Un buon affare (...). Io sono ricco per grazia di Dio" (204)!

Cosí signori e sovrani diventano buoni dipendenti dell'am­ministrazione Fugger (205). D'altra parte, Fugger è, a sua volta, dipen­dente, del proprio capitale, cosa di quella cosa, cui, mentre viene issata su una picca, in fondo alla scena, la testa di Müntzer rivolge questa ispirata preghiera: "Tu principio e fine di ogni cosa / Tu che eri, sei e sarai / Da cui, per cui e in cui tutto esiste/ in cui noi viviamo, ci muoviamo e siamo / Che hai ogni potere in cielo e in terra / Che possiedi le chiavi della morte e dell'inferno / Che hai ordinato tutto secondo peso, ordine e misura / Tu re dei re e si­gnore dei signori / La tua maestà riempie la terra / La tua sapien­za governa possente e tutto amorevolmente ordina. / Abbi pietà di noi / O Capitale. . . "(206)!

È contro questa nuova teologia (e nuova divinità) che fa nau­fragio la guerra dei contadini (e non solo quella, purtroppo). Il merito di Forte è di aver spostato l'interesse, appunto, dalla teolo­gia tradizionale, sulla quale i vecchi storici misuravano le vicende dei contadini e di Müntzer, a questa nuova teologia del dio/dena­ro, tuttora imperante, investendo le antiche vicende della realtà che ancor oggi (e soprattutto oggi) condiziona il non-uomo che tutti siamo. Ovvio che impieghi, nella sua impresa, il linguaggio di oggi, ma mai tradendo i documenti storici cui esattamente si ispi­ra. Certo il suo Müntzer ha perso quasi del tutto l'alone vecchio/ teologico e apocalittico che conserva in Bloch, ma direi che la cosa dipende dall'enfatizzazione che vien data alla nuova divinità, la cui crudissima luce non può non porre in ombra quella della vecchia, assieme ai suoi portatori. Se il sottotitolo del Münzer di Bloch era teologo della rivoluzione, il Martin Lutero e Thomas Müntzer di Dieter Forte ha per sottotitolo L'introduzione della contabilità: quando l'uomo diventa calcolabile, merce, cosa in mano aduna co­sa (il capitale), non v'è più apocalissi o chiliasmo che tengano: è sulla cosa, su come ha potuto trionfare, che vanno diretti i nostri occhi. E Forte lo fa, a mio parere, egregiamente e, proprio per questo, trascura (come gli è stato rimproverato!) la "funzione del­la personalità nella storia"(207). Come la "concreta individuazione delle forze sociali che hanno sorretto quell'importantissimo mo­mento di ristrutturazione della società non soltanto tedesca, che viene connotato come età della Riforma" (208). Ma non esisteva già, in proposito, "la magistrale analisi di Engels" (209)? Sicché non è difetto, ma pregio, che Forte delinei il suo dramma "arcuando (...) su tutto il decorso degli eventi la potenza arcana del capitale monopolistico"(210), che, come s'è visto, è il deus absconditus (ma non troppo) dell'opera e la sua cifra più specifica. Qualcuno lo rimprovera anche del fatto che "oscurando la com­plessità della situazione di classe che sorregge gli esiti della riforma luterana ed elevando la presenza del capitale monopolistico in una sfera destorificata, cosí da conferirgli quasi un'ineluttabile razio­nalità, il Forte finisce per colorare il processo storico da lui raffi­gurato di tratti di cupa fatalità"(211). Una critica del genere era pos­sibile, intorno agli anni settanta, alla luce di recenti studi (Baran e Sweezy) sul capitale monopolistico. Oggi, dopo la caduta del muro di Berlino, con la globalizzazione, non mi pare che la cupa fatalità con cui si può guardare al capitale monopolistico sia trascurabile. La "visione `ideologica' di una società capitalistica neutra e astrat­ta, privata di ogni connotato di classe e dell'evidenza dello sfrutta­mento dell'uomo sull'uomo" (212) è purtroppo diventata ideologia dominante e il testo di Forte ha dunque il merito, semmai, di porla sotto il suo efficace riflettore, lasciando al lettore di trarne l'am­maestramento che desidera.

Ma è ora di passare dalle interpretazioni ai personaggi e alle vicende storiche che li riguardano. Dalle interpretazioni di Münt­zer a Lutero, il suo maggiore ed acerrimo antagonista; alle parole che Lutero ci ha tramandato. Inutile dire che proprio l'argomento che si è scelto di trattare fa privilegiare questi due protagonisti a scapito delle classi e delle masse che essi personificano, ma la pre­sente è una analisi molto più delle idee che degli ambiti sociali che esse vanno esprimendo; d'altra parte, appunto, il diavolo non può essere collocato che in una ideologia.

Da Luciano Parinetto “La rivolta del diavolo. Münt­zer, Lutero e la rivolta dei contadini in Germania e altri saggi” Rusconi, 1999

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