22 marzo 2010

L'acqua privatizzata? Più cara e inefficente

Bollette dell'acqua molto più salate in cambio di un servizio... peggiore. Sarebbero questi i presunti benefici della totale privatizzazione della gestione dei servizi idrici, imposta dal governo con il decreto Ronchi. In base a questa legge, approvata il 18 novembre scorso, la quota di partecipazione pubblica nelle società miste dovrà passare entro il 2015 dall'attuale 51% al 30%.

Al di là di fondamentali obiezioni di principio (può un bene prezioso come l'acqua essere gestito da società che, per loro natura, seguono la logica del profitto, invece che quella dell'interesse pubblico?) è proprio l'esperienza concreta maturata nelle città dove tali privatizzazioni sono già avvenute, per il tramite di spa a maggioranza pubblica, a sconsigliare di proseguire su questa strada.

L'esempio più citato è quello della provincia di Arezzo, che dal 1999 ha affidato il proprio servizio idrico ad una Spa a maggioranza formalmente pubblica, la Nuove Acque, dove però tutti i poteri sono di fatto nelle mani del socio privato, la multinazionale francese Suez, che ha il diritto di nominare l'amministratore delegato. Una scelta colpevolmente sostenuta in questi anni anche dal centrosinistra ma che, alla prova dei fatti, si è rivelata un errore. Anche perchè la tanto invocata concorrenza tra pubblico e privato, che secondo i "privatizzatori" avrebbe dovuto portare a un riduzione delle tariffe, non c'è stata, in quanto l'acqua continua ad essere erogata in regime di monopolio.ù

«I dati ufficiali del comitato di vigilanza risorse idriche parlano chiaro: Arezzo occupa il terzo posto nella graduatoria delle città in cui l'acqua è più cara», denuncia Stefano Mencucci, del Comitato per l'acqua pubblica del capoluogo toscano. Per parte loro, i sostenitori della privatizzazione sottolineano il presunto aumento del consumo domestico, dovuto - dicono - a un miglioramento della qualità dell'acqua che esce dai rubinetti.
Mencucci scuote la testa: «E' vero il contrario. Nonostante i nuovi allacci nel frattempo effettuati, oggi il consumo è lievemente inferiore a quello di dieci anni fa. E' vero invece che l'acqua di Arezzo è di ottima qualità. Ma non è certo merito della Nuove Acque, bensì del nuovo invaso realizzato con investimenti totalmente pubblici alle sorgenti del Tevere, pochi mesi prima della privatizzazione. Anzi, la Suez si era assunta l'impegno di portare l'acqua dell'invaso di Monte d'Oglio nei comuni limitrofi dopo tre anni, vale a dire nel 2002. Oggi siamo nel 2010 e - a parte un caso - questo non è ancora stato fatto».
Anche chi si aspettava un servizio migliore è rimasto deluso: «Attualmente gli acquedotti dell'Aato 4, consorzio che comprende 37 comuni, perdono - spiega ancora Mencucci - intorno al 35% dell'acqua, sostanzialmente la stessa percentuale che c'era al momento dell'avvento del soggetto privato». Peccato che questo deludente risultato sia stato pagato a caro prezzo dai cittadini, vista la valanga di soldi passati nelle tasche della multinazionale francese, sotto forma di consulenze e prestazioni accessorie sulla carta finalizzate proprio a ridurre le falle presenti nella rete idrica aretina. Basti dire che nel 2009 e nel 2010 la cifra percepita dalla Suez per queste "prestazioni accessorie" è stata di un milione e 269mila euro per ogni anno. Una sorta di utile fisso e garantito fino al termine della concessione, che ha una durata di 25 anni.

Spiace ricordare che l'apprendista stregone di questa operazione "a perdere" sia Paolo Ricci, all'epoca sindaco di centrosinistra e adesso presidente... di Nuove Acque. Dopo una parentesi di centrodestra, dal 2006 Arezzo è stata riconquista dal centrosinistra, inclusa Rifondazione. Purtroppo la lotta per la ripubblicizzazione, oltre a dover fare i conti con ostacoli di carattere tecnico e giuridico, sconta anche l'assenza di una vera volontà politica da parte del Pd, «a parte alcuni suoi esponenti», precisa Mencucci.

Eppure le armi di pressione non mancherebbero: «Nel momento in cui il soggetto privato non fa gli investimenti che deve fare - e questo succede tutti gli anni - si apre un contenzioso. Se chiede aumenti tariffari, non gli si devono dare», è la linea dura suggerita dal Comitato. Che confida in un successo del referendum per l'abrogazione del decreto Ronchi: «Raccoglieremo migliaia di firme», assicura Mencucci.
di Roberto Farneti

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22 marzo 2010

L'acqua privatizzata? Più cara e inefficente

Bollette dell'acqua molto più salate in cambio di un servizio... peggiore. Sarebbero questi i presunti benefici della totale privatizzazione della gestione dei servizi idrici, imposta dal governo con il decreto Ronchi. In base a questa legge, approvata il 18 novembre scorso, la quota di partecipazione pubblica nelle società miste dovrà passare entro il 2015 dall'attuale 51% al 30%.

Al di là di fondamentali obiezioni di principio (può un bene prezioso come l'acqua essere gestito da società che, per loro natura, seguono la logica del profitto, invece che quella dell'interesse pubblico?) è proprio l'esperienza concreta maturata nelle città dove tali privatizzazioni sono già avvenute, per il tramite di spa a maggioranza pubblica, a sconsigliare di proseguire su questa strada.

L'esempio più citato è quello della provincia di Arezzo, che dal 1999 ha affidato il proprio servizio idrico ad una Spa a maggioranza formalmente pubblica, la Nuove Acque, dove però tutti i poteri sono di fatto nelle mani del socio privato, la multinazionale francese Suez, che ha il diritto di nominare l'amministratore delegato. Una scelta colpevolmente sostenuta in questi anni anche dal centrosinistra ma che, alla prova dei fatti, si è rivelata un errore. Anche perchè la tanto invocata concorrenza tra pubblico e privato, che secondo i "privatizzatori" avrebbe dovuto portare a un riduzione delle tariffe, non c'è stata, in quanto l'acqua continua ad essere erogata in regime di monopolio.ù

«I dati ufficiali del comitato di vigilanza risorse idriche parlano chiaro: Arezzo occupa il terzo posto nella graduatoria delle città in cui l'acqua è più cara», denuncia Stefano Mencucci, del Comitato per l'acqua pubblica del capoluogo toscano. Per parte loro, i sostenitori della privatizzazione sottolineano il presunto aumento del consumo domestico, dovuto - dicono - a un miglioramento della qualità dell'acqua che esce dai rubinetti.
Mencucci scuote la testa: «E' vero il contrario. Nonostante i nuovi allacci nel frattempo effettuati, oggi il consumo è lievemente inferiore a quello di dieci anni fa. E' vero invece che l'acqua di Arezzo è di ottima qualità. Ma non è certo merito della Nuove Acque, bensì del nuovo invaso realizzato con investimenti totalmente pubblici alle sorgenti del Tevere, pochi mesi prima della privatizzazione. Anzi, la Suez si era assunta l'impegno di portare l'acqua dell'invaso di Monte d'Oglio nei comuni limitrofi dopo tre anni, vale a dire nel 2002. Oggi siamo nel 2010 e - a parte un caso - questo non è ancora stato fatto».
Anche chi si aspettava un servizio migliore è rimasto deluso: «Attualmente gli acquedotti dell'Aato 4, consorzio che comprende 37 comuni, perdono - spiega ancora Mencucci - intorno al 35% dell'acqua, sostanzialmente la stessa percentuale che c'era al momento dell'avvento del soggetto privato». Peccato che questo deludente risultato sia stato pagato a caro prezzo dai cittadini, vista la valanga di soldi passati nelle tasche della multinazionale francese, sotto forma di consulenze e prestazioni accessorie sulla carta finalizzate proprio a ridurre le falle presenti nella rete idrica aretina. Basti dire che nel 2009 e nel 2010 la cifra percepita dalla Suez per queste "prestazioni accessorie" è stata di un milione e 269mila euro per ogni anno. Una sorta di utile fisso e garantito fino al termine della concessione, che ha una durata di 25 anni.

Spiace ricordare che l'apprendista stregone di questa operazione "a perdere" sia Paolo Ricci, all'epoca sindaco di centrosinistra e adesso presidente... di Nuove Acque. Dopo una parentesi di centrodestra, dal 2006 Arezzo è stata riconquista dal centrosinistra, inclusa Rifondazione. Purtroppo la lotta per la ripubblicizzazione, oltre a dover fare i conti con ostacoli di carattere tecnico e giuridico, sconta anche l'assenza di una vera volontà politica da parte del Pd, «a parte alcuni suoi esponenti», precisa Mencucci.

Eppure le armi di pressione non mancherebbero: «Nel momento in cui il soggetto privato non fa gli investimenti che deve fare - e questo succede tutti gli anni - si apre un contenzioso. Se chiede aumenti tariffari, non gli si devono dare», è la linea dura suggerita dal Comitato. Che confida in un successo del referendum per l'abrogazione del decreto Ronchi: «Raccoglieremo migliaia di firme», assicura Mencucci.
di Roberto Farneti

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