18 marzo 2010

Lo sport più violento d'America? La politica


«Hem batteva a macchina stando in piedi, l'usava come un fucile, come un'arma. Le corride erano un punto di riferimento per qualsiasi altra cosa, gli stava tutto in testa come un blocco di sole o di burro: e lui lo trascriveva sulla carta. Quanto a me, le corse di cavalli mi fan capire dove sono forte e dove sono debole, sanno dirmi come mi sento quel giorno e come noi mutiamo e tutto muta, tutto il tempo, e quanto poco ne sappiamo di questo». Chissà se Hunter S. Thompson si sarebbe riconosciuto almeno un po' in questo ritratto con cui Charles Bukowski si è raccontato, rendendo omaggio a Ernest Hemingway, in Storie di ordinaria follia (Feltrinelli, 1975)? Lui che si è guadagnato da vivere per tanti anni facendo il giornalista sportivo e che ammetteva candidamente: «C'è stato un tempo, non molto lontano, in cui aspettavo le partite domenicali della National Football League con un'impazienza che mi stordiva, come una vacanza alle porte». Il football come la corrida?

Scomparso nel febbraio del 2005 alla soglia dei settant'anni in circostanze misteriose, Hunter Stockton Thompson è stato considerato negli Stati Uniti una delle figure più importanti e innovative del giornalismo, ma anche della letteratura, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta: è a lui che si deve il debutto del cosiddetto "gonzo journalism", uno stile che mescola volutamente fiction e realtà, reportage e inchieste rigorose con le più bizzarre invenzioni narrative. «Mi capitava di lavorare per tre giornali insieme. Scrivevo gli avvisi pubblicitari per i casinò e i bowling appena inaugurati. Facevo il consulente per il racket dei combattimenti fra galli, il critico gastronomico più corrotto dell'isola, il fotografo di yacht e la vittima preferita della polizia locale. Era un mondo avido e io ci sguazzavo. Ho fatto amicizia con un sacco di personaggi, avevo abbastanza soldi per spassarmela e ho capito un sacco di cose sul mondo che non avrei potuto imparare in nessun altro modo», racconta Thompson in Cronache del rum (Baldini Castoldi Dalai, 2007), diario del suo soggiorno portoricano della fine degli anni Cinquanta.

Nato nel 1937 a Louisville, nel Kentucky, Thompson ha attraversato la stagione della beat generation, è stato amico e collaboratore di Allen Ginsberg e William S. Burroughs, e delle controculture giovanili, sopravvivendo a fatica all'abuso di acidi e alcol e raccontando come l'America stava cambiando a un pubblico che, almeno in parte, era protagonista di quello stesso cambiamento: la generazione statunitense cresciuta tra l'inizio della guerra in Vietnam e lo scandalo del Watergate. Giornalista sportivo, tra New York e Puerto RIco, reporter d'attualità per Time , Rolling Stones , Esquire e The Nation , l'inquietudine di Thompson si incontra nelle sua pagine come nella sua biografia: dalla Grande Mela dei Fifties all'America Latina dei primi anni Sessanta, dalla California del tramonto degli hippy al nuovo sogno fricchettone della piccola comunità di Pitkin County, alle porte di Aspen, in Colorado, dove si trasferirà con la moglie all'inizio degli anni Settanta. Una vita vissuta tutto d'un fiato e "fino all'ultimo respiro", alla ricerca di sensazioni ma anche di verità. «L'editore sportivo mi aveva dato un anticipo di 300 dollari in contanti, la maggior parte dei quali era già stata spesa in droghe estremamente pesanti - scrive in Paura e disgusto a Las Vegas (Bompiani, 2000), resoconto del viaggio che il giornalista fece insieme al suo avvocato Oscar Acosta per seguire i lavori della conferenza antidroga dell'Associazione nazionale dei procuratori distrettuali - Il baule della macchina pareva un laboratorio mobile della narcotici. Avevamo due borsate di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli di Lsd super-potente, una saliera piena zeppa di cocaina, e un'intera galassia di pillole multicolori, eccitanti, calmanti, esilaranti... e anche un litro di tequila, uno di rum, una cassa di Budweiser, una pinta di etere puro e due dozzine di fiale di popper». Nel 1998 il regista Terry Gilliam ha tratto da quel libro il film Paura e delirio a Las Vegas , interpretato da Johnny Depp e Benicio Del Toro, entrambi amici personali di Thompson.

Così, nella produzione dell'inventore del gonzo journalism si trovano anche uno starordinario reportage sulle bande di motociclisti divenuti rapidamente i peggiori "folk devils" degli anni Sessanta, Hell's Angels (Baldini Castoldi Dalai, 2008) e Fear and Loathing on the Campaign Trail '72 , tutt'ora inedito nel nostro paese, un'antologia di articoli scritti per Rolling Stone durante la campagna elettorale di Richard Nixon. Il "Dr. Gonzo", come a volte si definiva Thompson, osservatore della politica americana non è certo da meno del reporter d'assalto in grado di provare sulla propria pelle tutto ciò di cui scrive. Dopo che lo scorso anno era uscito Meglio del sesso. Confessioni di un drogato della politica (Baldini Castoldi Dalai, pp. 344, euro 18.00) cronaca semiseria delle elezioni presidenziali americane del 1992 - di fronte alla possibile riconferma di George Bush Senior e all'ascesa del populista texano Ross Perot, Thompson decide di appoggiare il democratico Bill Clinton -, Fandango pubblica ora Hey Rube (pp. 290, euro 18,00) una raccolta di 83 articoli realizzati per l'omonima rubrica che Thompson ha tenuto per anni sul sito della testata sportiva Espn : un ritratto dissacrante dell'America dell'11 settembre e della prima presidenza di George W. Bush, alternato all'analisi del campionato di football e di basket, al racconto del circuito delle scommesse che ruota intorno alle partite e delle bevute con gli amici davanti alla tv, prima e dopo di ogni match.

Lucido e impietoso, Hunter S. Thompson affidava senza saperlo alla rubrica online quelle che possono essere considerate come le sue ultime parole. «Ammettiamolo: l'unico sport veramente violento in questo paese è la politica ad alti livelli. Puoi intrallazzare un po' con lo sport e col gioco in borsa, ma quando comincia a farti gola la Casa Bianca non si scherza più. Questa è gente che scommette sul serio, e non c'è nulla che non farebbe pur di vincere. Niente che abbia a che fare con sospensori e reggiseni sportivi gli potrà andare vicino per drammaticità, violenza, aggressività, e voglia esagerata di fare razzia dopo la vittoria... La presidenza degli Stati Uniti è il premio più ricco e influente nella storia mondiale. La differenza tra conquistare il Super Bowl e la Casa Bianca è la differenza che c'è tra un soldo di cioccolata e un caveau pieno di monete d'oro», scrive ne "Il morbo della Casa Bianca". Poco prima aveva assegnato il titolo di "porco della settimana" al democratico Al Gore, sconfitto da Bush nel 2000: «Gore verrà ricordato come lo sfortunato asino putrefatto che si è lasciato fregare la Casa Bianca da una banda di squallidi trafficanti di petrolio del Texas che non hanno promesso nulla a parte un mercato al collasso e pene pesanti per i pazzi degenerati che si dedicano al sesso orale sulle proprietà del governo Usa».

Non c'è che dire, per Thompson sembra valere per sempre l'inizio fulminante che Jack Kerouac affidò a I sotterranei (Feltrinelli, 1960): «Ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza»
di Guido Caldiron

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18 marzo 2010

Lo sport più violento d'America? La politica


«Hem batteva a macchina stando in piedi, l'usava come un fucile, come un'arma. Le corride erano un punto di riferimento per qualsiasi altra cosa, gli stava tutto in testa come un blocco di sole o di burro: e lui lo trascriveva sulla carta. Quanto a me, le corse di cavalli mi fan capire dove sono forte e dove sono debole, sanno dirmi come mi sento quel giorno e come noi mutiamo e tutto muta, tutto il tempo, e quanto poco ne sappiamo di questo». Chissà se Hunter S. Thompson si sarebbe riconosciuto almeno un po' in questo ritratto con cui Charles Bukowski si è raccontato, rendendo omaggio a Ernest Hemingway, in Storie di ordinaria follia (Feltrinelli, 1975)? Lui che si è guadagnato da vivere per tanti anni facendo il giornalista sportivo e che ammetteva candidamente: «C'è stato un tempo, non molto lontano, in cui aspettavo le partite domenicali della National Football League con un'impazienza che mi stordiva, come una vacanza alle porte». Il football come la corrida?

Scomparso nel febbraio del 2005 alla soglia dei settant'anni in circostanze misteriose, Hunter Stockton Thompson è stato considerato negli Stati Uniti una delle figure più importanti e innovative del giornalismo, ma anche della letteratura, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta: è a lui che si deve il debutto del cosiddetto "gonzo journalism", uno stile che mescola volutamente fiction e realtà, reportage e inchieste rigorose con le più bizzarre invenzioni narrative. «Mi capitava di lavorare per tre giornali insieme. Scrivevo gli avvisi pubblicitari per i casinò e i bowling appena inaugurati. Facevo il consulente per il racket dei combattimenti fra galli, il critico gastronomico più corrotto dell'isola, il fotografo di yacht e la vittima preferita della polizia locale. Era un mondo avido e io ci sguazzavo. Ho fatto amicizia con un sacco di personaggi, avevo abbastanza soldi per spassarmela e ho capito un sacco di cose sul mondo che non avrei potuto imparare in nessun altro modo», racconta Thompson in Cronache del rum (Baldini Castoldi Dalai, 2007), diario del suo soggiorno portoricano della fine degli anni Cinquanta.

Nato nel 1937 a Louisville, nel Kentucky, Thompson ha attraversato la stagione della beat generation, è stato amico e collaboratore di Allen Ginsberg e William S. Burroughs, e delle controculture giovanili, sopravvivendo a fatica all'abuso di acidi e alcol e raccontando come l'America stava cambiando a un pubblico che, almeno in parte, era protagonista di quello stesso cambiamento: la generazione statunitense cresciuta tra l'inizio della guerra in Vietnam e lo scandalo del Watergate. Giornalista sportivo, tra New York e Puerto RIco, reporter d'attualità per Time , Rolling Stones , Esquire e The Nation , l'inquietudine di Thompson si incontra nelle sua pagine come nella sua biografia: dalla Grande Mela dei Fifties all'America Latina dei primi anni Sessanta, dalla California del tramonto degli hippy al nuovo sogno fricchettone della piccola comunità di Pitkin County, alle porte di Aspen, in Colorado, dove si trasferirà con la moglie all'inizio degli anni Settanta. Una vita vissuta tutto d'un fiato e "fino all'ultimo respiro", alla ricerca di sensazioni ma anche di verità. «L'editore sportivo mi aveva dato un anticipo di 300 dollari in contanti, la maggior parte dei quali era già stata spesa in droghe estremamente pesanti - scrive in Paura e disgusto a Las Vegas (Bompiani, 2000), resoconto del viaggio che il giornalista fece insieme al suo avvocato Oscar Acosta per seguire i lavori della conferenza antidroga dell'Associazione nazionale dei procuratori distrettuali - Il baule della macchina pareva un laboratorio mobile della narcotici. Avevamo due borsate di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli di Lsd super-potente, una saliera piena zeppa di cocaina, e un'intera galassia di pillole multicolori, eccitanti, calmanti, esilaranti... e anche un litro di tequila, uno di rum, una cassa di Budweiser, una pinta di etere puro e due dozzine di fiale di popper». Nel 1998 il regista Terry Gilliam ha tratto da quel libro il film Paura e delirio a Las Vegas , interpretato da Johnny Depp e Benicio Del Toro, entrambi amici personali di Thompson.

Così, nella produzione dell'inventore del gonzo journalism si trovano anche uno starordinario reportage sulle bande di motociclisti divenuti rapidamente i peggiori "folk devils" degli anni Sessanta, Hell's Angels (Baldini Castoldi Dalai, 2008) e Fear and Loathing on the Campaign Trail '72 , tutt'ora inedito nel nostro paese, un'antologia di articoli scritti per Rolling Stone durante la campagna elettorale di Richard Nixon. Il "Dr. Gonzo", come a volte si definiva Thompson, osservatore della politica americana non è certo da meno del reporter d'assalto in grado di provare sulla propria pelle tutto ciò di cui scrive. Dopo che lo scorso anno era uscito Meglio del sesso. Confessioni di un drogato della politica (Baldini Castoldi Dalai, pp. 344, euro 18.00) cronaca semiseria delle elezioni presidenziali americane del 1992 - di fronte alla possibile riconferma di George Bush Senior e all'ascesa del populista texano Ross Perot, Thompson decide di appoggiare il democratico Bill Clinton -, Fandango pubblica ora Hey Rube (pp. 290, euro 18,00) una raccolta di 83 articoli realizzati per l'omonima rubrica che Thompson ha tenuto per anni sul sito della testata sportiva Espn : un ritratto dissacrante dell'America dell'11 settembre e della prima presidenza di George W. Bush, alternato all'analisi del campionato di football e di basket, al racconto del circuito delle scommesse che ruota intorno alle partite e delle bevute con gli amici davanti alla tv, prima e dopo di ogni match.

Lucido e impietoso, Hunter S. Thompson affidava senza saperlo alla rubrica online quelle che possono essere considerate come le sue ultime parole. «Ammettiamolo: l'unico sport veramente violento in questo paese è la politica ad alti livelli. Puoi intrallazzare un po' con lo sport e col gioco in borsa, ma quando comincia a farti gola la Casa Bianca non si scherza più. Questa è gente che scommette sul serio, e non c'è nulla che non farebbe pur di vincere. Niente che abbia a che fare con sospensori e reggiseni sportivi gli potrà andare vicino per drammaticità, violenza, aggressività, e voglia esagerata di fare razzia dopo la vittoria... La presidenza degli Stati Uniti è il premio più ricco e influente nella storia mondiale. La differenza tra conquistare il Super Bowl e la Casa Bianca è la differenza che c'è tra un soldo di cioccolata e un caveau pieno di monete d'oro», scrive ne "Il morbo della Casa Bianca". Poco prima aveva assegnato il titolo di "porco della settimana" al democratico Al Gore, sconfitto da Bush nel 2000: «Gore verrà ricordato come lo sfortunato asino putrefatto che si è lasciato fregare la Casa Bianca da una banda di squallidi trafficanti di petrolio del Texas che non hanno promesso nulla a parte un mercato al collasso e pene pesanti per i pazzi degenerati che si dedicano al sesso orale sulle proprietà del governo Usa».

Non c'è che dire, per Thompson sembra valere per sempre l'inizio fulminante che Jack Kerouac affidò a I sotterranei (Feltrinelli, 1960): «Ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza»
di Guido Caldiron

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