16 febbraio 2011

Liberta' e' democrazia?

Mentre sto lavorando ad alcune novita' editoriali (riguardo a Cibo e Pietre) , per questo ho postato meno, vorrei solo rispondere ad una delle email che mi sono arrivate in questi giorni, quando mi si accusa di essere incoerente perche' odio e disprezzo la democrazia e predico la liberta' individuale. Perche' il punto e' questo: la democrazia e la liberta' dell'individuo hanno pochissimo in comune, ma una vera e propria religione della democrazia si diletta di convincere del contrario.

Per prima cosa occorre sfatare diversi miti. L'idea di democrazia che le persone hanno e' del tutto infondata rispetto alla realta'. Nel dopoguerra, l'europa postcoloniale ebbe un gigantesco balzo economico, che arrivo' insieme alla imposizione da parte americana delle democrazie in Europa.


Un mondo che usciva dal colonialismo (o che ne stava ancora uscendo) era un mondo economicamente unipolare: sebbene apparentemente diviso in due poli politici e militari (USa e URSS) sul piano economico era del tutto unico. C'era un solo mercato (nel 1950 , solo 4 nazioni assorbivano il 95% delle risorse, poi divennero 6, poi 7, infine 8, oggi sono 20) , c'era un solo polo industriale e tecnologico, c'era una sola fonte di domanda. Chiunque nel mondo avesse prodotto qualcosa aveva una sola speranza: venderla in occidente. Chiunque avesse materie prime aveva una sola speranza: venderle ad occidentali.Chiunque avesse forza lavoro aveva una sola speranza: lavorare per occidentali. Il prezzo? In condizioni di monopolio della domanda, lo faceva l'occidente.

Non solo le nazioni occidentali erano le uniche a consumare, ma eravamo anche gli unici a comprare: questo era il mondo emerso alla fine del colonialismo. Dunque, il prezzo lo facevamo noi. Le condizioni le facevamo noi.

I benefici del periodo storico sono stati confusi coi benefici della "democrazia", al punto da pensare che la democrazia sia una specie di divinita' capace di garantire al suo popolo la ricchezza e la prosperita'. Questa superstizione si e' diffusa al punto che in caso di disastro economico per prima cosa il popolo chiede i soliti rituali religiosi: "elezioni, cambio di governo, dimissioni, manifestazioni,...": si tratta del corrispondente di quello che si fa quando non piove e si fa una processione per la pioggia.

Quello che si crede e' che la democrazia sia una divinita' che garantisce ricchezza al suo popolo: bastera' dunque che la Dea democrazia sia felice del proprio popolo, e ci ricompensera'. Cosi', ad ogni crisi si fanno tutti i rituali della Dea democrazia, e ci si aspetta che la Dea provveda . E se l'economia va male, per prima cosa si lamenta di non aver fatto abbastanza rituali, ovvero di non aver fatto abbastanza elezioni (o di non aver votato quello giusto) , di non aver cambiato abbastanza il governo, di non aver avuto abbastanza dimissioni, di non aver manifestato abbastanza : senza queste cose la Dea democrazia e' adirata coi suoi fedeli, e li punisce con una carestia. Amen.

Ovviamente e' un falso. Costruire un'economia funzionante e' una questione tecnica. C'e' riuscito Hitler come ci sono riusciti i cinesi, per dirne una. Avere ricchezza non e' una prerogativa delle democrazie, dal momento che i paesi che crescono maggiormente sono in gran parte delle tirannie, e se prendiamo per esempio un periodo felice dell' Europa, come il rinascimento, di democrazie ne troviamo ben poche.

Non e' impossibile per un governo tirannico costruire un buon sistema produttivo ed economico, e' solo una questione di tecnica economica. La Spagna verso' in condizioni pietose per tutto il dopoguerra, finche' Franco chiamo' i cosiddetti "tecnocrati" (in genere funzionari di Opus Dei) i quali riuscirono a fare delle riforme tecnicamente corrette, che causarono il cosiddetto "Desarrollo", un periodo di crescita che permise alla Spagna, finita la dittatura, di avere i requisiti per entrare nella UE e di arrivare al 79% del reddito procapite europeo. Eppure, il regime franchista non era certo una democrazia.

Alla democrazia, cioe', vengono attribuiti con metodi simili alla superstizione dei risultati che sono puramente economici, indipendenti dal tipo di governo, ottenibili da qualsiasi genere di governo a patto di affidarsi a tecnici preparati.

Un altro punto e' il mito della liberta'. Circola voce insistente sul fatto che in una democrazia la gente sia "libera", ovvero capace di fare quello che vuole senza interferenze da parte dei governi.

Il problema a questo punto e' che la democrazia la si confronta con i regimi del recente passato (comunismo e fascismo) ma non la si confronta con gli ultimi 2000 anni di storia. Negli ultimi 2000 anni, tranne pochissimi periodi, il cittadino qualsiasi subiva MOLTE meno interferenze da parte dello stato, rispetto ad oggi.

Non intendo scrivere cose come "poveri ma felici" perche' i poveri sono infelici, ed e' proprio questo il punto: prima degli ultimi 50 anni le masse stavano male per ragioni economiche, non politiche. Se andiamo a misurare quanta gente abbia perseguitato per ragioni politiche la monarchia francese, credo che non supereremo la dozzina in svariati secoli.

Il punto logico sul quale verte l'equivoco e' che non distinguiamo la liberta' con la possibilita': io (che non sono una donna) sono libero di partorire bambini? Si, nessuna legge me lo vieta. Peccato sia impossibile. Un diritto, od una liberta', sono tali nel momento in cui io posso goderne: in un mondo tecnologicamente arretrato e di conseguenza economicamente povero(1) io non posso certo avere il tempo libero che ha il ceto medio, quindi se andiamo a chiederci quale sia la mia oggettiva liberta' di espressione, troveremo che di fatto materialmente non mi esprimo proprio.

Il cittadino di Re Luigi, in altre parole, era di gran lunga piu' libero del cittadino francese di oggi. Se avesse avuto il tempo, l'alfabetizzazione e la scuola, NON AVEVA LEGGI CHE REGOLAVANO LA MUSICA se non il divieto di ledere sua maesta'. Ma se escludiamo questo semplice contenuto, UNO SOLO, poteva cantare tutto il resto sulla strada.

Oggi, la legge francese obbliga una certa percentuale di canzoni francesi. Obbliga che tutti i contenuti considerati "inadatti" siano bollati secondo la classificazione ICRA. Oggi ci sono orari, luoghi deputati, eta' ammissibili, classificazioni, iscrizioni ad associazioni, nullaosta dell'autorita'. Sei libero di fare le cose, che pero' vengono "regolate". Ovvero, non sei affatto libero.

Soltanto prima della rivoluzione francese, a patto di non insultare il Re o qualche nobile, l'artista cantava quel che voleva, e a seconda del seguito cantava nei teatri che liberamente decidevano di rappresentare le sue opere. Era una questione di fortuna, di talento, di momento. Due sole regole molto chiare: non causare tumulti, non offendere Re e Nobili.

Oggi invece siamo "liberi": dalle ore X alle ore Y, nel posto tale, dopo aver ricevuto un permesso dalle autorita', solo a persone dai 18 in su, solo se cantiamo in francese, solo se non offendiamo i musulmani, i vegetariani, le lesbiche, i gay, i negri, la famiglia, i cattolici, i protestanti, gli algerini, gli ebrei, le donne, se non andiamo in conflitto contro una qualsiasi associazione locale per il "decoro", per i bambini, per la donna, per gli animali, per la religione.

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16 febbraio 2011

Liberta' e' democrazia?

Mentre sto lavorando ad alcune novita' editoriali (riguardo a Cibo e Pietre) , per questo ho postato meno, vorrei solo rispondere ad una delle email che mi sono arrivate in questi giorni, quando mi si accusa di essere incoerente perche' odio e disprezzo la democrazia e predico la liberta' individuale. Perche' il punto e' questo: la democrazia e la liberta' dell'individuo hanno pochissimo in comune, ma una vera e propria religione della democrazia si diletta di convincere del contrario.

Per prima cosa occorre sfatare diversi miti. L'idea di democrazia che le persone hanno e' del tutto infondata rispetto alla realta'. Nel dopoguerra, l'europa postcoloniale ebbe un gigantesco balzo economico, che arrivo' insieme alla imposizione da parte americana delle democrazie in Europa.


Un mondo che usciva dal colonialismo (o che ne stava ancora uscendo) era un mondo economicamente unipolare: sebbene apparentemente diviso in due poli politici e militari (USa e URSS) sul piano economico era del tutto unico. C'era un solo mercato (nel 1950 , solo 4 nazioni assorbivano il 95% delle risorse, poi divennero 6, poi 7, infine 8, oggi sono 20) , c'era un solo polo industriale e tecnologico, c'era una sola fonte di domanda. Chiunque nel mondo avesse prodotto qualcosa aveva una sola speranza: venderla in occidente. Chiunque avesse materie prime aveva una sola speranza: venderle ad occidentali.Chiunque avesse forza lavoro aveva una sola speranza: lavorare per occidentali. Il prezzo? In condizioni di monopolio della domanda, lo faceva l'occidente.

Non solo le nazioni occidentali erano le uniche a consumare, ma eravamo anche gli unici a comprare: questo era il mondo emerso alla fine del colonialismo. Dunque, il prezzo lo facevamo noi. Le condizioni le facevamo noi.

I benefici del periodo storico sono stati confusi coi benefici della "democrazia", al punto da pensare che la democrazia sia una specie di divinita' capace di garantire al suo popolo la ricchezza e la prosperita'. Questa superstizione si e' diffusa al punto che in caso di disastro economico per prima cosa il popolo chiede i soliti rituali religiosi: "elezioni, cambio di governo, dimissioni, manifestazioni,...": si tratta del corrispondente di quello che si fa quando non piove e si fa una processione per la pioggia.

Quello che si crede e' che la democrazia sia una divinita' che garantisce ricchezza al suo popolo: bastera' dunque che la Dea democrazia sia felice del proprio popolo, e ci ricompensera'. Cosi', ad ogni crisi si fanno tutti i rituali della Dea democrazia, e ci si aspetta che la Dea provveda . E se l'economia va male, per prima cosa si lamenta di non aver fatto abbastanza rituali, ovvero di non aver fatto abbastanza elezioni (o di non aver votato quello giusto) , di non aver cambiato abbastanza il governo, di non aver avuto abbastanza dimissioni, di non aver manifestato abbastanza : senza queste cose la Dea democrazia e' adirata coi suoi fedeli, e li punisce con una carestia. Amen.

Ovviamente e' un falso. Costruire un'economia funzionante e' una questione tecnica. C'e' riuscito Hitler come ci sono riusciti i cinesi, per dirne una. Avere ricchezza non e' una prerogativa delle democrazie, dal momento che i paesi che crescono maggiormente sono in gran parte delle tirannie, e se prendiamo per esempio un periodo felice dell' Europa, come il rinascimento, di democrazie ne troviamo ben poche.

Non e' impossibile per un governo tirannico costruire un buon sistema produttivo ed economico, e' solo una questione di tecnica economica. La Spagna verso' in condizioni pietose per tutto il dopoguerra, finche' Franco chiamo' i cosiddetti "tecnocrati" (in genere funzionari di Opus Dei) i quali riuscirono a fare delle riforme tecnicamente corrette, che causarono il cosiddetto "Desarrollo", un periodo di crescita che permise alla Spagna, finita la dittatura, di avere i requisiti per entrare nella UE e di arrivare al 79% del reddito procapite europeo. Eppure, il regime franchista non era certo una democrazia.

Alla democrazia, cioe', vengono attribuiti con metodi simili alla superstizione dei risultati che sono puramente economici, indipendenti dal tipo di governo, ottenibili da qualsiasi genere di governo a patto di affidarsi a tecnici preparati.

Un altro punto e' il mito della liberta'. Circola voce insistente sul fatto che in una democrazia la gente sia "libera", ovvero capace di fare quello che vuole senza interferenze da parte dei governi.

Il problema a questo punto e' che la democrazia la si confronta con i regimi del recente passato (comunismo e fascismo) ma non la si confronta con gli ultimi 2000 anni di storia. Negli ultimi 2000 anni, tranne pochissimi periodi, il cittadino qualsiasi subiva MOLTE meno interferenze da parte dello stato, rispetto ad oggi.

Non intendo scrivere cose come "poveri ma felici" perche' i poveri sono infelici, ed e' proprio questo il punto: prima degli ultimi 50 anni le masse stavano male per ragioni economiche, non politiche. Se andiamo a misurare quanta gente abbia perseguitato per ragioni politiche la monarchia francese, credo che non supereremo la dozzina in svariati secoli.

Il punto logico sul quale verte l'equivoco e' che non distinguiamo la liberta' con la possibilita': io (che non sono una donna) sono libero di partorire bambini? Si, nessuna legge me lo vieta. Peccato sia impossibile. Un diritto, od una liberta', sono tali nel momento in cui io posso goderne: in un mondo tecnologicamente arretrato e di conseguenza economicamente povero(1) io non posso certo avere il tempo libero che ha il ceto medio, quindi se andiamo a chiederci quale sia la mia oggettiva liberta' di espressione, troveremo che di fatto materialmente non mi esprimo proprio.

Il cittadino di Re Luigi, in altre parole, era di gran lunga piu' libero del cittadino francese di oggi. Se avesse avuto il tempo, l'alfabetizzazione e la scuola, NON AVEVA LEGGI CHE REGOLAVANO LA MUSICA se non il divieto di ledere sua maesta'. Ma se escludiamo questo semplice contenuto, UNO SOLO, poteva cantare tutto il resto sulla strada.

Oggi, la legge francese obbliga una certa percentuale di canzoni francesi. Obbliga che tutti i contenuti considerati "inadatti" siano bollati secondo la classificazione ICRA. Oggi ci sono orari, luoghi deputati, eta' ammissibili, classificazioni, iscrizioni ad associazioni, nullaosta dell'autorita'. Sei libero di fare le cose, che pero' vengono "regolate". Ovvero, non sei affatto libero.

Soltanto prima della rivoluzione francese, a patto di non insultare il Re o qualche nobile, l'artista cantava quel che voleva, e a seconda del seguito cantava nei teatri che liberamente decidevano di rappresentare le sue opere. Era una questione di fortuna, di talento, di momento. Due sole regole molto chiare: non causare tumulti, non offendere Re e Nobili.

Oggi invece siamo "liberi": dalle ore X alle ore Y, nel posto tale, dopo aver ricevuto un permesso dalle autorita', solo a persone dai 18 in su, solo se cantiamo in francese, solo se non offendiamo i musulmani, i vegetariani, le lesbiche, i gay, i negri, la famiglia, i cattolici, i protestanti, gli algerini, gli ebrei, le donne, se non andiamo in conflitto contro una qualsiasi associazione locale per il "decoro", per i bambini, per la donna, per gli animali, per la religione.

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